Nell’editoriale di fine anno, Eugenio Scalfari descrive da par suo l’anno che si chiude all’insegna della disaffezione generale nei confronti della politica.
Ad onore del vero, non cita direttamente la parola politica, omettendola quasi per pudore; ma è chiaro che anche per lui non sia molto facile archiviare un anno avaro di soddisfazioni per gli Italiani che guardano alla vita pubblica.
Sommessamente, affronta il tema alla larga e parla di distacco considerandolo un fenomeno di costume piuttosto che una degenerazione del nostro sistema politico; inizia così:
Ad onore del vero, non cita direttamente la parola politica, omettendola quasi per pudore; ma è chiaro che anche per lui non sia molto facile archiviare un anno avaro di soddisfazioni per gli Italiani che guardano alla vita pubblica.
Sommessamente, affronta il tema alla larga e parla di distacco considerandolo un fenomeno di costume piuttosto che una degenerazione del nostro sistema politico; inizia così:
“Il 2007 si chiude. E' stato l'anno del distacco. Se vogliamo sintetizzarne l'elemento dominante rispetto a tutti gli altri, questo si impone per la sua coralità, al Sud come al Nord, tra gli uomini e tra le donne, tra i giovani e i vecchi: distacco, indifferenza, riflusso.
Insicurezza. Precarietà psicologica prima ancora che professionale.
Sensazione di impoverimento, in basso come in alto. Perdita di senso. Quando una società si ripiega su se stessa e si rifugia nel suo privato, scompare uno dei suoi requisiti essenziali che è appunto quello della socievolezza. Subentra solitudine. La scelta di fare da sé alla lunga non paga se non c'è più lo sfondo pubblico entro il quale collocare il proprio talento e la propria intraprendenza.
L'anno che sta per chiudersi è stato terribile da questo punto di vista, ma ci consegna almeno quest'insegnamento: la dimensione privata distaccata da quella pubblica non produce ricchezza morale né materiale.
Siamo diventati amorali e asociali. Fiori finti invece che fiori freschi, senza profumo, senza polline, senza miele.”
Insicurezza. Precarietà psicologica prima ancora che professionale.
Sensazione di impoverimento, in basso come in alto. Perdita di senso. Quando una società si ripiega su se stessa e si rifugia nel suo privato, scompare uno dei suoi requisiti essenziali che è appunto quello della socievolezza. Subentra solitudine. La scelta di fare da sé alla lunga non paga se non c'è più lo sfondo pubblico entro il quale collocare il proprio talento e la propria intraprendenza.
L'anno che sta per chiudersi è stato terribile da questo punto di vista, ma ci consegna almeno quest'insegnamento: la dimensione privata distaccata da quella pubblica non produce ricchezza morale né materiale.
Siamo diventati amorali e asociali. Fiori finti invece che fiori freschi, senza profumo, senza polline, senza miele.”
La mancanza dello sfondo pubblico non è altro che la Caporetto della politica; sì perché, anche se Scalfari non lo dice, il 2007 è stato l’anno della casta, l’anno in cui i cittadini di ogni colore politico si sono resi conto di quale distanza siderale li separi dalla classe politica.
La sensazione sconfortante che fotografa l’anno che si chiude è che, spente le luci dei vari teatrini televisivi dove apparentemente se ne dicono di tutti i colori, i politici riconquistino d’un colpo la consapevolezza della propria identità di classe e difendano innanzitutto i loro privilegi in modo solidale e trasversale.
A rischio di essere tacciati di qualunquismo, la verità è che il riflusso che vede Scalfari non è altro che il comportamento riflesso di un’opinione pubblica che patisce pesantemente una crisi di rappresentatività, in un contesto economico sociale costellato di problemi da cui non riesce più a venir fuori soltanto con le proprie forze.
L’arena televisiva dei politici gladiatori in azione nei vari talk show ha stancato e non basta più a sopire un diffuso risentimento verso una classe dirigente tanto dispendiosa quanto il più delle volte inadempiente.
Per un Beppe Grillo che ha coraggiosamente raccolto il testimone di questo disagio di massa, ci sono molti altri cittadini che hanno gettato alle ortiche l’innata passione politica e si sono rifugiati nel privato per sconforto o protesta.
E’ giunto ora il momento di tornare o provare a parlare alla gente un linguaggio autentico, che rifugga l’applauso facile o lo share ma che sia in grado di formulare risposte sincere e chiare.
Poi ci si potrà pure dividere sulle tante questioni sul tappeto; ma è importante che i politici non recitino più a soggetto dando la sensazione di essere solo dei bravi imbonitori: lo stile da televendita ha fatto il suo tempo.
Chi decide di fare attività politica deve sapere che gli impegni che prende con i propri elettori non li può barattare per qualche poltrona più comoda o dimenticarli all’improvviso, soggiogato da qualche personalità carismatica; men che meno deve cedere alla tentazione del quieto buon vivere.
Faccia tosta e parlantina a stretto giro mediatico non fanno un politico, al massimo ne compongono la sua brutta copia.
Su questioni come legalità, giustizia sociale, sicurezza del lavoro e dei luoghi di lavoro, gestione delle forze dell’ordine, sviluppo ecosostenibile, politica estera, non si può continuamente arretrare rispetto agli obiettivi fissati in campagna elettorale, così che di un programma iniziale di quasi trecento pagine, se ne traducano in pratica sì e no dieci.
E’ senz’altro vero che la politica come arte di governare la società perseguendo il bene comune è anche arte della mediazione ma ciò deve avvenire, con tutti i limiti del caso, alla luce del sole come sintesi superiore di interessi diversi, chiaramente rappresentati nei luoghi costituzionalmente deputati al confronto democratico, cioè nelle aule parlamentari.
Non si può accettare che le riforme istituzionali vengano appaltate a singole personalità politiche in confronti vis à vis, lontani dalla ribalta mediatica e persino dal Parlamento che così viene svuotato di qualsiasi autorità.
Come ha detto recentemente lo scrittore Antonio Tabucchi, interpellato da Michele Santoro, questo sembra “il sistema di un catering: cioè si prepara il cibo fuori e poi si consuma nel Transatlantico dove viene siglato”.
Ma questa è la politica che rinnega se stessa. E davanti ai cittadini in questo finale di anno resta purtroppo soltanto la casta.
La sensazione sconfortante che fotografa l’anno che si chiude è che, spente le luci dei vari teatrini televisivi dove apparentemente se ne dicono di tutti i colori, i politici riconquistino d’un colpo la consapevolezza della propria identità di classe e difendano innanzitutto i loro privilegi in modo solidale e trasversale.
A rischio di essere tacciati di qualunquismo, la verità è che il riflusso che vede Scalfari non è altro che il comportamento riflesso di un’opinione pubblica che patisce pesantemente una crisi di rappresentatività, in un contesto economico sociale costellato di problemi da cui non riesce più a venir fuori soltanto con le proprie forze.
L’arena televisiva dei politici gladiatori in azione nei vari talk show ha stancato e non basta più a sopire un diffuso risentimento verso una classe dirigente tanto dispendiosa quanto il più delle volte inadempiente.
Per un Beppe Grillo che ha coraggiosamente raccolto il testimone di questo disagio di massa, ci sono molti altri cittadini che hanno gettato alle ortiche l’innata passione politica e si sono rifugiati nel privato per sconforto o protesta.
E’ giunto ora il momento di tornare o provare a parlare alla gente un linguaggio autentico, che rifugga l’applauso facile o lo share ma che sia in grado di formulare risposte sincere e chiare.
Poi ci si potrà pure dividere sulle tante questioni sul tappeto; ma è importante che i politici non recitino più a soggetto dando la sensazione di essere solo dei bravi imbonitori: lo stile da televendita ha fatto il suo tempo.
Chi decide di fare attività politica deve sapere che gli impegni che prende con i propri elettori non li può barattare per qualche poltrona più comoda o dimenticarli all’improvviso, soggiogato da qualche personalità carismatica; men che meno deve cedere alla tentazione del quieto buon vivere.
Faccia tosta e parlantina a stretto giro mediatico non fanno un politico, al massimo ne compongono la sua brutta copia.
Su questioni come legalità, giustizia sociale, sicurezza del lavoro e dei luoghi di lavoro, gestione delle forze dell’ordine, sviluppo ecosostenibile, politica estera, non si può continuamente arretrare rispetto agli obiettivi fissati in campagna elettorale, così che di un programma iniziale di quasi trecento pagine, se ne traducano in pratica sì e no dieci.
E’ senz’altro vero che la politica come arte di governare la società perseguendo il bene comune è anche arte della mediazione ma ciò deve avvenire, con tutti i limiti del caso, alla luce del sole come sintesi superiore di interessi diversi, chiaramente rappresentati nei luoghi costituzionalmente deputati al confronto democratico, cioè nelle aule parlamentari.
Non si può accettare che le riforme istituzionali vengano appaltate a singole personalità politiche in confronti vis à vis, lontani dalla ribalta mediatica e persino dal Parlamento che così viene svuotato di qualsiasi autorità.
Come ha detto recentemente lo scrittore Antonio Tabucchi, interpellato da Michele Santoro, questo sembra “il sistema di un catering: cioè si prepara il cibo fuori e poi si consuma nel Transatlantico dove viene siglato”.
Ma questa è la politica che rinnega se stessa. E davanti ai cittadini in questo finale di anno resta purtroppo soltanto la casta.
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