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lunedì 9 giugno 2014

Il PD brinda ma Livorno e Perugia rovinano la festa

L'incompetenza, la brama di potere, e una certa spocchia sono alcuni degli elementi che hanno portato alla disfatta del PD a Livorno, perché diciamolo chiaramente: per il valore simbolico che rappresenta per la Sinistra italiana, quella di Livorno non è  semplicemente una battuta d'arresto, in un quadro generale che è tutto sommato roseo per il partito del funambolico premier Renzi.
Perché a Livorno è suonato l'ennesimo campanello d'allarme per i piddini e questa volta, se non accecati dalla vanagloria del renzismo, lo dovranno prendere in seria considerazione. 
Così come sarà il caso, visti i dati disastrosi sul fronte economico e dell'occupazione che si susseguono puntualmente di  trimestre in trimestre da sei anni, che decidano di assumersi prima o poi la responsabilità di fronte all'Italia intera della disastrosa scelta dell'euro, fatta vent'anni fa dal trio Amato-Prodi-Ciampi con il beneplacito della nomenklatura del PDS-DS-PD, che ci ha permesso di realizzare un piccolo record al contrario: far collassare l'economia italiana (con il 30% della sua industria in polvere!)  in dieci anni netti.
Ma finché riterranno i dirigenti del PD di stare su una torre d'avorio, pensando di essere comunque i migliori benché rubino come gli altri, amministrino la cosa pubblica spesso in modo scellerato,  prendano cantonate in campo economico come e più degli altri, con una gestione più clientelare che manageriale, tradiscano peggio degli altri i propri elettori, sono destinati a collezionare nuovi pesanti insuccessi.
Perché, se quella di Livorno potrebbe essere l'eccezione di una regola che vede comunque prevalere, lo accennavamo prima, il PD in tante città (160 contro le 37 assegnate al Centrodestra), la batosta di Perugia, il fortino rosso che aveva resistito per 70 anni a qualsiasi attacco, sta tutta lì a denunciare il fallimento di una intera classe dirigente, attraverso il tradimento degli ex comunisti consumato  a rate, in più decenni.
Una città, quella umbra, di nobile tradizione culturale, per la presenza di una rinomata e antica università, ridotta allo stato pietoso in cui si trova: con un prezioso centro storico svuotato di molte delle sue funzioni direzionali, dove hanno chiuso centinaia di negozi, i caffè storici, i teatri, i cinema, lasciando quotidianamente i pochi cittadini che ancora vi risiedono completamente in balia di orde di spacciatori e di tossicodipendenti di ogni provenienza che scorazzano indisturbati a tutte le ore del giorno e della notte, proiettando tristemente il suo nome sui media nazionali per il non invidiabile primato di  capitale italiana dell'eroina.
Un'amministrazione municipale che in tre decenni  ha visto, senza battere ciglio, la chiusura di tante attività commerciali, artigianali e industriali, non solo fagocitate dalla crisi ma da una politica urbanistica e di sviluppo economico che ha spudoratamente privilegiato gli interessi famelici delle grandi società immobiliari e delle coop rosse, con la nascita di un numero spropositato di giganteschi centri commerciali, l'impetuosa e velleitaria realizzazione di un centro direzionale avveniristico ma senza anima nel mentre si lasciava campo libero allo sviluppo disordinato di vasti quartieri dormitorio a ridosso dei principali assi viari periferici.
Oggi il centro storico, un tempo cuore pulsante della città,  appare sconsolatamente disadorno, non di rado desolato, in condizioni di manutenzione assai precaria, con numerosi fabbricati vecchi e fatiscenti che si presentano alla vista non appena si lascia il corso principale per infilarsi nelle scoscese vie laterali a ridosso del duomo, del tribunale, del palazzo municipale, dove, dettaglio da sottolineare, la fa da padrone la grande proprietà immobiliare di banche e società finanziarie. 
Inoltre, la realizzazione  megalomane di dispendiosissime infrastrutture quali il minimetro è stata portata avanti a discapito della normale mobilità cittadina, con una drastica riduzione delle linee e delle corse degli autobus e dei treni. 
Per non parlare delle grandi opere stradali che hanno disumanizzato il rapporto tra centro e periferia con una serie sterminata di rotatorie, veloci bretelle di collegamento, che creano sconcerto  negli stessi residenti, mentre l'ingresso in città dalle arterie regionali resta caotico e congestionato.
Simbolo di questa devastazione urbanistica che ha mandato in fumo una buona parte del paesaggio perugino che si spingeva incantevole a nord fin oltre il lago Trasimeno,  la costruzione del nuovo ospedale Silvestrini in una zona così fuori mano da essere non solo difficilmente raggiungibile dall'automobilista con  poca pratica della città ma da rendere disagevole per chiunque l'individuazione di un parcheggio.
Trent'anni in cui, per assecondare gli appetiti di pochi e le smanie di grandezza della nomenklatura perugina già comunista ma con costanti frequentazioni massoniche, una delle città più belle e vivibili d'Italia è stata trasformata nel suo opposto.
Lungi da ogni polemica ideologica, se in tutto questo periodo avesse governato il centrodestra o qualsiasi altra coalizione, obiettivamente, avrebbe potuto fare di peggio? 
Ieri i perugini hanno fornito una pronta ed inequivocabile risposta.