La sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul divieto di esporre il crocifisso negli edifici pubblici, in particolare nelle aule scolastiche, è sotto vari aspetti ineccepibile.
Non stiamo qui a dimostrare la giustezza ed anche l’opportunità di una decisione che soltanto chi fa del basso populismo può attaccare e che i veri cristiani, viceversa, dovrebbero salutare con gioia.
Perché la corte di Strasburgo ha unicamente vietato l’esposizione dei simboli religiosi nell’esercizio di funzioni pubbliche, evidentemente in edifici non dedicati al culto.
Luoghi pubblici che, fino a prova contraria, devono rappresentare la neutralità dello Stato nei confronti delle diverse confessioni religiose.
Che cosa voglia significare il crocifisso in una aula scolastica o in un tribunale, qualcuno ce lo dovrebbe spiegare.
Ripeteva Cavour: Libera Chiesa in Libero Stato.
Il crocifisso è un simbolo di passione e di amore divino, ma anche di suprema ingiustizia che gli uomini fecero patire al Nazareno e di cui tutti noi dovremmo vergognarci, quale simbolo di un’infamia perpetrata, secondo i credenti, ai danni del Figlio di Dio.
Che i palazzi di Pilato lo espongano con burocratica indifferenza è paradossale, storicamente una bestemmia; mentre nei luoghi di culto, il crocifisso esprime tutto il suo valore salvifico e divino del messaggio cristiano.
D’altra parte, é falsa l’idea che la sua presenza nei luoghi pubblici sia un simbolo della nostra tradizione culturale: infatti la sua permanenza nelle aule scolastiche venne dichiarata, in pieno regime fascista, solo con un paio di regi decreti che né il concordato del 1929 tra Mussolini e il Vaticano, né la sua revisione ai tempi di Bettino Craxi, modificarono.
Stiamo parlando di 80 anni fa, un’inezia rispetto alla storia millenaria del cristianesimo; una ricorrenza storica irrilevante, se pensiamo a quanta acqua è poi passata sotto i ponti.
La Chiesa cattolica ha, in questa occasione, intrapreso l’ennesima battaglia di retroguardia che la vuole impegnata a difendere piuttosto una prerogativa temporale che il simbolo della propria missione spirituale.
Tanto da non farsi problemi nell’accettare l’appoggio dei mercanti del Tempio.
Che contro la sentenza europea si scaglino politici come il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il premier Silvio Berlusconi dovrebbe far sorgere più di un dubbio sulla opportunità di questa scelta.
Basta vedere come si agita La Russa, quali parole di odio, quale espressione gli si stampi in faccia, in quale truce maschera deformi i propri connotati, quando, nell’occasione meno indicata, il 4 novembre, festa delle nostre forze armate, usa la ribalta mediatica per silurare i giudici europei trasformando il crocifisso in un’arma, al pari di un elicottero da combattimento, di un carrarmato o di un fucile mitragliatore: "Possono morire!…" furoreggia di fronte allo spaurito conduttore Lamberto Sposini, incapace di contenerne la crisi.
Perché le gerarchie cattoliche non prendono le distanze da simili atteggiamenti?
Non stiamo qui a dimostrare la giustezza ed anche l’opportunità di una decisione che soltanto chi fa del basso populismo può attaccare e che i veri cristiani, viceversa, dovrebbero salutare con gioia.
Perché la corte di Strasburgo ha unicamente vietato l’esposizione dei simboli religiosi nell’esercizio di funzioni pubbliche, evidentemente in edifici non dedicati al culto.
Luoghi pubblici che, fino a prova contraria, devono rappresentare la neutralità dello Stato nei confronti delle diverse confessioni religiose.
Che cosa voglia significare il crocifisso in una aula scolastica o in un tribunale, qualcuno ce lo dovrebbe spiegare.
Ripeteva Cavour: Libera Chiesa in Libero Stato.
Il crocifisso è un simbolo di passione e di amore divino, ma anche di suprema ingiustizia che gli uomini fecero patire al Nazareno e di cui tutti noi dovremmo vergognarci, quale simbolo di un’infamia perpetrata, secondo i credenti, ai danni del Figlio di Dio.
Che i palazzi di Pilato lo espongano con burocratica indifferenza è paradossale, storicamente una bestemmia; mentre nei luoghi di culto, il crocifisso esprime tutto il suo valore salvifico e divino del messaggio cristiano.
D’altra parte, é falsa l’idea che la sua presenza nei luoghi pubblici sia un simbolo della nostra tradizione culturale: infatti la sua permanenza nelle aule scolastiche venne dichiarata, in pieno regime fascista, solo con un paio di regi decreti che né il concordato del 1929 tra Mussolini e il Vaticano, né la sua revisione ai tempi di Bettino Craxi, modificarono.
Stiamo parlando di 80 anni fa, un’inezia rispetto alla storia millenaria del cristianesimo; una ricorrenza storica irrilevante, se pensiamo a quanta acqua è poi passata sotto i ponti.
La Chiesa cattolica ha, in questa occasione, intrapreso l’ennesima battaglia di retroguardia che la vuole impegnata a difendere piuttosto una prerogativa temporale che il simbolo della propria missione spirituale.
Tanto da non farsi problemi nell’accettare l’appoggio dei mercanti del Tempio.
Che contro la sentenza europea si scaglino politici come il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il premier Silvio Berlusconi dovrebbe far sorgere più di un dubbio sulla opportunità di questa scelta.
Basta vedere come si agita La Russa, quali parole di odio, quale espressione gli si stampi in faccia, in quale truce maschera deformi i propri connotati, quando, nell’occasione meno indicata, il 4 novembre, festa delle nostre forze armate, usa la ribalta mediatica per silurare i giudici europei trasformando il crocifisso in un’arma, al pari di un elicottero da combattimento, di un carrarmato o di un fucile mitragliatore: "Possono morire!…" furoreggia di fronte allo spaurito conduttore Lamberto Sposini, incapace di contenerne la crisi.
Perché le gerarchie cattoliche non prendono le distanze da simili atteggiamenti?
Ah, a proposito: neosegretario Bersani, se ci sei batti un colpo!