Nel domenicale del 27 gennaio, Eugenio Scalfari difende a spada tratta il leader del PD Walter Veltroni, negando che sia uno dei principali responsabili della crisi di governo.
Eppure i fatti parlano chiaro: certo, si sono sfilati dalla maggioranza Dini e Mastella e con loro una pattuglia di senatori; uno di questi è quel Barbato che si è reso sciagurato protagonista di un comportamento vergognoso contro il suo collega di partito nell’austera Aula del Senato al punto da farlo svenire sotto gli occhi delle telecamere, dimostrando a milioni di italiani di quale pasta siano fatti alcuni dei nostri rappresentanti nel massimo consesso parlamentare.
Uno sconcio per il nostro Paese rimbalzato via Internet in ogni angolo del pianeta. In un paese serio, costui sarebbe già stato espulso dal Parlamento.
Ma senza le stecche reiterate di Veltroni, probabilmente il patatrac del Professore non si sarebbe verificato adesso.
Perché la cosa più incredibile è che il governo Prodi non è caduto per aver sfiorato i suoi nervi scoperti: il tema giustizia con gli strascichi della vicenda Forleo e De Magistris, le leggi vergogna ancora tutte in vigore, la sempre rinviata legge sulle televisioni, la gravissima questione salariale, l’emergenza rifiuti in Campania.
A spazzarlo via purtroppo non è stato neppure il ciclone Beppe Grillo che tuttavia è divenuto in pochissimo tempo un fattore di cui, finalmente, bisognerà tener conto per gli sviluppi futuri della politica italiana.
Ed è anche ingenuo ritenere che l’agguato a Prodi sia dipeso dagli arresti domiciliari della moglie di Mastella: quell’episodio ne è stato un semplice pretesto, per giunta già rientrato, con la sua rimessa in libertà.
La vera ragione della crisi è stata il fallito tentativo di riforma della legge elettorale, affidato ai vertici Veltroni - Berlusconi, a cui hanno fatto seguito le improvvide dichiarazioni del sindaco di Roma secondo cui il partito democratico avrebbe corso da solo alle prossime elezioni.
Contenuto, forme e tempi scelti dal neosegretario del PD non avrebbero potuto essere più infelici: a voler pensare bene, è stato un dilettante allo sbaraglio; i maligni invece direbbero che, pur di fare le scarpe a Prodi, ha finito per gettarsi la zappa sui piedi.
Per difendere Veltroni, Scalfari è costretto ad andarci leggero con Mastella, perché se quest’ultimo è stato l’esecutore materiale della débacle ministeriale, è probabile che il mandante sia da ricercare dalle parti del Circo Massimo, dove si trova il loft democratico.
Così il fondatore di Repubblica finisce per contestare al politico di Ceppaloni soprattutto la citazione pronunciata in Senato della poesia di una poetessa brasiliana “Lentamente muore”, preferendogli i versi di Ungaretti di “Allegria di naufragi”: “Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”.
Disquisizione dotta, non c’è che dire, ma surreale data la gravità della crisi politica italiana.
C’è evidente sarcasmo nella critica mossa da Scalfari a Mastella; niente di paragonabile, comunque, al suo viscerale risentimento verso Pecoraro Scanio, Diliberto, Giordano: sono tutti brutti, sporchi e cattivi, sembra continuamente volerci dire.
Anche questa volta non resiste alla tentazione di accomunarli a Mastella e Dini, quali responsabili della caduta di Prodi.
Eppure le cose non stanno così.
Se Prodi è caduto, la responsabilità politica è tutta dei cespugli di centro, cioè di quel ventre molle dell’alleanza di centrosinistra che non ha mai dato tregua al Professore sin dal varo dell’esecutivo: Dini, Mastella, Bordon, Fisichella i principali indiziati.
Le insidie più gravi sono venute da lì e dalla dissennata politica isolazionista di Veltroni che dalle primarie di ottobre ha, in 90 giorni, resuscitato Berlusconi, in caduta libera dopo la sua goffa spallata al governo. Non solo, ha demolito l’Unione, prima con il tentativo di modificare la legge elettorale cercando l’accordo a due con il Cavaliere, poi dichiarando, con Prodi ancora in sella, di correre da solo alle prossime elezioni.
E’ ancora incomprensibile come la classe dirigente del partito democratico abbia potuto commettere così tanti errori di fila, rimettendo in gioco Silvio Berlusconi come leader del centrodestra.
La cosa più angosciante è che lo staff veltroniano non solo non recita il mea culpa ma baldanzosamente rilancia la propria politica fallimentare.
Non più tardi di ieri sera, nella trasmissione di Giovanni Floris, Ballarò, la senatrice Angela Finocchiaro ha insistito sul fatto che il Partito Democratico non snaturerà il proprio programma elettorale per cercare l’accordo con la sinistra dell’Unione: una dichiarazione d’intenti che, numeri alla mano, significa consegnare il paese per i prossimi cinque anni al centrodestra.
Fatalmente, dopo il naufragio di D’Alema con la Bicamerale, spetta ora proprio a Walter Veltroni, suo concorrente politico da sempre, incappare nello stesso tragico errore offrendo su un piatto d’argento la vittoria elettorale al Cavaliere.
Da quando è stato in lizza per la segreteria del Partito Democratico, non ne ha azzeccata più una (tra le tante, la disarmante uscita di volere mettere nella propria squadra la moglie di Berlusconi) e, nonostante sia diventato il pupillo di Eugenio Scalfari, sarà bene che ascolti di più la sua base elettorale, ammesso che ne abbia identificata una e non preferisca, come sembra adesso, la pesca a strascico: cioè, tirarsi dietro una parte degli elettori di Forza Italia.
Ma in questa gravissima crisi italiana, di apprendisti stregoni non se ne sente proprio la necessità.
Eppure i fatti parlano chiaro: certo, si sono sfilati dalla maggioranza Dini e Mastella e con loro una pattuglia di senatori; uno di questi è quel Barbato che si è reso sciagurato protagonista di un comportamento vergognoso contro il suo collega di partito nell’austera Aula del Senato al punto da farlo svenire sotto gli occhi delle telecamere, dimostrando a milioni di italiani di quale pasta siano fatti alcuni dei nostri rappresentanti nel massimo consesso parlamentare.
Uno sconcio per il nostro Paese rimbalzato via Internet in ogni angolo del pianeta. In un paese serio, costui sarebbe già stato espulso dal Parlamento.
Ma senza le stecche reiterate di Veltroni, probabilmente il patatrac del Professore non si sarebbe verificato adesso.
Perché la cosa più incredibile è che il governo Prodi non è caduto per aver sfiorato i suoi nervi scoperti: il tema giustizia con gli strascichi della vicenda Forleo e De Magistris, le leggi vergogna ancora tutte in vigore, la sempre rinviata legge sulle televisioni, la gravissima questione salariale, l’emergenza rifiuti in Campania.
A spazzarlo via purtroppo non è stato neppure il ciclone Beppe Grillo che tuttavia è divenuto in pochissimo tempo un fattore di cui, finalmente, bisognerà tener conto per gli sviluppi futuri della politica italiana.
Ed è anche ingenuo ritenere che l’agguato a Prodi sia dipeso dagli arresti domiciliari della moglie di Mastella: quell’episodio ne è stato un semplice pretesto, per giunta già rientrato, con la sua rimessa in libertà.
La vera ragione della crisi è stata il fallito tentativo di riforma della legge elettorale, affidato ai vertici Veltroni - Berlusconi, a cui hanno fatto seguito le improvvide dichiarazioni del sindaco di Roma secondo cui il partito democratico avrebbe corso da solo alle prossime elezioni.
Contenuto, forme e tempi scelti dal neosegretario del PD non avrebbero potuto essere più infelici: a voler pensare bene, è stato un dilettante allo sbaraglio; i maligni invece direbbero che, pur di fare le scarpe a Prodi, ha finito per gettarsi la zappa sui piedi.
Per difendere Veltroni, Scalfari è costretto ad andarci leggero con Mastella, perché se quest’ultimo è stato l’esecutore materiale della débacle ministeriale, è probabile che il mandante sia da ricercare dalle parti del Circo Massimo, dove si trova il loft democratico.
Così il fondatore di Repubblica finisce per contestare al politico di Ceppaloni soprattutto la citazione pronunciata in Senato della poesia di una poetessa brasiliana “Lentamente muore”, preferendogli i versi di Ungaretti di “Allegria di naufragi”: “Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”.
Disquisizione dotta, non c’è che dire, ma surreale data la gravità della crisi politica italiana.
C’è evidente sarcasmo nella critica mossa da Scalfari a Mastella; niente di paragonabile, comunque, al suo viscerale risentimento verso Pecoraro Scanio, Diliberto, Giordano: sono tutti brutti, sporchi e cattivi, sembra continuamente volerci dire.
Anche questa volta non resiste alla tentazione di accomunarli a Mastella e Dini, quali responsabili della caduta di Prodi.
Eppure le cose non stanno così.
Se Prodi è caduto, la responsabilità politica è tutta dei cespugli di centro, cioè di quel ventre molle dell’alleanza di centrosinistra che non ha mai dato tregua al Professore sin dal varo dell’esecutivo: Dini, Mastella, Bordon, Fisichella i principali indiziati.
Le insidie più gravi sono venute da lì e dalla dissennata politica isolazionista di Veltroni che dalle primarie di ottobre ha, in 90 giorni, resuscitato Berlusconi, in caduta libera dopo la sua goffa spallata al governo. Non solo, ha demolito l’Unione, prima con il tentativo di modificare la legge elettorale cercando l’accordo a due con il Cavaliere, poi dichiarando, con Prodi ancora in sella, di correre da solo alle prossime elezioni.
E’ ancora incomprensibile come la classe dirigente del partito democratico abbia potuto commettere così tanti errori di fila, rimettendo in gioco Silvio Berlusconi come leader del centrodestra.
La cosa più angosciante è che lo staff veltroniano non solo non recita il mea culpa ma baldanzosamente rilancia la propria politica fallimentare.
Non più tardi di ieri sera, nella trasmissione di Giovanni Floris, Ballarò, la senatrice Angela Finocchiaro ha insistito sul fatto che il Partito Democratico non snaturerà il proprio programma elettorale per cercare l’accordo con la sinistra dell’Unione: una dichiarazione d’intenti che, numeri alla mano, significa consegnare il paese per i prossimi cinque anni al centrodestra.
Fatalmente, dopo il naufragio di D’Alema con la Bicamerale, spetta ora proprio a Walter Veltroni, suo concorrente politico da sempre, incappare nello stesso tragico errore offrendo su un piatto d’argento la vittoria elettorale al Cavaliere.
Da quando è stato in lizza per la segreteria del Partito Democratico, non ne ha azzeccata più una (tra le tante, la disarmante uscita di volere mettere nella propria squadra la moglie di Berlusconi) e, nonostante sia diventato il pupillo di Eugenio Scalfari, sarà bene che ascolti di più la sua base elettorale, ammesso che ne abbia identificata una e non preferisca, come sembra adesso, la pesca a strascico: cioè, tirarsi dietro una parte degli elettori di Forza Italia.
Ma in questa gravissima crisi italiana, di apprendisti stregoni non se ne sente proprio la necessità.
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