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venerdì 2 novembre 2012

Federica chi?

La replica piccata della consigliera del M5S Federica Salsi alle parole di Beppe Grillo che dal suo blog aveva cricato aspramente, con il solito linguaggio colorito, la sua partecipazione di martedì sera nel talk show di Giovanni Floris, non si è fatta attendere.
A corto di argomenti, se l'è presa con una battuta al vetriolo con cui dal suo blog l'ex comico genovese aveva stroncato la sua comparsata in tv: "E' stata una delusione. Ha mostrato di essere vittima della cultura berlusconiana di questi anni. E' stato veramente sgradevole. Un maschilista come altri. Dare una connotazione negativa a una qualità delle donne è roba da medioevo. Veramente degradante".
In precedenza nel post "Il talk show ti uccide, digli di smettere" Grillo aveva scritto:  "E' il punto G, quello che ti dà l'orgasmo nei salotti dei talk show. L'atteso quarto d'ora di celebrità di Andy Warhol. A casa gli amici, i parenti applaudono commossi nel condividere l'emozione di un'effimera celebrità, sorridenti, beati della tua giusta e finalmente raggiunta visibilità".
E poi giù l'affondo: "Seduto in poltroncine a schiera, accomunato ai falsari della verità, agli imbonitori di partito, ai diffamatori di professione, devastato dagli applausi a comando di claque prezzolate. Soggetto, bersaglio consapevole ben pettinato alla bisogna che porge il lato migliore del proprio profilo alla morbosa attenzione di cameraman che ti inquadrano implacabili se annuisci quando enuncia le sue soluzioni un qualunquemente stronzo. Lì, in una gabbia di un circo, come su un trespolo, muto per ore, povera presenza rituale di cui si vuole solo lo scalpo, macellato come un agnello masochista, rispondi per i quattro minuti che ti sono concessi a domande preconfezionate poste da manichini al servizio dei partiti."

Parole dure ma sacrosante, tant'è che più di un commentatore, anche chi non è mai stato tenero con il movimento di Grillo (vedi il direttore di RaiNews24 Corradino Mineo), ha dovuto riconoscere che questa volta il capo carismatico aveva colto nel segno.
Una cosa è certa: Beppe Grillo non le manda a dire, parla apertamente e pubblicamente, il massimo della trasparenza.
La sua critica è alla luce del sole, sei libero di accettarla o di rispondergli per le rime; comunque, i suoi rimproveri impongono preventivamente di farsi un accurato esame di coscienza.
Nel caso in questione, la consigliera Sansi, una perfetta sconosciuta che parla come la ragazza della porta accanto, quella che incroci sul pianerottolo condominiale mentre scendi con il cane a fare una passeggiata e la vedi riporre il sacchetto della spazzatura fuori dalla porta di casa, non ha dato una buona prova di sè: un paio di interventi scialbi, senza proporre alcuna considerazione degna di nota, assolutamente incolore, per non dire banale.
Sull'opportunità di togliere l'IMU ammette di non avere le idee chiare, finendo per giustificare la manovra lacrime e sangue del governo Monti.
Di più, dopo aver dichiarato di rimpiangere la vecchia ICI e recriminato sulla sua abolizione da parte del governo Berlusconi, lancia un involontario assist al sindaco di Roma, lo spiritato Gianni Alemanno, che la interrompe ricordando che l'abolizione della vecchia ICI ha riguardato solo la prima casa: lei, emozionatissima, annuisce.
E' poi la volta di Floris che la aiuta a migliorare il suo pensiero sull'opportunità di una imposta sulla prima casa, per poi chiudere in bellezza (si fa per dire!) confidando che, tra vecchia ICI federale e nuova IMU statale, "nel momento in cui si promuove il federalismo fiscale, m'è saputo un cortocircuito... ma questa è la mia opinione personale!"
Lo spettatore che si fosse seduto in poltrona nella speranza che l'annunciata apparizione televisiva dell'esponente del M5S potesse portare una ventata di novità, di chiarezza e soprattutto di fiducia per il futuro, rompendo gli schemi del solito teatrino mediatico, dopo vari sbadigli, spegne il televisore deluso; persuaso che il Movimento 5 stelle sia ancora una chimera, composto com'è da così tanti personaggi in cerca d'autore.
Parafrasando McLuhan, il mezzo è il messaggio: fagocitato dai meccanismi tipici del talk show, dove prevale chi ha la battuta più pronta e telegenica, il dibattito in studio è al massimo ribasso, con il conduttore che interviene secondo una precisa quanto non dichiarata strategia.
E per i neofiti anti Casta non c'è scampo.
Di questo gli attivisti del movimento devono ormai essere consapevoli ed accettare di buon grado il diktat del loro fondatore senza farne uno psicodramma: non è più tollerabile che ad ogni invito del Floris di turno debba scoppiare un'inutile polemica, sulla quale i media di regime vanno letteralmente a nozze, poiché tutto fa brodo pur di mettere i bastoni tra le ruote ai ragazzi di Grillo.

Particolare dell'home page di Repubblica on line del pomeriggio
D'altra parte, scopriamo l'acqua calda rivelando che i partiti della Casta hanno fissato da sempre regole ferree per scegliere chi mandare nelle varie trasmissioni televisive. 
In fondo è una norma di buon senso: perché non è possibile che vada in tv un signor nessuno, pur bravo che sia, senza l'OK della segreteria politica.
Quindi, non è più tollerabile che per respirare il proprio attimo di celebrità, gli attivisti del Movimento mettano su a turno queste patetiche e suicide sceneggiate: giusto il tempo necessario per consentire alla Casta di riprendere fiato, ricompattandosi contro il tiranno Grillo.
Infine, chi vota o voterà per il Movimento 5 Stelle certamente non lo fa per far uscire dall'anonimato gente come Favia e Salsi... a proposito, chi sono costoro?

martedì 9 settembre 2008

E l'Alemanno bloccò i Vandali al Pincio...

La lettera che il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha indirizzato sabato scorso al direttore di Repubblica con cui dichiara la propria contrarietà al proseguimento dei lavori del maxiparcheggio del Pincio è stata veramente una bella sorpresa perché, aggirando abilmente l’ostacolo dello scontro politico, preannuncia un cambio di direzione importante nel piano delle opere pubbliche della giunta capitolina e soprattutto un atto di buon senso, qualità sempre più rara nella politica italiana.
Prescindendo da battaglie ideologiche pretestuose e sorvolando adesso sulle ultime polemiche scatenate da alcune deprecabili dichiarazioni di esponenti del centrodestra in occasione della ricorrenza dell'8 settembre, restando dunque strettamente sulla questione del maxiparcheggio ai giardini Valadier, possiamo certamente affermare che Alemanno ha detto quello che qualsiasi cittadino normale in un paese normale vorrebbe sentirsi dire dai suoi amministratori quando è a rischio, con l’integrità dei monumenti, la memoria storica e l’identità culturale del proprio Paese: usiamo prudenza!
E’ proprio a questo principio di precauzione che Alemanno si ispira quando scrive:
"Questo principio ci insegna che quando s’interviene su un luogo particolarmente delicato e prezioso come il Parco del Pincio bisogna tenere presente non soltanto le condizioni tecniche del progetto, ma anche gli impatti presenti e futuri che questo intervento produrrà nel contesto circostante.
[…] Chi ci garantisce che fra 5, 10 o 20 anni assestamenti strutturali, carenze di manutenzione, cambi di destinazione d'uso non turbino in maniera irreversibile quel contesto? Neppure gli attuali accorgimenti tecnici annullano, nelle previsioni, gli "affioramenti" del parcheggio quali prese d'aria, griglie di emergenza e gallerie di accesso. Il Pincio è prima di tutto un giardino storico, un parco urbano e, come tale, è tutelato dalla Carta dei Giardini Storici (del 15 dicembre 1982) in cui si raccomanda che "ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta". Al di là di sentimenti profondi di "sacralità" di molti luoghi romani che ci spingerebbero a desiderare che sotto la terrazza del Pincio ci sia l'antico tufo di quella collina e non un vero e proprio "palazzo" sotterraneo di 7 piani in calcestruzzo, nulla ci assicura che questa ingombrante presenza non riemerga nel tempo in tutta la sua estraneità ad un contesto ambientale come quello di un parco storico".

Non si fa un grosso sforzo ad ammettere che la lettera del neosindaco di Roma è pienamente condivisibile in ogni sua parola ed andrebbe sottoscritta da chiunque abbia a cuore le sorti del Belpaese.
Adesso si tratterà di vedere se alle parole seguiranno i fatti ma, ragionevolmente, la linea di comportamento del sindaco Alemanno è ormai tracciata chiaramente e porta ad un’unica conclusione possibile: l’abbandono del progetto.
Senza pagare indennizzi alla ditta esecutrice delle opere qualora verosimilmente scatti il vincolo archeologico, data l’imponenza dei reperti storici già individuati.
Se poi, malauguratamente, non si potesse evitare la soluzione risarcitoria, vorrà dire che la responsabilità di questo ulteriore costo graverà interamente su Walter Veltroni e la sua giunta, ideatori di questo progetto sciagurato che ha costretto il suo successore a questa scelta non facile ma, nei fatti, obbligata.
Per la quale ha già ricevuto numerosi elogi ed attestati di stima innanzitutto dai romani ma anche da parte proprio di quel vituperato popolo di sinistra, così snobbato dall’attuale leadership del partito democratico.
Se la vittoria del centro destra alle amministrative di Roma servisse almeno ad abortire l’idea folle del maxi parcheggio sotto il Pincio, si potrebbe facilmente concludere che non tutti i mali vengono per nuocere…
Di sicuro non sarà stato un risultato modesto aver salvato il salotto di Roma dalla devastazione dei Vandali!
A questa encomiabile iniziativa di Gianni Alemanno, Walter Veltroni non ha trovato di meglio che rispondere nella maniera più stolida:
"Retromanno si è spaventato per due ‘buu’ fatti da due giornali di destra e per questo ha cancellato una decisione che avevamo preso per togliere tutte le auto dal Tridente".
Parole che si commentano da sole, a parte la meschina trovata di storpiare il nome del suo successore.
Parole che pure ci fanno di nuovo interrogare su come sia stato possibile per il partito democratico ritrovarsi sul groppone una classe dirigente così modesta; per giunta del tutto scollata dalla propria base popolare, nonostante pretenda ancora di restarle in sella.
Ed anche in piena crisi di nervi, a cominciare dal suo segretario.
Un Veltroni superstressato, che perde sempre più frequentemente le staffe, prendendosela con tutto e tutti, persino accusando alcuni alti dirigenti del partito di farsi pubblicità alle sue spalle, senza però che egli abbia l’onestà intellettuale di fare pubblica ammenda dei propri madornali errori.
Egli continua a ritenere di stare dalla parte della ragione, di vedere più lontano degli altri, di cercare equilibri più avanzati (ma con chi?); perciò di essere vittima di una macchinazione ai suoi danni ordita da non meglio precisati nemici interni ed esterni, rifiutandosi testardamente di fare i conti con l’impietosa realtà di una leadership in dissoluzione.
Ed anche sulla questione parcheggio sotto il Pincio toppa miseramente, non riuscendo più neppure a cogliere gli umori della propria gente, nella stragrande maggioranza visceralmente contraria a questa impensabile deturpazione.
Come in un’allegoria di Buñuel o in un lungo piano sequenza di Antonioni, sotto il Pincio il leader democratico rischia di parcheggiare inesorabilmente le proprie ambizioni politiche.