martedì 8 novembre 2011

Nonostante la caduta del berlusconismo, resteremo a lungo dentro il tunnel

L'approvazione del Rendiconto dello Stato con soli 308 voti alla Camera segna la fine del ventennio di Silvio Berlusconi.
L'opposizione non ha partecipato al voto per non rischiare di mandare a casa insieme al Governo l'Italia stessa, da mesi bersaglio della speculazione internazionale.
Il sistema di potere berlusconiano che ha fatto per tutto questo tempo di Palazzo Grazioli e Villa San Martino il quartier generale della vita pubblica italiana implode sonoramente senza che l'opposizione abbia dovuto muovere un dito o fare un passo in questa direzione.
Infatti, a decretare la fine del sistema berlusconiano sono stati i mercati o meglio gli attacchi speculativi d'Oltreoceano contro l'Euro che hanno trovato nell'Italia il ventre molle dove affondare facilmente i propri colpi.
All'inizio dell'estate, dopo che l'Europa monetaria aveva già dato una pessima prova di sè con la vicenda greca, sballottolata per mesi tra il default ed un salvataggio incompiuto, è partito l'attacco più violento contro i titoli di Stato italiani.
Quella che fino a qualche settimana prima era una situazione finanziaria tutto sommato gestibile con attenzione ma tranquillità, si è rivelata improvvisamente per l'Italia una questione di sopravvivenza, a cui il governo Berlusconi non ha saputo contrapporre nulla di incisivo se non misure di finanza pubblica raffazzonate e confuse, incoerenti e comunque assolutamente insufficienti a fronteggiare la violenza della sfida speculativa.
Al tempo stesso l'Europa si è rivelata priva di una qualsiasi politica economica comune e di istituzioni credibili con il tandem franco-tedesco Merkel Sarkozy assolutamente inadeguato, sia sulla ribalta europea che sul piano interno con una popolarità ai minimi storici.
Ciò che più dispiace e che deve far riflettere tutti gli Italiani è che la caduta del regime berlusconiano non sia avvenuta per opera delle opposizioni o della società civile, nonostante questa si sia rivelata sempre più insofferente ai riti della Casta.
Non è stata causata dalla assoluta inadeguatezza del premier al suo ruolo: non al fatto di aver confuso la sfera pubblica con i suoi interessi privati, non di aver bloccato l'attività di Parlamento e Governo sulle proprie contingenze giudiziarie; non di aver sollecitato, cavalcandoli,  gli istinti bassi della gente contro l'immigrazione e la diversità, mostrando il pugno di ferro contro oppositori interni e contestazioni di piazza.
Né l'inizio delle disgrazie del Cavaliere ha coinciso con l'attacco senza precedenti sferrato al mondo del lavoro, della scuola, del pubblico impiego, dell'università, considerati elettoralmente poco rilevanti e tendenzialmente ostili.
E neppure la possibile rottura è dipesa da una politica economica e fiscale tesa a colpire espressamente gli strati più deboli della società perpetuando le aree di evasione e di impunità fiscale, garantendo sacche di privilegio per gli appartenenti alle mille cricche del paese.  
Men che meno una politica estera talmente contraddittoria e vile da tenere schierata l'Italia su diversi teatri di guerra senza alcun riconoscimento internazionale, in posizione serva dei voleri americani, al solo scopo di vedere protetta la scricchiolante  leadership di Silvio Berlusconi.
Neppure una vita privata chiacchieratissima, al limite del codice penale, ha potuto decretarne la capitolazione, grazie ad un ferreo controllo dei media, come dimostra l'epurazione con tutti i mezzi possibili di Michele Santoro e Marco Travaglio. 
Tutto ciò non è bastato a smuovere più di tanto le coscienze neppure di Oltretevere, come dimostrano le recenti ma tardive prese di distanza del cardinale Bagnasco. 
Insomma la caduta di Berlusconi è stata sospinta ma forse addirittura partorita da ambienti internazionali, a dimostrazione di una sovranità nazionale che resta limitata, come ai tempi della guerra fredda.
Probabilmente Silvio Berlusconi paga adesso il conto con l'estero di una comunanza di vedute con la Russia di Putin, assolutamente indigesta e strategicamente oltraggiosa per gli ambienti filoatlantici, e in precedenza la sua 'amicizia' con Gheddafi nonostante sia poi stato costretto a partecipare persino alla sua eliminazione fisica.
Ecco perché, nonostante la sua caduta sia un atto dovuto e atteso da tempo, oggi c'è ben poco da festeggiare.
Il rischio è che l'8 novembre 2011, un po' come il 25 luglio del '43, ci lasci ancora a lungo bloccati dentro il tunnel.

Nessun commento: