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mercoledì 28 novembre 2007

La speranza della class action contro le banche

Dal 1990 il sistema bancario italiano ha subìto profonde modifiche.
A partire dalla cosiddetta legge Amato si è dato origine ad una trasformazione degli assetti giuridico organizzativi che, pur ancora in corso, è quasi arrivata al suo epilogo.
Vi ricordate le BIN, le cosiddette banche di interesse nazionale, di proprietà dell’IRI? Sì, proprio loro: la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano, il Banco di Roma.
E poi i cinque Istituti di credito di diritto pubblico? Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Istituto San Paolo di Torino, Banca Nazionale del Lavoro.
Ne è passata di acqua sotto i ponti ma il panorama bancario odierno non è un granché migliorato per le tasche degli italiani.
Procedendo a trasformazioni, aggregazioni, fusioni mini e maxi, ormai in Italia esistono due, forse tre colossi: Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi-Antonveneta. Ed al posto delle casse di risparmio, sono spuntate come funghi le Fondazioni che gestiscono i pacchetti di controllo delle attività operative confluite in società per azioni.
Ma vi siete mai chiesti chi amministra le Fondazioni? Qui la politica la fa da padrona, inutile illudersi, e i criteri di nomina sono assai lontani dall'ispirarsi al principio meritocratico.
All’epoca si disse che queste operazioni avrebbero migliorato l’ efficienza e la competitività del sistema bancario italiano, che era segmentato in modo feudale; e i correntisti avrebbero finalmente avuto il loro momento di gloria potendo beneficiare di grossi risparmi nei costi di gestione dei servizi bancari nonché di un miglioramento sensibile e generalizzato nella qualità degli stessi.
Inoltre, il rafforzamento patrimoniale ed organizzativo delle banche italiane avrebbe permesso alle aziende straniere di penetrare nel mercato italiano in modo graduale, portando concorrenza ma senza fare sfracelli.
Purtroppo, il risultato sconsolante di questo terremoto organizzativo durato quindici anni, gli stessi della tanto osannata seconda repubblica (sarà un caso?), è che il mercato bancario è oligopolistico più che mai e della tanto auspicata concorrenza nessuno parla più: il 60% del credito totale è nelle mani di tre gruppi.
Al bipolarismo politico ha quindi fatto seguito una sorta di triumvirato finanziario: il maggioritario politico declinato nei salotti della finanza ha sfornato un modello organizzativo che elimina sul nascere ogni velleità concorrenziale.
Se prima il cliente aveva la sensazione di poter contare un minimo, in qualche modo contrattando qualche condizione con il proprio direttore d’agenzia, oggi desiste subito, trovandosi di fronte ad un muro di gomma: nessuno in agenzia ha più il potere di decidere nulla senza passare per i livelli superiori della scala gerarchica.
Un aumento dal frequente 0,30% al misero 0,50% del tasso di interesse sui risparmi in conto corrente bancario?
Beh, le faremo sapere tra qualche giorno, dobbiamo farne richiesta a Milano, a Torino, ecc.
Ma dopo due mesi, che fine abbia fatto quella domanda nessuno lo sa!
Così mentre le commissioni salgono, i servizi proposti alla clientela restano ancora tipici di un’economia di serie C.
Così pronte le banche a sbolognare i bond argentini o le obbligazioni Parmalat, ci mettono ancora sette giorni feriali, cioè 9 giorni solari (ricorrenze infrasettimanali permettendo!) per accreditarti un assegno bancario sul conto corrente, naturalmente salvo buon fine.
Nonostante negli ultimi due anni le aziende di credito abbiano ritoccato sensibilmente i tassi in rialzo sui loro impieghi (ne sanno qualcosa i milioni di italiani che hanno acceso un mutuo a tasso variabile), ancora praticano sui depositi della clientela condizioni ridicole: molti si vedono remunerare i loro risparmi ancora allo 0,30% lordo!!
Qualcuno dirà: anche in Inghilterra il tasso sul conto corrente è pari a zero. Verissimo, ma lì il conto corrente non costa nulla, carta Bancomat e spesso carta di credito comprese.
La class action, cioè l’azione risarcitoria collettiva dei consumatori contro i fornitori di beni e servizi, approvata nella Finanziaria, se verrà finalmente applicata, troverà sicuramente nei ricorsi contro le banche il primo vero banco di prova per i consumatori.
Scoraggia sapere che sia stata approvata grazie al decisivo errore di voto di un senatore di Forza Italia, scoppiato in lacrime subito dopo; inoltre l’impareggiabile ministro Mastella ha già fatto sapere di essere intenzionato a modificarla “per evitare una fuga di investimenti dall’Italia”.
Perché, in fondo, alla politica ed ai media interessa più parlare di Partito Democratico o Partito del Popolo delle Libertà, che dei diritti dei cittadini, anche quando semplicemente varcano la porta girevole di uno sportello bancario.
Nonostante le iniziative del governo Prodi e l’intraprendenza mediatica del ministro Bersani, le vere liberalizzazioni in campo finanziario sono ancora di là da venire.