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giovedì 16 agosto 2012

Incubo di Ferragosto: Veltroni prossimo presidente della Camera!

Si vocifera all'interno del Pd che già siano state spartite le principali poltrone della prossima legislatura, dando per certo già da adesso che sarà proprio il Pd il partito di maggioranza relativa.
Insomma, i principali azionisti del partito (i soliti D'Alema, Veltroni, Bindi, Franceschini,  Letta, ecc.), piuttosto che fare un passo indietro, finalmente ritirandosi a vita privata (dopo i gravi e irreparabili danni causati al Paese assieme agli omologhi del Pdl e dell'Udc), sarebbero di nuovo in pole position per accaparrarsi i posti di maggiore visibilità e prestigio.
Addirittura circolerebbe un papello, secondo la felice espressione del Foglio, tra i corridoi democratici in cui, oltre ad assicurare il pieno appoggio a Monti fino allo scadere dell'attuale legislatura e rilanciare la grosse koalition per i successivi cinque anni (l'ammucchiata 'Tutti dentro' Pd-Pdl-Udc), sarebbero state decise persino le principali cariche del nuovo esecutivo con i big del partito determinati a sfruttare fino in fondo  la loro rendita di posizione contro gli appetiti di vecchi e possibili nuovi rottamatori.
Ecco la lista degli incarichi:
Pierluigi Bersani:  a Palazzo Chigi come premier o Ministro dell'Economia
Walter Veltroni: Presidente della Camera
Massimo D'Alema: Ministro degli Esteri o Commissario Europeo
Rosy Bindi: Vicepresidente del Consiglio
Enrico Letta: Ministro allo Sviluppo Economico
Dario Franceschini: Segretario del Pd.

Un'organigramma da mettere i brividi, dove agli ex democristiani Fioroni e Carra verrebbero affidati importanti sottosegretariati per programmare in tempo la spartizione prossima ventura.
Insomma, per la nomenklatura del Pd la parola d'ordine è quella di contare sempre di più, tutto il contrario di chi spera che si siano rassegnati ad appendere la grisaglia al chiodo, dopo lo scasso degli ultimi vent'anni...
Pensate un po', i perdenti e nemici di sempre D'Alema e Veltroni, invece di lasciare, doverosamente e in punta di piedi, di fronte all'elettorato inferocito, starebbero contro ogni logica per raddoppiare.
Così, dopo l'abominio del governo Monti, ci ritroveremmo come terza carica dello Stato, Walter Se po' ffà, il kennediano de Roma, che speravamo finalmente avviato, dopo l'intervista all'attrice Stefania Sandrelli, a fare l'intrattenitore culturale...
Un incubo!

lunedì 28 settembre 2009

Un nuovo editto contro Annozero

L’attacco sferrato ad Annozero, la popolare trasmissione di Michele Santoro al suo esordio per la nuova stagione televisiva, ha un carattere chiaramente liberticida.
Appena spente le telecamere che avevano finalmente illuminato al pubblico televisivo alcune chiacchierate vicende che hanno visto quest’estate per mattatore il nostro Presidente del Consiglio, del tutto rimosse finora dal piccolo schermo, ecco arrivare l’affondo forsennato in ordine sparso dei suoi uomini.
Dalla dissennata reazione intimidatoria del ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, che non vuole evidentemente rendersi conto di aver travalicato dai suoi compiti istituzionali, all’intervento del viceministro delle Comunicazioni, Paolo Romani, il quale, appellandosi ad un malinteso art. 39 del contratto di servizio con la Rai, apre una fantomatica istruttoria sulla trasmissione.
Ma non dimentichiamo neppure l’improvvida reazione del ministro della Pubblica Istruzione, Maria Stella Gelmini, che dichiara: "Quando si insulta il presidente si insultano tutti gli italiani", forse scambiando il ruolo istituzionale di Berlusconi con quello di Giorgio Napolitano.
Qualcuno le spieghi la differenza!
Ma adesso abbiamo una certezza in più: la cosiddetta Casa delle Libertà si chiama così per riferirsi alle libertà costituzionali che intende abrogare.
Per prima la libertà di espressione, come enunciata dall’art. 21 della nostra Costituzione.
E’ scandaloso che in Italia non solo permanga in tutta la sua gravità il conflitto d’interessi ma che il titolare di concessioni pubbliche per le reti Mediaset si arroghi il potere di decretare la fine del servizio pubblico radiotelevisivo, come lo conosciamo da sempre.
Una Rai che viene mandata in malora attaccando trasmissioni a costo zero come Annozero, (anzi ad alto rendimento, visto quello che frutta in termini di raccolta pubblicitaria grazie alla sua audience), ma anche Presa diretta, Report, Che tempo che fa.
Tutto ciò per propinarci dei palinsesti costruiti ad uso e consumo del manovratore. Così ci condannano a vedere per l’eternità in prima serata su Raiuno l’ennesima replica del classico per le aspiranti escort: Pretty Woman.
Che i dirigenti della prima rete siano preoccupati di una possibile crisi delle vocazioni?
Così il già inammissibile duopolio Rai-Mediaset degrada pericolosamente nel monopolio di Silvio Berlusconi.
Le vicende di queste due ultime settimane, nonostante l’autentico flop della puntata di Porta a Porta sull’Abruzzo terremotato, confezionata su misura per le impellenti esigenze del premier, e la tardiva partenza autunnale di Annozero, lo dimostrano in modo inoppugnabile.
Ma non basta avere cinque televisioni ed un oceano di carta stampata per placare gli animal spirits dell’uomo di Arcore: bisogna tappare la bocca a qualunque voce dissenziente o, preferibilmente, sradicare qualsiasi frammento di notizia che possa semplicemente aggrottarne la fronte.
Lo Stato sono io, la Rai sono io, gli Italiani sono io: è questa l’essenza dell’attacco alla trasmissione di Santoro.
Quello che maggiormente preoccupa è che tale blitz sia del tutto pretestuoso, privo com’è di ogni giustificazione che non sia, spudoratamente, il voler sottrarre alla pubblica opinione temi dibattutissimi altrove, cioè sui media di mezzo mondo.
In una democrazia parlamentare, quale dovrebbe essere la nostra, è ammissibile che le notizie trasmesse dal servizio pubblico siano filtrate secondo i gusti esclusivi del capo dell’esecutivo?
Perché, si deve dare atto a Michele Santoro di aver impostato la puntata in modo sin troppo equilibrato, con una forte presenza degli uomini del presidente: Maurizio Belpietro, direttore di Libero, e il vicecapogruppo del Pdl, Italo Bocchino, in studio. Poi, le dichiarazioni di Renato Brunetta e le interviste filmate a Filippo Facci e Vittorio Feltri, neo direttore del Giornale.
Per il centrosinistra, erano presenti il segretario uscente del Pd, Dario Franceschini, e il direttore dell’Unità, Concita De Gregorio.
Ognuno ha potuto esprimere la propria opinione liberamente, la conduzione si è ispirata alla massima sobrietà, lo scontro verbale tra i partecipanti è stato a volte duro ma sempre ben gestito; e, salvo una eccessiva acrimonia sessista ai danni della De Gregorio da parte del collega Maurizio Belpietro, non si sono verificati episodi di rilievo.
Il punto, infatti, sta proprio nell’andamento lento della trasmissione e nei suoi toni smorzati che rendono impossibile scardinarne l'impianto giornalistico.
Ma il brano dell’intervista alla escort Patrizia D’Addario ha scatenato negli uomini di Berlusconi una reazione tanto scomposta da finire per nuocere proprio alla loro causa, mostrandoli arcigni e cinici, di modi crudamente beffardi.
Di fronte a tale caduta di stile, è passata quasi simpatica la grave gaffe di Italo Bocchino che, rievocando la morte, avvenuta in circostanze misteriose quarant'anni fa, della segretaria personale del senatore americano Ted Kennedy, di recente scomparso, ci ha piuttosto convinto che fa molto meglio Berlusconi a nominare ministro le sue giovani amiche.
Una galleria degli orrori e degli errori, di fronte alla quale la pur scialba serata di Franceschini, costretto ad arrampicarsi sugli specchi per negare l’esistenza di una rilevante questione morale anche dentro il Pd, è sembrata meno sofferta.
Punta di diamante del programma è stato il sempre bravissimo Marco Travaglio, in onda senza contratto, che ha ricostruito dettagliatamente la vicenda dell'imprenditore barese Tarantini; ma tutta la squadra di Santoro ha girato bene, mostrando di saper fare grande televisione.
Mettere in discussione un programma del genere, che ha raggiunto già in partenza livelli di audience notevoli, vuol dire proprio voler affossare il servizio pubblico, a solo vantaggio di Mediaset.
Ancora una volta il conflitto di interessi pesa come un macigno sulla scena politica italiana.
Può Silvio Berlusconi, padrone di Mediaset, mettere il bavaglio all’informazione del servizio pubblico?
Può, attraverso il giornale di famiglia, scatenare una campagna di stampa per il boicottaggio del canone Rai?
Purtroppo, nel deserto dei tartari della politica italiana, anche queste due semplici domande sono destinate a restare senza risposta.

sabato 6 giugno 2009

Le anime belle al voto

Eugenio Scalfari nell’editoriale di oggi su Repubblica, in anticipo sull’abituale appuntamento domenicale data l’apertura dei seggi elettorali già dal pomeriggio, ripercorre per grandi linee quasi un secolo di storia elettorale italiana, e dopo aver teorizzato che "Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo", trae questa affrettata conclusione: "La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell’azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell’anima bella, pura e dura."
In parole povere, Scalfari rivolgendosi agli elettori di sinistra fa propria, pur dichiarando di negarla, l’idea del voto utile ultimamente richiamata affannosamente da Dario Franceschini, quest’ultimo preoccupatissimo per i sondaggi attuali che danno il Pd in seria difficoltà.
E’ nient’altro che la riedizione dell’invito a suo tempo espresso da Indro Montanelli di andare a votare turandosi il naso.
Quello che il fondatore di Repubblica non ci spiega, però, è perché gli elettori di sinistra dovrebbero ancora votare per un simbolo senza storia che al massimo rappresenta politici bolliti come D’Alema, Fassino, Rutelli, Veltroni, Bettini, ecc., gente che ci ha portato con la propria mediocrità e tanto opportunismo personale a questo disastro politico. Per giunta, dopo che proprio quel popolo di sinistra in ormai numerose tornate elettorali ha fatto loro recapitare un messaggio inequivocabile: la vostra ambigua politica non ha sbocchi, tornatevene a casa!
Franceschini in questi ultimi tre mesi ha fatto di tutto per farci dimenticare chi siede nel direttivo del suo partito a cui, in mancanza di un mandato congressuale, è tenuto comunque a rispondere.
Ma l’altro ieri, Veltroni ha ricordato a tutti con il suo appello al voto che dentro il Pd la nomenklatura ha ancora i pieni poteri e che l’attuale segretario democratico, pur con le migliori intenzioni, è soltanto una comparsa.
E poi non è stato lo stesso Franceschini a ribadire che il suo mandato terminerà improrogabilmente ad ottobre?
Quindi, c’è poco da stare allegri: l’elettore democratico, se anima bella, pura e dura (e in maggioranza pensiamo che lo sia!) ha diverse possibilità nella cabina elettorale per far cambiare direzione alla politica italiana, tranne quella che Scalfari gli suggerisce.
Noi di Pausilypon riteniamo che insieme all’Italia dei Valori, soltanto se a sinistra del Pd si creerà uno spazio politico nuovo con il contributo di Sinistra e Libertà a Rifondazione Comunista potrà finalmente scattare la sospirata controffensiva alla pericolosa deriva berlusconiana.
Non possiamo immaginare se le due aggregazioni politiche riusciranno a superare la fatidica soglia del 4% prevista per le Europee: è un fatto che se definiranno insieme un’area attorno al 5-6% il test elettorale potrà comunque considerarsi superato.
Mentre decisivo, a livello amministrativo, sarà il peso conquistato dalle liste Cinque Stelle di Beppe Grillo: è da qui che potrebbe scatenarsi un’onda sismica senza precedenti per i futuri assetti della sinistra italiana.
Staremo a vedere. Intanto anime belle, pure e dure, andiamo a votare…

giovedì 4 giugno 2009

Veltroni in soccorso di Franceschini? Povero PD!

Che le prossime elezioni europee, ma soprattutto amministrative, segnino per il Partito democratico un punto di non ritorno è noto da tempo.
Che Dario Franceschini sia salito stoicamente sul ponte di comando in un momento drammatico, mentre la nave democratica si dibatteva in acque pericolosissime, condotta allo sfracello dall’impareggiabile capitano Walter Veltroni, è anche ciò cosa arcinota.
Che il bravo Dario si sia dato da fare in tutti i modi, brillando finalmente di luce propria, è anche questo un dato di fatto: queste settimane di campagna elettorale ci consegnano un nuovo leader di cui, fino a qualche mese fa, assolutamente non sospettavamo l’esistenza.
Essere per tanti mesi l’ombra dello spento Veltroni certamente non poteva giovare a Franceschini, costretto ad affondare suo malgrado nelle sabbie mobili di una politica senza né capo né coda come quella pervicacemente portata avanti dall’ex sindaco di Roma.
Infatti, alzi la mano chi, tra i Democratici, abbia sentito in tutto questo tempo un po’ di nostalgia per Veltroni o che ne rimpianga anche una sola iniziativa politica.
Sconsolatamente, potremmo constatare che non c’è nessuno, ma proprio nessuno!
La qualcosa non ci meraviglia dal momento che sarebbe paradossale il contrario: si può sentire la mancanza del vuoto?
Veltroni ce lo ricordiamo per il sottovuoto delle sue intuizioni politiche: dal correre da solo sancendo urbi et orbi la fine immediata del governo Prodi, al proposito strombazzato di voler fare le riforme istituzionali soltanto con Silvio Berlusconi, all’epoca ormai al tappeto; all’idea geniale di fare una petizione contro il governo di centrodestra disertando la giornata di protesta dell’8 luglio, per convocare tardivamente la piazza per il 25 ottobre!
L’elenco delle perle veltroniane è veramente infinito e non siamo così sadici da volervelo riproporre, a partire dalla batosta delle Politiche del 13 aprile 2008.
Basti, come ciliegina sulla torta, la legittimazione costituzionale che egli diede del lodo Alfano, la legge sull’immunità delle alte cariche.
Sentire in queste settimane parlare Franceschini, nel silenzio di Veltroni, non ci è parso vero: ed avevamo iniziato a sperare che l’incubo veltroniano della sconfitta permanente potesse essere finalmente scacciato via.
Dario Franceschini, anche nella Tribuna televisiva di lunedì scorso, ha confermato ancora una volta, una sorprendente capacità comunicativa e la dignità di un uomo politico che crede veramente in quello che dice, senza peraltro ostentare quella stucchevole ed ingiustificata supponenza del suo predecessore: un bravo capo boy scout, oseremmo concludere senza alcuna ironia.
Quando si poteva iniziare a sperare che dentro il Pd la gestione Franceschini potesse sortire i suoi primi graditi effetti ecco che stamattina, come un fulmine a ciel sereno, è intervenuto l’impareggiabile Walter con il suo ferale appello al voto:
"Votiamo PD, la principale speranza del nostro Paese. Non è solo il mondo a guardarci con preoccupazione e disagio. E' la sensazione che vive ciascun italiano, chiunque ami davvero. La destra sta edificando un paese violento."
"Non so quanto tempo ci vorrà, ogni giorno che passa così è un giorno perduto, ma il paese girerà pagina. E quando lo farà dovrà trovare il riformismo. Per questo il voto al Partito Democratico è essenziale. Nessuna demagogia porterà il paese fuori da questo tunnel. Solo il riformismo la salverà".
Un aiuto al cosiddetto voto utile rilanciato da Franceschini?
No, esattamente il contrario: un intervento a gamba tesa che demolisce completamente la faticosa opera di quest’ultimo.
Vi rendete conto? Dopo averci portato a questo stato di cose, bulldozer Veltroni ha ancora il coraggio di riproporci l’inciucio con Berlusconi, blaterando di riformismo, termine dietro il quale si è trincerato durante tutta la sua segreteria per giustificare un'inesistente opposizione.
Con questo suo ultimo surreale intervento, quanti altri voti farà perdere al Pd?
Quale calcio negli stinchi ha inflitto all’incolpevole Dario Franceschini?
L’attuale leader democratico farebbe bene subito a prenderne le distanze perché, più che un aiuto, l’uscita veltroniana sembra proprio la classica polpetta avvelenata.
Ma forse è ormai troppo tardi per rimediare a questo sgambetto.

mercoledì 27 maggio 2009

A Ballarò, la farsa estromette la politica!

Quella che è andata in onda ieri sera nel salotto televisivo di Giovanni Floris, Ballarò, è stata forse la più esilarante gag politica che si ricordi a memoria di telespettatore.
Mai era successo, nonostante diverbi sempre più frequenti e insulsi in programmazione sui vari palinsesti a tutte le ore del giorno, di assistere ad un battibecco tanto divertente.
Uno scontro tra il segretario del Pd, Dario Franceschini e Sandro Bondi, fido ministro del Cavaliere, nel corso del quale quest’ultimo si esibisce in un attacco così sconsiderato nei confronti dell’avversario e al tempo stesso così goffo e stonato da suscitare applausi a scena aperta.
L’espressione un po’ imbambolata, il modo di parlare ad un tempo tronfio e antiquato, un furore talmente ostentato da sembrare gratuito e quindi innocuo, Sancho Bondi raggiunge involontariamente vette di comicità veramente invalicabili, sotto lo sguardo attonito del direttore di Panorama Maurizio Belpietro che teme, per interminabili momenti, di vedersi assestato il colpo del KO.
In sala, l’ilarità è generale: persino il conduttore, pur mantenendo una sobrietà persino innaturale, non crede ai propri occhi, non potendo prevedere che in così poche battute gli ospiti abbiano dato vita ad una scena così ghiotta, talmente surreale da unire in una fragorosa risata l’intero studio televisivo, tifoserie al seguito comprese.
Ciliegina sulla torta la battuta sullo spinello di Marco Pannella che si inserisce per sovrastare il fragore delle voci aumentando la confusione con il suo divagare, allusivo e criptico come al solito.
Ottima la serata di Franceschini che, quasi senza colpo ferire, riesce a scatenare il toro Sancho Bondi ed a mettere in seria difficoltà anche il più scaltro Belpietro che, in precedenza, al rilievo di essere un dipendente di Berlusconi, aveva iniziato ad urlare "lei non ha titolo per dare lezioni a nessuno di democrazia e di indipendenza…" facendosi così infilare in contropiede da una battuta micidiale del leader democratico: "Ho capito che dire che uno è dipendente di Berlusconi viene ritenuto un’offesa!".
Grande, grande televisione, che finisce per renderci gradevole, al ritmo della farsa, una politica altrimenti inguardabile!

domenica 22 febbraio 2009

Il Pd e.. il congresso che non c'è!

Prima di commentare la resa dei conti in corso nel Partito Democratico, il cui destino nonostante l’avvicendamento tra Walter Veltroni e Dario Franceschini appare segnato, aspettavamo il giudizio che ne avrebbe dato dalle colonne di Repubblica quello che, per certi versi, è stato il suo ideologo oltre ad esserne uno dei più potenti ed accaniti supporter, Eugenio Scalfari.
Dietro questi sedici mesi di navigazione tempestosa di Walter Veltroni, c’è sempre stato lui a suggerirgli strategie, tattiche, e perché no, a rivolgergli anche qualche amorevole rimbrotto.
Ci aspettavamo quindi che, un tempo nella buona sorte adesso nella cattiva, il grande vecchio di piazza Indipendenza volesse anche lui, al pari di Veltroni, chiedere scusa per i tanti errori compiuti in tutto questo tempo diventando la cassa di risonanza del pensiero debole veltroniano, facendo assumere al suo giornale una fisionomia tutta diversa da quella delle origini, tanto da allontanarlo sempre più da molti affezionati lettori.
Ma non è stato così.
Nel suo odierno domenicale, precisa che l’impressione che Veltroni non ce l’abbia fatta a portare a termine la sua impresa, sia in qualche modo fuorviata dalle titolazioni che i giornali hanno dato al suo discorso d’addio. Che, sì, riflettono i contenuti del suo commiato ma non le sue effettive colpe che, secondo il famoso giornalista, si ridurrebbero ad un unico errore; l’aver cercato ad oltranza di mediare tra le diverse anime del partito senza far pesare fino in fondo il valore della sua leadership, costruita su tre milioni e mezzo di consensi: "Veltroni ha impiegato gran parte del suo tempo a cercare punti di sintesi che erano piuttosto cuciture fatte col filo grosso, con la conseguenza che quei vari pezzi e quelle varie ispirazioni e provenienze sono rimaste in piedi senza dar vita ad una cultura nuova e unitaria."
Ci aspettavamo da Eugenio Scalfari un’analisi più acuta e attenta delle immani pecche che la guida democratica ha mostrato da subito. Attribuire a Veltroni quale unico errore quello di aver indugiato troppo nella mediazione tra "laici e cattolici, socialisti e moderati, tolleranti e intransigenti, puri e duri e pragmatici" è davvero poca cosa e dimostra come anche dalle parti di piazza Indipendenza la confusione regni sovrana.
D’altra parte, in tutti questi mesi non una volta Scalfari ha rimproverato Veltroni per i suoi tentennamenti, né per il suo incessante mediare tra i vari capibastone; al contrario, ha sposato in pieno questa linea politica ondivaga e priva di respiro.
Perché il vero nodo della questione è che, sin dal giorno del suo insediamento, Walter Veltroni ha rinunciato a sostenere il governo Prodi e, dopo la clamorosa disfatta elettorale dell’anno scorso, a fare opposizione al governo autoritario dell’uomo di Arcore.
Se l’è presa da subito con i verdi, con la sinistra, con Di Pietro (pur avendo stretto un’alleanza di ferro con lui), ma mai contro Berlusconi, salvo punzecchiarlo sterilmente ma di continuo per le sue riprovevoli gaffe.
Inopinatamente, quando il Cavaliere era ormai alle corde, nel novembre 2007, incapace com’era di recuperare credito tra i suoi (siamo al tempo del teatrino evocato da Gianfranco Fini), Veltroni ebbe la folle idea di rimetterlo in piedi annunciando, urbi et orbi, di voler costruire con lui le nuove regole del gioco, sbarazzandosi di punto in bianco dei propri alleati mentre Romano Prodi stava ancora saldo in sella a Palazzo Chigi.
Fu quella una vera e propria congiura di Palazzo, che sotto le mentite spoglie del ministro Clemente Mastella, silurò improvvisamente l’esperienza dell’Unione per proclamare unilateralmente la presunta vocazione maggioritaria del Pd.
Fu l’inizio della fine. Seguirono mesi difficilissimi che consegnarono incredibilmente il Paese ad un governo delle destre reazionario, incapace di dare sia pure elementari risposte alla grave crisi economica che si stava affacciando da oltre Atlantico.
Se ci fosse stata una chiara opposizione, molto presto l’armata berlusconiana avrebbe dovuto prenderne atto, forse capitolando o scendendo a più miti consigli su tante questioni scottanti.
Ma guardiamo all’oggi.
E’ chiaro che, con la caduta di Veltroni, viene bocciata tutta la nomenklatura del suo partito (i Fassino, la Finocchiaro, ecc. ieri all’assemblea nazionale sembravano di colpo invecchiati, ridotti a pezzi di modernariato) "delegittimata e spazzata via tutta insieme".
Così come è di tutta evidenza che il compito di Dario Franceschini sia divenuto quasi impossibile, senza un congresso che possa decretare a caratteri cubitali la fine del veltronismo, o meglio del veltrusconismo.
Conforta che il nuovo giovane leader, sin dal suo primo discorso, abbia voluto mostrare una qualche discontinuità con il suo predecessore; certamente, non avendo nulla da perdere, egli può permettersi una libertà intellettuale e di azione decisamente superiori.
D’altra parte, fare peggio di Veltroni è praticamente impossibile.
Già sarebbe molto se riuscisse a traghettare il Pd da una vergognosa non opposizione di questi mesi ad una più modesta quasi opposizione.
Ma non illudiamoci: finché non sarà spazzata via la vecchia nomenklatura, le speranze di avere un partito diverso si avvicinano a zero, nonostante tutta la buona volontà del nuovo segretario.