lunedì 18 febbraio 2008

PD e PDL, due colossi dai piedi d'argilla

I tempi sono senza dubbio difficili. Il fallimento dell’esperienza del centrosinistra dopo soli 20 mesi di governo sui 60 possibili la dice lunga sull’umore plumbeo che regna in Italia.
Il fatto che si sia chiuso un ciclo politico prima ancora che avesse sviluppato i suoi effetti lascia un grande sconforto un po’ in tutti, sia in chi aveva scommesso su Prodi capo del governo, sia in chi nell’elettorato con simpatie di destra, al di là del fuoco di sbarramento prodotto da Berlusconi & c., avrebbe voluto bocciare il governo dell’Unione sul terreno dell’economia e non sulla politica estera (crisi del febbraio 2007) o, peggio, sulla vicenda familiare di Mastella.
Per i conservatori, sarebbe bastato un terzo anno di legislatura per mettere la parola fine alla proposta politica del centrosinistra per parecchi anni; invece, così si lascia ai politici di quello schieramento l’alibi di un governo crollato sotto i colpi traditori di forze centriste capeggiate da Dini e Mastella.
In un momento molto delicato per la politica ed economia internazionale, anche a seguito della tempesta bancaria che sta scuotendo da mesi i mercati finanziari mondiali, le elezioni anticipate aggiungono problema a problema senza che se ne veda in alcun modo una via d’uscita.
E’ iniziata la campagna elettorale che si disputerà con il porcellum, pur sapendo in anticipo che la legge con cui si andrà per la seconda volta a votare presenta profili di incostituzionalità tali da mettere a rischio la ratifica dei risultati del voto, chiunque dovesse vincere.
Nel frattempo si è scatenata la bagarre comunicativa tra Veltroni e Berlusconi che, insieme ai propri luogotenenti, occupano da giorni pressoché tutto lo spazio mediatico disponibile.
Sono bastate le prime due puntate di Porta a Porta d’inizio settimana per mettere al tappeto chiunque segua ancora con un minimo di interesse le vicende politiche italiane.
Apprendiamo da Veltroni che la guerra in Afganistan condotta dall’Italia insieme alla Nato ha la stessa importanza della lotta alla mafia; ma il leader del partito democratico dimentica di dire che la prima sta andando avanti con micidiali bombardamenti aerei mentre la seconda si fa con le attività investigative, magari proprio avvalendosi delle intercettazioni.
Inoltre Veltroni ci ha avvertito in diretta TV che le intercettazioni non vanno rese di dominio pubblico (quindi pubblicate dalla stampa) fino alla celebrazione dei processi.
Almeno in questo caso, qualcuno gli dovrebbe spiegare (magari il suo nuovo alleato, Antonio Di Pietro) che senza il controllo dell’opinione pubblica le intercettazioni telefoniche, comunque messe a conoscenza delle parti processuali, diverrebbero materia di pressioni e ricatti, con il rischio concreto di inquinamento delle prove.
Perché, come dice Marco Travaglio, se non fossero state pubblicate quelle della doppia scalata Bnl - Antonveneta, i furbetti del quartierino sarebbero ancora nelle condizioni di fare altre “bravate” e il governatore Fazio siederebbe comodamente dietro la sua scrivania di Palazzo Koch.
Che poi l’Italia sia in Afganistan in missione di pace mentre il suo alleato americano insiste nel mettere a ferro e fuoco quella sfortunata terra chiedendoci un ulteriore coinvolgimento nelle operazioni militari, resta uno di quei misteri la cui comprensione è alla portata solo di menti superiori, magari proprio di quella del leader del Partito Democratico che, beato lui, ha tutto chiaro in testa.
Sui temi economici, usando gli stessi toni da televendita per i quali Berlusconi è insuperabile, Veltroni promette meno tasse e più asili nido.
Chissà perché ma quando dice così il pensiero va diretto al bravissimo Antonio Albanese alias Cetto La Qualunque con il suo surreale e prosaico “cchiu' pilu pi' tutti”.
Intanto Berlusconi promette che, tornato a Palazzo Chigi, non metterà ancora le mani in tasca agli italiani (come a dire, non diminuirà le tasse...) e non li terrorizzerà (dice proprio così!) con la lotta all’evasione fiscale; anzi, toglierà l’Ici.
Insomma, a tv spenta, Veltroni e Berlusconi nei vari interventi televisivi dicono più o meno le stesse cose: più che leader di due partiti in piena competizione tra di loro sembrano esponenti dello stesso partito che si sfidano sotto lo stesso tetto in una personalissima tenzone.
Non solo c’è convergenza tra le piattaforme politiche tra Partito Democratico e Partito della Libertà (ma si chiama veramente così il partito del Cavaliere?) ma, a furia di incontrarsi in vertici a due, sembra quasi che le loro forme di comunicazione si siano contaminate e reciprocamente omologate.
E’ come se lo stile di Berlusconi avesse finito per contagiare anche Veltroni che, se non altro per mancanza di originalità, rischia di perdere nettamente il confronto a distanza; ma un po’ di Veltroni c’è pure nel nuovo stile berlusconiano, più controllato del passato, meno propenso a promesse da marinaio.
Anche se i due continuano a mostrare sotto le telecamere temperamenti molto differenti: il primo straripante e istrionico, finge (lo speriamo!) di credersi l’unto del signore; il secondo, nei modi più colloquiale ma assai supponente in quello che dice, indugia frequentemente in toni ecumenici (la gag di Maurizio Crozza sul “ma anche” veltroniano è perfetta).
Insomma, un messia contro un santone, ovvero lo scontro politico più improbabile e lontano dai bisogni della gente comune che, annoiata e irritata, li vede pronunciare una sequela di vuoti slogan e sterili promesse, senza indicare a quale nuovo modello di società intendano riferirsi: insomma, la stessa minestra democristiana, per giunta riscaldata.
Di ciò si incomincia a preoccupare lo stesso Eugenio Scalfari che, nell’editoriale di ieri, cerca di trovare a tutti i costi delle differenze tra i due; una bella impresa che, nonostante il suo eloquio e la sua cultura, questa volta non gli riesce. Tant’è che è costretto, pur di operare un distinguo, a scendere sul piano della mera propaganda: “Berlusconi propone il ritorno al già visto, Veltroni vuole che tutto cambi nei programmi e nelle persone” ma si guarda bene dal precisare il senso concreto di queste parole, utili al suo pupillo solo per infarcire il prossimo discorso elettorale.
E’ facile prevedere che il Cavalier Silvio e l’americano de Roma Walter, così facendo, finiranno per pestarsi i piedi, sovrapponendo in parte la loro base elettorale e rischiando di lasciare scoperti spazi di consenso grandi come praterie dove potranno scorrazzare, a destra, l’Udc di Casini e la Rosa Bianca di Tabacci; a sinistra, evidentemente, la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti.
Ma questo rassemblement, lungi dall’aprire nuovi scenari all’indomani delle elezioni politiche li costringerà, a causa della loro reciproca debolezza, ad una qualche forma di coabitazione.
Per i due colossi dai piedi d’argilla, l’ipotesi di grande coalizione, versione riveduta e corretta del “governo di larghe intese”, potrebbe diventare la sola strada percorribile: una vera iattura per il nostro Paese.
A meno che la forza iconoclasta di Beppe Grillo non scompagini, più di quanto non abbia già fatto in questi pochi mesi, la politica italiana...

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