lunedì 24 dicembre 2007

Gli "omaggi" natalizi di Scalfari alla Forleo

Nel sermone natalizio di domenica 23, Eugenio Scalfari attacca a fondo il giudice di Milano Clementina Forleo (1):
“Una magistratura che ricama sgorbi sulle sue toghe aggrappandosi al cavillo della norma senza capacità né voglia di coglierne la sostanza. Magistratura pubblicitaria, così dovrebbe chiamarsi la parte ormai largamente diffusa che insegue la propria visibilità non meno dei Diliberto e dei Mastella.
La vicenda Forleo è il sintomo palese di questa devastazione pubblicitaria che sta sconvolgendo l'Ordine giudiziario e, con esso, il corretto esercizio della giurisdizione. Ho grande rispetto per Franco Cordero, nostro esimio collaboratore, e capisco anche le motivazioni giuridiche che l'hanno indotto a difendere il Gip milanese.
Secondo me quel Gip andrebbe censurato dal Csm non per la procedura che ha seguito ma per l'esibizione di volta in volta vittimistica e sguaiata, con la quale ha invaso teleschermi e giornali. Disdicevole. Aberrante per un magistrato. Falcone, tanto per dire, non ha mai usato quel metodo né lo usarono il magistrato Alessandrini, l'avvocato Giorgio Ambrosoli e tutti coloro che del mondo della giustizia caddero sotto il piombo del terrorismo o della mafia.”
Grande Scalfari! Non ne fa più una questione di rispetto delle procedure o di improprietà dell’attività giudiziaria del gip di Milano.
Come potrebbe d’altronde?
Il giurista Franco Cordero bolla le motivazioni che hanno spinto il Csm a chiedere il trasferimento della Forleo come del tutto inconsistenti e paralogiche; nella trasmissione di Michele Santoro di giovedì scorso, l’insigne studioso dice testualmente: “L’atto d’accusa nei confronti della dottoressa Forleo è fondato su argomenti che valgono pochissimo; potrei anche usare parole più brutali e dire che non valgono niente.”
Per questo il fondatore di Repubblica è costretto a fare marcia indietro sul merito delle accuse e la mette folcloristicamente sul piano della presunta sguaiatezza del giudice Clementina Forleo nelle sue ripetute invasioni mediatiche: sarebbe questo il vero motivo, per Scalfari, della necessità di una censura da parte del Csm.
Un’assurdità che si commenta da sola.
Ma per dimostrare la validità del suo bel ragionamento egli cita uomini di legge come Falcone, Alessandrini e Ambrosoli che non hanno inseguito la visibilità mediatica e che sono caduti sotto i colpi di mafia e terrorismo.
Purtroppo Scalfari non si rende conto che è proprio da quella illustre ed eroica esperienza che discende la necessità per magistrati come Clementina Forleo e Luigi De Magistris di gridare ai quattro venti il boicottaggio patito e l’isolamento in cui sono caduti ad opera delle istituzioni da quando si sono trovati tra le mani inchieste scottanti: una sorta di polizza assicurativa sulla vita fondata semplicemente sulla propria visibilità mediatica.
Purtroppo è questa la situazione in cui si trovano ad operare i magistrati più coraggiosi in un’Italia dominata dalle consorterie e incupita da una scia di sangue che ha intimidito i tutori della legge per decenni e su cui non è mai stata fatta luce fino in fondo.
Come è possibile che un navigato giornalista come Scalfari non si renda conto di quale pesante eredità ci sia tramandata dai mille misteri italiani ancora insoluti?
La devastazione pubblicitaria di cui egli blatera è purtroppo l’inevitabile conseguenza di quel clima e della guerra, questa sì rovinosa perché senza esclusione di colpi, che la politica con rare eccezioni ha apertamente dichiarato alla magistratura dall’epoca di Mani pulite.
Eppure il grande giornalista non sembra si sia scandalizzato quando a seguito della ormai famosa ordinanza del Gip Forleo l’onorevole Massimo D’Alema così sguaiatamente commentava (cfr. citazione di Marco Travaglio in Anno Zero del 20 u.s.)": “Che monnezza, che schifo la magistratura si comporta in modo inaccettabile; forse li abbiamo difesi troppo questi magistrati ma ora dobbiamo reagire. E’ una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Siamo ancora uno stato di diritto? Non vedo alcuna ragione di giustizia, deve esserci sotto dell’altro… io ho qualche idea, prima o poi bisogna tirarla fuori”; oppure quando diceva: “Siamo fuori dallo stato di diritto. E’ pazzesco: quel Gip fa cattiva letteratura, crocifigge un cittadino, fa saltare per aria il sistema democratico. Perché questa vecchia immondizia rispunta fuori proprio ora?”
Quello in cui vive il fondatore di Repubblica probabilmente non è lo stesso paese in cui tutti noi siamo costretti a vivere sotto la cappa di formidabili poteri occulti, in un intreccio perverso di politica, affari e criminalità, che caratterizza senza soluzione di continuità periodi importanti di vita repubblicana.
E poi finiamola una buona volta col minimizzare quanto avvenuto tra la primavera e l’estate di due anni fa: quello fu il tentativo, abortito solo perché inopinatamente emerso alla luce del sole, di due scalate bancarie parallele ma entrambe illegali che si sostennero vicendevolmente grazie al tifo fazioso delle due principali forze politiche di allora.
Ce n’è abbastanza, al di là delle risultanze giudiziarie, per mandare a casa l’intera classe dirigente di quei due partiti.
E invece no, gli sciagurati protagonisti di quella stagione sono ancora lì a fare il bello ed il cattivo tempo, a dettare ancora l’agenda politica del nostro Paese.
Ecco perché, caro Scalfari, la gente come dice Lei, è schifata: perché già sa che, gattopardescamente, niente cambierà né alla Rai né in qualunque altro presidio pubblico occupato militarmente dalla politica.
E quella telefonata intercettata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi sarà pure stomachevole ma è tutt’altro che sorprendente o inaspettata, al di là dell’opinione che si ha dei protagonisti: al bando l’ipocrisia, fotografa in modalità macro l’ordinario degrado morale della nostra classe dirigente.
Malauguratamente non si intravede all’orizzonte niente che possa toglierci rapidamente dalle sabbie mobili in cui il nostro sistema politico istituzionale è precipitato da tempo.
L’altra sera ad Annozero, in una meritoria puntata in cui Michele Santoro ha finalmente rivelato al grande pubblico televisivo come sembrino pretestuose ed inconsistenti le carte del Csm contro la Forleo, abbiamo potuto sentire la cosiddetta nuova politica rappresentata dal leader della Sinistra Giovanile criticare aspramente l’ordinanza emessa nel luglio scorso dal giudice Clementina Forleo, usando le stesse logore argomentazioni a suo tempo usate dai difensori e luogotenenti di Berlusconi: davvero un pugno nello stomaco per chi crede che i giovani possano rappresentare l’asso nella manica di un paese che, giustamente, al di là dell’Atlantico viene visto triste ed immobile.
Perché dei replicanti di D’Alema, Fassino, Mastella, ma anche degli emuli in erba di Berlusconi e Fini, questo paese non solo non sente la necessità ma addirittura ne teme lo shock anafilattico.
Ciò non toglie che la nostra democrazia ha un bisogno vitale di ricostruire efficaci processi di selezione della propria classe dirigente: magari fosse solo questione di legge elettorale!
E’ un intero sistema di reclutamento delle forze migliori, di nuovi talenti, di energie ideali che va ricostruito dalle fondamenta.
Che cosa possa innescare questo processo virtuoso è difficile dirlo: forse la rabbia montante tra i cittadini indignati dallo schifo della vita pubblica, proprio quello sottolineato dal predicozzo dell’antivigilia di Natale su Repubblica, può segnare l’alba di una nuova Italia.
Ma, allo stato delle cose, più che una speranza questo è piuttosto un pio desiderio.
(1): la Repubblica.it del 23/12/2007

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