domenica 2 novembre 2008

Una nuova opposizione in difesa della democrazia

Le manifestazioni di questi giorni contro la legge 133, la controriforma Gelmini che dissimula il taglio di ben 8 miliardi di euro dietro grembiulini e voti in condotta, confermano che il nostro Paese sta tracimando dall’alveo della democrazia verso una terra ignota, sconosciuta ai più, se non altro per motivi anagrafici.
Come battezzarla è questione che non ci appassiona più di tanto perché, a furia di domandarci se sia stato superato o meno il punto di non ritorno, ci stiamo dimenticando che cos’è veramente una democrazia.
Sicuramente non è democratico svuotare il Parlamento dei suoi poteri riducendolo a semplice organismo che trasforma in legge la volontà del premier e del suo direttorio.
L’abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia costringe senatori e deputati, non dimentichiamoci eletti sulla base di liste bloccate in disprezzo della sovranità popolare, a votare senza neanche poter alzare lo sguardo sul capo del governo che assume le sue decisioni lontano da occhi indiscreti, forse da una delle sue infinite dimore.
Così un tema così cruciale per la società italiana come quello della scuola e dell’università, per definizione trasversale ai gruppi ed alle categorie di appartenenza, viene lasciato esclusivamente alle forbici del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, senza che semplicemente se ne possa discutere, imponendo la tirannia del voto di maggioranza e dando in pasto ai mass media l’immagine edulcorata di una finta maestrina che, con l’inflessibilità della principiante proiettata di punto in bianco sulla poltrona più alta del ministero della pubblica istruzione, di fronte alla protesta montante in ogni angolo della penisola riesce solamente a dire: Io non li capisco.
Nello stesso modo, da problema squisitamente politico l’indignazione sociale contro i tagli di spesa, che oggi colpiscono l’istruzione ma che domani colpiranno altri settori della vita sociale, viene convenientemente trasformata dal governo in questione di ordine pubblico, usando toni minacciosi ed ultimativi che nessuna tardiva smentita può servire a cancellare.
Tanto più che vengono pronunciati dal premier in persona, cioè da colui che si è fatto confezionare su misura l’immunità delle alte cariche e che nel contempo prosegue una sua personalissima tenzone contro quella parte di magistratura così orgogliosa della propria indipendenza ed autonomia.
Lacunoso e parziale è stata poi il resoconto fatto dal sottosegretario all’Interno venerdì alla Camera sugli scontri di Piazza Navona, nel cuore politico dello Stato, a due passi dal Senato, in una zona perennemente presidiata dalle forze dell’ordine.
Scontri che hanno visto tra i protagonisti elementi di destra che, dopo essersi schierati in falangi con spranghe, cinghie e tirapugni, spuntati fuori chissà come e perché da un camion giunto lì indisturbato, hanno seminato il terrore prendendo di mira manifestanti in erba, sotto gli occhi increduli di docenti e genitori che invano invocavano il pronto intervento delle forze dell’ordine.
Invece di dare dettagliate e puntuali spiegazioni sul perché di taluni comportamenti omissivi della polizia nel corso della mattinata che, nei fatti, hanno permesso agli aggressori di agire a lungo indisturbati, nonché della insolita e strana familiarità che alcuni elementi del cosiddetto Blocco studentesco, formazione della destra neofascista, mostravano con alcuni celerini, fino al punto da essere chiamati per nome, la relazione presentata alla Camera si preoccupa solo di precisare che gli scontri sarebbero stati provocati dai collettivi di sinistra e che la polizia avrebbe agito con prudenza ed equilibrio.
A parte il fatto che nessuna spiegazione convincente viene data su come tanto armamentario sia potuto penetrare fino al cuore della manifestazione mentre gli "studenti di sinistra" reagivano tirando contro le falangi tutto ciò che potevano, sedie, bottiglie e tavolini, sconcerta che il ministero dell’Interno, sulla base di una ricostruzione palesemente frammentaria ed incompleta, anticipi una lettura politica dei fatti, addossando arbitrariamente ai gruppi studenteschi di opposizione la responsabilità di quanto accaduto.
Così lasciando intendere che i ragazzi di destra sarebbero state le vittime di quegli episodi, nonostante l’evidenza di foto e filmati in rete dimostri che questi erano arrivati in piazza con pessime intenzioni, visto l’arsenale di armi improprie tirate giù dal camion.
Inquieta, cioè, che invece di fare effettiva chiarezza e diradare eventuali dubbi sull’operato delle forze dell’ordine, il governo si preoccupi prioritariamente di scagionare gli estremisti armati accreditando integralmente la loro versione di comodo che contrasta radicalmente anche soltanto con la cronologia degli accadimenti, poiché numerose testimonianze fanno risalire le prime aggressioni di tali gruppi di facinorosi ai danni degli studenti medi alle ore 11 circa, cioè almeno un’ora prima dell’impatto diretto tra le opposte fazioni, che la polizia comunque non ha impedito.
L'inviato Curzio Maltese, testimone di alcuni episodi, ad un certo punto così racconta ai lettori di Repubblica: "E’ quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un’azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. «Lei dove va?». Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: «Non li abbiamo notati»".

Data la straordinarietà della situazione che il Paese sta vivendo da mesi e che di giorno in giorno si va approfondendo, è arrivato il momento per l’opposizione di recuperare un minimo di coerenza interna, rinunciando ai propri privilegi di casta per intraprendere una lotta sincera in difesa dei cittadini, facendo proprie molte delle battaglie che la società civile, i ragazzi di Beppe Grillo in testa, da anni segnala invano alla politica.
Il premier lo ha fatto capire chiaramente: i numeri ci consentono di governare anche contro l’opinione pubblica; per cinque anni non è più questione di maggioranze silenziose o rumorose; l’opposizione è avvertita.
Perché se in modo inquietante il Piano di rinascita democratica è tornato così attuale, come ammette senza remore il suo ideatore, l’ancora temibile Licio Gelli, addirittura in procinto di calcare la scena mediatica con un proprio programma televisivo, non è pensabile continuare con un leader del Pd che finora ha saputo costruire solo un’opposizione di facciata, aizzandosi contro il dissenso interno e provocando grande malumore tra gli alleati, senza tuttavia riuscire ad evitare il muro contro muro con il centrodestra e la feroce continua derisione di Silvio Berlusconi.
Massimo D’Alema lo invita pubblicamente, in un’intervista a Repubblica, a rompere gli indugi ed a darsi una mossa per rifondare l’opposizione sulla base di un nuovo progetto comune.
Sommessamente, però, ci chiediamo: si può essere un leader per tutte le stagioni?
Walter Veltroni aveva fatto una scommessa durante il governo Prodi, puntando tutto il suo prestigio personale sul dialogo con Berlusconi.
L’ha persa clamorosamente: la sconfitta elettorale, il lodo Alfano, la legge 133 ce lo dicono in modo inoppugnabile.
Ne prenda atto e passi il testimone. Ormai non è più questione neppure di buona volontà: avete visto come si è risolta la grande manifestazione del 25 ottobre? Un buco nell’acqua.
Immaginare di continuare così fino alle Europee del 2009 sarebbe veramente da irresponsabili, non solo per il Partito democratico ma per l’Italia tutta.

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