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giovedì 15 gennaio 2009

Un governo senza opposizione: il frutto avvelenato del bipolarismo all'italiana

Nel salotto televisivo di Ballarò, dove sfila la politica prêt à porter, per intenderci quella che dopo due ore di trasmissione regala al telespettatore solo sbadigli grazie ad un paludoso chiacchiericcio in cui affondano tutti, in primis i temi della puntata, martedì sera era di scena il leader del Partito democratico, Walter Veltroni.
Sparita la surreale spocchia di qualche mese fa, quando si inorgogliva elencando le sconfitte patite come fossero sue grandi invenzioni, sembrava un cane bastonato: con la solita litania del 25 ottobre ha rivendicato con scarsa convinzione il grande successo dell’adunata del Circo Massimo ma, è stato subito chiaro che, oltre all’entusiasmo, era a corto di argomenti per giustificare una leadership ormai giunta al capolinea.
Il simpatico Maurizio Crozza, nella sua arguta copertina, è riuscito a rinfacciargli in poche battute quello che nessuno tra gli intervenuti ha saputo fare.
Lo stesso pacatissimo Ferruccio De Bortoli (con tutt’altra nonchalance rispetto alla furia esibita nello stesso salotto nell’autunno 2007 allorché incalzava minaccioso l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti), pur orchestrandogli a lungo una sviolinata quasi imbarazzante, dall’alto del suo atteggiamento protettivo, è stato comunque costretto a rivelargli, udite udite, che in Italia sembra non esserci un’opposizione.
Ma invece di andare a parare su problemi concreti, quelli quotidiani degli Italiani, la trasmissione si è andata inopinatamente ad infilare nel vicolo cieco delle alleanze del Pd, in particolare quella con l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro.
Sul punto, tutti a fargli notare che quell’accordo elettorale è stato un grave errore, quasi Di Pietro, che della questione morale ha fatto una bandiera, fosse divenuto all'improvviso una cattiva compagnia.
Forse perché, di fronte ai tanti scandali che hanno visto coinvolti amministratori del Pd, parlare di questione morale a Veltroni è un po' come parlare di corda in casa dell’impiccato.
Sul punto, non a caso si è difeso dai rilievi del direttore di Panorama Belpietro, affermando che il Pd è meno peggio del Pdl: bella prova di orgoglio!
Purtroppo, il quadro politico italiano resta disperante: con un governo veramente modesto che, al massimo, sa gridare all’untore nei confronti degli immigrati ma, normalmente, non sa veramente dove sbattere la testa.
Diciamolo chiaramente: dopo sette messi di legislatura, la svolta economica del grande imprenditore si è rivelata un grande bluff.
La vicenda Cai – Alitalia oltre il danno (6 miliardi di euro??) aggiunge la beffa perché non salva neppure l’italianità della compagnia, ormai nell’orbita di Air France come titolano trionfalisticamente i giornali transalpini; è stata un ottimo affare solo per Colanino & c., finanziato obtorto collo dai contribuenti italiani.
La social card si è rivelata un mezzo boomerang per il grande creativo Giulio Tremonti e per i tanti malcapitati (sembra 200mila!) che si sono ritrovati alla cassa del supermercato dovendo lasciare lì i generi alimentari riposti nel carrello perché la tessera, nonostante tutti i requisiti di legge, non è mai stata caricata: neppure di quella miseria!
La crisi delle imprese si aggrava di giorno in giorno; l’occupazione crolla, gli stipendi non bastano più a coprire spesso neanche metà mese: ce n’è abbastanza per dipingere un quadro economico estremamente grave con un governo del tutto incapace di fronteggiarlo.
Sulla politica estera, poi, è meglio stendere un velo pietoso: il sostegno alla scelta del governo israeliano di bombardare Gaza è stato così cieco ed incondizionato da parte del ministro Frattini e di tutto il centrodestra che abbiamo dilapidato in poche settimane un inestimabile patrimonio di credibilità, frutto di un costante e attento lavoro diplomatico di oltre quarant’anni, che ci rendeva interlocutori privilegiati nel conflitto arabo-israeliano.
In un paese normale, a questo punto, l’opposizione alzerebbe la voce; in Italia, no, con un’oligarchia dentro il Partito democratico che pretende di capeggiare il grande malcontento popolare ma che, concretamente, è silenziosa e complice.
E’ questo il cosiddetto bipolarismo italiano, quello tanto vagheggiato da Walter Veltroni che, pur di realizzarlo a tambur battente, non ha esitato un attimo a sacrificare l’innovativa esperienza di governo di Romano Prodi.
L’unica cosa che ci ha regalato il bipolarismo Pd - Pdl è un frutto avvelenato: Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi che minaccia di fare scempio della Costituzione e del principio di divisione dei poteri ed un’opposizione penosamente in disarmo, che non si dà una mossa perché i suoi oligarchi sono convinti di restare conunque a galla.
Si può stare peggio di così?

domenica 31 agosto 2008

I capitani coraggiosi "soccorrono" Alitalia

Gli sviluppi della vicenda Alitalia sono per certi versi esemplari per comprendere fino in fondo come la nostra classe imprenditoriale concepisca due variabili fondamentali del liberismo economico: il rischio d'impresa ed il profitto.
Per i nostri veteroimprenditori, quest’ultimo viene prima di ogni altra cosa ed a questo principio generale la società civile deve ciecamente sottostare.
Il primo, cioè la particolare alea a cui ogni attività umana è soggetta ed alla quale, pertanto, neppure l’attività dell’imprenditore può sfuggire, deve essere azzerato. In uno slogan: minimo rischio, massimo profitto.
Il problema è che il profitto imprenditoriale trova la sua giustificazione teorica proprio nel fatto che, una volta remunerati tutti gli altri fattori della produzione, è necessario ricompensare l’imprenditore del particolare rischio sopportato per aver messo in piedi l’attività aziendale.
In altri termini la spiegazione del profitto è fatta risalire dalla scienza economica proprio alla caratteristica rischiosità dell’attività imprenditoriale: no risk, no profit.
La nostra classe imprenditoriale, nella sua componente più nobile è cresciuta invece nella convinzione che, forse per diritto di stirpe, deve massimizzare il profitto senza rischiare quasi nulla. Non è un caso che il capitalismo di casa nostra è un capitalismo familiare, premoderno, fondato sull’idea che l’imprenditorialità si trasmetta di generazione in generazione, senza nessun merito individuale, semplicemente per diritto ereditario.
Purtroppo questo è il desolante ritratto dei nostri capitani d’industria, con poche eccezioni, finchè non scendiamo di livello dimensionale ed andiamo a studiare la piccola e media impresa.
Qui le cose cambiano radicalmente perché, generalmente, la piccola e media impresa è abituata storicamente a fare da sola ed a confrontarsi senza rete sul mercato, rischiando in diretta e non in differita come troppo spesso fa la grande industria familistica.
Pertanto, pur se culturalmente la piccola media impresa mostra spesso di non esserne consapevole, di fatto gli interessi delle sorelle maggiori non hanno nulla a che vedere con quelli del nostro vasto e capillare tessuto imprenditoriale di realtà dimensionalmente più piccole ma molto più vivaci e dinamiche.
Il governo Berlusconi fa propri gli interessi della grande impresa che, a chiacchiere, invoca il libero mercato ma, nei fatti, chiede continuamente l’intervento pubblico per azzerare il proprio rischio d’investimento; lo slogan è semplice: privatizzare i profitti e socializzare le perdite.
Ecco che i cosiddetti capitani coraggiosi, così felicemente battezzati da un nostro famoso politico del PD ai tempi della famigerata scalata Telecom, sono molto più prudenti di quanto la politica (di destra ma anche di sinistra!) non voglia far credere.
Entrare in Alitalia? Certo, ma a patto che ne vengano scorporate tutte le passività e che rimanga per i difficili palati dei nostri finanzieri d'assalto soltanto il succo: naturalmente, per gli enormi debiti ci penserà lo Stato, cioè tutti i contribuenti a cui, continuamente, si ripete invece che, per mille altre necessità, non c’è un euro in cassa.
Eugenio Scalfari definisce la soluzione trovata per Alitalia un imbroglio, ancora più subdolo perché viene camuffato da intervento teso a difenderne l’italianità, cosa che invece è nei fatti già data per persa: “[…] sarà una svendita preceduta da un imbroglio. Le perdite allo Stato (cioè a tutti noi) i profitti ai privati, nazionali e stranieri. Un imbroglio che camuffa una svendita.”
Una lezione per tutti: per risanare la cosa pubblica, nulla di più sbagliato che affidarsi ad un grande imprenditore.