Mentre i media ancora non hanno realizzato la rivoluzione di velluto sancita dalle urne domenica scorsa e continuano a parlare con il linguaggio della seconda repubblica (governissimo sì, governissimo no, larghe intese, ecc.), si profila una inedita stagione politica per l'Italia che, al di là dei timori comprensibili quando si volta pagina, può rappresentare un'ottima occasione per far luccicare di nuovo lo stellone italico dopo una infinita seconda repubblica dominata, o meglio sequestrata, con pochissime luci e tantissime ombre, da un lato, dalla imbarazzante e inquietante figura di Silvio Berlusconi, con il suo contorno di nani e ballerine; dall'altro, dai cosiddetti ex quarantenni (ora più che sessantenni) del vecchio PCI, talmente accecati di presunzione da non essersi mai accorti, nella loro abissale mediocrità e compulsiva avidità, di aver portato, a braccetto con il Cavaliere, l'Italia sull'orlo del baratro morale, finanziario ed economico.
A fronte del disastro che lasciano, l'incertezza di queste prime ore, che viene amplificata dalle reazioni schizofreniche dei mercati, non deve spaventare.
Un primo dato rilevante è il seguente: il Partito Unico dell'Euro, quello che vedeva insieme inopinatamente il rigorismo tecnocratico di Mario Monti e delle centrali finanziarie internazionali e l'europeismo velleitario ed incompetente del PD, è stato clamorosamente bocciato dall'elettorato italiano.
Questo non vuol dire rifiutare a priori la gabbia dorata in cui è stata imprigionata fino all'asfissia l'economia italiana, significa semplicemente rimetterne in discussione il suo cattivo funzionamento e far comprendere a chi guida la locomotiva tedesca che è impensabile che il salatissimo conto del suo sopravvalutato boom (che adesso si sta sgonfiando a vista d'occhio, com'era prevedibile!), possa essere fatto pagare imponendo esogenamente l'arretratezza e la desertificazione delle economie periferiche europee, in primis la più importante, quella italiana.
Qui non si tratta di non essere europeisti: al contrario, proprio per esserlo fino in fondo, occorre rivedere i meccanismi perversi della moneta unica.
Da oggi Angela Merkel sa che non potrà più contare sull'ubbidienza cieca e, fatecelo dire, autodistruttiva del governo Monti né sull'incompetente e becera complicità dei vecchi governi di centrosinistra.
E poiché è impensabile che, a soli sei mesi dal voto tedesco, la cancelliera tedesca sia disposta ad accettare il varo dei necessari meccanismi di perequazione automatica, propri di uno stato federale, che drenino risorse dalle aree in surplus a quelle in momentanea difficoltà, prepariamoci purtroppo a vivere giornate difficili sui mercati che potrebbero preludere, in mancanza di una classe dirigente europea all'altezza della situazione, al classico rompete le righe. Staremo a vedere.
Ma una cosa è certa: l'Italia non è il baricentro della crisi, ne è soltanto il sensore più sofisticato e acuto.
Gli scossoni che si avvertono sui mercati finanziari hanno come punto focale molto più che Milano, Parigi e Francoforte ed epicentro finale proprio a Berlino.
Francesi e Tedeschi si devono quindi persuadere, nolenti o volenti, che le crisi italiana, spagnola, greca, irlandese, portoghese, è soprattutto francese e tedesca.
Quindi, o se ne esce tutti insieme in modo soddisfacente o nessuno avrà scampo, neppure quella che, per superficialità dei media, la gente considera essere la solidissima Germania.
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