Visualizzazione post con etichetta Giornali. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giornali. Mostra tutti i post

venerdì 7 dicembre 2007

Repubblica dà il benservito a Bertinotti

Attacco senza precedenti di Eugenio Scalfari contro il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Non ha atteso come suo solito la domenica per infliggerci le sue petulanti prediche.
Questa volta senza tanti giri di parole ha costruito senza se e senza ma (come ama arbitrariamente e con un pizzico di beffarda ironia attribuire al pensiero politico del leader di Rifondazione) un intero pezzo contro Bertinotti.
E’ un affondo senza precedenti: raramente si è visto sulla stampa qualcosa del genere.
Forse mai dalle colonne di uno dei massimi quotidiani italiani.
E’ un giudizio senza appello che tradisce una ruggine sicuramente non nata ieri; per uno che si autoprofessa di cultura liberale, non è proprio il massimo dei risultati lanciare una sorta di avvertimento a mezzo stampa alla terza carica dello Stato alla cui elezione, è chiaro, a distanza di un anno e mezzo Scalfari ancora non si è rassegnato: o si dimette o deve tacere.
Pare impossibile, ma al lettore lo fa intendere chiaramente! Ecco la perla scalfariana [1]:
"Quanto alla crisi istituzionale, è evidente che essa deve essere immediatamente ricomposta. Sulla carta ci sono due modi di affrontarla: le dimissioni di Bertinotti dalla presidenza della Camera oppure una sua stagione di stretto riserbo politico nei limiti d'uno scrupoloso esercizio del suo ruolo istituzionale. La prima soluzione - quella delle dimissioni - è di gran lunga la peggiore. Aggraverebbe drammaticamente la crisi anziché risolverla; forse sarebbe possibile in un Paese diverso e in una diversa situazione. La seconda dunque è in realtà la sola strada, ma deve avere rilievo pubblico, deve essere esplicita e non implicita.
Non si deve certamente chiedere a Bertinotti ciò che nessun politico è disposto a dare, non gli si può chiedere di smentire se stesso. Ma si ha ragione di chiedergli che dica che d'ora in avanti non farà più esternazioni politiche visto che esse provocano disagio e contrasti accrescendo la confusione.[…]Mai come in questa occasione l'arbitro non può giocare in campo con i giocatori, né nella forma né nella sostanza. Perciò si turi le orecchie, si bendi gli occhi e abbia di mira esclusivamente la corretta applicazione del regolamento parlamentare.”
Che un giornalista, sia pure il fondatore di un giornale diventato nei fatti un organo di partito, arrivi ad usare parole così sprezzanti e dure nei confronti di una carica istituzionale, al di là del merito delle questioni sollevate, è l’ennesima grave anomalia della democrazia italiana.
Ormai la vita istituzionale del nostro Paese non si svolge più nei luoghi deputati dalla Costituzione a tale funzione ma molto più incisivamente nelle direzioni dei media che, fino a prova contraria, non sono propriamente incarichi elettivi.
Contribuendo, tra l’altro, alla paralisi politica e a quel caos istituzionale che è sotto gli occhi di tutti.

sabato 6 ottobre 2007

D'Avanzo ad alzo zero contro Annozero

Purtroppo tutto ci saremmo attesi tranne che il giornalista Giuseppe D'Avanzo, dopo aver abbandonato da qualche parte il suo solitamente ricco taccuino di scoop con cui ha infarcito memorabili inchieste su Repubblica, abbandonasse le vesti di inquirente per conto del giornale di piazza Indipendenza per indossare i panni di fustigatore dell'informazione televisiva.
L'obiettivo però non è stato quello di mettere alla berlina i famosi panini confezionati per tradizione dal TG1 o da qualche notiziario Mediaset e che ogni giorno ammorbano l'aria rendendoci impossibile la visione del telegiornale.
No, questa volta si è diretto ad alzo zero contro Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero, definendola una barbarie, consultando anche il vocabolario per gridarlo meglio.
Parte dal caso De Magistris, accusando il ministro Mastella, promotore del deferimento del magistrato di Catanzaro, di non essersi fatto scappare l'occasione di "infilzare"De Magistris con un'indiavolata sollecitudine e a chiedere al Consiglio - senza alcuna seria urgenza - il trasferimento del pubblico ministero per "gravi violazioni deontologiche"; per poi affermare che "In questa cornice, dovrebbe essere intelligibile per chiunque "il bene" che chiede protezione in quest'affare: l'autonomia di una funzione giudiziaria rispettosa delle regole".
Come a dire che Santoro faceva bene a non parlare della questione. Il perchè è lasciato del tutto all'oscuro anche se D'Avanzo prova a farfugliare un po' di frasi fatte senza troppa convinzione: "Se una giustizia condizionata o minacciata dal potere non è giustizia (l'indipendenza è il presupposto dell'imparzialità del magistrato), non è giustizia nemmeno quando si manifestano prassi in cui prevale una logica dell'efficienza coniugata alla facile idea che per la salus rei publicae bisogna guardare al reo dietro il reato, anche a costo di sacrificare il principio di stretta legalità".
Che cosa vuole farci intendere con un ragionamento tanto bislacco? Che dà per scontato che il pm De Magistris abbia violato la legge nella sua foga giustizialista contro Mastella? Ma non ha appena riferito dell'indiavolata sollecitudine del ministro di infilzare il magistrato senza alcuna seria urgenza?
Male, malissimo, D'Avanzo: una rilettura del pezzo prima della rotativa sarebbe stata indispensabile...
Ma il meglio D'Avanzo lo riserva nella parte centrale dell'editoriale: prima critica la scelta di confrontare la crisi calabrese con i veleni palermitani degli anni Ottanta accusando Santoro di aver compiuto "un errore di prospettiva" (ma su questo ciascuno, ragionevolmente, può avere l'opinione che vuole perchè non c'è nessuno, fino a prova contraria, che possa rilasciare la certificazione DOC alle stagioni criminali); poi punta a testa bassa sul giudice Clementina Forleo, colpevole di aver auspicato, come qualunque persona onesta e sana di mente riterrebbe, che il Sud si liberi dei suoi Don Rodrigo.
Per D'Avanzo l'equazione è chiara: poichè la Forleo è pugliese e D'Alema, di cui lei ha chiesto al Parlamento di utilizzare le intercettazioni con Consorte per la scalata Unipol, è stato eletto in Puglia, l'allusione a Don Rodrigo è sicuramente riferita allo stesso D'Alema.
Un po' come dire che poichè D'Avanzo è un giornalista, tutti quelli che portano il suo cognome sono giornalisti.
Complimenti: questa sì che è barbarie intellettuale!
Ma D'Avanzo ancora non è contento: dopo aver erroneamente attribuito alla giudice Forleo una critica ai suoi illustri colleghi di Milano (a questo punto dell'articolo è ormai chiaro per il lettore che D'Avanzo, chissà perchè, ha il dente avvelenato contro questo magistrato), si scaglia contro Santoro.
Lo accusa di aver organizzato "una trasmissione che rende incomprensibile la materia del contendere" (finalmente ammette di non averci capito niente, salvo poi scriverci sopra un fiume di parole insulse e livorose) e di avere preconfezionato una tesi del tutto errata: di ritenere, cioè, che il ministro Mastella, di fronte al disastro giudiziario calabrese, doveva guardare alla sostanza dell'operato di De Magistris, non ai suoi eventuali errori formali.
Ci siamo, D'Avanzo ormai ragiona come un giudice ammazzasentenze, di quelli che annullavano una condanna all'ergastolo perchè mancavano i bolli.
Si esprime esattamente come uno dei tanti azzeccagarbugli del Cavaliere; eccone una perla: "...quanti orrori possono accadere quando un magistrato arriva al massimo dell'indignazione e, in nome della giustizia, pretende un castigo e, se non lo ottiene, avvia un ciclo di ritorsioni."
Ma non è ancora finita: senza guardarsi allo specchio, accusa en passant Marco Travaglio di disinformazione per poi affondare il colpo ancora una volta contro Santoro dando un giudizio conclusivo sul suo programma; giudizio che, guarda un po', calza a pennello per il suo editoriale: "notizie alquanto confuse, disinformazione; non c'è alcuna conoscenza, soltanto un distillato di veleni in un quadro culturale che ignora le ragioni della democrazia e le convenienze dello Stato di diritto".
Chiosa D'Avanzo: "Annozero, viene da dire, è stato soltanto un passo verso il suicidio collettivo".
Sarà, ma in questa occasione è proprio lui che, in un pericoloso mix tra arrogante narcisismo, cieco furore e ordini di scuderia, ha dato una pessima prova di giornalismo.

Fonte: Repubblica del 6/10/07

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/pm-catanzaro/santoro-messaggi-barbarici/santoro-messaggi-barbarici.html