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sabato 10 agosto 2013

Nonostante la Cassazione, l'estate italiana resta storia di ordinaria ingiustizia

Intanto che il Quirinale riflette su come garantire l'agibilità politica al pregiudicato Silvio Berlusconi ovvero come restituirgli una nuova verginità, in barba allo slogan di una vecchia campagna pubblicitaria "la legge è uguale per tutti", in Italia succedono molte altre cose:

- un pizzaiolo di Albisola  in un pomeriggio di luglio, assolato inutilmente di sedie vuote, ha l'ardire di servire al tavolo una coppia di turisti: errore grave, 5.000 euro di multa da parte degli zelanti agenti della polizia municipale perché la sua licenza non contempla la somministrazione al pubblico ma solo la vendita della pizza al taglio;

-  un artista di strada a Venezia viene placcato da ben sette agenti della polizia municipale e finisce  in acqua insieme alle sue tele: la sua grandissima colpa è di sbarcare il lunario vendendo quadri ai turisti senza il necessario permesso comunale, che lui afferma di aver richiesto più volte;

- senza lavoro e senza casa, una famiglia (madre, padre e tre figli) vive in una capanna nei boschi dell'aretino e il comune ci fa sapere che è in carico ai servizi sociali e se vivono così "è per una loro scelta".
Evviva la libertà, ci verrebbe da dire, evviva uno Stato che si fa in quattro per garantire a tutti i diritti di libertà, anche quello, magari eccentrico, di vivere in una capanna, come ai tempi di Cappuccetto Rosso;

- il fatto, adesso rilanciato come scoop da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera ma in verità  noto da tempo, delle pensioni di platino (d'oro non rende l'idea!) di cui beneficiano dirigenti della Telecom e dell'Enel ma anche numerosissime altre categorie di dirigenti pubblici: il recordman è Mario Sentinelli, ex dirigente della compagnia telefonica, che si aggiudica 91.337, 18 euro lordi al mese.
Costoro, dulcis in fundo, a questi vitalizi faraonici possono aggiungere pure lo stipendio che percepiscono per gli incarichi che continuano a svolgere!
Di questa storia, Beppe Grillo ne ha fatto un suo particolare cavallo di battaglia, denunciandola da par suo durante l'ultima campagna elettorale: tagliare le pensioni sopra i 5.000 euro al mese per risparmiare 7 miliardi di euro l'anno.
Ma finora la classe politica Pd-Pdl ha fatto orecchie da mercante: ci si è poi messa pure la Corte Costituzionale a sancire poco tempo fa "l'illegittimità del contributo di perequazione sulle pensioni di importo superiore a 90.000 euro (annui)", il famoso contributo di solidarietà che adesso l'Inps sta restituendo ai fortunati pensionati: il colmo del paradosso. 
Come chiarisce Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di oggi, ci sono diritti acquisiti di serie A e diritti di serie B: per cui mentre l'ex ministro del Welfare (si fa per dire) Elsa Fornero ha falcidiato le pensioni di milioni di poveracci che hanno perso persino la perequazione automatica al costo della vita, i diritti dei megadirigenti della prima e seconda repubblica sono intangibili per grazia divina;

- bruciano i boschi e le montagne di mezza Italia e si scopre improvvisamente (ma il fatto era noto da tempo) che la spending review del gigante dell'Economia, il professorissimo Mario Monti, ha tagliato i fondi per i mezzi antincendio. Pensiamo di immaginare la prontezza di spirito del nostro ministro della Difesa Mario Mauro con il suo fortunato slogan "Armiamo la pace" che decisamente preferisce gli F35; ma anche l'improvviso stupore del presidente della Commissione Bilancio della Camera, il piddino Francesco Boccia, fresco di studi sull'utilità di spendere in questo modo 12,1 miliardi (cifra dichiarata dal ministro Mauro nel question time alla Camera) che in un famosissimo tweet di qualche settimana fa sentenziò: «In sostanza non si tratta di fare guerre, con gli elicotteri si spengono incendi, trasportano malati, salvano vite umane #F35». Ieri l'impareggiabile Mauro ha così risposto al collega di partito Mauro Pili (Pdl) che ricordava che con un F35 si sarebbero potuti comprare ben 8 Canadair, i famosi aerei antincendio. "Se tolgo un F35 è chiaro che, sul piano della pura logica, posso fare un asilo una scuola, un ospedale, acquistare un aereo antincendi... Ma potremo anche rovesciare l'onere della prova. Il programma F35 è partito 20 anni fa, dovevano essere 150 aerei, oggi siamo arrivati ipoteticamente a 90. Con i 60 tagliati, quante scuole, quanti asili e quanti Canadair sono stati comprati?''.
Decisamente fuori dal comune la profondità di pensiero dei membri di Comunione e Liberazione...

E mentre Napolitano, dopo essersi inopinatamente dichiarato favorevole ad una riforma della giustizia, appena pronunciata la sentenza definitiva della Cassazione  quasi a volerne limitare gli effetti, facendo la felicità del Pdl ed essere tornato di corsa a Roma dalle vacanze altoatesine per dare udienza ai suoi capigruppo, i due Renati, Schifani e Brunetta, saliti al Colle per chiedere spudoratamente addirittura la grazia per Berlusconi (cosa che, anche solo tecnicamente, è impossibile) si è chiuso in una pausa di riflessione (almeno così la chiamano al Quirinale), Berlusconi alza ulteriormente i toni e gli lancia platealmente il guanto della sfida a mezzo stampa (di famiglia): "Ultimatum di Silvio: 7 giorni".

"Dura lex, sed lex" dicevano gli antichi romani. Difficile tacitare così il pizzaiolo di Albissola, l'artista di strada di Venezia, la famiglia aretina, i 4 milioni di pensionati al minimo con i loro 500 euro, coloro che perdono tutto (ma proprio tutto: casa, affetti, bestiame) per colpa degli incendi boschivi, o chi incorre nella vita di tutti i giorni nelle ire della pubblica amministrazione da placare solo attraverso il pagamento di cospicue sanzioni pecuniarie, se poi alla TV vedi un condannato come Silvio Berlusconi tenere banco nella partita istituzionale, assestando schiaffi non solo alla magistratura ma persino al Presidente della Repubblica. 
Schiaffi morali, naturalmente: ma la precisazione non ci consola affatto. Anzi.

sabato 2 giugno 2012

Più l'informazione si accanisce contro Grillo, più il Movimento 5 Stelle conquista consensi

Il boom di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle ha mandato in tilt non solo i palazzi della politica, dove la Casta è acquartierata da decenni in mezzo ai privilegi (non ultimo la scorta che li accompagna, persino quando vanno a fare la spesa all'Ikea, vero senatrice Finocchiaro?), ma le redazioni dei giornali che stanno veramente impazzendo per scaraventare contro il Beppe nazionale, tutto ciò che può passare mediaticamente per distruggerne l'irresistibile ascesa verso la più che probabile vittoria alle elezioni politiche della prossima primavera.
Perché già adesso i sondaggi danno il suo movimento in vista del 24-25%, bruciando sullo scatto persino il Pd, e diventando forse la prima forza politica in Italia, per giunta senza essere un partito, senza un soldo di finanziamento pubblico e senza un briciolo di presenza in televisione.
Un passaggio d'epoca, fino a qualche giorno fa roba da libro dei sogni.
Insomma, all'improvviso nel firmamento della politica italiana è nata una stella, o meglio ne sono nate 5!
E c'è da scommettere che di qui ad un anno, bomba o non bomba (come giustamente denuncia il suo leader sul noto refrain di Antonello Venditti), per il Movimento 5 Stelle sarà l'apoteosi, in barba alla Casta ed a quanti si augurano che con qualche attentato sanguinoso si possa bloccare la legittima e democratica aspirazione degli Italiani ad avere finalmente voce in capitolo nelle scelte collettive, senza la pelosa e asfissiante intermediazione dei partiti.
Per questo i due maggiori quotidiani nazionali fanno a gara nel tentare di fare le pulci alla vittoria di Grillo.
E' partito lancia in resta Repubblica, insinuando, già la sera stessa della vittoria di Federico Pizzarotti a Parma, che il giovane neosindaco avesse preso da subito le distanze dal proprio leader.
Come? Con un'intervista in cui vengono riportate le sue prime adrenaliniche dichiarazioni da vincitore inatteso, fatte passare come vera e propria dichiarazione d'intenti, degna di un consumato uomo politico.
Tanto è bastato per creare un caso, su cui altri giornali si sono fiondati a corpo morto, con l'Unità che addirittura titolava perfidamente solo due giorni dopo l'exploit elettorale: "Pizzarotti-Grillo, c'eravamo tanto amati..."
Puro sciacallaggio mediatico, a confronto del quale i mitici panini del Tg1 di Minzolini sembrano l'audace colpo dei soliti ignoti.
Ma il gioco di dividere subito i vincitori è stato così scoperto e precipitoso che soltanto qualche lettore distratto avrebbe potuto abboccare.
E' poi intervenuto lo stesso Pizzarotti a smantellare tutto il castello di carta così faticosamente costruito a Piazza Indipendenza.
Non paga del magro risultato,  Repubblica ha tentato di strumentalizzare il defenestramento avvenuto prima delle Comunali di tal Tavolazzi, accusato da Grillo di promuovere una fronda interna e che poi, una volta messo alla porta, sarebbe voluto rientrare in partita cercando di ottenere dal neosindaco grillino addirittura la poltrona di direttore generale del comune di Parma.
Va da sè che, al di là del merito della sua espulsione, è quanto meno deprecabile che chi è stato mandato via dal portone principale della politica, rientri dalla finestra sotto le mentite spoglie di tecnico.
Ma tanto è bastato perché  i seguaci di Scalfari titolassero che Beppe Grillo era nientedimeno il mandante di una "fatwa" nei suoi confronti, la seconda consecutiva (secondo loro!) dopo il monito da lui stesso lanciato contro la partecipazione dei suoi candidati ai talk show televisivi.
Sì, avete capito bene: Repubblica rinfaccia al leader del Movimento 5S di aver dichiarato contro il Tavolazzi peggio di un ostracismo, una condanna per capirci come quella a suo tempo emanata dal regime iraniano degli ayatollah contro lo scrittore Salman Rushdie, controverso autore dei "Versetti satanici".
A quale livello di imbarbarimento intellettuale deve scendere il secondo quotidiano italiano (particolare non trascurabile, che riceve sostanziosi finanziamenti pubblici), per portare avanti una violentissima quanto inusitata e ingiustificata campagna di stampa contro Grillo, è sotto gli occhi di tutti.
Non vogliamo pensare che  pure da parte della proprietà e direzione di quel giornale il successo elettorale di Beppe Grillo possa essere vissuto con angoscia come una seria minaccia a quel sistema gelatinoso di cui troppi e spesso occulti poteri hanni beneficiato in questi anni, intrecciando relazioni pericolose con la Casta.

Ma il massimo del tragicomico è stato raggiunto dal Corriere della Sera che, nell'edizione Corriere TV,  fa sapere che Beppe Grillo ripete nei comizi, udite udite, le stesse battute; e per dimostrarlo riporta un video ripreso dal comizio finale di Parma del 18 maggio e da quello di Garbagnate di due giorni prima. Nel collage presentato, accostando ossessivamente frammenti di immagini dei due interventi verrebbe immortalata la sua colpa.
Un autentico autogol del Corriere che, per voler parlare alla pancia del Paese screditando la figura pubblica di Grillo, finisce per lanciargli un formidabile  assist.
Infatti che un leader politico dica le stesse cose parlando a platee diverse non solo non è disdicevole ma è addirittura auspicabile, anzi in un paese normale dovrebbe essere la regola.
Meravigliarsi di ciò fino al punto  da ritenere che Grillo venga così colto in fallo, significa ammettere che i giornalisti del Corriere sono abituati a politici che di fronte agli imprenditori dicono una cosa, ai commercianti un'altra, ai pensionati un'altra ancora e quando si trovano davanti agli operai chiudono il cerchio sparlando dei primi; insomma degli autentici voltagabbana pronti a menare per il naso gli ingenui cittadini.
E come mai stesso zelo e anologa osservazione non sono riservati all'ABC della politica, il trio Alfano-Bersani-Casini e Casta cantante?
Forse che costoro sono talmente noiosi e incomprensibili che nessuno sarebbe disposto gratuitamente  a subirne le contorsioni verbali che, a seconda delle circostanze, oscillano tra il criptico, il vuoto e lo sgrammaticato.
Un  caso da scuola è poi il linguaggio di Pierluigi Bersani, come già altre volte abbiamo notato, che riesce a parlare per ore senza dire assolutamente nulla, ponendo l'accento su parole vuote e  brandendo come armi roboanti affermazioni veramente senza né capo né coda, un volo pindarico oltre il surreale.
Sintatticamente i suoi discorsi pubblici sono un vero percorso minato: i famosi anacoluti del segretario del PD si trasformano, nelle irresistibili gag di Maurizio Crozza, in autentici tormentoni: Ragassssi, non siam qui a toglier le macchie dal manto dei giaguari...
Ma l'infortunio del Corriere della Sera è stato in qualche modo riscattato dalla bella intervista che Gian Antonio Stella fa a Beppe Grillo, pubblicata ieri su 'Sette', l'inserto settimanale del quotidiano di via Solferino. Leggetela, è interessantissima.
E a proposito di riforme costituzionali ecco come conclude Grillo:
"Beh, siamo stati scottati: il Parlamento deve avere l'obbligo di discutere delle leggi popolari che vengono presentate. L'obbligo. E poi il referendum senza quorum. Due o tre cose. Per arricchire una Costituzione che è già meravigliosa per conto suo ma non prevede lo spazio  necessario per i cittadini".
E questa sarebbe antipolitica? Magari subito!

giovedì 13 dicembre 2007

Com'è difficile tagliare gli stipendi d'oro!

E’ quasi uno sberleffo quello che la Camera dei Deputati rivolge agli italiani dopo l’abolizione del tetto agli stipendi dei manager pubblici.
Chissà come ma il provvedimento aveva superato le perigliose acque del Senato (ricordate l’impuntatura contraria di Clemente Mastella?) e rischiava davvero di ripristinare un minimo di decoro nei rapporti tra governanti e cittadini.
Non che in questo modo si risanassero le finanze pubbliche ma almeno si dava la sensazione che in tempi difficili come quelli odierni il Palazzo potesse recuperare un minimo di sobrietà e tentasse di stare in sintonia con le difficoltà economiche della gente comune.
La saggezza popolare recitava più o meno così: se ci chiedono continuamente di stringere la cinghia, almeno che facciano anche loro un piccolo sacrificio come gesto di solidarietà!
Niente da fare: alla Camera il tetto è crollato.
La ferale notizia ci viene comunicata da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sulle pagine del Corriere della Sera [1], cioè da due dei più acuti osservatori dei vizi della nostra politica, autori del best seller “La casta”.
Il fatidico articolo 144 della Finanziaria che aveva imposto un tetto di 275.000 euro l’anno ai manager di Stato è venuto giù attaccato da una pattuglia di voraci termiti, ovvero dai membri della Commissione Bilancio, nonostante le proteste indignate di alcuni dei presenti.
Speriamo che il Governo ci metta una pezza, rimediando all’ennesimo strappo nel rapporto di fiducia con i cittadini.
Fatto sta che in Parlamento esiste una maggioranza trasversale di irriducibili che di fare sacrifici, sia pure simbolicamente, non vuole proprio sentir parlare.
Neanche per la ragion di Stato.