Attacco senza precedenti di Eugenio Scalfari contro il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Non ha atteso come suo solito la domenica per infliggerci le sue petulanti prediche.
Questa volta senza tanti giri di parole ha costruito senza se e senza ma (come ama arbitrariamente e con un pizzico di beffarda ironia attribuire al pensiero politico del leader di Rifondazione) un intero pezzo contro Bertinotti.
E’ un affondo senza precedenti: raramente si è visto sulla stampa qualcosa del genere.
Forse mai dalle colonne di uno dei massimi quotidiani italiani.
E’ un giudizio senza appello che tradisce una ruggine sicuramente non nata ieri; per uno che si autoprofessa di cultura liberale, non è proprio il massimo dei risultati lanciare una sorta di avvertimento a mezzo stampa alla terza carica dello Stato alla cui elezione, è chiaro, a distanza di un anno e mezzo Scalfari ancora non si è rassegnato: o si dimette o deve tacere.
Pare impossibile, ma al lettore lo fa intendere chiaramente! Ecco la perla scalfariana [1]:
"Quanto alla crisi istituzionale, è evidente che essa deve essere immediatamente ricomposta. Sulla carta ci sono due modi di affrontarla: le dimissioni di Bertinotti dalla presidenza della Camera oppure una sua stagione di stretto riserbo politico nei limiti d'uno scrupoloso esercizio del suo ruolo istituzionale. La prima soluzione - quella delle dimissioni - è di gran lunga la peggiore. Aggraverebbe drammaticamente la crisi anziché risolverla; forse sarebbe possibile in un Paese diverso e in una diversa situazione. La seconda dunque è in realtà la sola strada, ma deve avere rilievo pubblico, deve essere esplicita e non implicita.
Questa volta senza tanti giri di parole ha costruito senza se e senza ma (come ama arbitrariamente e con un pizzico di beffarda ironia attribuire al pensiero politico del leader di Rifondazione) un intero pezzo contro Bertinotti.
E’ un affondo senza precedenti: raramente si è visto sulla stampa qualcosa del genere.
Forse mai dalle colonne di uno dei massimi quotidiani italiani.
E’ un giudizio senza appello che tradisce una ruggine sicuramente non nata ieri; per uno che si autoprofessa di cultura liberale, non è proprio il massimo dei risultati lanciare una sorta di avvertimento a mezzo stampa alla terza carica dello Stato alla cui elezione, è chiaro, a distanza di un anno e mezzo Scalfari ancora non si è rassegnato: o si dimette o deve tacere.
Pare impossibile, ma al lettore lo fa intendere chiaramente! Ecco la perla scalfariana [1]:
"Quanto alla crisi istituzionale, è evidente che essa deve essere immediatamente ricomposta. Sulla carta ci sono due modi di affrontarla: le dimissioni di Bertinotti dalla presidenza della Camera oppure una sua stagione di stretto riserbo politico nei limiti d'uno scrupoloso esercizio del suo ruolo istituzionale. La prima soluzione - quella delle dimissioni - è di gran lunga la peggiore. Aggraverebbe drammaticamente la crisi anziché risolverla; forse sarebbe possibile in un Paese diverso e in una diversa situazione. La seconda dunque è in realtà la sola strada, ma deve avere rilievo pubblico, deve essere esplicita e non implicita.
Non si deve certamente chiedere a Bertinotti ciò che nessun politico è disposto a dare, non gli si può chiedere di smentire se stesso. Ma si ha ragione di chiedergli che dica che d'ora in avanti non farà più esternazioni politiche visto che esse provocano disagio e contrasti accrescendo la confusione.[…]Mai come in questa occasione l'arbitro non può giocare in campo con i giocatori, né nella forma né nella sostanza. Perciò si turi le orecchie, si bendi gli occhi e abbia di mira esclusivamente la corretta applicazione del regolamento parlamentare.”
Che un giornalista, sia pure il fondatore di un giornale diventato nei fatti un organo di partito, arrivi ad usare parole così sprezzanti e dure nei confronti di una carica istituzionale, al di là del merito delle questioni sollevate, è l’ennesima grave anomalia della democrazia italiana.
Ormai la vita istituzionale del nostro Paese non si svolge più nei luoghi deputati dalla Costituzione a tale funzione ma molto più incisivamente nelle direzioni dei media che, fino a prova contraria, non sono propriamente incarichi elettivi.
Contribuendo, tra l’altro, alla paralisi politica e a quel caos istituzionale che è sotto gli occhi di tutti.
Che un giornalista, sia pure il fondatore di un giornale diventato nei fatti un organo di partito, arrivi ad usare parole così sprezzanti e dure nei confronti di una carica istituzionale, al di là del merito delle questioni sollevate, è l’ennesima grave anomalia della democrazia italiana.
Ormai la vita istituzionale del nostro Paese non si svolge più nei luoghi deputati dalla Costituzione a tale funzione ma molto più incisivamente nelle direzioni dei media che, fino a prova contraria, non sono propriamente incarichi elettivi.
Contribuendo, tra l’altro, alla paralisi politica e a quel caos istituzionale che è sotto gli occhi di tutti.