Anche da Assisi sono risuonate le parole di Giorgio Napolitano, in occasione dell'incontro con il cardinale Gianfranco Ravasi nel Cortile dei Gentili, sul tema 'Dio questo sconosciuto'.
Quale miglior pulpito, la città del Poverello, per lanciare il suo rituale monito, questa volta contro la corruzione e il clima di rassegnazione che si respira nel Paese; fino a sottolineare l'importanza di un «acuto bisogno di slancio ideale e senso morale», stigmatizzando l'«inadeguato quadro politico».
Per poi sollecitare «sforzi da volgere soprattutto a rianimare senso dell'etica e del dovere, a diffondere una nuova consapevolezza dei valori spirituali, dei doni della cultura, dei benefici della solidarietà, che soli possono elevare la condizione umana», come ai tempi della Costituente.
Tante belle parole, non c'è che dire, in uno stile che si conserva graniticamente ampolloso e che puzza di formalina, più della comune naftalina, tanto da rendere il messaggio di Napolitano buono per tutte le stagioni, addirittura imbalsamato.
E talmente alto che, per farlo atterrare in sicurezza su noi comuni mortali, avrà bisogno pure dell'interpretazione autentica del suo stesso autore: e giù il prevedibile arzigogolato profluvio di parole auliche già pronte per il monito prossimo venturo.
Di pistolotto in pistolotto, con seguito di immancabile plauso unanime della Casta, che vi legge simultaneamente quello che più le conviene secondo le contingenze e gli ordini di scuderia, ovvero tutto e il contrario di tutto, Giorgio Napolitano è per i media un'autentica star, a cui dedicare, un giorno sì e l'altro pure, il titolo di apertura come se il suo intervento fosse sempre un formidabile atout, calato puntualmente a diradare le nebbie impenetrabili della politica nostrana.
Non sono pochi i giornalisti che cadono letteralmente in deliquio alle parole del Colle, pur trattandosi spesso non di pubblicisti alle prime armi ma di attempati padri di famiglia, gente di esperienza, che ne deve aver viste di cotte e di crude in una intera vita di redazione.
Eppure appena il Quirinale alza l'indice della retorica e taglia il nastro della fiera delle banalità un autentico brivido scorre lungo le loro schiene e ne suggerisce a caratteri cubitali l'immediata titolazione: Re Giorgio tuona e il bel tempo rimena.
Questa volta l'occasione era così ghiotta, sommo il tema trattato, un confronto teologico, che i quirinalisti ci sono andati a nozze, così ispirati da evocare per Napolitano lo spirito di Assisi.
Ma dimenticando, come sempre, alcuni piccoli particolari:
1. che la questione morale in Italia è targata 1981 e venne sollevata addirittura da Enrico Berlinguer, in rotta di collisione con il rampantismo socialista di stampo craxiano, nella famosa intervista a Repubblica, che gli attirò la critica durissima, guarda un po', proprio di Giorgio Napolitano, allora leader dell'ala migliorista del PCI, che lo accusò di trascinare il partito su posizioni settarie;
2. che Giorgio Napolitano è in Parlamento da quasi sessant'anni (dal 1953) e che di tempo ne ha avuto a disposizione per fare la sua parte ed opporsi efficacemente alla corruzione e al degrado morale della politica, fenomeno che si suppone non si sia manifestato improvvisamente, visto che quest'anno già ricorrono i vent'anni di Tangentopoli;
3. che la reggia del Quirinale non è propriamente il Sacro Tugurio del poverello di Assisi e che i tagli ai costi della politica avrebbero potuto inaugurarsi da tempo magari proprio battezzati da un bel monito solenne, con la contemporanea iniziativa di una robusta cura dimagrante del suo bilancio, di gran lunga superiore a quello di Buckingham Palace, e del proprio appannaggio presidenziale;
4. che il conflitto di attribuzione sollevato contro la Procura di Palermo, che indaga sulla trattativa stato-mafia, per ottenere l'immediata distruzione delle registrazioni delle sue imbarazzanti conversazioni telefoniche con Nicola Mancino, invocando prerogative da sovrano assoluto, non è il migliore viatico per poter imporre alla Casta un bagno di umiltà e, soprattutto, il ridimensionamento draconiano del suo tenore di vita.
D'altronde, basta leggere i commenti di sdegno e di indignazione con cui i tradizionalmente benpensanti lettori del Corriere della Sera si esprimono univocamente sull'ennesima esternazione presidenziale, nonostante lo scenario suggestivo del piazzale antistante la Basilica inferiore di San Francesco d'Assisi, per rendersi conto di quale abissale solco si sia ormai scavato tra il Paese e le sue Istituzioni, anche quella più incensata dai media.