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lunedì 27 giugno 2011

Il pugno di ferro del leghista Maroni contro i No Tav, ultimo tradimento della Lega

L'attacco del ministro di polizia Roberto Maroni, leghista doc, alle popolazioni della Val di Susa per abbattere con la forza pubblica la resistenza di massa contro la TAV, è non solo un'azione violenta, sconsiderata ed antidemocratica, ma è il tradimento lampante di tutte le buffonate sulla cosiddetta autodeterminazione dei popoli padani che i vertici della Lega Nord si sono inventati e sono andati ripetendo monotonamente in questi anni, andando a sollecitare gli istinti peggiori della gente del profondo Nord.
Che proprio un leghista decidesse di aggredire militarmente la 'sua gente' per assecondare i formidabili appetiti dei potentati economici che si nascondono dietro la folle decisione della burocrazia europea di costruire un'opera pubblica tanto gigantesca quanto inutile, che costerà decine di miliardi di euro e che sarà pronta, nella migliore delle ipotesi, tra vent'anni (!!!),  rappresenta la giusta punizione per i tanti ingenui che hanno creduto in un gruppo di sfaccendati, culturamente e politicamente impresentabile, che alla fine degli anni Ottanta si è imposto sulla scena politica nazionale cavalcando i giustificabilissimi malumori della parte d'Italia economicamente più forte contro i guasti causati dalla partitocrazia nel nostro paese.
Ma ormai il re è nudo: il bluff leghista è stato scoperto.
Si può ormai affermare senza timore di smentita che il Settentrione ha mandato a Roma la parte peggiore di sè, che non solo ne ha spudoratamente tradito gli ideali ma che ha finito per combattere manu militari la sua stessa base elettorale.
Non c'è quindi di che meravigliarsi se uno come Maroni, che a suo tempo subì una condanna per aver morso il polpaccio di un poliziotto, mandi proprio  i poliziotti contro la popolazione valsusina.
Sì, quello stesso ministro che, solo una settimana fa, sul pratone di Pontida mostrava ai suoi illusi sostenitori la pseudo targa di un ministero che il delirio dei gerarchi della Lega voleva, chissà perché, trasferire a Monza.
Ma da questi politici, che hanno rinnegato persino la loro identità pur di assicurarsi uno strapuntino nei salotti romani,  sareste ancora disposti a comprare un'auto usata?

domenica 19 ottobre 2008

Il governo annaspa, l'opposizione affonda...

Settimana importante quella appena trascorsa sia dal punto di vista economico che politico. Il tonfo di mercoledì dei mercati finanziari ha tolto le ultime speranze a quanti speravano di uscire nel giro di qualche mese dalla grave crisi mondiale; al contrario, dal mondo della finanza questa si sposterà inesorabilmente ed in modo duraturo nell’economia reale.
Non è una buona notizia ma era ampiamente prevedibile perché da oltre un anno la finanza internazionale è in subbuglio e, quale importante sensore del mondo produttivo, essa non fa che anticiparne, magari enfatizzandoli, i mutamenti in atto; mai contraddicendoli.
Nel giro di qualche settimana abbiamo scoperto che il modello di sviluppo economico internazionale (la locomotiva Usa traina, gli altri paesi seguono), è venuto meno: da questa crisi uscirà un nuovo modello non più incentrato sugli Stati Uniti.
Già si può iniziare a parlare di multilateralismo anche in campo economico: del resto che l’economia americana non tirasse più era chiaro da tempo, benché i media lo abbiano a lungo tenuto nascosto.
Cattive notizie, dunque, per i veterocapitalisti che ricorrono allo Stato quando si trovano in difficoltà ma lo lo additano a problema quando i loro profitti e le loro rendite si gonfiano a dismisura: ingrati!
L’oligarchia materiale che si fa beffe della democrazia formale già sta pensando come continuare a far credere alle magnifiche sorti del mercato, nonostante i fatti di queste settimane ne siano una secca smentita.
Ma tant’è, fatto digerire il conto salatissimo dei propri errori, gli oligarchi vogliono impunemente continuare ad ammaestrarci: via, quindi, al nuovo totem dello Stato snello.
Questo Stato così pronto a salvare le banche va però ridimensionato, secondo gli oligarchi, quando si tratta di sottrarre all’indigenza milioni di famiglie, in difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo e, addirittura, delle bollette di acqua, luce, ecc.
Nei supermercati si registra la contrazione dei consumi anche su generi di prima necessità mentre crollano gli affari dei negozi di quartiere, soppiantati dagli hard discount dove il ceto medio entra ormai anche per riempire i carrelli della spesa settimanale.
Tuttavia, nei provvedimenti del governo Berlusconi non c’è traccia di interventi a favore delle famiglie: per salvare le banche la linea di credito è aperta a tempo indeterminato e per importi illimitati (tanto per cominciare, 40 miliardi di euro?) attingendo a mani basse dalla finanza pubblica.
Ma per le persone in carne e ossa resta in vigore un documento di programmazione economica messo a punto all’inizio dell’estate da Tremonti che è stato costruito su ipotesi ormai del tutto irrealistiche: crescita del Pil allo 0,5 % (mentre Confindustria adesso prevede un arretramento della stessa misura, ovvero piena recessione), tasso d’inflazione programmata dell’1,7% (viaggiamo adesso a più del doppio, con prospettive pessimistiche per il 2009), con pareggio di bilancio nel 2011 (figuriamoci!).
In altre parole, se le banche, a causa di una cattiva gestione e degli eventi internazionali, vanno in crisi devono essere salvate aprendo a tempo indeterminato il rubinetto del Tesoro ma se gli italiani non arrivano alla fine del mese, magari a causa della rata del mutuo a tasso variabile (tipo di tasso suggerito, se non imposto, a suo tempo proprio dalle banche), che si arrangino pure!
Ecco cos’è un pregiudizio ideologico: salvare le famiglie forse salverebbe le banche e l'economia, evitando la recessione; ma non importa, meglio salvare direttamente le banche ricapitalizzandole, lasciando le famiglie al loro destino.
E’ in fondo proprio la domanda che Michele Santoro, l’altra sera sul parterre di Anno Zero, ha posto ripetutamente ma inutilmente ai suoi ospiti.
Possibile che non ci si renda conto che una politica deflazionista come quella che ha messo in piedi il governo, con pesanti tagli agli organici di scuola, università, pubblico impiego, non solo non servirà a centrare i parametri di Maastricht (letteralmente saltati a causa del piano di salvataggio bancario) ma rischia concretamente di far avvitare ancora di più la crisi su se stessa, facendo precipitare il nostro Paese nella più cupa depressione economica?
Come mai i media non fanno proprio tale inquietante interrogativo né tanto meno lo rilanciano? Purtroppo, si limitano a registrare i timori di una crisi senza precedenti ma non stanno disturbando più di tanto la compagine governativa che, a dispetto dei sondaggi, sembra veramente malmessa: Gelmini, Maroni, Scajola, La Russa, Tremonti, Carfagna, Alfano, Sacconi meritano tutti una netta insufficienza.
La presunta star Brunetta, per porsi come castigamatti e mantenere una sicura visibilità mediatica, solleva spesso inutili polveroni che alimentano conflittualità e che di certo non favoriscono un clima disteso e collaborativo nel pubblico impiego.
Così come appariva fuori registro nei salotti televisivi quando ripeteva ossessivamente alcune parole pur di coprire la voce del malcapitato interlocutore ed impedirgli così di replicare con un minimo di efficacia, il ministro della pubblica amministrazione non si smentisce neppure quando giudica folle il piano europeo contro l’inquinamento elaborato da Bruxelles.
Ancora, un improvvisato ministro della pubblica istruzione, che fa finta di non capire le ragioni della protesta che venerdì ha riempito le tante piazze d’Italia, finisce per dare in questo modo ragione proprio ai suoi detrattori.
Un ministro dell’interno che, invece di solidarizzare pubblicamente con lo scrittore Roberto Saviano per i rischi che sta correndo, non trova di meglio che invidiargli la ribalta mediatica preferendogli chi combatte la criminalità nel silenzio: una gaffe così gratuita ed odiosa che, come al solito, è stato costretto a tornare sui suoi passi, dichiarando di essere stato frainteso (!).
Il cahier de doléances potrebbe continuare a lungo ma preferiamo chiuderlo qui ricordando le incredibili esternazioni del premier Berlusconi che è in grande difficoltà come statista persino quando parla della tempesta borsistica: basti pensare a quando, a mercati finanziari aperti ed in preda al panico, ha paventato l’eventualità di una loro temporanea chiusura.
A salvare la faccia al governo ci pensano tuttavia i telegiornali del duopolio con la loro informazione al cloroformio: l’altro ieri è dovuta intervenire l’Authority delle Comunicazioni, numeri alla mano, per fotografare il disastro di un’informazione che sa parlare solo del Palazzo, ignorando completamente i suoi utenti, gli Italiani.
Ma per fortuna per Berlusconi l’opposizione parlamentare dorme sonni profondi: neanche in grado, come invece ha fatto la bravissima giornalista Milena Gabanelli, di leggere le carte del caso Alitalia. Rivelando, piuttosto, disarmante confusione di idee e mancanza di prospettiva quando ripete ossessivamente la propria disponibilità al dialogo con il Governo senza neppure curarsi di precisare su che cosa, con quali strumenti, con quali obiettivi.
Con il Partito democratico, siamo tornati all’anno zero della politica; ecco come si esprime il suo leader in merito al piano di salvataggio delle banche (la battuta è tratta dall’intervista di Massimo Giannini di domenica corsa su la Repubblica che, nel frangente, gli ha appena servito un assist sull’eventualità che il governo voglia allungare le mani sulle banche con il pretesto della crisi):
"Allarghiamo il discorso. Io credo che la cosa peggiore che si possa fare è rimbalzare dal liberismo allo statalismo. Io resto convinto che una società democratica viva se esiste un libero mercato. In una condizione in cui lo Stato si riservi il suo ruolo, quello di fare le regole e di farle rispettare. Lo Stato non è giocatore, è arbitro. Per questo può anche scendere in campo, per aiutare pro-tempore un’azienda di credito in crisi. Ma non può alterare l’intero campionato. Non mi basta l’intervento del Tesoro con le azioni privilegiate, se poi in assemblea ha diritto di veto sulla governance e sulle scelte strategiche della banca. Io non voglio che il governo gestisca le banche. Non voglio che un ministro, di destra o di centrosinistra, si trasformi in un nuovo Cuccia. La politica che gestisce la finanza l’abbiamo già vissuta: le banche pubbliche, i boiardi, ed è stato un disastro che non dobbiamo ripetere".
Ci sta dicendo che i contribuenti devono metterci i quattrini per salvare le banche ma che essi non hanno diritto a chiedere conto ai manager della loro gestione. Il paragone sportivo è poi completamente sbagliato: se lo Stato, come dice l’impareggiabile Walter, detta solo le regole e le fa rispettare, va da sé che non dovrebbe metterci i soldi, altrimenti che razza di arbitro è?
Che poi la politica oggi non stia dentro le banche, come il leader democratico fa credere, non è neppure una leggenda metropolitana, è semplicemente falso.
Qualcuno gli spiegherà, per cortesia, che cosa sono e come funzionano le fondazioni bancarie?
Possibile che non è a conoscenza del sistema di governance del Monte dei Paschi di Siena, tanto per fare un esempio in area amica?
Insomma quello che il premier britannico Gordon Brown sta facendo in Inghilterra, facendo dimissionare i manager bancari malaccorti e non precludendosi la possibilità di avere suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione, non incontra evidentemente i favori dell’antistatalista Veltroni.
Voi capite in che mani è finita l’opposizione?

Ps: Il giornalista Michele Concina, dai microfoni di Prima Pagina, ha concluso la sua ottima settimana di conduzione, riconoscendo che oggi l’opposizione è così debole che la critica all’operato del governo la fanno piuttosto i dissidenti del centrodestra; ed ha chiosato "come se il centrodestra rappresentasse il 100% della politica italiana".