Visualizzazione post con etichetta il Fatto Quotidiano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta il Fatto Quotidiano. Mostra tutti i post

domenica 8 luglio 2018

Tutta colpa della xylella? La 'dimostrazione scientifica' millantata da Repubblica non c'è mai stata

Oggi appare un bel pezzo sul Fatto di Laura Margottini. Provo a sintetizzarlo.
E' assodato che la xylella sia la causa della malattia? NO!
Esiste un'unica pubblicazione del dicembre scorso relativa ad un esperimento fatto solo su una quarantina di piante con risultati tutt'altro che conclusivi.
Mentre il rapporto dell'Efsa a cui fa riferimento Repubblica non è stato sottoposto a peer review (ovvero difetta del primo requisito necessario di scientificità).
Non parliamo poi di ciò che scrive l'Accademia dei Lincei nel 2016 (secondo riferimento del quotidiano di L.go Fochetti), in mancanza a quei tempi anche semplicemente di una (!) pubblicazione scientifica che lo sostenesse.
Secondo il monitoraggio della Regione Puglia, oggi, su 350'000 ulivi della zona interessata, la xylella è riscontrata solo nell'1,8% dei casi: un po' pochino per dichiarare urbi et orbi il nesso batterio-malattia.
In California, ad esempio, nel 2014, per un fenomeno analogo, gli scienziati controllarono su quanti esemplari sintomatici fosse presente il batterio. E conclusero che con una percentuale del 18% (dieci volte il dato pugliese!) non si poteva affermare che la xylella fosse la causa della malattia degli ulivi.
Fin qui il pezzo della Margottini.
Ma adesso urgono diverse riflessioni.
I poveri di spirito che hanno ingiuriato del tutto gratuitamente Beppe Grillo dovrebbero adesso cospargersi il capo di cenere e invocare col capo chino la sua pietà e misericordia per tanta serva cattiveria ed ignoranza.
Ma si capisce come ci sia soprattutto da interrogarsi su come sia potuta succedere una cosa simile: bersagliare Grillo semplicemente perché, pubblicando sul suo blog un pezzo di una nota giornalista tedesca, ha dato spazio ai mille dubbi che il problema della malattia degli ulivi pugliesi ha messo in luce. 
Primo fra tutti il fatto che fosse sufficiente che il mainstream abbracciasse pregiudizialmente una tesi perché si scatenasse la canea e tanti teppisti si fiondassero contro Grillo, reo solo di aver invitato la gente a tenere gli occhi aperti. 
Ma sorge pure un'altra più drammatica questione: come mai i media hanno dato per certa una spiegazione della malattia degli ulivi che è ancora tutt'altra che validata scientificamente? 
Come mai hanno condiviso da subito, senza un minimo di analisi critica, la soluzione più costosa e devastante per le ricadute ambientali che comporta l'uso massivo di pesticidi, di recente messi al bando della UE per la loro pericolosità, e l'eradicazione di centinaia di migliaia di piante con conseguente perdita irrimediabile di un patrimonio unico di biodiversità, cultura, paesaggio, tradizioni agronomiche, prodotti agroalimentari tipici, rapporti sociali, come quello rappresentato dalla penisola salentina?
Tutto questo è di una gravità per la nostra tenuta democratica che definire estrema ed inquietante appare probabilmente ancora troppo limitativo.



mercoledì 4 luglio 2018

La Xylella, il 4 marzo e... la democrazia

Se vi abbeveraste non soltanto sulla Pravda piddina sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non impedisce comunque la diffusione (non del batterio) ma della malattia.
Se poi bevete a ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Lo spazio che Beppe Grillo sul suo blog ha dedicato ad un intervento della giornalista tedesca Petra Reski, che denuncia l'inconsistenza della correlazione tra batterio della xylella e CodiRo (sindrome del disseccamento rapido dell'olivo), ovvero della malattia che ha colpito i secolari, meravigliosi, ulivi pugliesi, ha fatto sì che il livore che alberga da anni negli animi dei piddini e che trova in Repubblica l'habitat ideale quale principale collettore di fango che viene schizzato sul M5S a quantità industriali ogni santo giorno, abbia trovato un'altra, l'ennesima, occasione di vituperio.
Impossibile replicare al pensiero unico di chi ritiene che, eradicando il batterio (attualmente cosa impossibile, come insegna la lunga esperienza americana), si possa sconfiggere la malattia. Tanto più che ciò passerebbe per l'uso massiccio dei neonicotinoidi (responsabili della moria di api e dunque recentemente messi al bando dall'UE) e per l'eradicazione delle piante malate ma anche di quelle sane ubicate in una vasta fascia territoriale ai margini di quella colpita.
E' questo l'obiettivo del decreto del piddino ex-ministro dell'Agricoltura Martina, varato in febbraio, che per combattere la xylella ha imposto l’uso dell’insetticida Imidacloprid della classe dei neonicotinoidi persino per le coltivazioni biologiche.
I neonicotinoidi sono stati di recente vietati in Europa perché mortali per le api (e secondo l’EFSA, neurotossici per gli esseri umani).  Non a caso un mese più tardi, a Bruxelles, l’Italia ha bocciato l’insetticida tossico assieme ad altri 15 Paesi: oggi è vietato l’uso dei neonicotinoidi nei campi.
Questo è l'antefatto.
Sul forum collegato all'articolo di Repubblica secondo cui la pubblicazione di tale presa di posizione della Reski sul blog avrebbe fatto infuriare tutti (si cita il commissario UE che bolla l'intervento come "fake news") si è scatenato un vero e proprio linciaggio nei confronti di chi, come il sottoscritto, ha cercato in qualche modo di riportare la questione alla pacatezza del dibattito scientifico sottraendola alla polemica politica, benché ancora una volta il PD, quasi per una sorta di richiamo della foresta, si trovi sistematicamente a schierarsi sempre dalla parte di big pharma, ovvero di chi propone la soluzione più antieconomica, socialmente insostenibile e devastante sul piano ambientale.
Ecco il primo commento riportato dal sottoscritto:

"Se vi abbeveraste non soltanto alla Pravda piddina, sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. 
Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. 
Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non ne impedisce comunque la diffusione (della malattia, non del batterio!).
Se poi bevete ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Contro le ciance insulse della Aspesi, il parere dell'ex direttore del CNR vale di più. O no?"

Se vi abbeveraste non soltanto sulla Pravda piddina sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non impedisce comunque la diffusione (non del batterio) ma della malattia.
Se poi bevete a ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Di fronte alla sequela di insulti e alla gogna dei repubblichini ho invano tentato di replicare riportando le osservazioni di Pietro Perrino, ma il moderatore ha messo la censura a questo secondo post:

"Riporto le osservazioni fatte dal genetista Pietro Perrino,  già direttore dell'Istituto di genetica vegetale del CNR di Bari, al Fatto:
"1. non è stato ancora dimostrato, in modo inequivocabile, che la Xylella sia causa della malattia;
2. ci sono piante d'ulivo positive con il batterio (da anni) che non manifestano la malattia;
3. ci sono piante negative, senza batterio, che manifestano la malattia e sono la stragrande maggioranza.
I patogeni sono opportunisti che diventano virulenti quando la pianta, per le criticità (uso di pesticidi, erbicidi, inquinamento, desertificazione del terreno), s'indebolisce in quanto non riesce più a nutrirsi proprio perché viene a trovarsi in un terreno sterile e inquinato. E' dimostrato che il glifosato, potente erbicida, rende sterili i terreni. Mentre tornando a buone pratiche agronomiche i terreni recuperano biodiversità e le piante tornano in salute."
Chiaro???"

Niente da fare. Al di là della questione scientifica, ciò che lascia attoniti è come sia possibile che su una tema squisitamente tecnico (purtroppo con drastiche conseguenze economico-sociali-ambientali seguendo la ricetta dell'establishment tecnocratico-europeista) un quotidiano di rilievo nazionale  debba procedere con tanta superficialità, arroganza, disinformazione, pregiudizio, facendo credere erroneamente che la questione delle origini della malattia degli ulivi pugliesi sia ormai acclarata e risolta. Quando è lampante che, nella migliore delle ipotesi (pure per chi è fautore della guerra chimica e della soluzione finale per la biodiversità degli ulivi pugliesi),  il problema è ancora  controverso se non del tutto aperto.

Eppure questa semplice costatazione espone chi la fa alla gogna mediatica, orchestrata da un grande gruppo editoriale, che lascia che ti insultino senza attenersi a basilari princìpi di correttezza deontologica, senza possibilità per il malcapitato di poter eccepire alcunché, imbavagliando il dibattito con la censura preventiva nel forum e, in prospettiva, di essere persino oscurato in  rete.
Attraverso un fantomatico comitato europeo a cui la Commissione Europea affida il ruolo di bollinare ciò che è bufala e ciò che non lo è o la preannunciata tutela del copyright che, fingendo di tutelare gli autori e gli editori, di fatto impedisce la libertà di  opinione.
I rischi per la democrazia e per le fondamentali libertà costituzionali sono enormi.
Se il semplice sottolineare, asserendo banalmente solo la verità dei fatti, che allo stato attuale non ci sono certezze scientifiche di una corripondenza biunivoca tra batterio della xylella e disseccamento degli ulivi, ti condanna al pubblico ludibrio ed allo stigma del bufalaro, mette i brividi  pensare cosa potrà succedere con l'istituzione di un ministero della Verità europeo!

Il fascismo è già purtroppo in mezzo a noi e spesso veste i panni del conformismo e del partito-stato, interfaccia politica della tecnocrazia e della finanza internazionale, che ha occupato per decenni molti gangli del sistema istituzionale: quello stesso partito-stato, in buona parte espresso dal PD, che, uscito a marzo storicamente ridicolizzato dalle urne, ancora si arroga la pretesa di conferire agli altri la patente di democraticità e di certificare, chissà come, l'attendibilità delle fonti d'informazione.

martedì 10 giugno 2014

Sul caso Spinelli - Tsipras, pure Travaglio prende un abbaglio

Nell'editoriale di oggi sul Fatto, Marco Travaglio scrive:  "nemmeno il tempo [ndr: per la lista Tsipras] di festeggiare il quorum del 4% raggiunto contro ogni previsione, ed ecco i partitocrati di Sel e in parte di Rifondazione – noti desertificatori di urne – avventarsi contro la prima artefice del successo: Barbara Spinelli, “rea” di aver prima annunciato la rinuncia al seggio e poi, mutate le condizioni di partenza, di aver accettato l’elezione." 
Quali sarebbero le condizioni di partenza mutate? A noi risulta che la Spinelli si era candidata nella lista Tsipras per permetterne l’affermazione, evidentemente consapevole che il suo nome avrebbe richiamato un bel po’ di voti, annunciando in anticipo che non avrebbe mai accettato l’eventuale seggio che, di conseguenza, sarebbe andato al primo dei non eletti. 
Le cose sono andate esattamente secondo le migliori previsioni della vigilia: non si capisce perché adesso abbia cambiato repentinamente idea su questo punto così qualificante del suo impegno politico. 
Il fatto che sia una ottima e degnissima persona non ha niente a che vedere con il rispetto degli impegni presi. Poi si può dire tutto quello che si vuole sui partitocrati di Sel e Rifondazione, ai quali non ci unisce praticamente nulla data la loro assoluta e sterile autoreferenzialità che risulta funzionale al mantenimento dello status quo: ma tutto ciò che cosa c’entra? 
Nonostante il pressing di Alexis Tsipras, la Spinelli si è volutamente assunta un impegno da rispettare con i suoi elettori che, votandola, sapevano benissimo che avrebbero mandato avanti la sua lista.
E’ chiaro che poi Beppe Grillo viene dai più considerato un marziano perché coerentemente fa ciò che promette! 
Oggi lo sport nazionale è, purtroppo, predicare bene e razzolare male, vantandosene pure! 
Così il degrado della vita politica (ma sarebbe meglio dire di una società in declino) trova il suo emblema proprio nel famigerato hashtag renziano #enricostaisereno
Ma la politica così diventa solo un covo di serpi… difficilissima da raccontare, ancora peggio da condividere. 
Poi che nessuno si meravigli se a votare non ci va più nessuno: tra i desertificatori di urne, caro Travaglio, mettiamoci pure la schiera infinita dei voltagabbana.

giovedì 20 giugno 2013

No, caro Travaglio, questa volta sbagli di grosso...

Dispiace che della penosa vicenda Gambaro, la senatrice 5stelle entrata in Parlamento senza sapere né come né perché, oltre alla classica torma di pennivendoli scritturati dalla partitocrazia, equidistribuiti tra stampa e televisione, si siano occupati persino i pseudogrillini di complemento, quelli che dal primo giorno in cui Beppe Grillo si è cimentato nella più straordinaria avventura politica degli ultimi anni, hanno cominciato a giorni alterni a fare i maestrini dal lapis rosso-blu.
Tra quelli sulla cresta dell'onda, specie su La7, annoveriamo Andrea Scanzi, giornalista del Fatto Quotidiano, che autoconvocatosi  grillino embedded, ha cominciato a presenziare i talk show televisivi, disertati dai parlamentari pentastellati, dispensando con spocchia degna di miglior causa consigli non richiesti al M5S e al suo leader ma soprattutto bacchettandolo a giorni alterni con tono paternalistico: eh no, Grillo, questo non si fa! No, neppure quest'altro... Adesso, stai sbagliando tutto!  
Un alter ego putativo del M5S con l'aria di chi la sa così lunga da imporsi a favore di telecamera come l'oracolo ispiratore.
Insomma, dall'esordio col tono scanzonato e irriverente da giovinastro cresciuto a pane e internet, ha finito per identificarsi talmente con la parte in commedia che il talk gli affida, da prendersi troppo sul serio, persino impressionato dalle sue stesse parole, diventate inopinatamente continue lezioni di giornalismo, di democrazia, di realismo politico, di strategia con una sicumera e persino la postura di chi ha la convinzione di avere ormai in tasca la verità rivelata.
Come lui, tanti altri,  che alle spalle e, adesso, a spese del M5S e della battaglia politica di Grillo, si stanno costruendo una reputazione mediatica, essendo restati nell'ombra fintantoché non si sono autocandidati alla carica imperscrutabile di "vicini al movimento".
Ma in cosa consista questa vicinanza non è dato sapere, se non, nel caso di Scanzi, l'essere autore di un libro su Grillo pubblicato nel 2008.
Sappiamo però in termini di fringe benefits che cosa ciò abbia comportato: comparsate  a tutte le ore e su tutte le reti, non appena si accenna al M5S.
Così ecco materializzato sul piccolo schermo il vicinologo che con aria da professorino e caviglia destra appoggiata sguaiatamente sul ginocchio sinistro, trincia giudizi e sentenze da maxiesperto in pectore.
E via assestando un colpo al cerchio ed un colpo alla botte, il teleguru da talk si atteggia a tutore del movimento che considera, non si sa perché, una sua creatura, tanto da essere pronto a dispensargli gratuitamente e con molta nonchalance i suoi ferali moniti, senza togliersi il gusto, toscanaccio qual è, di concludere alla Bartali, scuotendo la testa: "gli è tutto da rifare".
Fornendo così un ripetibile assist al conduttore di turno che, non fosse che per pronunciare questa sentenza inappellabile,  lo aveva invitato.
A questa allegra brigata si è ora unito anche  Marco Travaglio, il quale dal 25 febbraio usa con il M5S la tecnica del bastone e della carota.
Almeno fino a ieri, quando dalle colonne del suo giornale ha mazzolato pesantemente i grullini (sic!) senza tanti giri di parole liquidandoli con poche ma banali parole sferzanti: «cacciare, o far cacciare dalla “rete”, una senatrice che ha parlato male di Grillo, manco fosse la Madonna o Garibaldi, è demenziale, illiberale e antidemocratico in sé. E non solo perché serve su un piatto d’argento agli eterni Gattopardi e ai loro camerieri a mezzo stampa la miglior prova di tutte le calunnie che hanno sempre spacciato per dogmi di fede. Non è nemmeno il caso di esaminare l’oggetto del contendere, cioè le frasi testuali pronunciate dalla senatrice nell’intervista incriminata a Sky, perché il reato di lesa maestà contro il Capo è roba da Romania di Ceausescu.»
Un ragionamento così rasoterra che ci ha sorpreso.
Sulla bravura di Travaglio e sulla sua autonomia di giudizio questo blog si è più volte soffermato, quindi abbiamo le carte in regola per fargli adesso la classica tiratina d'orecchie, anche se non gli facciamo sconto dell'egolatria che a volte trasuda dai suoi pezzi, in parte deformazione professionale.  Tenuto conto che si trova spesso a raccontare, oltre che di colleghi imbarazzanti, di nani, ballerine, lacché, mezzetacche, personaggi balzati agli onori dei media in ragione della propria pusillanimità, ignoranza, grettezza, doppiezza (l'elenco degli attributi potrebbe continuare a lungo). 
Il meglio che gli capiti è di interloquire in prima serata con Daniela Santanché e Pierluigi Battista, con il sottofondo di Michele Santoro che nel frattempo scantona di diritto costituzionale: un mestieraccio...
E' chiaro che di fronte a gente con simili attributi, Travaglio furoreggia ed è per questo che adesso ci intristisce che anche lui se la prenda con Grillo senza capire quale sia in questo caso la vera posta in gioco.
Non la leadership del Beppe nazionale, che evidentemente non può essere messa in discussione, ma l'autonomia e l'indipendenza del M5S, che molti nei partiti della Casta vorrebbero trasformare, con questo continuo lavorìo mediatico ai fianchi, in un'armata Brancaleone, dove si sostenga tutto e il contrario di tutto. La creatura politica di Grillo trasformata, a reti unificate, in serbatoio di consenso a cui il PD possa attingere in caso di necessità, magari adesso che le larghe intese iniziano a scricchiolare, vista la situazione di difficoltà in cui versa  di nuovo Berlusconi.
C'è però la necessità di disarcionare o depotenziare Grillo che da fondatore, custode e garante del movimento, si preoccupa di tenerne saldo il timone, evitando le incursioni letali del signor nessuno di turno.
Ecco perché all'attacco della Gambaro, che oggi ha pure l'impudenza di dichiarare che la sua è stata "una critica garbata", andava data una risposta chiara e perentoria, contro ogni altro tentativo di fare del M5S un partito prêt-à-porter.
Soprattutto di questi tempi, mentre il Paese è pericolosamente nelle mani di una pessima oligarchia come Travaglio fotografa impietosamente nei suoi tragicomici editoriali, sarebbe un po' come sparare sulla Croce Rossa.
Non fosse altro perché, di fronte allo sfascio totale della partitocrazia, il M5S resta l'unica concreta speranza per tanti italiani.
E quindi suona veramente irritante che qualcuno, fosse pure Travaglio,  impartisca ex cathedra lezioni di strategia politica ad un movimento che ha mostrato di incarnare lealmente la parte migliore del Paese, magari pure con quell'ingenuità che si deve sicuramente perdonare ai neofiti del Palazzo che quotidianamente sono costretti a confrontarsi con quel poco raccomandabile sottobosco di volpi, lupi, termiti e zecche che da tempo immemorabile vi albergano lautamente.
Di fronte alla Gambaro che ha commesso un gravissimo errore di superbia luciferina o di disarmante ingenuità (le vogliamo credere? Ma come mai non ha finora chiesto scusa?) dichiarando a telecamere spiegate che il problema del M5S è il suo leader fondatore e mettendogli in bocca cose da lui mai dette (la denuncia di Grillo del cattivo funzionamento del Parlamento che la senatrice trasforma d'arbitrio in insulto all'istituzione parlamentare, facendo incredibilmente da sponda ai soliti pennivendoli), la decisione che il M5S ha preso con il supporto della Rete era l'inevitabile e prevedibile conseguenza del suo colpo di testa, lungi da un finto buonismo cavalcato dai media giusto il tempo per scassare il movimento.
Qui non è in questione la libertà di pensiero o di parola ma il regolamento che i parlamentari del M5S spontaneamente e liberamente si sono dati: è in questione la lealtà e il decoro di una forza politica che incarna un movimento di cittadini di cui è semplice tramite nelle assemblee legislative di Camera e Senato.
I parlamentari di Grillo, proprio nell'esercizio delle loro prerogative, sono semplici portavoce delle idee e delle istanze che il movimento ha deciso a maggioranza di portare avanti.
Se qualcuno non vuole adeguarsi alla disciplina di gruppo, farebbe coerentemente molto meglio ad andarsene piuttosto che incaponirsi a restarvi dentro, avendo ormai infranto quel rapporto fiduciario che intratteneva coi suoi colleghi e con il vertice.
E' semplicemente folle pensare che la Gambaro potesse essere assecondata nel desiderio di incarnare lei la vera anima del Movimento 5 Stelle. Se si è sentita prigioniera di uno schema che non condivide più, o forse non ha mai pienamente condiviso, ritenendolo mortificante per la propria personalità libera e indipendente, avrebbe già dovuto trarne le debite conseguenze.
Ma alle dimissioni da parlamentare, dopo la cacciata dal gruppo, non ci pensa proprio, avendo ora espresso l'intenzione di fuoriuscire nel gruppo misto. Di nuovo cadendo in contraddizione con quanto da lei stessa dichiarato soltanto qualche settimana fa nel suo manifesto elettorale:
"Penso ad un Parlamentare che nel caso non fosse più in sintonia con il M5S, grazie al quale è stato  eletto, la sua base, i suoi princìpi, semplicemente si debba dimettere" .
Del resto, non si capisce come sia possibile che l'urlo di Grillo, così ben accetto per consentirle l'ingresso trionfante a Palazzo Madama, le sia di colpo sembrato stonato o addirittura cacofonico.
Ecco, se la Gambaro fosse stata un briciolo coerente ci saremmo risparmiati quel grave danno di immagine che ha cagionato e che ora pesa come un macigno su tutti coloro che si sono dannati l'anima in questi anni per far nascere ed affermare il M5S.
Caro Travaglio,  la prossima volta che scrivi del M5S, ti conviene prima di contare fino a dieci!
Segnare un calcio di rigore fasullo, fischiato solo perché invocato a gran voce  dalla curva mediatica non dovrebbe essere per te un grande onore!


lunedì 18 marzo 2013

Le sinergie disinformative questa settimana a Prima Pagina

Un qualsiasi cronista dovrebbe saper fare bene il suo mestiere, sempreché questo consista nell'informare i cittadini nel modo più chiaro, completo e rispondente ai fatti che lui intende raccontare.
A maggior ragione se si tratta del vicedirettore di uno dei due quotidiani con maggiore tiratura nazionale. Questa mattina Massimo Giannini per raccontare ai lettori di Prima pagina, la popolare trasmissione del mattino di RadioTre,  le vicissitudini del voto dentro il gruppo parlamentare del M5S per la presidenza del Senato,  legge il resoconto di Fabrizio Roncone intitolato"Sul blog va in diretta la spaccatura. Scoppia il  caso del commento sparito":
"La notizia è questa: da qualche ora, nel Web gira, rimbalza, divampa il forte sospetto che, sul blog di Beppe Grillo, un cospicuo numero di commenti critici rivolti al comico dai militanti del Movimento 5 Stelle sia stato censurato. Tecnicamente, censurato.
Li hanno proprio fatti sparire, certi commenti. Ci sono le prove.
Ma andiamo con ordine, perché la Rete, Web, Internet, è ancora per molti un mondo pieno di ombre, di mistero.
Ricostruiamo allora fatti, circostanze, cronologie.
E partiamo dalle 23.02 di sabato. Da quando Grillo pubblica sul suo blog, e in automatico anche su Twitter e su Facebook, il commento a quanto è accaduto poche ore prima al Senato, dove una dozzina di suoi parlamentari ha votato a favore di Pietro Grasso, consentendone l'elezione a presidente.
L'ordine di Grillo e Casaleggio, fatto pervenire al capogruppo Vito Crimi, era stato esplicito: «Votate scheda bianca». Crimi però non riesce a convincere i suoi, che decidono secondo coscienza. Un atto sorprendente, inatteso, con dentro un mucchio di cose: ribellione, libertà dipensiero, autonomia di voto, appoggio esplicito al Pd.
Grillo si prende giusto il tempo di riordinare le idee, poi va giù durissimo. Il succo del suo messaggio è questo: il voto segreto non ha senso, non permette trasparenza, e per questo voglio che ciascun senatore dichiari per chi ha votato; nel codice di «comportamento» del M5S è scritto che le votazioni in aula si decidono a maggioranza, è un obbligo, e chi si è sottratto a quest'obbligo, spero ne tragga le dovute conseguenze, e si dimetta."
Si dà il caso che Beppe Grillo non ha mai pronunciato queste parole "e si dimetta" che gli si vogliono mettere in bocca: chi meglio del suo blog lo documenta
Eppure, disinformazione chiama disinformazione, Giannini, senza battere ciglio, legge il pezzo in cui è stata aggiunta l'espressione.
Ma il vicedirettore di Repubblica sa benissimo che cosa ha scritto Grillo, dato che è sotto gli occhi di tutti!
Si costruisce, quindi, a tavolino un'intera  vicenda sul nulla, tanto per far passare il vertice del M5S come guidato da un gruppo di  pazzi scriteriati.
Scriteriati che, guarda un po', hanno in poco più di cinque anni, malgrado l'Italia sia al 57° posto per la libertà di stampa e la cappa soffocante del duopolio RAI-MEDIASET, pure senza un soldo, scardinato la politica degli ultimi vent'anni, cambiato la storia d'Italia, proposto un modello di democrazia diretta, portato in Parlamento una nuova forza politica con il 25 % dei voti, spalancando l'Europa al movimento, essendo osservati con ammirazione in tutto il mondo... c'è altro da aggiungere?
Forse che Grillo voglia veramente cacciare i suoi senatori che, in crisi di coscienza, hanno ingenuamente votato per Grasso temendo la vittoria dell'impresentabile Schifani? 
Neanche per sogno! Ha semplicemente ribadito un concetto lapalissiano: per un movimento che ha fatto della trasparenza  e dell'onestà il suo tratto distintivo, non è ammissibile che i suoi rappresentanti in parlamento possano trincerarsi dietro il voto segreto per disattendere le indicazioni del gruppo, quando queste siano state concordate a maggioranza e non all'unanimità.
Per cui, essi devono essere consapevoli che qualora agiscano singolarmente in contraddizione con le decisioni del collettivo, si pongono giocoforza al di fuori di esso.
E' una cosa così sconvolgente? 
Repetita iuvant:  se 35-40 deputati del PD, contro le indicazioni del segretario Bersani, avessero votato per Franceschini, adesso che fine avrebbero fatto?? Si sarebbe aperto, sì o no, un caso politico?
Ma allora perché Repubblica e il Corriere scatenano la madre di tutte le battaglie mediatiche contro Grillo, addirittura pubblicando le immagini dei commenti dei troll? Sì, perché, da brave verginelle, la censura dei commenti non è forse, insieme a diffamazione e disinformazione, una delle loro migliori specialità?
Lo ripetiamo ancora una volta: il matematico Pierluigi Odifreddi, blogger di punta di Largo Fochetti, si è visto addirittura sparire un suo post dal blog, senza preavviso, semplicemente perché le sue valutazioni sulla condotta del governo di un paese estero, non piacevano alla direzione del giornale.
E adesso tutti a cadere dalle nuvole perché Grillo, quale garante del Movimento davanti ai cittadini, sottolinea ai parlamentari pentastellati la violazione di un codice deontologico che proprio gli attivisti e i candidati del M5S si sono spontaneamente dati e impegnati a rispettare.
Ma allora perché tanto clamore? 
Semplice: i giornali della Casta vogliono impedire che Grillo possa spezzare quel vergognoso gioco di sponda che PD e PDL, amici-nemici inseparabili, stanno mettendo in atto, attraverso incontri catacombali, per neutralizzare il pericoloso civismo della pattuglia dei giovani del M5S. 
Le parole di Marco Travaglio, nel suo editoriale di oggi su Il Fatto Quotidiano, sono cristalline (ahimè, lo stesso non può dirsi delle dichiarazioni di altri collaboratori di questo giornale):
«Grillo, non essendo presente in Parlamento, deve rassegnarsi: i parlamentari di M5S saranno continuamente chiamati a votare sul tamburo, spesso con pochi secondi per riflettere, quasi sempre col ricatto incombente di dover scegliere il “meno peggio” per sfuggire all’accusa del “tanto peggio tanto meglio”, e neppure se volessero potranno consigliarsi continuamente con lui (che sta a Genova) e col guru Casaleggio (che sta a Milano). 
È la normale dialettica democratica, che però nasconde un grave pericolo per un movimento fragile e inesperto come 5 Stelle: la continua disunione dei gruppi parlamentari che, se non si atterranno alle regole che si sono dati, si condanneranno all’irrilevanza, vanificando lo strepitoso successo elettorale appena ottenuto. La regola non può essere che quella di decidere a maggioranza nei gruppi e poi di attenersi, tutti, scrupolosamente a quel che si è deciso. Anche quando il voto è segreto. Le eventuali eccezioni e deroghe vanno stabilite in anticipo, e solo per le questioni che interrogano le sfere più profonde della coscienza umana. 
Nelle prossime settimane il ricatto del “meno peggio” si ripeterà per la presidenza della Repubblica, per la fiducia al governo, per i presidenti delle commissioni di garanzia. 
Ogni qualvolta si fronteggerà un candidato berlusconiano e uno del centro o del centrosinistra, ci sarà sempre qualcuno che salta su a dire: piuttosto che Berlusconi, meglio D’Alema; piuttosto che Gianni Letta, meglio Enrico; piuttosto che Cicchitto, meglio Casini. Se ciascuno votasse come gli gira, sarebbe la morte del Movimento, che si ridurrebbe a ruota di scorta dei vecchi partiti, tradendo le aspettative dei milioni di elettori che l’hanno votato per spazzarli via o costringerli a rinnovarsi dalle fondamenta. ll che potrà avvenire solo se M5S, pur non rinunciando a fare politica, manterrà la sua alterità e sfuggirà a qualsiasi compromesso al ribasso, senza lasciarsi influenzare dai pressing dei partiti e dai media di regime».
Ai simpatizzanti del M5S bisogna dare solo un consiglio: non fatevi fregare dai mistificatori, dai falsari, da quelli come Massimo Giannini maestri nelle cosiddette sinergie disinformative: costruire teoremi falsi partendo da fatti inesistenti o distorti.
E con la stessa baldanza disinformativa che il Corriere.it stasera può titolare: "Espulsioni, possibile marcia indietro", ma Grillo oggi non fa alcuna marcia indietro: al contrario, ribadisce per filo e per segno il suo pensiero.
Ma anche Repubblica non vuole rimanere indietro nella fiera della vergogna: estrae, da un video mandato in onda da Le Iene  ieri sera, che dura circa 5 minuti, in cui si riportano le imbarazzanti risposte di alcuni onorevoli a semplici domande,  soltanto la domanda rivolta alla deputata padovana Gessica Rostellato, del Movimento 5 Stelle, omettendo le più imbarazzanti risposte dei deputati del PD.
Con tutta franchezza, si può continuare con questo scempio organizzato della verità? 

giovedì 7 marzo 2013

Ma perché PD e PDL non continuano a governare insieme??

Nel totale caos politico di queste ore, con i due grandi sconfitti PD e PDL che cercano di esorcizzare la débacle elettorale, sparlando a vanvera contro i cittadini eletti nelle fila del M5S e addirittura rilanciandosi loro stessi per guidare il prossimo esecutivo,  proprio come niente fosse, ancora una volta è Beppe Grillo a pronunciare parole di verità. Infatti sul suo blog un attivista del M5S si domanda:

"pdl e pdmenoelle hanno più punti programmatici in comune tra loro:
1) entrambi vogliono la TAV

2) entrambi sono per il MES
(nda: cioè il fondo salva stati europeo che l'Italia ha alimentato con 20 miliardi di euro, l'importo totale dell'IMU, per consentire alle banche greche e spagnole di restituire i prestiti ottenuti da Francia e Germania)
3) entrambi per il Fiscal Compact
4) entrambi per il pareggio di bilancio
5) entrambi per le "missioni di pace"
6) entrambi per l'acquisto degli F-35
7) entrambi per lo smantellamento dell'art.18
8) entrambi per la perdita della sovranità monetaria
9) entrambi per il finanziamento della scuola privata
10) entrambi per i rimborsi elettorali
Quanti punti programmatici comuni ho trovato così su due piedi??? DIECI. Ne hanno più loro che quello che afferma Bersani con il M5S (lui dice 8). Non per niente hanno governato per un anno e più insieme".
 
Effettivamente l'osservazione non fa una piega: perché Bersani e Berlusconi, nel tempo necessario a cambiare la loro legge elettorale porcata e magari fino alla primavera del 2014 (quando si svolgeranno le elezioni Europee), non continuano a governare insieme, magari con la guida 'esperta' dello stesso Mario Monti, visto che condividono lo stesso programma in quelli che sono dieci punti altamente qualificanti di una possibile azione di governo?
Non saranno solo le cene di Arcore o il caso Ruby a dividerli!
Anche perché se fossero sinceramente intenzionati ad imprimere una svolta nella politica italiana avrebbero entrambi già fatto un  passo indietro, dopo essersi reciprocamente e pubblicamente cosparso il capo di cenere.
Invece, come due sfingi, additano Grillo come il responsabile dell'ingovernabilità e continuano per la loro strada.
Berlusconi che tenta l'inciucio, terrorizzato di restare fuori dalla stanza dei bottoni; Bersani che riunisce una direzione nazionale di impresentabili (ci sono tutti, da D'Alema a Veltroni, anche se quest'ultimo ha almeno la dignità di non parlare) per dettare agli italiani gli otto punti di un'improbabile agenda di governo. Tra questi, ancora una volta, la legge anticorruzione, pure licenziata dall'allegra brigata PD-PDL-Centro nel dicembre scorso e balzata agli onori della cronaca sotto il nome di legge Severino.
"Che cos'è, è uno scherzo?" si domandava ieri Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, dopo aver preso atto, dal gip di Monza, proprio di quello che era il prevedibile effetto della suddetta legge: perché derubricando il reato di concussione per induzione a reato minore, con pene dimezzate e prescrizione più breve, sono saltate (perché prescritte!) le accuse alle coop rosse nel processo a Filippo Penati, già braccio destro di Bersani, cioè le tangenti che secondo l'accusa sono finite ai DS per il recupero delle aree ex Falck e Marelli. Così come accadrà tra poco per il grosso delle accuse allo stesso Penati.
Come si vede, PD e PDL vanno d'accordo pure in materia di giustizia, avendo ognuno  le proprie belle gatte da pelare. 
Pertanto, cosa c'è di meglio di riproporre l'ennesima legge anticorruzione, dietro la cui foglia di fico nascondere definitivamente altre questioni scottanti, per esempio l'affaire Monte Paschi di Siena? 
In fondo la legge anticorruzione serve proprio a questo, ad eliminare all'istante la corruzione, nel senso di far sparire  corrotti e corruttori dalle aule giudiziarie, con il più classico dei colpi di spugna.
E allora ci si accorge che il programma dal PD e quello del PDL sono due gocce d'acqua: in materia di politica economica, giustizia, scuola, beni culturali, difesa, non-tagli alla Casta, esteri. 
Alzi la mano chi vi riscontra differenze sostanziali!
L'unico vero motivo di frizione tra i due partiti, dal punto di vista strettamente mediatico, resta ancora la figura di Silvio Berlusconi che rappresenta per i piddini il simbolo della loro inadeguatezza, essendo riusciti a farlo risorgere più volte dalle sue ceneri.
E' vero, quelli del PD temono che l'abbraccio con il Cavaliere a favore di telecamere si possa rivelare mortale e tradursi alle prossime elezioni in un'ulteriore emorragia di voti, quella definitiva. Con il rischio di lasciare al Movimento 5 Stelle l'intera scena e la maggioranza assoluta dei consensi. 
Ecco perché Bersani vuole sì arrivare a tanto ma solo dopo essere riuscito ad inguaiare Beppe Grillo con un ricatto del tipo: o appoggi dall'esterno il nostro governo oppure faremo credere alla gente che la responsabilità di tornare alle urne tra tre mesi sarà esclusivamente tua. Infatti, checché tu sbraiti, il sistema dei media tradizionali è ancora a nostro completo servizio: in questi giorni ti abbiamo dimostrato che, pur vantando il M5S la pattuglia dei parlamentari più preparati perché quasi tutti laureati, grazie ai nostri giornalisti, siamo stati in grado di metterli alla gogna facendoli passare non solo come degli ignoranti ma, peggio, degli emeriti cretini.

Beppe Grillo ha quindi ragioni da vendere quando proprio oggi sul suo blog mette in guardia deputati e senatori dal cedere alle lusinghe dei conduttori televisivi avvisandoli: Attenti ai lupi!.
"Il loro obiettivo è, con voce suadente, sbranare pubblicamente ogni simpatizzante o eletto del M5S e dimostrare al pubblico a casa che l'intervistato è, nell'ordine, ignorante, impreparato, fuori dalla realtà, sbracato, ingenuo, incapace di intendere e di volere, inaffidabile, incompetente. Oppure va dimostrato il teorema che l'intervistato è vicino al pdmenoelle, governativo, ribelle alla linea sconclusionata di Grillo, assennato, bersaniano. In entrambi i casi, il conduttore si succhia come un ghiacciolo il movimentista a cinque stelle, vero o presunto (più spesso presunto), lo mastica come una gomma americana e poi lo sputa, soddisfatto del suo lavoro di sputtanamento. E' pagato per quello dai partiti.
L'accanimento delle televisioni nei confronti del M5S ha raggiunto limiti mai visti nella storia repubblicana, è qualcosa di sconvolgente, di morboso, di malato, di mostruoso, che sta sfuggendo forse al controllo dei mandanti, come si è visto nel folle assalto all'albergo Universo a Roma dove si sono incontrati lunedì scorso i neo parlamentari del M5S. Scene da delirio. Questa non è più informazione, ma una forma di vilipendio continuato, di diffamazione, di attacco, anche fisico, a una nuova forza politica incorrotta e pacifica. Le televisioni sono in mano ai partiti, questa è un'anomalia da rimuovere al più presto. Le Sette Sorellastre televisive non fanno informazione, ma propaganda."
Emblematico il caso di Barbara d'Urso che su Canale 5 ha invitato a parlare a nome del M5S, guarda caso, un signor nessuno, che si era iscritto via internet al Movimento di Beppe Grillo appena il giorno stesso delle elezioni, invitandolo a dialogare con deputati della Lega e facendo così fare al movimento stesso una pessima figura.
Si può pensare di aprire una trattativa politica con partiti che ricorrono a qualsiasi nefandezza pur di screditare quella che dovrebbe essere la loro controparte politica??
Intanto la macchina del fango di Repubblica - L'Espresso continua a vomitare contro il leader del M5S di tutto, prendendo di mira qualunque cosa o chiunque semplicemente sia a lui vicino, persino il suo autista...
Ma questa non ha più nulla a che vedere con l'informazione  nè con il giornalismo, è semplicemente guerriglia  mediatica: vergogna!



giovedì 16 agosto 2012

Incubo di Ferragosto: Veltroni prossimo presidente della Camera!

Si vocifera all'interno del Pd che già siano state spartite le principali poltrone della prossima legislatura, dando per certo già da adesso che sarà proprio il Pd il partito di maggioranza relativa.
Insomma, i principali azionisti del partito (i soliti D'Alema, Veltroni, Bindi, Franceschini,  Letta, ecc.), piuttosto che fare un passo indietro, finalmente ritirandosi a vita privata (dopo i gravi e irreparabili danni causati al Paese assieme agli omologhi del Pdl e dell'Udc), sarebbero di nuovo in pole position per accaparrarsi i posti di maggiore visibilità e prestigio.
Addirittura circolerebbe un papello, secondo la felice espressione del Foglio, tra i corridoi democratici in cui, oltre ad assicurare il pieno appoggio a Monti fino allo scadere dell'attuale legislatura e rilanciare la grosse koalition per i successivi cinque anni (l'ammucchiata 'Tutti dentro' Pd-Pdl-Udc), sarebbero state decise persino le principali cariche del nuovo esecutivo con i big del partito determinati a sfruttare fino in fondo  la loro rendita di posizione contro gli appetiti di vecchi e possibili nuovi rottamatori.
Ecco la lista degli incarichi:
Pierluigi Bersani:  a Palazzo Chigi come premier o Ministro dell'Economia
Walter Veltroni: Presidente della Camera
Massimo D'Alema: Ministro degli Esteri o Commissario Europeo
Rosy Bindi: Vicepresidente del Consiglio
Enrico Letta: Ministro allo Sviluppo Economico
Dario Franceschini: Segretario del Pd.

Un'organigramma da mettere i brividi, dove agli ex democristiani Fioroni e Carra verrebbero affidati importanti sottosegretariati per programmare in tempo la spartizione prossima ventura.
Insomma, per la nomenklatura del Pd la parola d'ordine è quella di contare sempre di più, tutto il contrario di chi spera che si siano rassegnati ad appendere la grisaglia al chiodo, dopo lo scasso degli ultimi vent'anni...
Pensate un po', i perdenti e nemici di sempre D'Alema e Veltroni, invece di lasciare, doverosamente e in punta di piedi, di fronte all'elettorato inferocito, starebbero contro ogni logica per raddoppiare.
Così, dopo l'abominio del governo Monti, ci ritroveremmo come terza carica dello Stato, Walter Se po' ffà, il kennediano de Roma, che speravamo finalmente avviato, dopo l'intervista all'attrice Stefania Sandrelli, a fare l'intrattenitore culturale...
Un incubo!

sabato 21 luglio 2012

Prove tecniche di dittatura

Per capire in che degrado sia precipitata la libertà di pensiero e di parola in Italia, basta guardare a come giornali, televisioni, Tg, hanno trattato la notizia sensazionale del conflitto di attribuzione che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sollevato contro la Procura di Palermo, che sta indagando sulla trattativa tra Stato e mafia nel biennio stragista 1992-1993.
L'attacco diretto che il Presidente della Repubblica ha portato ai pm siciliani non ha precedenti nella storia d'Italia; eppure, con l'eccezione di qualche voce isolata e di un solo giornale, il Fatto Quotidiano, non c'è giornalista della carta stampata o della televisione che, invece di informare e di ricostruire con oggettività la vicenda, non abbia preferito prendere, secondo una regia che sembra quasi studiata a tavolino, la difesa d'ufficio di Giorgio Napolitano.
Il modo con cui la notizia viene gestita dagli organi di informazione è veramente vergognoso: in un'unanimità di consensi, tra centrodestra e centrosinistra, non c'è nessuno che abbia ricostruito la vicenda per quello che è, nessuno che abbia osato semplicemente descrivere il comportamento eccezionale di Re Giorgio, a cui vengono ancora in queste ore tributati gli onori che un tempo si concedevano ai monarchi assoluti, di cui almeno nel mondo occidentale non dovrebbe esserci restata traccia.
Sul piano politico, l'unico che abbia alzato il dito per sottolineare che il re è nudo è Antonio Di Pietro, a cui tutti gli Italiani devono riconoscere, al di là delle simpatie personali o delle proprie convinzioni ideologiche, in questa come in altre recenti occasioni, una prova di onestà intellettuale, lealtà istituzionale e senso civico che, ad esempio, i sepolcri imbiancati del Partito Democratico non si sono neppure sognati di avere.
Tralasciamo poi, per carità di patria, la posizione del Pdl e dell'Udc, partiti in cui ad esempio personaggi come Salvatore Cuffaro,  Raffaele Cosentino,  Marcello Dell'Utri, ecc.,  hanno avuto e spesso ancora hanno un ruolo apicale, che condividono con il Pd la stessa posizione di totale sudditanza alle mosse del Colle, con l'obiettivo neppure sottaciuto di precostituirsi un formidabile e gigantesco precedente. 
Successivamente, capitando con certezza matematica l'occasione buona, potranno comodamente passare all'incasso, vedendosi restituire a vantaggio dei propri uomini un analogo favore: basta sfogliare i giornali di area berlusconiana in questi giorni per farsene un'idea.
Dicevamo prima che il quarto potere ha dato di sè una prova pessima.
Nessun telegiornale ha fatto eccezione, anche la squadra di Rai News 24, di solito così pronta a decodificare i segnali della politica ed a ricostruire con attenzione i fatti di giornata, si è limitata a fare da grancassa alle iniziative del sovrano del Quirinale.
Particolarmente in difficoltà il direttore Corradino Mineo:  solitamente mostra una certa autonomia di giudizio  ma parlando di Napolitano le sue qualità professionali d'incanto vengono obnubilate.
Da sempre trapela dalle sue parole una autentica Venerazione nei confronti dell'attuale Inquilino del Colle: ne parla con ammirazione, con timorosa cautela e con la premurosa circospezione da tributare ad un Dio in terra, i cui comportamenti sono ispirati da un'Intelligenza Superiore e i cui interventi sono sempre opportuni, pertinenti, necessari, decisivi, equilibrati, mirati, una immeritata manna per l'Italia.
La consueta vivacità intellettuale delle sue riflessioni si scioglie, definitivamente e malinconicamente, in un'adesione cieca e totale alle Gesta Sovrane.
C'è da temere che quando finalmente giungerà a compimento il Celeste Mandato, il Mineo si presenterà ai suoi telespettatori in gramaglie e annuncerà la notizia come fece qualche mese fa la conduttrice della televisione nordcoreana per annunciare la dipartita del dittatore Kim Jong II.



Nella classifica della libertà di stampa siamo al 40° posto, subito dopo la Corea del Sud: ancora uno sforzo e quella del Nord sarà alla nostra portata...

PS: chi ci vuole capire qualcosa sul conflitto tra Napolitano e Procura di Palermo è pregato di spegnere la televisione, buttare nella pattumiera i giornali (ad eccezione del Fatto Quotidiano, che guarda caso è l'unico che non riceve un euro di finanziamento pubblico) e di cliccare sul link del FattoQuotidianoTV della registrazione della diretta-streaming da Via D'Amelio del 19 luglio: è  un video di oltre 8 ore dove compaiono interventi autorevoli, anche dei magistrati del pool di Palermo. Da non perdere, dopo 6h e 7' circa, la lezione civile di Marco Travaglio: 60 minuti da antologia.

mercoledì 27 giugno 2012

Il governo Monti e la vittoria di Pirlo

Mentre cresce, insieme allo spread,  l'attesa per l'incontro-scontro di domani tra Italia e Germania che si gioca, per uno strano scherzo del destino, contemporaneamente sia a Varsavia, dove è in programma la partita di calcio tra le due nazionali, che a Bruxelles dove si svolge il Consiglio europeo, le cronache parlamentari preannunciano l'approvazione entro stasera della riforma del mercato del lavoro griffata EF (Elsa Fornero).
Intanto è già archiviata la bocciatura dell'emendamento presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto che intendeva fissare un tetto limite di 6'000 euro netti mensili per le pensioni calcolate con il metodo retributivo (10'000 euro in caso di cumulo).
Una cifra più che generosa a cui generali, docenti universitari, dirigenti pubblici e gli stessi tecnici del governo Monti sembra non abbiano intenzione di adeguarsi tanto facilmente; tant'è che il governo ha espresso parere contrario rinviando tutto alle calende greche, ad un fumoso e futuribile decreto sviluppo
Così Crosetto si è sentito rispondere dai banchi del governo: smuoviamo un campo troppo vasto. Rinviamo e il Governo si impegna a sostenerlo...
E' così passata la paura a gente come Fornero, lo stesso Monti, Catricalà, Cancellieri, che già adesso percepiscono vitalizi vicini e in molti casi superiori al fatidico tetto.
Come racconta Salvatore Cannavò su il Fatto Quotidiano, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, attuale ministro della Difesa, percepisce 22'000 euro al mese, la ministra Cancellieri 7'000, Monti come docente universitario, poverino!, ne percepisce solo 5'400 anche se così vedrebbe avvicinarsi questa spada di Damocle.
Invece, tirano un vero e proprio sospiro di sollievo Giuliano Amato dall'alto dei suoi 21'000 euro netti, Lamberto Dini con 22'000 euro ed anche lo stesso Mario Draghi che si accontenta di poco più di 8'500 euro netti al mese.
Insomma 6'000 euro netti al mese fanno qualcosa come 110.000 euro di reddito lordo annuo, ma un ministro come Elsa Fornero già ora percepisce un vitalizio attorno ai 230.000 euro, il sottosegretario Catricalà, quello della proposta malandrina sulla composizione del Csm a maggioranza partitica, dichiarava nel 2010 un reddito lordo di 740'000 euro, il Ragioniere generale dello Stato emolumenti complessivi per 520.000 euro nel 2011.
Ma lor signori possono dormire sonni tranquilli: seppure in un domani assai lontano l'emendamento dovesse passare, di sicuro non avrebbe effetto retroattivo, come invece, guarda un po', è capitato sia ai pensionati che agli esodati della Fornero, quelli che da un momento all'altro si sono ritrovati in mezzo alla strada, ovvero senza stipendio e senza pensione.
E mentre nel tritacarne della spending review azionata dal tandem Pietro Giarda ed Enrico Bondi, precipitano persino i buoni pasto degli statali e forse addirittura le loro tredicesime, i diritti acquisiti degli alti dirigenti e dei tecnici non sono neppure in discussione.
Curioso paradosso: quando si tratta di tagliare sui costi della politica, sugli stipendi e le pensioni d'oro, i tecnici ti spiegano che non ne vale la pena perché sono in ballo risparmi minimi.
Ugualmente quando qualcuno si azzarda a proporre un'imposta che colpisca i grandi patrimoni: i tecnici, sempre loro, ti ammaestrano che il gettito fiscale sarebbe trascurabile.
Ma al tempo stesso, prendere di mira le mostruose pensioni della Casta per ricondurle ad una dimensione più umana, significa smuovere un campo troppo vasto.
Questi professoroni ne sanno proprio una più del diavolo! Quando le cifre li smentiscono, fingono di ignorarle.
Così gli esodati non diventeranno mai un campo troppo vasto.
L'Inps comunica che sono 390'000, Fornero ribatte che sono solo 65'000, gli altri si arrangino: che mangino brioches! Perché "il diritto al lavoro va guadagnato..."
Ma in fondo per i media queste sono sottigliezze.
Per loro, l'unica cosa che conta in queste ore è il cucchiaio di Andrea Pirlo: se poi domani sera vinciamo a pallone contro la Germania, magari proprio grazie ad un'altra sua prodezza, possiamo pure infischiarcene delle conclusioni del vertice europeo con Angela Merkel.
Niente Eurobond? Poco male: che ci licenzino tutti (l'importante è che non vengano toccati stipendi,  pensioni d'oro ma neppure le ferie della Casta, come ha rivendicato l'onorevole Cicchitto)!
Insomma, con l'alto patrocinio di Giorgio Napolitano, sembra che agli Italiani a questo punto interessi solo la vittoria di Pirlo.


giovedì 21 giugno 2012

Repubblica e la difesa del Colle

Le rivelazioni che stanno uscendo grazie alle indagini della procura di Palermo sul patto mafia-stato che nel 1992 avrebbe tra l'altro portato alla strage di via D'Amelio, con l'uccisione del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, sono di un'estrema gravità e qualsiasi cittadino italiano degno di questo nome avrebbe il diritto sacrosanto di pretendere, ad alta voce, la massima trasparenza a tutti i livelli istituzionali affinché sia fatta finalmente luce, con vent'anni di ritardo,  su una delle stagioni più oscure e terribili della nostra storia.
Soprattutto ci si aspetterebbe da parte degli attuali vertici istituzionali, in primis la presidenza della Repubblica, la massima collaborazione con quel manipolo di eroici magistrati che, avendolo giurato prima ancora che sopra la tomba dei colleghi alla propria stessa coscienza ed a tutti gli Italiani, si prodigano quotidianamente nell'indifferenza o nel silenzio complice della politica, combattendo una lotta impari ed a rischio del proprio estremo sacrificio, per venire a capo delle tante ombre che ancora si affollano su quelle tragiche vicende e ne occultano la verità e le gravissime responsabilità penali.
Purtroppo, nella costernazione di quanti hanno ancora a cuore questo Paese, non è così. E ad essi si risponde in modi evasivi ed arroganti.
Lo staff del presidente della Repubblica ha infatti definito come "risibili e irresponsabili illazioni" le rivelazioni del Fatto Quotidiano sulle pressioni esercitate dall'ex ministro Nicola Mancino contro i pubblici ministeri di Palermo, in prima linea nell'indagine sullo scellerato patto che, cedendo al ricatto mafioso, all'epoca avrebbe finito per barattare l'incolumità di alcuni politici per l'allentamento delle condizioni carcerarie dei boss mafiosi allora detenuti.
Meno grave ma ugualmente inquietante è che alcuni importanti quotidiani, dopo essere stati i primi ad averne dato nei giorni scorsi la notizia (sia pure a pagina 22 che, come ironizza il grandissimo Marco Travaglio, "dev'essere quella riservata agli scandali di Stato")  si affannino adesso a minimizzarne la portata, e per voce delle loro firme migliori, a mettere su una difesa del Colle così sbilenca e raffazzonata da lasciare allibiti.
Racconta, infatti, Eugenio Scalfari in un poco meditato intervento video, spendendosi a spada tratta per Giorgio Napolitano, che non sarebbe la prima volta che il Capo dello Stato interviene su un'inchiesta in corso quando la magistratura procede in ordine sparso e fa il caso del conflitto di competenza sollevato a suo tempo tra le procure di Salerno e Reggio Calabria.
Ma,  a parte le mille riserve su questo paragone, Scalfari fa finta di non sapere che sulla trattativa mafia-Stato del '92-93 non c'è alcun conflitto di competenza tra le procure di Palermo e Caltanissetta (che intanto sta indagando sulla strage di Via D'Amelio) e dunque nessuna necessità di coordinamento o normalizzazione, che dir si voglia.
Inoltre, implicitamente egli avalla l'inammissibile pratica per cui un imputato, quale è allo stato degli atti il privato cittadino Nicola Mancino,  possa chiedere riservatamente un intervento superiore sull'inchiesta in cui lui stesso è direttamente coinvolto abusando della conoscenza personale del Capo dello Stato.
Una mostruosa bestemmia logica prima ancora che giuridica.
Ed è per questo che Scalfari, mandato all'ammasso il buon senso, è costretto a spostare il focus della sua argomentazione sul governo Monti, usando le stesse argomentazioni che per anni hanno usato gli ascari di Berlusconi per sottrarlo politicamente all'assunzione di responsabilità sui suoi vizi pubblici e privati: chi attacca Napolitano per queste ragioni pretestuose (sic!), egli conclude, lo fa per indebolire il governo Monti e quindi il PD deve prendere le distanze da Antonio Di Pietro, promotore di un'indagine parlamentare sui fatti del biennio nero '92-93.
Ma è possibile che un quotidiano come Repubblica sia disposto a tale sacrificio culturale, intellettuale (e di lettori!), pur di difendere ciecamente il Quirinale, il governo dei tecnici e  quel che resta del PD?

lunedì 16 aprile 2012

Si profila un diluvio elettorale per spazzare via l'ABC della vecchia politica

Ormai la Casta ha perso completamente la testa.
Immobile da mesi a sostenere il governo dei banchieri guidato da Mr. Monti, in preda a scandali che ne hanno azzerato qualsiasi credibilità (ormai una maggioranza che defineremmo iperbulgara, oltre il 90 % degli Italiani, non si fida più degli attuali partiti!), incapace di una qualsiasi iniziativa di autoriforma (i famosi tagli della politica restano ancora nel libro dei sogni), sa che il suo destino è segnato, è solo questione di mesi, forse di settimane.
L'inguardabile ammucchiata Alfano-Bersani-Casini, ovvero l'ABC della mediocrità, dell'arroganza e dell'incompetenza all'ennesima potenza, è pure alla spasmodica ricerca di soldi pubblici, essendo oberata di debiti malgrado abbia ricevuto  dai contribuenti italiani, per giunta contro l'esito referendario del 1993, una montagna di soldi: 503 milioni di euro solo per le politiche del 2008. Tradotto in vecchie lire: 1.000 miliardi!
Il Partito Democratico che ha incassato 200 milioni di euro dal 2008 presenta un buco di 43 milioni, come ha rivelato a Il Fatto Quotidiano il suo tesoriere, Antonio Misiani e aspetta con la bava alla bocca la rata di luglio per poter respirare. Stesso dramma per il Pdl, a dimostrazione che la partitocrazia è soltanto una spaventosa macchina mangiasoldi.
E di qualsiasi questione si accinga ad occuparsi, c'è più di un sospetto che lo faccia eslusivamente per bassissimi interessi di bottega.
A questo punto, quale fiducia si possa avere nei confronti di questi figuri quando intasano le serate televisive per difendere a spada tratta le scelte più imbarazzanti del famigerato governo dei tecnici, dalla costruzione della inutile TAV al sistematico smantellamento dello stato sociale, è presto detto: zero spaccato.
Se la politica è quella portata avanti da personaggi come Alfano (alias Berlusconi), Bersani e Casini, che hanno chiuso gli occhi di fronte alle mille ruberie perpretate negli ultimi vent'anni dalle loro consorterie e che ci consegnano un paese alla bancarotta, senza farsi neppure un esame di coscienza e chiedere scusa pubblicamente prima di ritirarsi definitivamente a vita privata,  allora ben venga mille volte, un milione di volte, la tanto esorcizzata antipolitica.
Poiché il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è dato in queste settimane in forte ascesa da tutti i sondaggi, con un dato nazionale ben sopra il 7%, il panico si è impossessato della nomenklatura, fino al punto da renderla protagonista di esternazioni come queste:
"Abbiamo in giro molti apprendisti stregoni che sollevano un vento cattivo" oppure "Beppe Grillo è un fenomeno di populismo che non ha le caratteristiche per offrire una prospettiva al nostro paese. Considero il populismo un nemico. Quando sono crollati la democrazia e i partiti negli anni '30, il populismo ha fatto nascere un'avventura drammatica. I regimi reazionari sono stati alimentati dalle culture populistiche. Il nostro problema è ricostruire la democrazia, la credibilità delle forme organizzate per fare politica".
Chi delira così? Facile, è Pierluigi Bersani, segretario Pd,che non si sogna neppure un momento di pensare che forse la democrazia in Italia è già crollata, altrimenti l'ammucchiata ABC non potrebbe stare lì da 5 mesi a girarsi a guardare da un'altra parte mentre il suo governo tecnico fa macelleria sociale su larga scala e sparge sale sull'economia italiana, condannandola a diventare nel breve volgere di qualche anno il far west  delle multinazionali.
Ma ha bene in mente che il ciclone Grillo spazzerà via le termiti che hanno divorato, insieme alle Istituzioni, il futuro di milioni di Italiani:  "Se c'è qualcuno che pensa di stare al riparo dall'antipolitica si sbaglia alla grande. Se non la contrastiamo, spazza via tutti".
Una volta tanto anche lui ha ragione: sono in tanti a sperare in un diluvio elettorale che spazzi via la vecchia politica e i suoi ormai non più tollerabili privilegi, fatti pagare pure dal governo dei professori sempre alle solite categorie sociali.

martedì 14 febbraio 2012

Se Atene piange, Roma non ride

Repubblica di domenica scorsa ci ha rivelato che, alla vigilia del viaggio americano, il premier Mario Monti in un faccia a faccia con il segretario generale della CGIL Susanna Camusso avrebbe raggiunto un accordo per una sospensione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i precari e per una interpretazione ufficiale meno rigida del principio di giusta causa da parte dei tribunali del lavoro.
Questo incontro, che si sarebbe svolto secondo il quotidiano di Piazza Indipendenza in "territorio neutrale" e che sarebbe dovuto restare segreto, getta un'ulteriore ombra sul funzionamento della nostra democrazia, dove sempre più spesso le decisioni che contano vengono prese fuori dalle sedi istituzionali, in vertici a quattr'occhi,  possibilmente lontano da sguardi indiscreti.
Anche se, come in questo caso, i protagonisti prontamente smentiscono con una inusuale nota diramata congiuntamente da Palazzo Chigi e dalla Cgil;  ma il vicedirettore Massimo Giannini conferma la veridicità della notizia.
Insomma i palazzi della politica sempre più spesso si limitano a registrare quanto viene deciso altrove rivestendo  un ruolo di pura (sia pure elegante) tappezzeria, di fatto retrocessi a semplici organismi burocratici che intervengono successivamente per apporre i crismi necessari all'emanazione dei provvedimenti legislativi.
E' un fenomeno noto da tempo e sicuramente inquietante che contribuisce alla crescente e ormai generale disaffezione per la politica, in un'Italia dei poteri forti, delle lobbies, delle logge segrete, delle varie P2 - P3- P4.
Ancora più preoccupante in tempi come i nostri in cui il cosiddetto governo dei tecnici, uscito dal cilindro del presidente Napolitano, si regge su una alleanza inedita tra PD e PDL che in un sistema bipolare, a vent'anni dall'ingresso nel maggioritario, suona come una autentica bestemmia.
Precisazione necessaria soprattutto per rispondere a quanti, tra  politici e opinionisti, approssimandosi un'intesa ritenuta imminente tra  Bersani e Berlusconi sulla nuova legge elettorale, continuano a declamare le presunte virtù del sistema maggioritario che permetterebbe ai cittadini di scegliersi il premier: purtroppo questa tesi è smentita inoppugnabilmente proprio dalla nomina dell'outsider Mario Monti a capo del governo.
Questi leader politici sono così poco credibili e a mal partito (è proprio il caso di dirlo), che risulterebbe comico, se non fosse per altri versi tragico, sentirli difendere la politica del preside della Bocconi, partendo da posizioni ideologiche apparentemente opposte: domenica sera è stato il turno di Angelino Alfano, ospite su RaiTre di Fabio Fazio.
Ma assistere alle peregrinazioni verbali, flagellate da continui anacoluti, del suo omologo Pierluigi Bersani non è più confortante.
Tuttavia, in un logoro gioco dei ruoli, ciascuno di loro nelle continue comparsate televisive ancora ha l'impudenza di ammiccare al proprio elettorato di riferimento (se mai ancora ne vanta uno).
Quando, però sono costretti, in base all'agenda politica, ad accordarsi di persona,  per non esacerbare gli animi già esasperati dei loro sparuti sostenitori, optano per soluzioni estreme, come ad esempio appuntamenti al buio, magari in un tunnel sotterraneo. 
Già è successo nel sottosuolo di Roma tra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama  per il varo del governo di Mr. Monti.
Che questo strano andazzo segni se non la fine sicuramente la sospensione della democrazia  è opinione largamente diffusa: con l'Italia non messa meglio politicamente della Grecia dove l'omologo di Monti si chiama  Luca Papademos, uomo della BCE, e ha fatto varare, davanti ad un paese in rivolta, l'ennesima insopportabile manovra di austerity.
Purtroppo, i paesi dell'Europa mediterranea stanno subendo il ricatto delle banche che, dopo aver provocato la più grossa crisi finanziaria dell'età moderna, invece di renderne conto, anche sul piano penale, ai cittadini e alle istituzioni del proprio paese, le hanno occupate con la complicità della politica, infischiandosene altamente della sovranità popolare.
Così mentre la Grecia brucia, i giornali titolano schizofrenicamente che "le borse e i mercati respirano", poiché il Parlamento di Atene, con la pistola puntata alla tempia dalla troika europea (BCE, FMI, UE), ha mandato giù l'ennesimo boccone amaro tra pesanti tagli al salario minimo, licenziamenti e ticket sulla sanità.
Nel frattempo, il governo Monti, che soltanto due mesi fa aveva  approvato la sua prima manovra antipopolare (l'ennesima del 2011), si accinge adesso con incontri alla chetichella  a varare una riforma del mercato del lavoro destinata ad affondare i colpi nella carne martoriata del lavoro dipendente.
Nessuna sorpresa: è tutto sommato normale che in una democrazia sospesa, commissariata da un ex consulente della banca d'affari americana Goldman Sachs e fresco di ritorno da un viaggio trionfale negli States, il governo sospenda l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Come abbiamo più volte ripetuto, la sospensione di tale articolo non ha alcuna spiegazione economica ma è un intervento squisitamente politico con cui suggellare, anche sul piano  simbolico, il passaggio epocale da una repubblica fondata sul lavoro a uno stato oligarchico dominato dalle banche.
In altre parole, la presunta enfatizzata 'modernità' del mercato del lavoro, per effetto del venir meno della tutela del reintegro obbligato in caso di licenziamento discriminatorio, consiste proprio nel lanciare alle multinazionali un esplicito messaggio di resa del nostro welfare al far west imposto dalla globalizzazione.
Di ciò Monti non ha fatto mistero: "per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani" ha dichiarato in una recente apparizione a RepubblicaTv.
Eppure, oltre alla inconsistenza di un qualche nesso logico, non c'è alcuna evidenza empirica che l'abolizione di tale tutela possa generare un solo posto di lavoro in più.
E anche sul piano numerico, l'applicazione dell'articolo 18 è assolutamente insignificante: secondo dati della Cgil, negli ultimi 5 anni di 31.000 cause contro i licenziamenti illegittimi solo l'1 per cento si è conclusa con il reintegro nel posto di lavoro.
Ma allora quale la ragione di tanto accanimento?
"Ce lo chiedono le multinazionali" fanno capire Monti e Fornero, confermando che nell'Italia commissariata dai tecnici contano molto di più le grandi concentrazioni finanziarie che la sovranità popolare, quand'anche, come in questo caso, la loro richiesta manchi di qualunque presupposto scientifico se non il riflesso condizionato di un capitalismo primordiale, da animal spirits.
E' accettabile che il presunto governo dei tecnici ponga mano ad un epocale arretramento del diritto del lavoro senza che la collettività venga direttamente investita della questione?
Questione che, al di là delle mere valutazioni di carattere economico, resta comunque  intrisa di profondi significati ideali, storici, di conquista sociale e di innumerevoli riferimenti costituzionali.
Infine, è ammissibile che si faccia carta straccia di due successive consultazioni referendarie che ancora nel 2000 e nel 2003 hanno sancito il rifiuto popolare a prendere in considerazione questo argomento?
Ma il solo doverci porre simili interrogativi è sintomatico del fatto che se Atene piange, Roma non ride.

PS (15 febbraio 2012 h. 14.30): Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio, a pagina 9, conferma la ricostruzione di Massimo Giannini avendo saputo da fonte qualificatissima che all'incontro tra Mario Monti e Susanna Camusso era presente proprio il direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
In un sol colpo, doppio sbugiardamento per il premier e il numero 1 della Cgil!
A questo punto, almeno un altro paio di domande sono d'obbligo: perché la Presidenza del Consiglio e il primo sindacato italiano si espongono così tanto nel negare l'incontro? Perché Repubblica dà addirittura per fatto un accordo di massima, commettendo un'evidente scorrettezza nei confronti della Camusso in mancanza di evidenze documentali? 

domenica 14 febbraio 2010

Un quesito per Di Pietro: meglio un ripensamento o... una ripassatina?

La scelta di Antonio di Pietro di appoggiare il candidato del PD alla regione Campania il pluriinquisito Vincenzo De Luca, ha seminato sconcerto tra i suoi elettori, anzi, li ha gettati nello sconforto. La scelta appare inspiegabile soprattutto in un momento in cui il governo di Silvio Berlusconi appare in grossa difficoltà.
Sta finalmente saltando il tappo ma l’ex magistrato di Mani pulite fa finta di non accorgersene.
Ai rimproveri amichevoli che gli hanno rivolto a più riprese Beppe Grillo e Marco Travaglio, ultimo in ordine di tempo l’editoriale di oggi su il Fatto Quotidiano, risponde in modo monocorde il leader dell’Italia dei Valori dicendo di non voler consegnare la Campania al clan dei casalesi con la possibile vittoria del candidato Pdl Stefano Caldoro.
La giustificazione è risibile e non convince alla luce del fatto che gli elettori di centrosinistra che in questi anni hanno appoggiato il partito di Di Pietro gli hanno riconosciuto il merito di aver condotto un’opposizione ferma e chiara al governo delle destre, senza i tentennamenti, se non addirittura il tacito sostegno, che il Partito Democratico gli ha invece riservato.
Quindi, la sua non è stata un’opposizione sterile e se il mosaico di stato autoritario voluto da Berlusconi non è stato completato è stato grazie proprio al popolo viola che ripetutamente è sceso in piazza per denunciarne le pessime intenzioni ed i rischi conseguenti.
Per cui il dietro front di Di Pietro appare politicamente irragionevole e inopportuno anche semplicemente nei tempi.
C’è da chiedersi perché Di Pietro, dopo aver ingaggiato una lotta impari contro Silvio Berlusconi ed essere stato premiato elettoralmente per il suo coraggio e la sua coerenza, si accodi adesso a sostenere un personaggio che, anche soltanto dal punto di vista giudiziario, potrebbe far rimpiangere lo stesso Antonio Bassolino.
Se la questione morale rappresenta la vera linea di demarcazione tra Pd e Italia dei Valori e se molta gente ha rinunciato a votare per il Pd proprio per l’opacità e la scarsa lungimiranza dimostrata dalla sua classe dirigente su questo tema, non si capisce perché dilapidare un tale patrimonio di credibilità, così duramente conquistato, per appoggiare un candidato debole come l’ex sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.
Mentre lo scandalo della Protezione Civile investe addirittura il braccio destro di Berlusconi, Guido Bertolaso, gettando discredito su tutto il governo e sfiducia nei suoi più accesi sostenitori, la mossa di Di Pietro diventa inopinatamente il grande enigma di questo difficile passaggio politico; senza considerare, poi, che la gravissima crisi economica sta sfaldando a vista d’occhio il blocco sociale che aveva nel 2008 consentito a Silvio Berlusconi , dopo solo 2 anni di assenza, di ritornare con tanto di squilli di tromba a Palazzo Chigi.
Non ci vuole molto a capire, prima che i sondaggi ne registrino l’entità, che ormai la maggioranza degli Italiani è persuasa che Silvio Berlusconi, invischiato in mille vicende giudiziarie ancora aperte, talune delle quali di gravissimo allarme sociale, incapace semplicemente di dare efficienza all’azione del suo esecutivo impedendo, perlomeno, scandalose ruberie in seno alla Protezione Civile, non possa più considerarsi una risorsa per il Paese ma una zavorra di cui liberarsi prima che sia troppo tardi, magari con nuove elezioni politiche.
Ma per farlo occorrono politici capaci di resistere alle sirene del consociativismo, anzi in grado di recidere qualsiasi legame con una classe politica che, tanto nel Pd che nel Pdl, è ormai impresentabile.
Su, Tonino, non ci sarebbe nulla di sconveniente in un ripensamento: mica stiamo parlando di una ripassatina!