Ventinove anni fa in Via Fani a Roma sedicenti terroristi assalivano l'automobile dove viaggiava il presidente della DC Aldo Moro. Fu una strage, 5 agenti uccisi, oltre al rapimento del leader democristiano. La vicenda si sarebbe conclusa cinquantaquattro giorni più tardi in modo ancora più terribile con l'uccisione dell'ostaggio: il corpo venne fatto ritrovare nel bagagliaio di una macchina a metà strada tra le sedi della DC e del PCI.Nonostante le tante inchieste, i tanti processi celebrati, a distanza di quasi trent'anni non si è venuto mai veramente a capo della cosa: sì, alcune responsabilità individuali sono emerse, in parte è stata ricostruita la dinamica dell'attacco di via Fani e dei giorni del sequestro, ma sono moltissime le tessere del mosaico che non sono tornate a posto; a partire dal memoriale scritto dallo statista democristiano, rinvenuto rocambolescamente e solo in parte dieci anni più tardi nel covo brigatista di Via Montenevoso a Milano dagli uomini del generale Dalla Chiesa. Non solo: ancora non si sa bene che ci facessero quella mattina su luogo della strage personaggi legati alla criminalità organizzata ed al sottobosco dei servizi segreti, come sembra ormai certo.Un muro di gomma, ha finora respinto i numerosi tentativi di dare un senso compiuto a quei drammatici eventi: una verità che sarebbe probabilmente ancor oggi sconvolgente per i fragili equilibri del nostro Paese. Ma la Storia, prima o poi, dovrà appropriarsi di quei fatti e dare una spiegazione a quella lunga striscia di sangue che per decenni ha percorso, inquinandola, la vita politica dell'Italia repubblicana. Per avere, almeno, la certezza di essere finalmente usciti dal tunnel.
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