Ennesimo editoriale di D’Avanzo sulla questione De Magistris - Mastella - Forleo.
Ancora una volta la accosta indebitamente alla stagione della Palermo di Falcone e Borsellino: nessuno glielo ha chiesto, nessuno dei protagonisti ha osato fare questo confronto quasi sacrilego ma lui, improvvisamente inviato speciale a bordo della sua macchina del tempo, è cocciutamente intenzionato a proporlo; a parte il pessimo gusto dell’operazione, è proprio l’obiettivo della stessa ad essere sciagurato.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Invece di chiedere doverosamente scusa a Michele Santoro per gli insulti gratuiti e insensati di qualche settimana fa (editoriale su Repubblica del 6 u.s.), ha ancora l’impudenza di reiterare i suoi messaggi barbarici.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Fonte: Il paragone impossibile con Falcone e Borsellino
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