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domenica 29 gennaio 2012

L'appoggio di Bersani al governo Monti: ormai il PD è il Partito dei Dinosauri

"Noi siamo a sostegno del governo Monti senza se, senza ma e senza tacere le nostre idee. E' chiaroo?"
La battuta del segretario Pierluigi Bersani all'Assemblea nazionale del PD domenica scorsa nel corso di un intervento di oltre mezz'ora la dice lunga sullo stato confusionale in cui versa il suo partito, ormai nelle mani di un'oligarchia che ha perso completamente il senso della realtà, lontano anni luce dalla propria base elettorale.
In fondo questa frase è l'epitaffio sopra un'esperienza politica ormai da declinare al trapassato remoto.
Dove possa andare un partito che non ha più una rotta ideologica da seguire e che naviga a vista sotto costa è presto detto: o riesce a riparare in un porticciolo turistico affiancandosi ai megayacht di qualche pregiudicato prestato alla politica oppure, più probabilmente, rischia di fare la fine  della Costa Concordia, adagiandosi su un basso fondale per essersi spinto troppo in là con gli inchini verso i poteri forti, dimenticando di schivare gli scogli dell'emergenza economica e sociale.
Perché il governo Monti, ormai è chiaro, rappresenta il volto migliore del vecchio ministero Berlusconi: come tale si è accreditato agli occhi della cancelliera tedesca Angela Merkel per aver promesso (e mantenuto, a differenza dell'uomo di Arcore!) una politica di grave austerity economica e di tagli dichiaratamente antipopolari.
Il tutto edulcorato con i fuochi d'artificio di una propagandata manovra su liberalizzazioni e semplificazioni che, al di là del polverone mediatico,  non sfiora neppure le rendite dei grandi monopoli (banche, assicurazioni, media, concessionari di pubblici servizi), lasciati completamente indisturbati.
La panzana che comunque queste misure porteranno ad un aumento del Pil del 10% (come e in quanto tempo?) è poi degna del miglior Berlusconi.
'Fare ammuina' sembra l'imperativo di queste settimane del premier Monti che fa digerire la pillola amara della recessione, delle tasse, dei tagli al welfare e dell'assenza di un qualsiasi improcrastinabile intervento di redistribuzione del reddito, con operazioni di facciata che non cambiano di un'acca i termini della tragedia sociale in atto.
E il Pd che, apparentemente non aveva fatto sconti al Cavaliere, d'improvviso è soddisfatto di quella stessa politica, adesso drammaticamente operativa, a guida bocconiana.
Fortunatamente, da questo PD, alias Partito dei Dinosauri, la gente comincia a prendere le distanze, delusa e umiliata dal grande imbroglio, dall'inciucio di sempre.
Perché i Bocconi amari da inghiottire non si contano più.
Ma come? Fino all'anno scorso, la riforma Gelmini sulla scuola era la pietra dello scandalo e ora che con Monti sta andando a regime, tutto tace dalle parti di Bersani e Veltroni! Per non parlare della legge 240 sull'Università.
E le leggi ad personam varate da Berlusconi per salvarsi dai processi? Possibile che Violante & c. ce l'abbiano più con le intercettazioni che con la ex-Cirielli che manderà in fumo, assieme ad altri 200.000 processi, quello Mills contro il Cavaliere?
Intanto si profila un'altra amnistia, più o meno mascherata, con il ventilato provvedimento 'Svuotacarceri' , tanto per dare la certezza matematica ai colletti bianchi di non varcare, mai e poi mai, le patrie galere: naturalmente con l'allegra brigata PD-PDL in perfetta sintonia.
E sul piano economico, possibile che non ci sia uno straccio di politica industriale che impedisca o almeno rallenti il processo di delocalizzazione in atto tra le imprese italiane che sta mandando a casa, peggio, in mezzo alla strada, decine di migliaia di lavoratori? E che il PD non se ne faccia carico?
O che il PD non imbracci la vittoria referendaria per contrastare il tradimento che della volontà popolare si sta consumando con la privatizzazione dei servizi pubblici locali?
Giovedì sera, nello studio di Michele Santoro, il vicesegretario democratico Enrico Letta, già nipote di cotanto zio,  si è guardato bene dall'addossare la responsabilità del disastro in cui ci dibattiamo al governo di Silvio Berlusconi, preferendo esaltare Ciampi e Prodi per l'ingresso dell'Italia nell'Euro.
Scelta che oggi, sia pure ampiamente col senno di poi, è sotto gli occhi di tutti essere stata sciagurata. Ma il pizzinaro Letta, buon per lui, è convinto del contrario!
Per fortuna, mentre i Dinosauri del PD corrono dritti dritti verso l'estinzione (basterà ancora qualche altra sortita di Bersani!), con i loro ex elettori che si vergognano intimamente di averli mai potuti votare, sta finalmente venendo fuori qualcosa di nuovo.
A Napoli, il cosiddetto Partito dei sindaci, con in testa il primo cittadino Luigi De Magistris, nel "Forum dei Beni Comuni per i Beni Comuni", denuncia la svendita di beni primari come scuole, asili, ospedali e di tanti altri beni pubblici in nome di un malinteso federalismo demaniale rivendicando la rilevanza costituzionale del soddisfacimento dei diritti fondamentali di cittadinanza.
A Torino, intanto, sfilano i No Tav dimostrando pacificamente che nessuno, meno che mai un'oligarchia  incompetente e la cui credibilità è prossima allo zero, può pensare di ridurre un problema squisitamente politico, cioè l'opportunità economica e sociale di un progetto così impattante per l'ambiente e per le comunità locali, a pura questione di ordine pubblico.
Insomma, mentre la Casta dei corrotti, dei bolliti e dei dinosauri si trincera dietro il governo dei tecnici, la società civile prova finalmente ad alzare la testa.

venerdì 24 giugno 2011

Il ricatto del centrodestra alla città di Napoli

Sono due settimane che si attende dal Governo il decreto che permetta il trasferimento dei rifiuti di Napoli fuori regione, già una volta bloccato per l’opposizione partigiana del ministro nordista Calderoli.
Intanto, si stimano in oltre 2.500 le tonnellate di immondizia sparse per strada che rendono, a maggior ragione con l'innalzamento delle temperature di questo inizio estate, veramente irrespirabile l’aria in città.

Il neo sindaco Luigi De Magistris accusa il Governo di inerzia e di fare pilatescamente finta di niente, nonostante il decreto per tamponare l’emergenza sia da giorni invocato da più parti, anche da autorità locali di diverso colore politico: ad esempio dalla Regione Campania con giunta PDL presieduta da Caldoro.

Ciononostante, il governo Berlusconi non interviene, facendo pensare ad una ritorsione messa in atto contro la primavera napoletana che ha fatto uscire dalle urne il nome del sindaco De Magistris, adesso sotto assedio proprio per la sua volontà di rinunciare, una volta che il suo piano rifiuti andrà a regime,  agli inceneritori.
Tuttavia, è evidente che quello del sindaco sia un programma di medio-lungo termine e che, per il momento, non abbia niente a che vedere con l’impellenza di togliere, qui e adesso, l’immondizia dalle strade di Napoli per scongiurare un grave rischio sanitario, tramite un intervento concertato di enti locali e governo nazionale.

Ieri é dovuto intervenire persino il Presidente della Repubblica per richiamare il governo Berlusconi alle sue responsabilità, dopo che i reiterati appelli al varo del decreto erano caduti completamente a vuoto.

Ma a riprova che il disinteresse del governo di centrodestra non sia casuale, può bastare ascoltare attentamente la dichiarazione di stamattina del portavoce del PDL Daniele Capezzone ai microfoni del GR1 che, invece di scusarsi vivamente con i cittadini napoletani per le inadempienze del Governo e correre immediatamente ai ripari, lancia una sorta di ultimatum al sindaco di Napoli:

"Il Governo farà tutto il possibile, davvero. Ora ci sono competenze specifiche del Comune di Napoli. De Magistris deve superare il suo no assurdo al termovalorizzatore: se tutto il mondo fa una cosa, possibile che l’unico intelligente sia De Magistris e invece tutti gli altri in tutto il mondo sbaglino?"

Come a dire: se vuoi che la tua città torni pulita, rinuncia all’idea di fare solo la raccolta differenziata e punta anche tu sugli inceneritori.

Lo vogliamo chiamare un avvertimento?

lunedì 16 maggio 2011

Il Movimento 5 Stelle fa crollare la II Repubblica!

I risultati delle amministrative stanno regalando agli Italiani, dopo anni di inesorabile degrado della nostra democrazia per opera del finto bipolarismo targato PD-PDL, una gran bella notizia: il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo raggiunge alle prime proiezioni il 9% a Bologna, il 5% a Milano, Torino, Napoli, doppiando in molti casi il cosiddetto Terzo Polo.
Finalmente, centrodestra e centrosinistra arretrano e subiscono una sonora sberla da parte dei cittadini della rete, stanchi di sentirsi presi in giro e sfruttati da una casta di politici incompetenti, incapaci, che vive alle loro spalle e che hanno fatto della cosa pubblica merce di scambio e terreno di conquista per le organizzazioni criminali.
Dove il PDL subisce le sconfitte più sonore lo si deve, infatti,  non agli uomini del partito democratico ma ad esponenti della società civile come Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia, che si sono imposti all'attenzione generale per la loro militanza di cittadini contro le vecchie mafie politiche.
Non vince la protesta, come i media di regime, presi in contropiede, si affretteranno a strepitare sin dalle prossime ore: vince la Politica, quella con la P maiuscola, quella che in tutti questi anni ha visto soccombere nel loro silenzio omertoso e connivente, la parte migliore della nostra Italia, l'Italia dei giovani e delle persone oneste.
Un grandissimo grazie a Beppe Grillo ed Antonio Di Pietro, uomini che in questo lunghissimo inverno della nostra repubblica ci hanno aiutato a  non perdere la speranza; e a giornalisti veri come Milena Gabanelli, Marco Travaglio, Michele Santoro, lucidi osservatori di questo regime in decomposizione, ma anche testimoni di un'Italia migliore che non aspetta altro che scacciare i mercanti dal tempio.

lunedì 8 giugno 2009

E' la fine del bipartitismo: Pd e Pdl con le ossa rotte

La vera notizia di queste elezioni europee è che Pd e Pdl escono entrambi sconfitti.
Per il premier Berlusconi raccogliere un magro 35,3% quando sognava di varcare la soglia del 45% è una autentica figuraccia; tanto più se a ciò si aggiunge l’avanzata della Lega Nord al 10,2% che si conferma un alleato sempre più scomodo.
Sul fronte opposto, la contentezza di Franceschini per aver realizzato il 26,1% è surreale; certo poteva andare anche peggio, ma il disastro del Partito democratico è sotto gli occhi di tutti.
Sul piano personale, la sfida a distanza con il suo predecessore Walter Veltroni è vinta ma resta come magra consolazione.
Gli Italiani hanno bocciato questi due contenitori politici dove c’è tutto ed il contrario di tutto, tant’è vero che alla prova dei fatti Pd e Pdl si rassomigliano incredibilmente, al di là della diversa storia personale dei loro leader.
Quello che conforta è che, oltre lo scontato successo dell’Italia dei Valori e la meno prevedibile affermazione dell’Udc di Pierferdinando Casini, a sinistra del Partito democratico c’è un’area di consensi che sfiora il 7% e che, senza la miopia dei suoi gruppi dirigenti che fanno capo a Niki Vendola e Paolo Ferrero, avrebbe potuto contendere all’Italia dei Valori il ruolo di quarta forza politica italiana.
Segno che su questo terreno il lavoro da fare è ancora molto ma si può guardare al futuro con meno pessimismo.
Lo dimostrano, alle Amministrative, quelle che un tempo erano le regioni rosse, dove il Pd è costretto dal meccanismo elettorale a rinnegare il credo veltroniano di correre da solo: qui il Pd resiste meglio proprio perché propone candidature insieme alle altre forze di sinistra che a loro volta confermano i loro consensi.
Ma alle Europee, dove ognuno corre per sé, il partito di Franceschini è costretto a subire lo smacco del sorpasso da parte del Pdl sia in Umbria che nelle Marche.
E’ la dimostrazione che il Partito democratico nega se stesso quando si incaponisce col tagliare fuori i partiti di sinistra e puntare al bipartitismo: la sua politica nazionale è quindi interamente da riscrivere.
Basterà a convincere la sua nomenklatura radical chic a fare le valigie e tornarsene a casa lasciando il partito alla sua autentica anima popolare che, nelle sue differenti inclinazioni, scommette comunque in un percorso condiviso con la sinistra anche per salire a Palazzo Chigi?
PS: Grande soddisfazione per il notevole successo ottenuto da Luigi De Magistris nelle liste dell'Idv!

lunedì 25 maggio 2009

Nulla di scandaloso nel "respingimento" di questo Pd

La politica italiana è arrivata ad un livello di degrado intellettuale (quello morale è superato da tempo!), come probabilmente non si era mai verificato nella storia repubblicana.
Non si era mai vista tanta povertà di idee e una così forte omologazione nella proposta politica da parte dei due grandi contenitori politici, PD e PDL, che, riflessi l’uno nell’altro, per attirare le simpatie di coloro che ancora resistono a guardarli, hanno imboccato decisamente la strada del reality show, sicuri di replicarne le fortune.
Repubblica, lancia in resta, si spinge a rinnovare i fasti di Cronaca Vera, con le famose dieci domande al premier su Noemi e famiglia.
Per capire quale sia la potenza di fuoco messa in campo da questa corazzata editoriale, basta rendersi conto che ormai nei media nazionali da quattro giorni a questa parte non si parla di altro ed il centrosinistra si uniforma alla politica scandalistica del gruppo De Benedetti, rilanciando per bocca dei suoi dirigenti, il questionario di D’Avanzo & c.
Tutti gli altri grandi temi, dalla crisi economica sempre più grave alla questione ammortizzatori sociali, dalla giustizia in stato catatonico al nuovo sviluppo economico verde, dai tagli indecenti a scuola e università alla ricostruzione in Abruzzo ancora da progettare, tutto, ma proprio tutto, è sparito sotto i colpi dell’ultima intervista del quotidiano di piazza Indipendenza, udite udite, al personaggio del momento: l’ex ragazzo di Noemi...
Che Repubblica ieri gli abbia dedicato oltre la prima pagina ben due pagine interne con tanto di foto a colori e riproduzione della lettera che la ragazza gli scrisse prima di Natale, ci fa rabbrividire: alla faccia del giornalismo d’inchiesta, siamo caduti nella morbosità stile Cogne!
Certamente, nessuno può accusarci di essere stati mai morbidi con Silvio Berlusconi che, lo ribadiamo, non avrebbe mai dovuto salire a Palazzo Chigi se la nostra fosse stata una vera democrazia; perché le leggi, prima ancora di un’opposizione presentabile, glielo avrebbero dovuto impedire.
Ma questo è il paese in cui l’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni appena acclamato vincitore delle primarie del 2007, tese la ciambella di salvataggio al Cavaliere, in caduta libera nei sondaggi e nel credito politico, dichiarando di volere concordare le riforme istituzionali proprio con lui, scaricando a stretto giro di stampa Prodi e i partiti della sua maggioranza e portando il Paese, inopinatamente, alle elezioni anticipate dopo appena 1 anno e mezzo di governo!
Questo è il paese in cui è tuttora in corso una durissima lotta di potere all’interno della casta dei politici, ma non in nome di principi costituzionali da salvaguardare o di interessi dei cittadini da difendere; unicamente allo scopo di una più ricca spartizione delle poltrone, un redde rationem tra potentati di varia matrice.
Il povero Dario Franceschini, che in questi mesi ha dimostrato di essere enormemente più abile di Veltroni, è suo malgrado espressione di quel gruppo dirigente che oggi si nasconde alle sue spalle: anzi trama nel dimenticatoio, nella prospettiva di un rilancio in grande stile.
Diverso sarebbe potuto essere il suo destino se sul suo nome si fosse coagulato un nuovo consenso nell’ambito di un congresso vero, che la nomenklatura non ha invece voluto celebrare, negandogli un mandato diverso.
Votare per il Partito democratico alla prossima tornata elettorale è, per l’elettore di centrosinistra, un po’ come gettarsi la zappa sui piedi: sai che soddisfazione a rivedere in primo piano i Fassino, D’Alema, Veltroni, Violante, Finocchiaro, i Bettini, cioè coloro che hanno permesso dopo pochi mesi a Silvio Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi con le chiavi del portone!
Coloro che hanno tifato per la doppia scalata Bnl-Antonveneta e hanno favorito l’ostracismo contro Clementina Forleo e, contemporaneamente, contro Luigi de Magistris, titolare dell’inchiesta Why Not, colpevoli solo di aver fatto rispettare la legge.
Per fortuna i successivi pronunciamenti della magistratura ci hanno restituito adesso l’immagine specchiata e fulgida di questi due valorosi magistrati e la vergogna di una classe politica che ha scomodato il Csm pur di bloccarli.
Al procuratore di Salerno Luigi Apicella sono giunti persino a togliergli lo stipendio: un provvedimento del genere non sembra sia stato mai preso, neppure contro magistrati collusi con la mafia!
Eugenio Scalfari, maître à penser del Partito democratico, nel suo ultimo editoriale di ieri si dimentica di tutte queste vicende e, proprio come se non fosse successo niente, si ostina a pensare che il significato delle Europee andrà valutato attraverso la misura del distacco che ci sarà tra Partito democratico e Pdl.
Ci racconta la solita favoletta: elettori delusi del centrosinistra, se non volete rafforzare Silvio Berlusconi, votate Partito democratico!
Purtroppo per lui, è vero esattamente il contrario: è stato proprio il Partito democratico di Veltroni, quello che l’anno scorso perse clamorosamente raggiungendo il 33% dei voti, in questo primo anno di legislatura a lasciare campo libero a Silvio Berlusconi ed al suo enorme conflitto di interessi.
Soltanto indebolendo la stampella del Cavaliere, questo inguardabile Partito democratico, nonostante il recente make-up a cui lo ha sottoposto il bravo Franceschini, si potrà fare piazza pulita di un gruppo di potere che domina il centrosinistra da quasi vent’anni e che ha permesso all’uomo di Arcore di regnare per oltre un decennio e farsi con tutta tranquillità tante leggi ad personam ed, in ultimo, il lodo Alfano, vero buco nero della nostro assetto Costituzionale.
Accusare Di Pietro, delle cui ambiguità ideologiche certo noi non gli facciamo sconto, di spalleggiare il Cavaliere semplicemente perché critica le perplessità, cioè le vischiosità del PD, nell’opporvisi fieramente, è un’autentica castroneria!
Purtroppo Scalfari fa finta di non comprendere che il successo berlusconiano del 2008 è dipeso in misura soverchiante proprio dal fatto che la classe dirigente del Pd, rinnegate le proprie origini e la sua presunta diversità morale, abbia indossato gli stessi abiti dei lacchè di Berlusconi, diventandone troppo spesso una pessima controfigura, cioè mal destra.
Per sentire ancora una volta Piero Fassino ragionare come fanno Maroni e La Russa, beh è decisamente meglio cercarsi i propri rappresentanti altrove: magari nel variopinto arcipelago di sinistra o nelle liste civiche di Beppe Grillo; o proprio nell’Idv di Antonio Di Pietro, della cui fiera opposizione al Cavaliere gli va oggettivamente reso merito.
Un’opposizione che trova più congeniale rinfacciare a Silvio Berlusconi le sue burrascose vicende extraconiugali, piuttosto che affondare il coltello sulla scandalosa vicenda Mills o sulla gravità della situazione economica o, ancora, sui dissennati tagli alla spesa pubblica decisi da Tremonti, è destinata all’ennesimo naufragio.
Prendendo in prestito le parole di Fassino, per gli elettori di centrosinistra, non c’è niente di scandaloso nel respingimento di questo Pd. Anzi.

giovedì 5 giugno 2008

Le infondate, strumentali, gravi accuse a De Magistris

Quante volte abbiamo raccontato lo stillicidio di azioni disciplinari, un vero e proprio calvario giudiziario, fatto patire al pm di Catanzaro Luigi De Magistris, colpevole soltanto di aver cercato di portare con il suo attento lavoro di magistrato un po’ di luce in alcune torbide storie ambientate nelle difficili terre di Calabria e Lucania!
Zone di frontiera per lo Stato, che spesso fatica non poco a sostenere la quotidiana battaglia per la legalità e la trasparenza dell’iniziativa pubblica.
A distanza di mesi, i pm di Salerno hanno accertato che egli “a causa delle sue inchieste ha subìto costantemente pressioni, interferenze e iniziative volte a determinarne il definitivo allontanamento dalla sede di Catanzaro e l’esautorazione dei poteri inquirenti”.
E’ una notizia che dovrebbe scuotere il mondo della politica dalle fondamenta, se non altro perché, per troppi mesi, sia a destra che a sinistra nessuno ha mosso un dito in difesa ed a tutela dell’onorabilità del magistrato, preso di mira non solo da ampi settori della magistratura ma anche da diversi organi di informazione.
Per recuperare la memoria di quelle difficili giornate basta ricordare l’espressione “Cattivi magistrati” rivolta insieme a Luigi De Magistris e Clementina Forleo da Letizia Vacca (PDCI) vicepresidente della I Commissione del CSM che aveva istruito il procedimento disciplinare nei confronti del gip milanese.
Oppure le dure parole pronunciate da Vito D’Ambrosio, pubblico ministero nel procedimento disciplinare contro il magistrato di Catanzaro: “De Magistris non dà garanzie: uno come lui non serve in una democrazia ordinata. Non è il giudice a Berlino. E’ ispirato da un’ottica missionaria. Guai se il magistrato pensa di avere una missione, il suo è un mestiere, il controllo della legalità”.
Ricordate l’alzo zero con cui venne calibrato l’attacco alla trasmissione di Michele Santoro che aveva acceso il faro dell’informazione pubblica sul deferimento disciplinare promosso dall’allora Ministro della Giustizia Clemente Mastella proprio nei confronti del sostituto procuratore?
Qualcuno sulla carta stampata arrivò pure a definire quel programma televisivo come “un passo verso il suicidio collettivo”: pare incredibile!
In circa mille pagine la procura di Salerno smonta il castello di accuse e dimostra che De Magistris “ha operato in un contesto giudiziario connotato da un’allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato dal perseguimento di interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura”.
Ce n’è abbastanza per gettare alle ortiche la richiesta avanzata nei suoi confronti non solo di trasferimento d’ufficio ma addirittura di cambio di funzioni!!
Purtroppo però, proprio grazie a queste “denunce infondate, strumentali e gravi” le inchieste Poseidone e Why not gli sono state tolte e irrimediabilmente compromesse.
Ecco in cosa è consistito concretamente il passo verso il suicidio collettivo: l’ennesimo naufragio della giustizia italiana che lascia soli i suoi uomini migliori, nelle zone e nei momenti più difficili, con la partecipazione non straordinaria della casta di politici di vario colore e di primari organi di informazione.

domenica 20 gennaio 2008

La settimana dell'Antitalia

Settimana memorabile per l’Antitalia quella che si chiude.
Dal clamoroso attacco in Parlamento del Ministro della Giustizia Clemente Mastella contro la magistratura ed il successivo braccio di ferro ingaggiato dall’Udeur con il governo; al grido di gioia di Salvatore Cuffaro, presidente della Regione Sicilia, per essere stato condannato solo a cinque anni; alla dura censura subita dal pm Luigi De Magistris da parte del Csm: è stato un intrecciarsi di eventi che lasciano allibiti e presagire giornate ancora più turbolente. Ma procediamo con ordine.
La notizia, mercoledì 16, degli arresti domiciliari inflitti alla moglie Sandra fa lanciare al ministro Mastella, mentre sta alla Camera per relazionare sullo stato della giustizia in Italia, un attacco senza precedenti contro la magistratura che viene accolto da fragorosi applausi provenienti da ogni settore dell’emiciclo di Montecitorio: la casta fa quadrato attorno al collega di Ceppaloni.
Poche ore dopo, il fondatore dell’Udeur incassa la “profonda solidarietà” del Presidente del Consiglio Romano Prodi, da questi manifestata con esplicito riferimento anche al suo partito, i cui vertici sono stati praticamente decapitati dall’iniziativa giudiziaria in corso.
In serata si apprenderà che il nome del ministro dimissionario compare nel registro degli indagati per sette ipotesi di reato (concorso esterno in associazione per delinquere, due episodi di concorso in concussione e uno di tentata concussione, un concorso in abuso d'ufficio e due concorsi in falso).
Per la procura di Santa Maria Capua Vetere «Le indagini hanno preso spunto da conversazioni telefoniche relative alla gestione degli appalti e servizi pubblici nella Provincia di Caserta e hanno consentito di far luce su un tessuto di illecito radicato nell'area politica, amministrativa e giudiziaria della Campania».
Quale che sarà la rilevanza penale e l’esito degli addebiti personali, l’analisi dei magistrati fotografa un quadro della situazione impietoso ma sicuramente non sorprendente per i cittadini di quelle zone.
Ma Mastella, non pago di aver ricevuto una solidarietà così illustre, alza la posta e chiede al Professore ancora di più: votare la prossima settimana una mozione di maggioranza di piena condivisione delle dichiarazioni rese alla Camera.
Evidentemente, non si tratta semplicemente di approvare la sua relazione sullo stato della giustizia, come qualcuno a Palazzo Chigi fa finta di credere; ma di sposare in pieno la linea antimagistratura così clamorosamente annunciata in Aula.
Già questo basterebbe a rendere incandescente il clima politico.
Nelle ultime ore, tuttavia, due fatti hanno finito per agitare ancora di più le acque.
Innanzitutto, la condanna a cinque anni di reclusione per favoreggiamento con interdizione perpetua dai pubblici uffici emessa dalla Terza sezione del Tribunale di Palermo nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, che, inopinatamente, la accoglie esultante gridando ai quattro venti che non ha alcuna intenzione di dimettersi.
Poi, la censura della sezione disciplinare del CSM contro il pm Luigi De Magistris con il suo trasferimento ad altra sede ed il cambio di funzioni: non potrà più fare il pubblico ministero.
Sulla condanna di Totò Cuffaro e sulla sua decisione di far finta di niente è meglio stendere un velo pietoso: in questi casi, l’atto di dimissioni, anche se personale, dovrebbe considerarsi un atto dovuto.
Ma con l’aria che tira ed il fresco precedente di un ministro della giustizia che attacca la magistratura nel pieno di una seduta parlamentare per difendere se stesso e la sua famiglia, chiunque tra gli amministratori della cosa pubblica può sentirsi autorizzato ad interpretare il suo ruolo istituzionale come crede.
Il non essere stato dichiarato dai giudici mafioso a tutto tondo, malgrado la condanna per favoreggiamento di singoli elementi mafiosi, lo induce erroneamente a tirare un sospiro di sollievo: buon per lui!
Ma il risultato più eclatante, l’Antitalia lo consegue alle otto di venerdì sera, quando la sezione disciplinare del CSM dispone il trasferimento d’ufficio e il cambio di funzioni nei confronti dell’ex titolare delle inchieste Why not, Poseidone e Toghe lucane, per non avere rispettato rigorosamente le procedure di legge in una serie di episodi contestatigli nel corso del procedimento.
Il rigore formale su cui il CSM si è attestato come una linea del Piave invalicabile e sulla cui base ha costruito il verdetto contro De Magistris, appare dettato più dall’esigenza di chiudere in fretta la questione che dal concreto emergere di un preciso profilo sanzionatorio del magistrato.
Sarebbe veramente deplorevole se la vicenda Mastella avesse finito in qualche modo per pesare, per una singolare coincidenza di tempi, sul verdetto del Csm.
Il procuratore generale Vito D’Ambrosio, pubblico ministero nel procedimento disciplinare, ha dichiarato (1) “De Magistris non dà garanzie: uno come lui non serve in una democrazia ordinata. Non è il giudice a Berlino. E’ ispirato da un’ottica missionaria. Guai se il magistrato pensa di avere una missione, il suo è un mestiere, il controllo della legalità”.
Le cosiddette prove contro De Magistris, almeno da quello che se ne sa, non appaiono decisive: al contrario, molti dei comportamenti che gli sono stati contestati (l’invio a Salerno degli atti dell’inchiesta Poseidone che gli era stata tolta, un decreto di perquisizione senza avvertire il proprio capo, una sorta di registro degli indagati chiuso in un armadio blindato per sottrarlo alla vista dei colleghi) si spiegano perfettamente con il clima di sospetti che aleggia in Procura a Catanzaro.
Perché addirittura imporgli, oltre il trasferimento di sede, anche il cambio di funzioni?
Come a dire, che fare il pubblico ministero con l’impegno e l’intelligenza di De Magistris è controindicato dovunque in Italia, non solo in un posto di frontiera come la Calabria!
E’ un messaggio fuori dal tempo quello che traspare dalle parole pronunciate al Csm dal procuratore D’Ambrosio che si preoccupa, a Catanzaro, solo del rispetto delle procedure e dei regolamenti.
Perché D’Ambrosio si contraddice clamorosamente quando nel suo atto d’accusa prima critica il ruolo assunto da De Magistris di magistrato missionario in una democrazia ordinata; poi. riconosce che egli è stato costretto a lavorare in un ambiente particolarmente difficile.
Nella settimana dell’Antitalia, per giunta con riferimento alla situazione calabrese, dissertare di democrazia ordinata appare soltanto uno sterile esercizio intellettuale.

(1) la Repubblica del 19/01/2008

sabato 12 gennaio 2008

Se un membro del CSM "cade dalle nuvole"

E’ finalmente cominciato ieri in seduta pubblica il procedimento disciplinare contro Luigi De Magistris, il pm di Catanzaro, titolare fino a qualche mese fa di importanti inchieste giudiziarie come Why not e Toghe lucane.
Ma c’è stato subito un colpo di scena: il pm De Magistris ha presentato una doppia denuncia.
Una alla procura di Salerno per la fuga di notizie durante i lavori della I commissione del CSM investita del suo caso; l’altra contro il consigliere laico Letizia Vacca, in quota Pdci, per averlo diffamato a seguito delle note dichiarazioni su di lui ed il gip di Milano Clementina Forleo: “Sono cattivi magistrati” sbottò davanti ai giornalisti.
La Vacca ha così commentato l’iniziativa di De Magistris (1): “Cado dalle nuvole: non ho anticipato alcun giudizio. Le mie erano valutazioni su un profilo, quello mediatico, che non è oggetto delle decisioni in commissione. Peraltro ragionavo di un fatto indubbio sul quale, di recente, anche il capo dello Stato e la stessa Anm hanno preso posizione bocciando le eccessive esternazioni delle toghe”.
Risposta inconsistente e imbarazzatissima quella del consigliere laico, se non altro perché chiama in causa il Presidente della Repubblica in modo del tutto inappropriato; infatti, il Capo dello Stato in più occasioni ha richiamato la necessità di garantire pienamente il rispetto e l’autonomia della magistratura.
Soltanto un mese fa da New York, dove si trovava, il presidente Napolitano così tuonava: “Bisogna ben pesare le parole che si dicono sulla magistratura, sulle tendenze di una parte di essa, su singoli magistrati o singole procure. Occorre evitare di dare giudizi che appaiano una delegittimazione della magistratura” pur riconoscendo che anche i magistrati “devono avere il senso del limite e rispettare le regole che servono innanzitutto a garantire la loro autorevolezza”.
Ma nelle parole irrituali pronunciate dalla vicepresidente Vacca a sua giustificazione, non c’è solo un chiaro sgarbo istituzionale; c’è molto di più: la conferma, come da più parti è stato osservato, di un suo palese pregiudizio nei confronti dei due magistrati; per giunta, muovendo loro proprio quell’accusa che, nella circostanza, le si può facilmente contestare: eccessive esternazioni.
Con una differenza capitale: mentre i due “cattivi magistrati” non si sono mai azzardati a parlare delle inchieste in corso anticipando giudizi su fatti e persone, la professoressa Vacca è incorsa proprio in questo gravissimo ed imperdonabile infortunio.
Ci si domanda, a questo punto, data la condizione deplorevole in cui si è ficcata da sola, come possa continuare a lavorare su procedimenti disciplinari tanto delicati come quelli attualmente all’attenzione del Csm e che riguardano i due “cattivi magistrati”.
(1): la Repubblica dell'11/01/2008

mercoledì 19 dicembre 2007

Il CSM prende tempo su De Magistris: è davvero un nulla di fatto?

Ma la richiesta urgente di trasferimento d’ufficio avanzata dal Ministro della giustizia Clemente Mastella nei confronti del pm di Catanzaro non doveva essere definita, una volta per tutte, entro il 17 dicembre?
Siamo al 19 e gran parte dei media glissano sul fatto che il CSM ha preso tempo ed a questo punto si riserva di decidere addirittura dopo la Befana, l’11 gennaio 2008.
Come molti osservatori hanno già rilevato, tutta questa urgenza dunque non era giustificata.
La linea Mastella all’interno dell’organo di autotutela dei magistrati non ha prevalso: per il momento la I commissione del CSM ha deciso di non decidere.
Dal punto di vista politico, la scelta dilatoria del CSM suona come una bocciatura dell’iniziativa del politico di Ceppaloni.
Questo perché, a questo punto, non si sarebbe dovuta iniziare un’azione disciplinare contro un pm che stava indagando sul ministro stesso e su altri uomini politici di primo piano senza avere in mano una carta vincente: la dimostrazione al di là di ogni ragionevole dubbio delle gravi violazioni deontologiche del magistrato calabrese.
Il fatto che ciò non sia avvenuto e che il CSM abbia voluto prendersi altro tempo per ulteriori approfondimenti rappresenta politicamente una sconfessione, sia pure provvisoria, di quel provvedimento.
Insomma, è ormai chiaro, la pistola fumante non è stata trovata.
Ciò che maggiormente sorprende è la cappa di silenzio scesa d’improvviso sulla vicenda: i media sembrano non essersene accorti, come se tutte le discussioni di queste settimane siano all’improvviso diventate inutili o imbarazzanti.
L’unica cosa certa è che l’inchiesta condotta fino a due mesi fa da De Magistris gli è stata tolta senza tante spiegazioni.
A gennaio se ne riparlerà ma a quel punto, quale che sia la decisione che verrà assunta, nessuno potrà più fare molto contro l'opinione che serpeggia tra i cittadini secondo cui per essere additati dai politici come cattivi magistrati basta, codice alla mano, semplicemente ficcare il naso nei loro affari.
E' ancora una volta la conferma che, in barba alla tanta invocata trasparenza, la politica resta vittima di se stessa.

lunedì 10 dicembre 2007

I cattivi magistrati e la buona politica

Adesso sappiamo ufficialmente che Luigi De Magistris e Clementina Forleo sono dei cattivi magistrati.
No, non lo dice il Cavaliere sempre in polemica con il potere giudiziario, né qualche esponente del suo partito.
Ce lo dice Letizia Vacca (PDCI), vicepresidente della I Commissione del CSM che ha istruito il procedimento disciplinare nei confronti del gip milanese [1].
“Le sue dichiarazioni, eccessive, forzate e gravissime, hanno creato preoccupazione negli ambienti giudiziari e sono state lesive dell’immagine dei magistrati di Milano, che si sono sentiti offesi” spiega la Vacca, docente universitario nel CSM in quota al partito di Oliviero Diliberto.
“Il nostro problema è riportare la serenità negli uffici giudiziari di Milano. Lo spirito che ci muove non è certo persecutorio nei confronti di Forleo”; ma spara a zero anche contro De Magistris: “Sono cattivi magistrati”. “Dire ‘ho fatto il nome di D’Alema e per questo mi perseguitano, non è un sillogismo che può valere. Questa non è una magistratura seria” insiste“e questi comportamenti sono devastanti. I magistrati devono fare le inchieste e non gli eroi; altrimenti sono figure negative”.
Grazie al lavoro svolto dalla commissione del CSM adesso sappiamo (perché prima sinceramente neanche lo sospettavamo!) che in Italia abbiamo la fortuna di avere una politica buona ma, purtroppo, anche una magistratura cattiva: naturalmente, cattiva è quella che lavorando con zelo finisce per assumere atteggiamenti eroici, arrecando disturbo al manovratore di turno.
Noi credevamo che i cattivi magistrati erano quelli che non amministrassero giustizia secondo il dettato costituzionale; in poche parole, gli insabbiatori di inchieste, i deboli con i forti e forti con i deboli, i collusi con i potenti.
C’eravamo sbagliati.
Ai cittadini il messaggio che rimbalza dalle televisioni, dai giornali, dai notiziari radio è il seguente: non sono gli scandali politico-finanziari che stanno mandando a picco la vita pubblica; pietra dello scandalo sono i magistrati che per dovere d’ufficio hanno la sfortuna di occuparsene!
Ma poi quali scandali? Siamo così convinti che ci siano scandali su cui indagare? Secondo i media di regime non c'è niente di tutto questo.
Accusa Di Pietro[2]: “Quello che più colpisce nelle vicende legate ai magistrati Luigi De Magistris e Clementina Forleo è che sono state oscurate completamente le inchieste che stavano conducendo. Di Why Not e di Unipol non parla più nessuno. Stiamo andando oltre alla metafora del dito che indica la luna. Qui hanno fatto scomparire direttamente la luna e ci hanno lasciato solo il dito da guardare.”
Ma i cittadini il dito dei politici è da tempo che non lo seguono più.
Anche se la casta, chiusa nei propri privilegi, non capisce e ritiene di poter ancora fare il bello e il cattivo tempo; come quello di delegittimare chi la mette sotto inchiesta.
Ma non è denigrando Clementina Forleo e Luigi De Magistris che può recuperare in credibilità e consenso di fronte all'opinione pubblica; al contrario, dimostra di aver perso del tutto il senso della realtà: la buona politica è tutta un'altra cosa.

giovedì 6 dicembre 2007

Oliviero Beha: Forleo - De Magistris, furto di democrazia

Rilanciamo dal sito Quotidiano.net le inquietanti affermazioni del giornalista Oliviero Beha sulle confidenze ricevute a suo tempo dall'ex magistrato e politico Ferdinando Imposimato (che adesso smentisce tutto) circa le presunte pressioni addirittura sul CSM per la delegittimazione del giudice Clementina Forleo da parte di alcuni esponenti DS.
Riprendiamo in particolare la seguente dichiarazione:
"Il caso D’Alema è diventato insomma il caso Forleo, come volevasi dimostrare e come si tenta di fare con successo per il caso De Magistris in luogo di un’inchiesta da far tremare il Palazzo. Tutto ciò ha un nome: golpe bianco, ovvero furto di democrazia. Se poi qualcuno in questo Paese dovesse svegliarsi, preparatevi e prepariamoci al peggio. Ma se lo saranno, ce lo saremo andati a cercare."
Con una magistratura così fortemente intimidita e isolata, con una politica tanto arrogante quanto autoreferenziale, chi è oggi in grado di ristabilire la verità dei fatti di fronte ai cittadini?
Purtroppo siamo tornati all'anno zero.

Mastella, la pagliuzza e la trave

Il ministro della Giustizia e leader dell'Udeur, Clemente Mastella, secondo quanto riportato dall’agenzia Agr in una nota delle 12.25 di ieri, ha detto: “Se cade il governo sarebbe anche giusto che il presidente della Camera si dimettesse".
Colui che è stato una delle principali spine nel fianco del governo Prodi e di cui da oltre un anno larghi settori dell’opinione pubblica hanno chiesto invano le dimissioni dal dicastero della Giustizia a seguito dell’approvazione della legge sull’indulto e più di recente per aver proposto azione disciplinare contro il pm di Catanzaro De Magistris, adesso si permette perfino di imporre a qualcuno le dimissioni, nell’occasione al Presidente della Camera Fausto Bertinotti.
Guarda la pagliuzza nell'occhio altrui e non s’accorge della trave che è nel proprio.

mercoledì 5 dicembre 2007

Il governo è nudo e... fuori fa freddo!

Che il governo dell’Unione abbia fallito è un dato di fatto. Non bisognava scomodare il Presidente della Camera Fausto Bertinotti per prendere atto che la spinta propulsiva del centrosinistra si è ormai esaurita. Troppe le tessere del mosaico progettato due anni fa con il programmone di 281 pagine che non sono andate al posto giusto.
Due finanziarie incolori, nessuna riforma di ampio respiro, le difficoltà economiche che stanno minando la capacità di resistenza di milioni di famiglie italiane, una politica estera sospesa tra grandi speranze e l’amara realtà di una guerra al fianco dell’alleato americano ormai incomprensibile, una questione giustizia che dopo il passo falso dell’indulto ha fatto capire a tutti che la politica si chiude a riccio in difesa dei potenti e dei privilegi della casta.
L’attacco frontale mosso a Clementina Forleo e Luigi De Magistris ha segnato l’ultimo passaggio di una stagione politica assai deludente che oramai non ha più molto da dire.
Il battesimo del Partito Democratico di Walter Veltroni dimostra poi che l’asse politico di Prodi è stato scavalcato dal suo maggiore alleato il quale, mentre il Professore geste il quotidiano incassando una gragnuola di colpi da ogni parte, intesse relazioni con Berlusconi in vista della riforma elettorale e dello sbocco naturale di nuove elezioni.
Insomma il governo politico dell’Unione si sta trasformando, senza che nessuno lo dica apertamente, in un governo istituzionale che sopravvive soltanto grazie alla speranza di apportare quei ritocchi alla legge elettorale e, magari, a qualche organo costituzionale prima del definitivo rompete le righe.
Del resto lo stesso Veltroni, a leggere le sue dichiarazioni di queste ore, non ha contestato il merito dell'esternazione di Bertinotti sull’esito crepuscolare del governo Prodi; ne ha semplicemente criticato la scelta dei tempi che potrebbe compromettere la fragile trama delle riforme che sta faticosamente imbastendo con il Cavaliere.
Intanto Prodi, quasi solo a Palazzo Chigi, deve affrontare le sfide sociali di questo terribile autunno con benzina e tassi d’interesse alle stelle.
Insomma, non scopriamo niente di nuovo se diciamo che in questo rigido autunno il governo di centro sinistra è nudo.

martedì 13 novembre 2007

Ma che fine farà l'inchiesta Why not?

L’inchiesta Why not, strappata al pm De Magistris e trasmessa al Tribunale dei ministri da parte del procuratore reggente Dolcino Favi, torna a Catanzaro.
Lo ha deciso la procura di Roma che esaminando le carte del procedimento non ha ravvisato ipotesi di reato riferibili al periodo in cui Mastella era già ministro: quindi l’inchiesta non è di competenza del Tribunale dei ministri.
Lo sapevano tutti ma adesso ne deve prendere atto anche il procuratore Favi, così sollecito ad avocare l’inchiesta ed a trasmettere le carte a Roma.
Purtroppo questo non serve a restituire l’incartamento a De Magistris; il quale aspetta ancora la decisione del 17 dicembre del CSM per conoscere l’esito della richiesta di trasferimento d’ufficio avanzata da Mastella.
Ma l’attività istruttoria svolta dalla procura di Roma sulle carte di De Magistris non si ferma qui: infatti il pm di Roma Colaiocco adesso deve accertare se le ipotesi di reato contestate al politico di Ceppaloni si possano riferire al periodo in cui egli era semplice parlamentare dell’UDC.
Intanto è possibile che lo stesso De Magistris possa essere trasferito alla procura di Napoli, dove sono vacanti ben nove posti di sostituto, in virtù di una domanda da lui presentata al CSM nel maggio scorso: il suo accoglimento, comunque, non ha nulla a che vedere con la pendente richiesta di trasferimento d’ufficio.
Luigi De Magistris entro fine settimana dovrà decidere se accettare la nuova sede di Napoli o ripensarci restando a Catanzaro in attesa del pronunciamento del CSM.
Ma anche se il CSM gli desse ragione e rigettasse la richiesta di Mastella, non per questo le carte dell’inchiesta Why not gli verrebbero restituite.
Un bel dilemma per il sostituto procuratore di Catanzaro.
Egli ha recentemente dichiarato di essere intenzionato a continuare a lavorare nella città calabrese; ma che senso avrebbe restare dopo che gli è stata tolta l’indagine principale?
O le lancette dell’inchiesta vengono riportate indietro, a prima dell’azione disciplinare promossa da Mastella e della inopinata avocazione di Dolcino Favi, oppure per De Magistris obiettivamente non ha più senso restare a Catanzaro.
Che fine faranno le carte della sua inchiesta?
Nel silenzio colpevole di buona parte della magistratura associata, ce lo dicano almeno quei politici di ogni schieramento che in questi mesi hanno fatto il diavolo a quattro per ostacolarne il lavoro.
Perché l’avere cancellato dal dibattito politico e dall’agenda di governo la questione morale è stato sicuramente il peggiore errore possibile per la coalizione guidata da Romano Prodi.

lunedì 12 novembre 2007

Il ricorso di De Magistris e l'uguaglianza dei cittadini

L’inchiesta Why not è stata tolta definitivamente a Luigi De Magistris.
In attesa della decisione del CSM prevista per il 17 dicembre sul suo possibile trasferimento d’ufficio, il reclamo presentato dal pm di Catanzaro contro l’avocazione decisa dal procuratore facente funzioni Dolcino Favi è stato respinto per “difetto di legittimazione”.
La decisione della Cassazione, peraltro facilmente prevedibile sul piano formale, ha giudicato infatti inammissibile tale ricorso in quanto l’unico titolato a presentarlo era il Procuratore capo di Catanzaro Mariano Lombardi.
La Suprema Corte ha cioè rigettato la richiesta del sostituto procuratore Luigi De Magistris, non entrando nel merito della questione ma limitandosi ad un pronunciamento di carattere meramente formale: spetta soltanto al suo capo ufficio fare opposizione.
Il fatto è che il capo di De Magistris è proprio colui che era stato sospettato dal pm di Catanzaro di aver intralciato la sua inchiesta informandone in anticipo alcuni indagati.
Siamo al paradosso: secondo la Cassazione l’unico titolato a promuovere il ricorso contro l’avocazione è proprio uno di quelli che, secondo le carte del magistrato inquirente, potrebbe averla ostacolata.
Sul piano formale, la sentenza della Cassazione non fa una grinza: è corretta.
Tuttavia, nella fattispecie in esame, finisce per produrre conseguenze paradossali sancendo de facto una sostanziale disparità di trattamento dei cittadini in materia di giustizia.
E’ questa la cosa più assurda: formalmente, è assolutamente corretto togliere l’inchiesta a De Magistris perché è nelle prerogative del procuratore generale farlo e in quelle del suo capo ufficio non opporvisi; in pratica, a causa della particolare funzione rivestita da alcuni personaggi entrati nelle sue indagini (secondo le cronache, addirittura il Ministro della Giustizia ed il Procuratore capo di Catanzaro), ciò ne impedisce la sua normale conclusione.
E’ inutile tornare sulle motivazioni che hanno spinto il procuratore supplente Favi ad avocare l’inchiesta un attimo prima di lasciare il suo incarico: l’avocazione è un provvedimento eccezionale che viene preso di solito di fronte ad un’inerzia del magistrato inquirente, non a causa di una sua presunta “incompatibilità nel procedimento” con un riferimento troppo disinvolto all’art. 372 lett. A cpp.
Ma proseguiamo il ragionamento: l’esercizio di un potere attribuito al procuratore di avocare l’inchiesta contrasta, nel caso in esame, con il beneficio superiore di vederla portata a compimento proprio da colui, il pubblico ministero De Magistris, che l’aveva incardinata.
A questo punto, senza entrare nel merito dell’inchiesta Why not, si può trarre una prima conclusione generale: le normali procedure previste dal nostro ordinamento giudiziario non funzionano quando la lente investigativa è puntata su personaggi eccellenti come ministri, alti magistrati, autorità in carica.
Si può affermare, cioè, che esse non siano costituzionalmente corrette, ledendo il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione.
Può la Costituzione formale del nostro Paese venire così palesemente travisata nella sua applicazione materiale attraverso leggi, regolamenti, procedure burocratiche?
L’art. 3, dopo i fatti di Catanzaro, andrebbe coerentemente riscritto così: “La legge è uguale per tutti, ma non tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge”.
Fare un po’ di chiarezza eviterebbe almeno i continui fraintendimenti di quanti (e non sono pochi!), peccando di ingenuità o semplicemente perché sprovvisti di una laurea in giurisprudenza, credono ancora nella terzietà ed imparzialità dell’organizzazione giudiziaria.

giovedì 1 novembre 2007

Il vuoto attorno a De Magistris

In due giorni il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, a cui nemmeno due settimane fa era stata tolta l’inchiesta Why not, è costretto a rinunciare per le indagini al prezioso aiuto di due importanti collaboratori: il super tecnico delle intercettazioni telefoniche, Gioacchino Genchi, a cui è stato revocato l’incarico; il capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo, comandante della compagnia di Policoro, che è stato trasferito in altra sede.
Tanto per puntualizzare, il comandante Zacheo è l'investigatore che ha guidato le indagini sul presunto comitato di affari attivo negli anni scorsi in Basilicata, finito nell’inchiesta cosiddetta Toghe lucane, anche questa coordinata dal pm De Magistris.
Il trasferimento dell’ufficiale dei carabinieri era nell’aria da tempo ma i più osavano sperare che esso divenisse operativo solo dopo la chiusura di tali indagini: speranze purtroppo disattese.
In attesa che il Csm si pronunci sulla richiesta di trasferimento d’ufficio contro lo stesso De Magistris avanzata dal ministro Mastella, resta da interrogarsi sulla opportunità in un momento politico così controverso e difficile di adottare, anche semplicemente sul piano amministrativo, provvedimenti che generano nuovo grande sconcerto nell’opinione pubblica e danno fuoco ad ulteriori feroci polemiche.
La notizia è riportata in una breve nota a pagina 10 del quotidiano la Repubblica di oggi (vedi anche http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=217266)

mercoledì 31 ottobre 2007

Politica, giornalismo e magistratura

Ennesimo editoriale di D’Avanzo sulla questione De Magistris - Mastella - Forleo.
Ancora una volta la accosta indebitamente alla stagione della Palermo di Falcone e Borsellino: nessuno glielo ha chiesto, nessuno dei protagonisti ha osato fare questo confronto quasi sacrilego ma lui, improvvisamente inviato speciale a bordo della sua macchina del tempo, è cocciutamente intenzionato a proporlo; a parte il pessimo gusto dell’operazione, è proprio l’obiettivo della stessa ad essere sciagurato.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Invece di chiedere doverosamente scusa a Michele Santoro per gli insulti gratuiti e insensati di qualche settimana fa (editoriale su Repubblica del 6 u.s.), ha ancora l’impudenza di reiterare i suoi messaggi barbarici.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Fonte: Il paragone impossibile con Falcone e Borsellino

venerdì 26 ottobre 2007

Il richiamo della casta

Sempre interessante la puntata di Anno Zero di ieri sera, di nuovo dedicata al delicato tema della giustizia: in trasmissione quasi gli stessi protagonisti della puntata di venti giorni fa, il giudice Clementina Forleo e il sostituto procuratore Luigi De Magistris, insieme con il docente di procedura penale Vittorio Grevi.
L’argomento è sempre di stringente attualità visto che in tre settimane di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, come sappiamo.
Resta in sospeso il nodo della questione: se il pm dell’inchiesta Why not possa riprendere a lavorare sulle carte che in fretta e furia, con l’avocazione del procuratore facente funzioni Dolcino Favi, hanno preso la via di Roma, destinazione Tribunale dei ministri.
E’ inutile ritornare sul merito della vicenda che è ormai abbastanza chiara a tutti, grazie proprio a trasmissioni come quella di Santoro: il potere politico, quando si sente sotto la lente di osservazione della magistratura, reagisce d’istinto scompaginando le carte di chi indaga.
Adesso abbiamo una certezza in più: nel finto bipolarismo italiano, ciò accade sia con il governo di centrodestra che con quello di centrosinistra; ovvero, cambiando l’ordine dei partiti insediati al governo, il risultato per la giustizia italiana non muta!
E’ una specie di regola non scritta: la definiremo il richiamo della foresta, o meglio, della casta.
La stagione dei girotondi è finita da un pezzo ma qualcuno nel nuovo Partito Democratico dovrebbe spiegarci perché se era giusto sfilare di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano nel 2002, ora è politicamente scorretto farlo a Catanzaro.
Ed infine, perché nessuno ha ancora provveduto a sostituire la scassata macchina blindata al pm De Magistris, che da mesi ha fatto presente che funziona peggio della 313 di Paperino?
Il tesoretto, guarda un po’, potrebbe in minima parte essere destinato proprio alla sicurezza dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità ed allo sperpero di denaro pubblico.
Se non vi provvedono immediatamente i ministri dell’Interno o quello della Giustizia, ministro Padoa Schioppa... pensaci tu!
In tempi difficili come quelli della legge finanziaria, la scelta potrebbe rivelarsi conveniente proprio per l’equilibrio dei conti pubblici.

mercoledì 10 ottobre 2007

Virata di 180 gradi... ma Annozero attende

Il week end ha portato consiglio al giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo. Prova ne sia che quanto da lui pubblicato nell'editoriale di sabato scorso Messaggi barbarici è stato quasi per intero "riveduto e corretto" nel breve volgere di due giorni.
Certo, non ha ritirato le accuse fatte alla trasmissione di Michele Santoro Anno Zero, cosa che ragionevolmente non avrebbe potuto fare senza cospargersi il capo di cenere. Ma ha del tutto ribaltato il giudizio sull'azione disciplinare intrapresa dal ministro della giustizia Clemente Mastella contro il magistrato di Catanzaro De Magistris, ben prima che arrivi la decisione del CSM (rinviata al 17 dicembre).
Osserva giustamente D'Avanzo che il rinvio già suona come una sconfessione dell'iniziativa presa dal ministro da parte dell'organo di autogoverno dei giudici perchè di fronte ai rilievi mossi dal ministero, a Palazzo dei Marescialli "nessuno è saltato sulla sedia": a dimostrazione che, quali saranno gli esiti dell'azione disciplinare, allo stato attuale mancano i presupposti per un trasferimento urgente di uno dei magistrati più impegnati nella lotta criminale allo sperpero del denaro pubblico in Calabria.
Conclude D'Avanzo "L'iniziativa di Mastella resta come nuda e appare sempre più il tentativo di intimidire quel pubblico ministero e di seppellire la sua inchiesta. Non è un bel vedere." (Fonte: Repubblica del 9/10/07)
Pienamente d'accordo, non c'è che dire!
Se non fosse che non più tardi di quattro giorni fa D'Avanzo aveva sparato a zero contro il programma di Michele Santoro, subissandolo di improperi, soltanto perchè alla vigilia della decisione del CSM egli aveva osato puntare il faro dell'informazione pubblica su questa vicenda.
Alla luce di quanto emerso, si può adesso affermare che l'analisi imbastita da Santoro era quanto mai opportuna e le perplessità sollevate nella trasmissione avevano qualcosa di più che un semplice fondamento.
Correttezza deontologica vorrebbe che anche sul fronte insulti, il giornalista D'Avanzo facesse almeno qualche passo indietro anche perchè nel suo editoriale, tra barbarie e suicidio collettivo, non si è certo risparmiato.
O dobbiamo pensare che la reale accusa velatamente mossa a Santoro è quella di non voler rinunciare alla propria autonomia di pensiero e, testardamente, di continuare a considerare l'informazione pubblica come uno strumento decisivo per lo svolgimento di una corretta vita democratica al servizio dei cittadini e non dei poteri forti?

sabato 6 ottobre 2007

D'Avanzo ad alzo zero contro Annozero

Purtroppo tutto ci saremmo attesi tranne che il giornalista Giuseppe D'Avanzo, dopo aver abbandonato da qualche parte il suo solitamente ricco taccuino di scoop con cui ha infarcito memorabili inchieste su Repubblica, abbandonasse le vesti di inquirente per conto del giornale di piazza Indipendenza per indossare i panni di fustigatore dell'informazione televisiva.
L'obiettivo però non è stato quello di mettere alla berlina i famosi panini confezionati per tradizione dal TG1 o da qualche notiziario Mediaset e che ogni giorno ammorbano l'aria rendendoci impossibile la visione del telegiornale.
No, questa volta si è diretto ad alzo zero contro Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero, definendola una barbarie, consultando anche il vocabolario per gridarlo meglio.
Parte dal caso De Magistris, accusando il ministro Mastella, promotore del deferimento del magistrato di Catanzaro, di non essersi fatto scappare l'occasione di "infilzare"De Magistris con un'indiavolata sollecitudine e a chiedere al Consiglio - senza alcuna seria urgenza - il trasferimento del pubblico ministero per "gravi violazioni deontologiche"; per poi affermare che "In questa cornice, dovrebbe essere intelligibile per chiunque "il bene" che chiede protezione in quest'affare: l'autonomia di una funzione giudiziaria rispettosa delle regole".
Come a dire che Santoro faceva bene a non parlare della questione. Il perchè è lasciato del tutto all'oscuro anche se D'Avanzo prova a farfugliare un po' di frasi fatte senza troppa convinzione: "Se una giustizia condizionata o minacciata dal potere non è giustizia (l'indipendenza è il presupposto dell'imparzialità del magistrato), non è giustizia nemmeno quando si manifestano prassi in cui prevale una logica dell'efficienza coniugata alla facile idea che per la salus rei publicae bisogna guardare al reo dietro il reato, anche a costo di sacrificare il principio di stretta legalità".
Che cosa vuole farci intendere con un ragionamento tanto bislacco? Che dà per scontato che il pm De Magistris abbia violato la legge nella sua foga giustizialista contro Mastella? Ma non ha appena riferito dell'indiavolata sollecitudine del ministro di infilzare il magistrato senza alcuna seria urgenza?
Male, malissimo, D'Avanzo: una rilettura del pezzo prima della rotativa sarebbe stata indispensabile...
Ma il meglio D'Avanzo lo riserva nella parte centrale dell'editoriale: prima critica la scelta di confrontare la crisi calabrese con i veleni palermitani degli anni Ottanta accusando Santoro di aver compiuto "un errore di prospettiva" (ma su questo ciascuno, ragionevolmente, può avere l'opinione che vuole perchè non c'è nessuno, fino a prova contraria, che possa rilasciare la certificazione DOC alle stagioni criminali); poi punta a testa bassa sul giudice Clementina Forleo, colpevole di aver auspicato, come qualunque persona onesta e sana di mente riterrebbe, che il Sud si liberi dei suoi Don Rodrigo.
Per D'Avanzo l'equazione è chiara: poichè la Forleo è pugliese e D'Alema, di cui lei ha chiesto al Parlamento di utilizzare le intercettazioni con Consorte per la scalata Unipol, è stato eletto in Puglia, l'allusione a Don Rodrigo è sicuramente riferita allo stesso D'Alema.
Un po' come dire che poichè D'Avanzo è un giornalista, tutti quelli che portano il suo cognome sono giornalisti.
Complimenti: questa sì che è barbarie intellettuale!
Ma D'Avanzo ancora non è contento: dopo aver erroneamente attribuito alla giudice Forleo una critica ai suoi illustri colleghi di Milano (a questo punto dell'articolo è ormai chiaro per il lettore che D'Avanzo, chissà perchè, ha il dente avvelenato contro questo magistrato), si scaglia contro Santoro.
Lo accusa di aver organizzato "una trasmissione che rende incomprensibile la materia del contendere" (finalmente ammette di non averci capito niente, salvo poi scriverci sopra un fiume di parole insulse e livorose) e di avere preconfezionato una tesi del tutto errata: di ritenere, cioè, che il ministro Mastella, di fronte al disastro giudiziario calabrese, doveva guardare alla sostanza dell'operato di De Magistris, non ai suoi eventuali errori formali.
Ci siamo, D'Avanzo ormai ragiona come un giudice ammazzasentenze, di quelli che annullavano una condanna all'ergastolo perchè mancavano i bolli.
Si esprime esattamente come uno dei tanti azzeccagarbugli del Cavaliere; eccone una perla: "...quanti orrori possono accadere quando un magistrato arriva al massimo dell'indignazione e, in nome della giustizia, pretende un castigo e, se non lo ottiene, avvia un ciclo di ritorsioni."
Ma non è ancora finita: senza guardarsi allo specchio, accusa en passant Marco Travaglio di disinformazione per poi affondare il colpo ancora una volta contro Santoro dando un giudizio conclusivo sul suo programma; giudizio che, guarda un po', calza a pennello per il suo editoriale: "notizie alquanto confuse, disinformazione; non c'è alcuna conoscenza, soltanto un distillato di veleni in un quadro culturale che ignora le ragioni della democrazia e le convenienze dello Stato di diritto".
Chiosa D'Avanzo: "Annozero, viene da dire, è stato soltanto un passo verso il suicidio collettivo".
Sarà, ma in questa occasione è proprio lui che, in un pericoloso mix tra arrogante narcisismo, cieco furore e ordini di scuderia, ha dato una pessima prova di giornalismo.

Fonte: Repubblica del 6/10/07

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/pm-catanzaro/santoro-messaggi-barbarici/santoro-messaggi-barbarici.html