Gran brutto periodo quello che attraversa la democrazia italiana al giro di boa del solstizio d’estate. La crisi politico-istituzionale, lungi dall’imboccare l’uscita dal tunnel con l’avvio della XVI legislatura, si sta pericolosamente avvitando su se stessa.
Il rimedio, ovvero il governo del centrodestra, si sta rivelando peggiore del male, cioè le difficoltà di governare l’Italia nel pieno della prima vera crisi economica internazionale nell’epoca della globalizzazione.
Parlare di emergenza democratica, come dicono alcuni, forse non è fuori luogo.
I primi atti del governo di centrodestra confermano le peggiori aspettative, intrisi come sono di quel brodo di coltura in cui sono nati e si sviluppano alcuni movimenti politici con tendenze reazionarie.
La militarizzazione della politica che sta avvenendo da due mesi a questa parte, dopo una campagna elettorale orchestrata ad arte sui temi della sicurezza e dell’ordine pubblico, solleticando mai del tutto sopiti istinti xenofobi tra i cittadini, sta arrivando ad un punto di svolta.
Mandare l’esercito per le strade inevitabilmente prefigura il passaggio dallo stato di diritto ad uno di tipo autoritario, dove la sovranità non risiede più nel popolo ma nella classe dirigente; la quale, piuttosto che scendere in piazza per confrontarsi a viso aperto con i cittadini (o sudditi?), si chiude a riccio, asserragliandosi in un fortino militarmente presidiato.
Quello delle mimetiche sotto casa è pure uno scivolone sul piano della comunicazione che ci avvicina pericolosamente alle atmosfere inquietanti di certa America latina.
Il solo pensare che turisti stranieri in visita nelle nostre città d’arte possano imbattersi in convogli militari in perlustrazione fa semplicemente accapponare la pelle.
L’odierno editoriale su la Repubblica di Eugenio Scalfari mette in evidenza l’accelerazione drammatica che stanno prendendo gli eventi: a partire dal modo in cui si è approcciata l’emergenza rifiuti in Campania facendone una questione prettamente di ordine pubblico, al decreto legge poi rivisto in disegno di legge sulle intercettazioni, alla questione nucleare (aggiungiamo noi), vi è il tentativo di sottrarre al controllo dell’opinione pubblica questioni di fondamentale importanza per la crescita economica e sociale del nostro Paese.
Parlare di interventi da parte dell’esecutivo velleitari o, peggio, come dice incautamente a proposito dei militari spediti per strada il capogruppo del PD Anna Finocchiaro, buoni “a compiacere la vanità del ministro della Difesa”, significa non avere minimamente compreso la gravità dello stato di salute della nostra democrazia al cui capezzale, come osserva giustamente Scalfari, non può essere lasciato solo il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Nonostante l’analisi scalfariana sia per una volta del tutto condivisibile, non possiamo non osservare che se siamo caduti così in basso molte delle responsabilità vanno attribuite proprio alle reiterate iniziative sbagliate prese dai dirigenti del Partito Democratico in questi mesi, spesso con il beneplacito proprio del fondatore di Repubblica che oggi, lui per primo, dovrebbe recitare il mea culpa.
Scelte sciagurate che da mesi denunciamo e che, a dispetto delle magnifiche sorti e progressive additate da Walter Veltroni con suggestioni hollywoodiane, hanno contribuito a portarci in poche settimane a qualcosa che appare ora eufemistico definire dittatura dolce.
Lo ha finalmente capito anche Eugenio Scalfari che, forse giudicando la misura colma, arriva a fare una bella lavata di testa al supponente Walter che da mesi insiste nel tenere aperto, o meglio, spalancato, il dialogo con Silvio Berlusconi.
Si chiede giustamente Scalfari come sia possibile affrontare con il cavaliere il tema impervio delle riforme istituzionali quando, contemporaneamente, egli sta smontando pezzo a pezzo lo Stato di diritto.
Ecco alcuni passi del suo editoriale tra i più significativi: "La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
Il rimedio, ovvero il governo del centrodestra, si sta rivelando peggiore del male, cioè le difficoltà di governare l’Italia nel pieno della prima vera crisi economica internazionale nell’epoca della globalizzazione.
Parlare di emergenza democratica, come dicono alcuni, forse non è fuori luogo.
I primi atti del governo di centrodestra confermano le peggiori aspettative, intrisi come sono di quel brodo di coltura in cui sono nati e si sviluppano alcuni movimenti politici con tendenze reazionarie.
La militarizzazione della politica che sta avvenendo da due mesi a questa parte, dopo una campagna elettorale orchestrata ad arte sui temi della sicurezza e dell’ordine pubblico, solleticando mai del tutto sopiti istinti xenofobi tra i cittadini, sta arrivando ad un punto di svolta.
Mandare l’esercito per le strade inevitabilmente prefigura il passaggio dallo stato di diritto ad uno di tipo autoritario, dove la sovranità non risiede più nel popolo ma nella classe dirigente; la quale, piuttosto che scendere in piazza per confrontarsi a viso aperto con i cittadini (o sudditi?), si chiude a riccio, asserragliandosi in un fortino militarmente presidiato.
Quello delle mimetiche sotto casa è pure uno scivolone sul piano della comunicazione che ci avvicina pericolosamente alle atmosfere inquietanti di certa America latina.
Il solo pensare che turisti stranieri in visita nelle nostre città d’arte possano imbattersi in convogli militari in perlustrazione fa semplicemente accapponare la pelle.
L’odierno editoriale su la Repubblica di Eugenio Scalfari mette in evidenza l’accelerazione drammatica che stanno prendendo gli eventi: a partire dal modo in cui si è approcciata l’emergenza rifiuti in Campania facendone una questione prettamente di ordine pubblico, al decreto legge poi rivisto in disegno di legge sulle intercettazioni, alla questione nucleare (aggiungiamo noi), vi è il tentativo di sottrarre al controllo dell’opinione pubblica questioni di fondamentale importanza per la crescita economica e sociale del nostro Paese.
Parlare di interventi da parte dell’esecutivo velleitari o, peggio, come dice incautamente a proposito dei militari spediti per strada il capogruppo del PD Anna Finocchiaro, buoni “a compiacere la vanità del ministro della Difesa”, significa non avere minimamente compreso la gravità dello stato di salute della nostra democrazia al cui capezzale, come osserva giustamente Scalfari, non può essere lasciato solo il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Nonostante l’analisi scalfariana sia per una volta del tutto condivisibile, non possiamo non osservare che se siamo caduti così in basso molte delle responsabilità vanno attribuite proprio alle reiterate iniziative sbagliate prese dai dirigenti del Partito Democratico in questi mesi, spesso con il beneplacito proprio del fondatore di Repubblica che oggi, lui per primo, dovrebbe recitare il mea culpa.
Scelte sciagurate che da mesi denunciamo e che, a dispetto delle magnifiche sorti e progressive additate da Walter Veltroni con suggestioni hollywoodiane, hanno contribuito a portarci in poche settimane a qualcosa che appare ora eufemistico definire dittatura dolce.
Lo ha finalmente capito anche Eugenio Scalfari che, forse giudicando la misura colma, arriva a fare una bella lavata di testa al supponente Walter che da mesi insiste nel tenere aperto, o meglio, spalancato, il dialogo con Silvio Berlusconi.
Si chiede giustamente Scalfari come sia possibile affrontare con il cavaliere il tema impervio delle riforme istituzionali quando, contemporaneamente, egli sta smontando pezzo a pezzo lo Stato di diritto.
Ecco alcuni passi del suo editoriale tra i più significativi: "La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
E' evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono complessivo dell'opposizione".
E , preoccupato, si interroga: "Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei settori più sensibili della democrazia?" .
Con il prevedibile corollario: “Il Partito democratico ha un solo strumento per impedire questa deriva: decidere che non c'è più possibilità di dialogo sulle riforme per mancanza dell'oggetto. Se lo Stato viene smantellato giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare il Pd? E' qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata."
Aspettavamo da tempo lo smarcamento dello staff di Repubblica da un’opposizione ormai prona ai bisogni del Cavaliere, che ambisce solo ad aggiungere il proprio nome sui titoli di coda del film da lui diretto.
L’incontro di qualche giorno fa alle otto di mattina a Montecitorio tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e Veltroni, forse confidando con l’alzataccia di evitare sguardi indiscreti, potrebbe benissimo essere tratto da una pellicola di un grande del nostro cinema come il compianto regista Dino Risi.
Come è chiaro, quella di Scalfari più che una netta presa di distanze si configura come una solenne bocciatura della linea politica a scartamento ridotto intrapresa un anno fa dal gruppo dirigente del Partito democratico.
Ciò dovrebbe comunque servire a Walter Veltroni (finora inossidabile alle critiche) a decidere rapidamente cosa sia adesso più opportuno fare, non solo per il bene del suo partito ma per il futuro del Paese.
Non c’è più tempo da perdere.
L’incontro di qualche giorno fa alle otto di mattina a Montecitorio tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e Veltroni, forse confidando con l’alzataccia di evitare sguardi indiscreti, potrebbe benissimo essere tratto da una pellicola di un grande del nostro cinema come il compianto regista Dino Risi.
Come è chiaro, quella di Scalfari più che una netta presa di distanze si configura come una solenne bocciatura della linea politica a scartamento ridotto intrapresa un anno fa dal gruppo dirigente del Partito democratico.
Ciò dovrebbe comunque servire a Walter Veltroni (finora inossidabile alle critiche) a decidere rapidamente cosa sia adesso più opportuno fare, non solo per il bene del suo partito ma per il futuro del Paese.
Non c’è più tempo da perdere.
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