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lunedì 25 maggio 2009

Nulla di scandaloso nel "respingimento" di questo Pd

La politica italiana è arrivata ad un livello di degrado intellettuale (quello morale è superato da tempo!), come probabilmente non si era mai verificato nella storia repubblicana.
Non si era mai vista tanta povertà di idee e una così forte omologazione nella proposta politica da parte dei due grandi contenitori politici, PD e PDL, che, riflessi l’uno nell’altro, per attirare le simpatie di coloro che ancora resistono a guardarli, hanno imboccato decisamente la strada del reality show, sicuri di replicarne le fortune.
Repubblica, lancia in resta, si spinge a rinnovare i fasti di Cronaca Vera, con le famose dieci domande al premier su Noemi e famiglia.
Per capire quale sia la potenza di fuoco messa in campo da questa corazzata editoriale, basta rendersi conto che ormai nei media nazionali da quattro giorni a questa parte non si parla di altro ed il centrosinistra si uniforma alla politica scandalistica del gruppo De Benedetti, rilanciando per bocca dei suoi dirigenti, il questionario di D’Avanzo & c.
Tutti gli altri grandi temi, dalla crisi economica sempre più grave alla questione ammortizzatori sociali, dalla giustizia in stato catatonico al nuovo sviluppo economico verde, dai tagli indecenti a scuola e università alla ricostruzione in Abruzzo ancora da progettare, tutto, ma proprio tutto, è sparito sotto i colpi dell’ultima intervista del quotidiano di piazza Indipendenza, udite udite, al personaggio del momento: l’ex ragazzo di Noemi...
Che Repubblica ieri gli abbia dedicato oltre la prima pagina ben due pagine interne con tanto di foto a colori e riproduzione della lettera che la ragazza gli scrisse prima di Natale, ci fa rabbrividire: alla faccia del giornalismo d’inchiesta, siamo caduti nella morbosità stile Cogne!
Certamente, nessuno può accusarci di essere stati mai morbidi con Silvio Berlusconi che, lo ribadiamo, non avrebbe mai dovuto salire a Palazzo Chigi se la nostra fosse stata una vera democrazia; perché le leggi, prima ancora di un’opposizione presentabile, glielo avrebbero dovuto impedire.
Ma questo è il paese in cui l’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni appena acclamato vincitore delle primarie del 2007, tese la ciambella di salvataggio al Cavaliere, in caduta libera nei sondaggi e nel credito politico, dichiarando di volere concordare le riforme istituzionali proprio con lui, scaricando a stretto giro di stampa Prodi e i partiti della sua maggioranza e portando il Paese, inopinatamente, alle elezioni anticipate dopo appena 1 anno e mezzo di governo!
Questo è il paese in cui è tuttora in corso una durissima lotta di potere all’interno della casta dei politici, ma non in nome di principi costituzionali da salvaguardare o di interessi dei cittadini da difendere; unicamente allo scopo di una più ricca spartizione delle poltrone, un redde rationem tra potentati di varia matrice.
Il povero Dario Franceschini, che in questi mesi ha dimostrato di essere enormemente più abile di Veltroni, è suo malgrado espressione di quel gruppo dirigente che oggi si nasconde alle sue spalle: anzi trama nel dimenticatoio, nella prospettiva di un rilancio in grande stile.
Diverso sarebbe potuto essere il suo destino se sul suo nome si fosse coagulato un nuovo consenso nell’ambito di un congresso vero, che la nomenklatura non ha invece voluto celebrare, negandogli un mandato diverso.
Votare per il Partito democratico alla prossima tornata elettorale è, per l’elettore di centrosinistra, un po’ come gettarsi la zappa sui piedi: sai che soddisfazione a rivedere in primo piano i Fassino, D’Alema, Veltroni, Violante, Finocchiaro, i Bettini, cioè coloro che hanno permesso dopo pochi mesi a Silvio Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi con le chiavi del portone!
Coloro che hanno tifato per la doppia scalata Bnl-Antonveneta e hanno favorito l’ostracismo contro Clementina Forleo e, contemporaneamente, contro Luigi de Magistris, titolare dell’inchiesta Why Not, colpevoli solo di aver fatto rispettare la legge.
Per fortuna i successivi pronunciamenti della magistratura ci hanno restituito adesso l’immagine specchiata e fulgida di questi due valorosi magistrati e la vergogna di una classe politica che ha scomodato il Csm pur di bloccarli.
Al procuratore di Salerno Luigi Apicella sono giunti persino a togliergli lo stipendio: un provvedimento del genere non sembra sia stato mai preso, neppure contro magistrati collusi con la mafia!
Eugenio Scalfari, maître à penser del Partito democratico, nel suo ultimo editoriale di ieri si dimentica di tutte queste vicende e, proprio come se non fosse successo niente, si ostina a pensare che il significato delle Europee andrà valutato attraverso la misura del distacco che ci sarà tra Partito democratico e Pdl.
Ci racconta la solita favoletta: elettori delusi del centrosinistra, se non volete rafforzare Silvio Berlusconi, votate Partito democratico!
Purtroppo per lui, è vero esattamente il contrario: è stato proprio il Partito democratico di Veltroni, quello che l’anno scorso perse clamorosamente raggiungendo il 33% dei voti, in questo primo anno di legislatura a lasciare campo libero a Silvio Berlusconi ed al suo enorme conflitto di interessi.
Soltanto indebolendo la stampella del Cavaliere, questo inguardabile Partito democratico, nonostante il recente make-up a cui lo ha sottoposto il bravo Franceschini, si potrà fare piazza pulita di un gruppo di potere che domina il centrosinistra da quasi vent’anni e che ha permesso all’uomo di Arcore di regnare per oltre un decennio e farsi con tutta tranquillità tante leggi ad personam ed, in ultimo, il lodo Alfano, vero buco nero della nostro assetto Costituzionale.
Accusare Di Pietro, delle cui ambiguità ideologiche certo noi non gli facciamo sconto, di spalleggiare il Cavaliere semplicemente perché critica le perplessità, cioè le vischiosità del PD, nell’opporvisi fieramente, è un’autentica castroneria!
Purtroppo Scalfari fa finta di non comprendere che il successo berlusconiano del 2008 è dipeso in misura soverchiante proprio dal fatto che la classe dirigente del Pd, rinnegate le proprie origini e la sua presunta diversità morale, abbia indossato gli stessi abiti dei lacchè di Berlusconi, diventandone troppo spesso una pessima controfigura, cioè mal destra.
Per sentire ancora una volta Piero Fassino ragionare come fanno Maroni e La Russa, beh è decisamente meglio cercarsi i propri rappresentanti altrove: magari nel variopinto arcipelago di sinistra o nelle liste civiche di Beppe Grillo; o proprio nell’Idv di Antonio Di Pietro, della cui fiera opposizione al Cavaliere gli va oggettivamente reso merito.
Un’opposizione che trova più congeniale rinfacciare a Silvio Berlusconi le sue burrascose vicende extraconiugali, piuttosto che affondare il coltello sulla scandalosa vicenda Mills o sulla gravità della situazione economica o, ancora, sui dissennati tagli alla spesa pubblica decisi da Tremonti, è destinata all’ennesimo naufragio.
Prendendo in prestito le parole di Fassino, per gli elettori di centrosinistra, non c’è niente di scandaloso nel respingimento di questo Pd. Anzi.

domenica 29 giugno 2008

I "cattivi magistrati" e il trionfo della giustizia

Questa volta bisogna scriverlo in grassetto, perché i fiumi d’inchiostro che i principali organi di informazione hanno vomitato per mesi contro il giudice Forleo, colpevole di aver definito nella famosa ordinanza dell’estate 2007 alcuni esponenti politici, sebbene non indagati ,“complici di un disegno criminoso”, si sono rivelati solo fiumi di fango.
Il gip Clementina Forleo è stata assolta.
Infatti il CSM venerdì scorso ha sancito che non c’è stato alcun illecito disciplinare da parte del magistrato diventato, suo malgrado, il gip più famoso d’Italia per aver emesso l’ordinanza in cui chiedeva al Parlamento l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni telefoniche nell’indagine sulla doppia illecita scalata bancaria Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpl, in cui comparivano le conversazioni di alcuni parlamentari tra cui uomini di primo piano dei due principali partiti di allora, DS e Forza Italia.
Riferiva l’ordinanza di conversazioni tra soggetti “parallelamente impegnati in ordine a parallele e intrecciate attività illecite di analoga natura […]” le quali "[…] vedevano coinvolti alcuni esponenti anche di spicco del mondo politico in un’evidente logica di lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale”.
Ma le critiche feroci della casta si concentravano soprattutto sulla sua parte conclusiva: “A parere di questa A.G. sarà proprio il placet del Parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti di suoi membri - inquietanti interlocutori di numerose di dette conversazioni […] - i quali all’evidenza appaiono non passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi animati da sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata che si stava consumando proprio ai danni dei piccoli e medi risparmiatori, in una logica di lottizzazione e di manipolazione del sistema bancario e finanziario nazionale.”
Di grande valore civile le parole pronunciate dal magistrato subito dopo la sentenza assolutoria del CSM, con un pensiero rivolto al collega di Catanzaro che, proprio in virtù di analoga straordinaria professionalità, ha patito in questi mesi le stesse amarezze: “Prima o poi la giustizia trionfa, avere fiducia ripaga. E siccome il tempo è galantuomo, spero che anche il collega De Magistris abbia giustizia”.
Per una volta la nomenklatura non commenta, preferendo defilarsi con la coda tra le gambe.

lunedì 24 marzo 2008

Dopo il voto, c'è sempre la Casta

Nel giorno di Pasquetta, è possibile tirare una linea e fare un primo bilancio della campagna elettorale, ormai a tre settimane dal voto.
Alcuni osservatori che vanno per la maggiore l’hanno definita la miglior campagna elettorale della seconda repubblica ma questo dimostra, una volta di più, come il mondo dell’informazione sia agli antipodi del mondo reale.
Sì, perché mai come in quest’occasione la campagna elettorale si trascina, a voler essere generosi, nella più completa indifferenza: pochi comizi, poca gente in piazza, molti nervi scoperti quando qualcuno la mette in politica, anche se sta semplicemente sorseggiando un caffé al tavolino di un bar.
Molti leader, in viaggio per lo Stivale, vengono accolti da sparuti gruppi di curiosi, con qualche luogotenente locale che cerca alla men peggio di organizzare la claque.
Ormai le riunioni politiche si fanno in luoghi chiusi perché in piazza la desolazione che li accompagna sarebbe veramente insopportabile.
E’ la campagna elettorale dove solo i segretari di partito battono il Paese provincia per provincia: i candidati prescelti se ne stanno al calduccio, in attesa che il leader passi dal loro collegio per organizzare su due piedi un incontro pubblico in cui lo affiancheranno silenziosi per poi tornarsene disciplinati dietro le quinte.
Beppe Grillo ha detto che prima del voto pubblicherà i nomi degli eletti delle prossime elezioni: ha perfettamente ragione, dato che tra collegi blindati e candidature decise a tavolino, il prossimo Parlamento ha una fisionomia già ampiamente nota.
Non è difficile pronosticare che sugli scranni parlamentari siederanno gli amici degli amici degli amici e, mentre il giudice Clementina Forleo è lasciato solo a subire una vera tempesta disciplinare per lo zelo dimostrato nell’inchiesta Antonveneta, molti furbetti del quartierino varcheranno i portoni di Montecitorio e Palazzo Madama per infliggerci un sonoro schiaffo immorale.
Ormai la campagna elettorale resta appannaggio degli schermi televisivi dove, tra Berlusconi e Veltroni, siamo alle comiche: l’uno che dice di avere in tasca la cordata di imprenditori che salverà l’Alitalia; l’altro che gli rinfaccia di bluffare, forse memore del pessimo stato in cui gli ultimi capitani coraggiosi hanno lasciato la Telecom.
Entrambi si accusano vicendevolmente di ripetere le stesse cose ma poi, con sfumature diverse, concordano sul voto utile.
Per interrompere le prove tecniche di Veltrusconi, è dovuto intervenire addirittura il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricordando ai due che non esiste il voto inutile.
Ma è possibile che l’Italia si meriti uno spettacolo così scialbo?
Possibile che la classe politica non sappia alzare il livello del confronto dialettico al di sopra del goffo duello tra i leader di PD e PDL e non sappia vedere nella campagna elettorale un’ultima occasione per entrare in sintonia con il cupo umore del Paese?
Perché non è solo questione di una pessima legge elettorale: quella a cui assistiamo ormai quotidianamente è proprio una grave crisi di identità della Casta, la sua anticipata rinuncia a qualsiasi serio progetto di cambiamento della società italiana.
Insomma, quando non combinano direttamente guai, spesso i nostri politici non hanno la minima idea di come affrontare i problemi del Paese e si limitano a gestire male l'ordinaria amministrazione.
In questo senso il caso Alitalia è molto simile all’emergenza rifiuti a Napoli: entrambe le questioni dimostrano l’impreparazione, l’insipienza, l’ottusità della nostra classe dirigente, al di là della casacca indossata.
Problemi fatti incancrenire per anni senza mai il coraggio, o forse l’orgoglio, di venirne a capo sciogliendone finalmente i fili aggrovigliati: si decide di non decidere per non ostacolare i corposi, illegittimi, interessi di pochi; molto spesso illeciti.
Ma che razza di democrazia è quella che si piega alle pressioni oligarchiche e resta del tutto indifferente ai problemi della generalità dei cittadini?
Siamo stanchi di persone che aspirano solo ai privilegi della politica ma non vogliono sopportarne gli inevitabili, pesanti oneri.
Chi è in corsa per cariche pubbliche deve dimostrare di possedere non solo probità morale ma anche adeguate competenze professionali.
Ma nelle condizioni di disfacimento interiore in cui è da tempo caduta, la Casta non è emendabile.
Un esempio su tutti: appena Veltroni ha provato a sollevare la questione dei mostruosi stipendi di deputati e senatori è stato duramente attaccato proprio dai suoi colleghi parlamentari che, forse accusandolo di uno sgarro, gli hanno subito rinfacciato la lauta pensione di cui già gode.
Segno evidente che solo energie nuove, non compromesse con la vecchia nomenclatura, possono effettivamente recidere quei legami incestuosi che hanno reso irrespirabile l’aria nei palazzi della politica.
Il paradosso è che, contro il comune buon senso e a dispetto delle pungenti, circostanziate critiche di Beppe Grillo e dei suoi tanti sostenitori, il prossimo Parlamento deciso a tavolino dalle segreterie di partito è sul nascere un'istituzione oligarchica, incapace per vizio originale di dare le risposte che una democrazia costituzionale affida al suo massimo organo legislativo.

lunedì 24 dicembre 2007

Gli "omaggi" natalizi di Scalfari alla Forleo

Nel sermone natalizio di domenica 23, Eugenio Scalfari attacca a fondo il giudice di Milano Clementina Forleo (1):
“Una magistratura che ricama sgorbi sulle sue toghe aggrappandosi al cavillo della norma senza capacità né voglia di coglierne la sostanza. Magistratura pubblicitaria, così dovrebbe chiamarsi la parte ormai largamente diffusa che insegue la propria visibilità non meno dei Diliberto e dei Mastella.
La vicenda Forleo è il sintomo palese di questa devastazione pubblicitaria che sta sconvolgendo l'Ordine giudiziario e, con esso, il corretto esercizio della giurisdizione. Ho grande rispetto per Franco Cordero, nostro esimio collaboratore, e capisco anche le motivazioni giuridiche che l'hanno indotto a difendere il Gip milanese.
Secondo me quel Gip andrebbe censurato dal Csm non per la procedura che ha seguito ma per l'esibizione di volta in volta vittimistica e sguaiata, con la quale ha invaso teleschermi e giornali. Disdicevole. Aberrante per un magistrato. Falcone, tanto per dire, non ha mai usato quel metodo né lo usarono il magistrato Alessandrini, l'avvocato Giorgio Ambrosoli e tutti coloro che del mondo della giustizia caddero sotto il piombo del terrorismo o della mafia.”
Grande Scalfari! Non ne fa più una questione di rispetto delle procedure o di improprietà dell’attività giudiziaria del gip di Milano.
Come potrebbe d’altronde?
Il giurista Franco Cordero bolla le motivazioni che hanno spinto il Csm a chiedere il trasferimento della Forleo come del tutto inconsistenti e paralogiche; nella trasmissione di Michele Santoro di giovedì scorso, l’insigne studioso dice testualmente: “L’atto d’accusa nei confronti della dottoressa Forleo è fondato su argomenti che valgono pochissimo; potrei anche usare parole più brutali e dire che non valgono niente.”
Per questo il fondatore di Repubblica è costretto a fare marcia indietro sul merito delle accuse e la mette folcloristicamente sul piano della presunta sguaiatezza del giudice Clementina Forleo nelle sue ripetute invasioni mediatiche: sarebbe questo il vero motivo, per Scalfari, della necessità di una censura da parte del Csm.
Un’assurdità che si commenta da sola.
Ma per dimostrare la validità del suo bel ragionamento egli cita uomini di legge come Falcone, Alessandrini e Ambrosoli che non hanno inseguito la visibilità mediatica e che sono caduti sotto i colpi di mafia e terrorismo.
Purtroppo Scalfari non si rende conto che è proprio da quella illustre ed eroica esperienza che discende la necessità per magistrati come Clementina Forleo e Luigi De Magistris di gridare ai quattro venti il boicottaggio patito e l’isolamento in cui sono caduti ad opera delle istituzioni da quando si sono trovati tra le mani inchieste scottanti: una sorta di polizza assicurativa sulla vita fondata semplicemente sulla propria visibilità mediatica.
Purtroppo è questa la situazione in cui si trovano ad operare i magistrati più coraggiosi in un’Italia dominata dalle consorterie e incupita da una scia di sangue che ha intimidito i tutori della legge per decenni e su cui non è mai stata fatta luce fino in fondo.
Come è possibile che un navigato giornalista come Scalfari non si renda conto di quale pesante eredità ci sia tramandata dai mille misteri italiani ancora insoluti?
La devastazione pubblicitaria di cui egli blatera è purtroppo l’inevitabile conseguenza di quel clima e della guerra, questa sì rovinosa perché senza esclusione di colpi, che la politica con rare eccezioni ha apertamente dichiarato alla magistratura dall’epoca di Mani pulite.
Eppure il grande giornalista non sembra si sia scandalizzato quando a seguito della ormai famosa ordinanza del Gip Forleo l’onorevole Massimo D’Alema così sguaiatamente commentava (cfr. citazione di Marco Travaglio in Anno Zero del 20 u.s.)": “Che monnezza, che schifo la magistratura si comporta in modo inaccettabile; forse li abbiamo difesi troppo questi magistrati ma ora dobbiamo reagire. E’ una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Siamo ancora uno stato di diritto? Non vedo alcuna ragione di giustizia, deve esserci sotto dell’altro… io ho qualche idea, prima o poi bisogna tirarla fuori”; oppure quando diceva: “Siamo fuori dallo stato di diritto. E’ pazzesco: quel Gip fa cattiva letteratura, crocifigge un cittadino, fa saltare per aria il sistema democratico. Perché questa vecchia immondizia rispunta fuori proprio ora?”
Quello in cui vive il fondatore di Repubblica probabilmente non è lo stesso paese in cui tutti noi siamo costretti a vivere sotto la cappa di formidabili poteri occulti, in un intreccio perverso di politica, affari e criminalità, che caratterizza senza soluzione di continuità periodi importanti di vita repubblicana.
E poi finiamola una buona volta col minimizzare quanto avvenuto tra la primavera e l’estate di due anni fa: quello fu il tentativo, abortito solo perché inopinatamente emerso alla luce del sole, di due scalate bancarie parallele ma entrambe illegali che si sostennero vicendevolmente grazie al tifo fazioso delle due principali forze politiche di allora.
Ce n’è abbastanza, al di là delle risultanze giudiziarie, per mandare a casa l’intera classe dirigente di quei due partiti.
E invece no, gli sciagurati protagonisti di quella stagione sono ancora lì a fare il bello ed il cattivo tempo, a dettare ancora l’agenda politica del nostro Paese.
Ecco perché, caro Scalfari, la gente come dice Lei, è schifata: perché già sa che, gattopardescamente, niente cambierà né alla Rai né in qualunque altro presidio pubblico occupato militarmente dalla politica.
E quella telefonata intercettata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi sarà pure stomachevole ma è tutt’altro che sorprendente o inaspettata, al di là dell’opinione che si ha dei protagonisti: al bando l’ipocrisia, fotografa in modalità macro l’ordinario degrado morale della nostra classe dirigente.
Malauguratamente non si intravede all’orizzonte niente che possa toglierci rapidamente dalle sabbie mobili in cui il nostro sistema politico istituzionale è precipitato da tempo.
L’altra sera ad Annozero, in una meritoria puntata in cui Michele Santoro ha finalmente rivelato al grande pubblico televisivo come sembrino pretestuose ed inconsistenti le carte del Csm contro la Forleo, abbiamo potuto sentire la cosiddetta nuova politica rappresentata dal leader della Sinistra Giovanile criticare aspramente l’ordinanza emessa nel luglio scorso dal giudice Clementina Forleo, usando le stesse logore argomentazioni a suo tempo usate dai difensori e luogotenenti di Berlusconi: davvero un pugno nello stomaco per chi crede che i giovani possano rappresentare l’asso nella manica di un paese che, giustamente, al di là dell’Atlantico viene visto triste ed immobile.
Perché dei replicanti di D’Alema, Fassino, Mastella, ma anche degli emuli in erba di Berlusconi e Fini, questo paese non solo non sente la necessità ma addirittura ne teme lo shock anafilattico.
Ciò non toglie che la nostra democrazia ha un bisogno vitale di ricostruire efficaci processi di selezione della propria classe dirigente: magari fosse solo questione di legge elettorale!
E’ un intero sistema di reclutamento delle forze migliori, di nuovi talenti, di energie ideali che va ricostruito dalle fondamenta.
Che cosa possa innescare questo processo virtuoso è difficile dirlo: forse la rabbia montante tra i cittadini indignati dallo schifo della vita pubblica, proprio quello sottolineato dal predicozzo dell’antivigilia di Natale su Repubblica, può segnare l’alba di una nuova Italia.
Ma, allo stato delle cose, più che una speranza questo è piuttosto un pio desiderio.
(1): la Repubblica.it del 23/12/2007

lunedì 10 dicembre 2007

I cattivi magistrati e la buona politica

Adesso sappiamo ufficialmente che Luigi De Magistris e Clementina Forleo sono dei cattivi magistrati.
No, non lo dice il Cavaliere sempre in polemica con il potere giudiziario, né qualche esponente del suo partito.
Ce lo dice Letizia Vacca (PDCI), vicepresidente della I Commissione del CSM che ha istruito il procedimento disciplinare nei confronti del gip milanese [1].
“Le sue dichiarazioni, eccessive, forzate e gravissime, hanno creato preoccupazione negli ambienti giudiziari e sono state lesive dell’immagine dei magistrati di Milano, che si sono sentiti offesi” spiega la Vacca, docente universitario nel CSM in quota al partito di Oliviero Diliberto.
“Il nostro problema è riportare la serenità negli uffici giudiziari di Milano. Lo spirito che ci muove non è certo persecutorio nei confronti di Forleo”; ma spara a zero anche contro De Magistris: “Sono cattivi magistrati”. “Dire ‘ho fatto il nome di D’Alema e per questo mi perseguitano, non è un sillogismo che può valere. Questa non è una magistratura seria” insiste“e questi comportamenti sono devastanti. I magistrati devono fare le inchieste e non gli eroi; altrimenti sono figure negative”.
Grazie al lavoro svolto dalla commissione del CSM adesso sappiamo (perché prima sinceramente neanche lo sospettavamo!) che in Italia abbiamo la fortuna di avere una politica buona ma, purtroppo, anche una magistratura cattiva: naturalmente, cattiva è quella che lavorando con zelo finisce per assumere atteggiamenti eroici, arrecando disturbo al manovratore di turno.
Noi credevamo che i cattivi magistrati erano quelli che non amministrassero giustizia secondo il dettato costituzionale; in poche parole, gli insabbiatori di inchieste, i deboli con i forti e forti con i deboli, i collusi con i potenti.
C’eravamo sbagliati.
Ai cittadini il messaggio che rimbalza dalle televisioni, dai giornali, dai notiziari radio è il seguente: non sono gli scandali politico-finanziari che stanno mandando a picco la vita pubblica; pietra dello scandalo sono i magistrati che per dovere d’ufficio hanno la sfortuna di occuparsene!
Ma poi quali scandali? Siamo così convinti che ci siano scandali su cui indagare? Secondo i media di regime non c'è niente di tutto questo.
Accusa Di Pietro[2]: “Quello che più colpisce nelle vicende legate ai magistrati Luigi De Magistris e Clementina Forleo è che sono state oscurate completamente le inchieste che stavano conducendo. Di Why Not e di Unipol non parla più nessuno. Stiamo andando oltre alla metafora del dito che indica la luna. Qui hanno fatto scomparire direttamente la luna e ci hanno lasciato solo il dito da guardare.”
Ma i cittadini il dito dei politici è da tempo che non lo seguono più.
Anche se la casta, chiusa nei propri privilegi, non capisce e ritiene di poter ancora fare il bello e il cattivo tempo; come quello di delegittimare chi la mette sotto inchiesta.
Ma non è denigrando Clementina Forleo e Luigi De Magistris che può recuperare in credibilità e consenso di fronte all'opinione pubblica; al contrario, dimostra di aver perso del tutto il senso della realtà: la buona politica è tutta un'altra cosa.

giovedì 6 dicembre 2007

Oliviero Beha: Forleo - De Magistris, furto di democrazia

Rilanciamo dal sito Quotidiano.net le inquietanti affermazioni del giornalista Oliviero Beha sulle confidenze ricevute a suo tempo dall'ex magistrato e politico Ferdinando Imposimato (che adesso smentisce tutto) circa le presunte pressioni addirittura sul CSM per la delegittimazione del giudice Clementina Forleo da parte di alcuni esponenti DS.
Riprendiamo in particolare la seguente dichiarazione:
"Il caso D’Alema è diventato insomma il caso Forleo, come volevasi dimostrare e come si tenta di fare con successo per il caso De Magistris in luogo di un’inchiesta da far tremare il Palazzo. Tutto ciò ha un nome: golpe bianco, ovvero furto di democrazia. Se poi qualcuno in questo Paese dovesse svegliarsi, preparatevi e prepariamoci al peggio. Ma se lo saranno, ce lo saremo andati a cercare."
Con una magistratura così fortemente intimidita e isolata, con una politica tanto arrogante quanto autoreferenziale, chi è oggi in grado di ristabilire la verità dei fatti di fronte ai cittadini?
Purtroppo siamo tornati all'anno zero.

mercoledì 5 dicembre 2007

Il governo è nudo e... fuori fa freddo!

Che il governo dell’Unione abbia fallito è un dato di fatto. Non bisognava scomodare il Presidente della Camera Fausto Bertinotti per prendere atto che la spinta propulsiva del centrosinistra si è ormai esaurita. Troppe le tessere del mosaico progettato due anni fa con il programmone di 281 pagine che non sono andate al posto giusto.
Due finanziarie incolori, nessuna riforma di ampio respiro, le difficoltà economiche che stanno minando la capacità di resistenza di milioni di famiglie italiane, una politica estera sospesa tra grandi speranze e l’amara realtà di una guerra al fianco dell’alleato americano ormai incomprensibile, una questione giustizia che dopo il passo falso dell’indulto ha fatto capire a tutti che la politica si chiude a riccio in difesa dei potenti e dei privilegi della casta.
L’attacco frontale mosso a Clementina Forleo e Luigi De Magistris ha segnato l’ultimo passaggio di una stagione politica assai deludente che oramai non ha più molto da dire.
Il battesimo del Partito Democratico di Walter Veltroni dimostra poi che l’asse politico di Prodi è stato scavalcato dal suo maggiore alleato il quale, mentre il Professore geste il quotidiano incassando una gragnuola di colpi da ogni parte, intesse relazioni con Berlusconi in vista della riforma elettorale e dello sbocco naturale di nuove elezioni.
Insomma il governo politico dell’Unione si sta trasformando, senza che nessuno lo dica apertamente, in un governo istituzionale che sopravvive soltanto grazie alla speranza di apportare quei ritocchi alla legge elettorale e, magari, a qualche organo costituzionale prima del definitivo rompete le righe.
Del resto lo stesso Veltroni, a leggere le sue dichiarazioni di queste ore, non ha contestato il merito dell'esternazione di Bertinotti sull’esito crepuscolare del governo Prodi; ne ha semplicemente criticato la scelta dei tempi che potrebbe compromettere la fragile trama delle riforme che sta faticosamente imbastendo con il Cavaliere.
Intanto Prodi, quasi solo a Palazzo Chigi, deve affrontare le sfide sociali di questo terribile autunno con benzina e tassi d’interesse alle stelle.
Insomma, non scopriamo niente di nuovo se diciamo che in questo rigido autunno il governo di centro sinistra è nudo.

mercoledì 31 ottobre 2007

Politica, giornalismo e magistratura

Ennesimo editoriale di D’Avanzo sulla questione De Magistris - Mastella - Forleo.
Ancora una volta la accosta indebitamente alla stagione della Palermo di Falcone e Borsellino: nessuno glielo ha chiesto, nessuno dei protagonisti ha osato fare questo confronto quasi sacrilego ma lui, improvvisamente inviato speciale a bordo della sua macchina del tempo, è cocciutamente intenzionato a proporlo; a parte il pessimo gusto dell’operazione, è proprio l’obiettivo della stessa ad essere sciagurato.
Già risulta impegnativo per chi scrive ricordare senza retorica ma con eterna riconoscenza questi due eroi dell’Italia repubblicana (eroi per quello che hanno fatto nella loro vita di magistrati e di uomini dello Stato, non per l’ipocrita incensatura postuma che molti aspri detrattori delle loro iniziative giudiziarie si sono poi affrettati a fare; spesso anche in disprezzo della verità, costruendo leggende metropolitane come quella secondo la quale Paolo Borsellino non parlava mai ai media); si pensi poi quanto sia impervio, pericoloso, moralmente deplorevole, violarne la memoria per ridicolizzare le vicende giudiziarie attuali e gettare discredito sui protagonisti di oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Sul caso dell’inchiesta Why not tolta al pm di Catanzaro, il giornalista Giuseppe D’Avanzo si mantiene sulle generali ritenendo che “se si conserva la testa fredda […] ci siano tutte le condizioni per convincere De Magistris a evitare allarmi e proclami a vantaggio di una responsabile riservatezza.”
Poi passa ad affrontare il caso di Clementina Forleo con la quale, come tutti hanno avuto modo di rendersi conto leggendo il suo editoriale del 6 ottobre, forse deve avere qualche conto in sospeso.
Ricordate? La accusò inopinatamente di riferirsi a Massimo D’Alema quando aveva parlato nella trasmissione di Michele Santoro, Anno Zero, dei tanti don Rodrigo del Sud: fu una goffa difesa d’ufficio, non solo non richiesta dal presidente dei DS ma anche ingenuamente infamante nei suoi confronti.
Il fatto che il gip milanese abbia rivelato di essere stata soggetta a pressioni dai livelli istituzionali durante l’inchiesta Antonveneta-Bnl del 2005 e che oggi non si senta protetta dallo Stato è considerato da D’Avanzo un affare “molto bizzarro” anche se, ne conviene, esso “chiede di essere illuminato in fretta”.
Cita l’art. 331 del codice di procedura penale sull’obbligo della Forleo di farne denuncia per le vie di rito, auspicando comunque che qualcuna delle autorità giudiziarie preposte le imponga a riguardo di stendere una relazione di servizio.
Riconosce, comunque, che pur “ossequiente alla legge” il giudice Forleo potrebbe essere stata esitante nell’osservarla in tale occasione vista l’ostilità dell’ambiente istituzionale; ma egli aggiunge che è arrivato il tempo in cui “ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese”.
Fin qui niente da eccepire anche se il tono usato dal giornalista non convince pienamente.
Poi dà le pagelle: “bene” il Csm che, dopo le dichiarazioni di Clementina Forleo, ha aperto un fascicolo; “male, malissimo” l’Arma dei carabinieri che non dà seguito alle denunce della Forleo. Ma allora, viene spontaneo chiedersi, il gip milanese le denunce le ha fatte o no?
Risparmiandoci la lettura dell’art. 331 del codice, non si dovrebbe partire proprio da quelle denunce per ricostruire il clima di intimidazione in cui il magistrato milanese è costretto a vivere dopo i suoi pronunciamenti sulle scalate Antonveneta – Bnl?
Che non si stesse occupando propriamente di una lite condominiale, d’altronde, è dimostrato dal succedersi a seguito di quell’inchiesta di settimane difficili nel mondo politico e finanziario italiano, sfociate nelle dimissioni del governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Come nell’infortunio occorsogli nell’editoriale in cui ha tirato in ballo del tutto a sproposito D’Alema, D’Avanzo pecca ancora una volta di presunzione e, vestendo i panni dell’uomo di legge che guarda dall’alto in basso la Forleo, stabilisce su due piedi che le lamentate presunte pressioni istituzionali configurino sicuramente una fattispecie di reato da perseguire d’ufficio.
Ma, un passo più in là, il giornalista di Repubblica mostra di non credere più di tanto a questa ipotesi perché a parte “il goffo agitarsi di Clemente Mastella” non esiste, a suo dire, un conflitto magistratura-politica:“si può prendere atto che negli uffici giudiziari, nelle forme associate della consorteria togata, nel suo organo di autogoverno, in Parlamento, nel governo, la temperatura dei rapporti tra i due poteri è nei parametri”.
Come a lasciare intendere: di cosa vogliamo discutere, dell’aria fritta?
E, a questo punto, parte l’ultimo affondo: “E se nulla di davvero rilevante ci sfugge, per quanto tempo dobbiamo essere imprigionati in una recita a soggetto, per di più con l’indecorosa evocazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?”
Che brutto finale! Facendosi scudo della memoria di due eroi, ha preconfezionato la sua invettiva, stile stagione dei veleni, concedendosi l’attenuante di un “se” per possibili future virate.
Ed ancora una volta a farne le spese su uno dei principali organi della carta stampata è il magistrato Clementina Forleo; a cui non è data purtroppo possibilità di replica senza sollevare ulteriori pretestuose polemiche.
Il clamore di questi giorni? Anche su questo, D’Avanzo non ha dubbi: è “emotività di teatri televisivi di incerta informazione che non danno conto della realtà ma preferiscono simularla”.
Invece di chiedere doverosamente scusa a Michele Santoro per gli insulti gratuiti e insensati di qualche settimana fa (editoriale su Repubblica del 6 u.s.), ha ancora l’impudenza di reiterare i suoi messaggi barbarici.
Ogni commento a questo punto è superfluo.
Fonte: Il paragone impossibile con Falcone e Borsellino

venerdì 26 ottobre 2007

Il richiamo della casta

Sempre interessante la puntata di Anno Zero di ieri sera, di nuovo dedicata al delicato tema della giustizia: in trasmissione quasi gli stessi protagonisti della puntata di venti giorni fa, il giudice Clementina Forleo e il sostituto procuratore Luigi De Magistris, insieme con il docente di procedura penale Vittorio Grevi.
L’argomento è sempre di stringente attualità visto che in tre settimane di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, come sappiamo.
Resta in sospeso il nodo della questione: se il pm dell’inchiesta Why not possa riprendere a lavorare sulle carte che in fretta e furia, con l’avocazione del procuratore facente funzioni Dolcino Favi, hanno preso la via di Roma, destinazione Tribunale dei ministri.
E’ inutile ritornare sul merito della vicenda che è ormai abbastanza chiara a tutti, grazie proprio a trasmissioni come quella di Santoro: il potere politico, quando si sente sotto la lente di osservazione della magistratura, reagisce d’istinto scompaginando le carte di chi indaga.
Adesso abbiamo una certezza in più: nel finto bipolarismo italiano, ciò accade sia con il governo di centrodestra che con quello di centrosinistra; ovvero, cambiando l’ordine dei partiti insediati al governo, il risultato per la giustizia italiana non muta!
E’ una specie di regola non scritta: la definiremo il richiamo della foresta, o meglio, della casta.
La stagione dei girotondi è finita da un pezzo ma qualcuno nel nuovo Partito Democratico dovrebbe spiegarci perché se era giusto sfilare di fronte al Palazzo di Giustizia di Milano nel 2002, ora è politicamente scorretto farlo a Catanzaro.
Ed infine, perché nessuno ha ancora provveduto a sostituire la scassata macchina blindata al pm De Magistris, che da mesi ha fatto presente che funziona peggio della 313 di Paperino?
Il tesoretto, guarda un po’, potrebbe in minima parte essere destinato proprio alla sicurezza dei magistrati più esposti nella lotta alla criminalità ed allo sperpero di denaro pubblico.
Se non vi provvedono immediatamente i ministri dell’Interno o quello della Giustizia, ministro Padoa Schioppa... pensaci tu!
In tempi difficili come quelli della legge finanziaria, la scelta potrebbe rivelarsi conveniente proprio per l’equilibrio dei conti pubblici.

sabato 6 ottobre 2007

D'Avanzo ad alzo zero contro Annozero

Purtroppo tutto ci saremmo attesi tranne che il giornalista Giuseppe D'Avanzo, dopo aver abbandonato da qualche parte il suo solitamente ricco taccuino di scoop con cui ha infarcito memorabili inchieste su Repubblica, abbandonasse le vesti di inquirente per conto del giornale di piazza Indipendenza per indossare i panni di fustigatore dell'informazione televisiva.
L'obiettivo però non è stato quello di mettere alla berlina i famosi panini confezionati per tradizione dal TG1 o da qualche notiziario Mediaset e che ogni giorno ammorbano l'aria rendendoci impossibile la visione del telegiornale.
No, questa volta si è diretto ad alzo zero contro Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero, definendola una barbarie, consultando anche il vocabolario per gridarlo meglio.
Parte dal caso De Magistris, accusando il ministro Mastella, promotore del deferimento del magistrato di Catanzaro, di non essersi fatto scappare l'occasione di "infilzare"De Magistris con un'indiavolata sollecitudine e a chiedere al Consiglio - senza alcuna seria urgenza - il trasferimento del pubblico ministero per "gravi violazioni deontologiche"; per poi affermare che "In questa cornice, dovrebbe essere intelligibile per chiunque "il bene" che chiede protezione in quest'affare: l'autonomia di una funzione giudiziaria rispettosa delle regole".
Come a dire che Santoro faceva bene a non parlare della questione. Il perchè è lasciato del tutto all'oscuro anche se D'Avanzo prova a farfugliare un po' di frasi fatte senza troppa convinzione: "Se una giustizia condizionata o minacciata dal potere non è giustizia (l'indipendenza è il presupposto dell'imparzialità del magistrato), non è giustizia nemmeno quando si manifestano prassi in cui prevale una logica dell'efficienza coniugata alla facile idea che per la salus rei publicae bisogna guardare al reo dietro il reato, anche a costo di sacrificare il principio di stretta legalità".
Che cosa vuole farci intendere con un ragionamento tanto bislacco? Che dà per scontato che il pm De Magistris abbia violato la legge nella sua foga giustizialista contro Mastella? Ma non ha appena riferito dell'indiavolata sollecitudine del ministro di infilzare il magistrato senza alcuna seria urgenza?
Male, malissimo, D'Avanzo: una rilettura del pezzo prima della rotativa sarebbe stata indispensabile...
Ma il meglio D'Avanzo lo riserva nella parte centrale dell'editoriale: prima critica la scelta di confrontare la crisi calabrese con i veleni palermitani degli anni Ottanta accusando Santoro di aver compiuto "un errore di prospettiva" (ma su questo ciascuno, ragionevolmente, può avere l'opinione che vuole perchè non c'è nessuno, fino a prova contraria, che possa rilasciare la certificazione DOC alle stagioni criminali); poi punta a testa bassa sul giudice Clementina Forleo, colpevole di aver auspicato, come qualunque persona onesta e sana di mente riterrebbe, che il Sud si liberi dei suoi Don Rodrigo.
Per D'Avanzo l'equazione è chiara: poichè la Forleo è pugliese e D'Alema, di cui lei ha chiesto al Parlamento di utilizzare le intercettazioni con Consorte per la scalata Unipol, è stato eletto in Puglia, l'allusione a Don Rodrigo è sicuramente riferita allo stesso D'Alema.
Un po' come dire che poichè D'Avanzo è un giornalista, tutti quelli che portano il suo cognome sono giornalisti.
Complimenti: questa sì che è barbarie intellettuale!
Ma D'Avanzo ancora non è contento: dopo aver erroneamente attribuito alla giudice Forleo una critica ai suoi illustri colleghi di Milano (a questo punto dell'articolo è ormai chiaro per il lettore che D'Avanzo, chissà perchè, ha il dente avvelenato contro questo magistrato), si scaglia contro Santoro.
Lo accusa di aver organizzato "una trasmissione che rende incomprensibile la materia del contendere" (finalmente ammette di non averci capito niente, salvo poi scriverci sopra un fiume di parole insulse e livorose) e di avere preconfezionato una tesi del tutto errata: di ritenere, cioè, che il ministro Mastella, di fronte al disastro giudiziario calabrese, doveva guardare alla sostanza dell'operato di De Magistris, non ai suoi eventuali errori formali.
Ci siamo, D'Avanzo ormai ragiona come un giudice ammazzasentenze, di quelli che annullavano una condanna all'ergastolo perchè mancavano i bolli.
Si esprime esattamente come uno dei tanti azzeccagarbugli del Cavaliere; eccone una perla: "...quanti orrori possono accadere quando un magistrato arriva al massimo dell'indignazione e, in nome della giustizia, pretende un castigo e, se non lo ottiene, avvia un ciclo di ritorsioni."
Ma non è ancora finita: senza guardarsi allo specchio, accusa en passant Marco Travaglio di disinformazione per poi affondare il colpo ancora una volta contro Santoro dando un giudizio conclusivo sul suo programma; giudizio che, guarda un po', calza a pennello per il suo editoriale: "notizie alquanto confuse, disinformazione; non c'è alcuna conoscenza, soltanto un distillato di veleni in un quadro culturale che ignora le ragioni della democrazia e le convenienze dello Stato di diritto".
Chiosa D'Avanzo: "Annozero, viene da dire, è stato soltanto un passo verso il suicidio collettivo".
Sarà, ma in questa occasione è proprio lui che, in un pericoloso mix tra arrogante narcisismo, cieco furore e ordini di scuderia, ha dato una pessima prova di giornalismo.

Fonte: Repubblica del 6/10/07

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/pm-catanzaro/santoro-messaggi-barbarici/santoro-messaggi-barbarici.html

venerdì 5 ottobre 2007

A chi giova imbavagliare la Rai?

Che Mastella non sia una grande ministro di giustizia gli elettori dell'Unione lo hanno sempre sospettato.
Che forse sarebbe stato più adatto in questo ruolo magari nel governo Berlusconi concordano tutti, sia a destra che a sinistra: in fondo il suo partito, l'Udeur, non potrebbe benissimo stare nella maggioranza di centrodestra?
Ma che sia ormai da settimane nell'occhio del ciclone nessuno lo poteva prevedere. Certo, per diventare una star della cattiva politica oltre le circostanze (il fenomeno Grillo) c'ha messo del suo: indubbiamente... il talento c'è!
Sarebbe inutile snocciolare quella serie ininterrotta di discutibili iniziative che ha al suo attivo in pochi mesi: senza scomodare l'indulto o la riforma che porta il suo nome, basti pensare alla recente richiesta di trasferimento cautelare del pm De Magistris avanzata al CSM ed in discussione lunedì prossimo.
Al di là dei rilievi formali che gli vengono contestati, suona strano che tanto zelo il ministro della giustizia lo dimostri proprio nei confronti del magistrato che, quasi in perfetta solitudine, ha scoperchiato il vaso di Pandora di uno dei tanti intrecci politico-affaristico-mafiosi esistenti in una Calabria consegnata in larga misura alle cosche criminali (possibile che già nessuno si ricordi più della strage di Ferragosto a Duisburg?).
Eppure, nonostante la gravissima situazione di degrado in cui versano gli uffici giudiziari calabresi (così bene rappresentata nella puntata da Locri W l'talia in diretta di Riccardo Iacona, nel luglio scorso) il ministro non trova niente di meglio che intralciare il lavoro di uno di quei pochi giudici che in quelle terre difficili combatte la battaglia dello Stato per il ripristino di un minimo di legalità e di agibilità democratica, condizione indispensabile per avviare finalmente un sano processo di sviluppo economico.
Sarebbe sì o no interesse e responsabilità del Governo conoscere che fine hanno fatto i milioni di euro stanziati per la costruzione dei depuratori e di cui in Calabria non s'è vista nemmeno l'ombra? Ed ancora, sarebbe opportuno accertare quale virulenza abbia avuto il comitato d'affari che in Basilicata da decenni condiziona pesantemente la vita pubblica?
Nessuno vuole processare Mastella sulla pubblica piazza, come egli dice di temere, ma il ministro e la compagine governativa di cui fa parte non possono sottrarsi al vaglio della pubblica opinione su temi tanto delicati, a maggior ragione se le indagini della magistratura sfiorano esponenti del Governo in carica: anche perchè, in tale situazione d'allarme sociale, qualcuno dovrebbe spiegarci per quale ragione criticare nella piazza televisiva il modus operandi di un ministro sarebbe politicamente scorretto.
Il problema non è certo la trasmissione televisiva Annozero di Michele Santoro: con chi può prendersela Mastella se non con se stesso quando il sottosegretario intervenuto difende il suo operato con argomentazioni capziose e cavilli da Azzeccagarbugli?
Come non condividere allora il grido di allarme del giudice Clementina Forleo: "Noi giudici siamo lasciati soli contro i tanti don Rodrigo al Sud".
O forse l'editto bulgaro di Berlusconi contro Biagi, Santoro e Luttazzi trova nell'attuale maggioranza dei nuovi insospettati sostenitori?
E' a tutti chiaro che ad un anno e mezzo dall'insediamento del governo Prodi neppure la tanto sbandierata sterzata sui temi della giustizia e dell'etica pubblica c'è stata; anzi, sono stati fatti alcuni passi indietro: se a destra la cosa non turba più di tanto, sull'altra sponda tutto ciò ha generato sconforto e grande rincrescimento tra gli elettori.
E di fronte a tanto sdegno che sale da ogni angolo del Paese non si può certo rispondere imbavagliando la Rai: pensare di poter mettere a tacere tutto oscurando le trasmissioni e i giornalisti scomodi è l'ennesimo peccato di presunzione di questa classe politica, incredibilmente sorda ai bisogni, ormai gridati, di una società civile in grande sofferenza.