Che stessimo vacillando follemente sull’orlo del baratro lo sapevamo da tempo. Che, di fronte alla straordinaria pericolosità della sfida berlusconiana, non potessimo contare sugli uomini giusti, dentro le istituzioni ma anche nei partiti di opposizione, pure con questo, negli anni, avevamo dovuto fare i conti.
Ma che al Quirinale fosse capitata la persona sbagliata al momento sbagliato, non tutti purtroppo, ancor oggi, in pieno day after, mostrano di accorgersi.
Ma che al Quirinale fosse capitata la persona sbagliata al momento sbagliato, non tutti purtroppo, ancor oggi, in pieno day after, mostrano di accorgersi.
A cominciare dal Partito democratico e dal giornale che, ormai da tempo ne ha sposato, di più, ne ha formulato, la linea politica: la Repubblica.
Che in questi anni, sotto gli auspici del suo fondatore, ha condotto la più inutile e sterile battaglia politica contro Silvio Berlusconi, esempio lampante di come sia sempre sbagliato ingaggiare un confronto di natura squisitamente politica su un piano puramente soggettivo, privo di mordente ideologico ma basato esclusivamente su rilievi personali.
E’ così potuto succedere che, dalle sue colonne, è stato aspramente criticato l’uomo politico Berlusconi (vi ricordate l’inutile tormentone estivo delle dieci insulse domande scabrose del caso Noemi?) ma si è lasciato campo libero, rendendolo indenne da qualsiasi seria critica e riflessione, al berlusconismo, il letale virus pandemico della società italiana, in grado di farla collassare in pochi anni con la farneticante e violenta politica del fare che ha fatto strame della legalità, cioè delle regole e dei principi di uno stato democratico.
Con un pericoloso corollario: si è esaltata la figura del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, soltanto perché di area Pd, quale custode illuminato della sovranità costituzionale, nonostante i gravissimi errori che ne hanno funestato sistematicamente il mandato, a cominciare dalla promulgazione fatta, nel luglio 2008, a tempo di record del lodo Alfano, primo solenne attentato alla nostra Carta.
Errore a suo tempo denunciato clamorosamente, prima ancora che fosse compiuto, da decine di insigni costituzionalisti e, poi, sancito inoppugnabilmente dalla bocciatura della Corte Costituzionale nell’ottobre scorso, nonostante le continue intimidazioni a cui venne sottoposta in quei giorni.
Già ce l’immaginiamo l’editoriale di Eugenio Scalfari di domani, il quale sicuramente si esibirà in una serie di arzigogoli verbali pur di negare l’ennesimo svarione del Presidente della Repubblica per aver controfirmato un decreto interpretativo della legge elettorale ad uso e consumo del partito del premier, mentre la questione della riammissione della sua lista alle prossime Regionali resta ancora sub judice.
Atto che ci pone evidentemente fuori dal solco democratico: si cambiano le regole del gioco mentre la partita elettorale è già in corso e la squadra del premier si è già fatta un clamoroso autogol.
Pare già di leggere come la penna più tronfia di Piazza Indipendenza difenderà domani Napolitano:
Che in questi anni, sotto gli auspici del suo fondatore, ha condotto la più inutile e sterile battaglia politica contro Silvio Berlusconi, esempio lampante di come sia sempre sbagliato ingaggiare un confronto di natura squisitamente politica su un piano puramente soggettivo, privo di mordente ideologico ma basato esclusivamente su rilievi personali.
E’ così potuto succedere che, dalle sue colonne, è stato aspramente criticato l’uomo politico Berlusconi (vi ricordate l’inutile tormentone estivo delle dieci insulse domande scabrose del caso Noemi?) ma si è lasciato campo libero, rendendolo indenne da qualsiasi seria critica e riflessione, al berlusconismo, il letale virus pandemico della società italiana, in grado di farla collassare in pochi anni con la farneticante e violenta politica del fare che ha fatto strame della legalità, cioè delle regole e dei principi di uno stato democratico.
Con un pericoloso corollario: si è esaltata la figura del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, soltanto perché di area Pd, quale custode illuminato della sovranità costituzionale, nonostante i gravissimi errori che ne hanno funestato sistematicamente il mandato, a cominciare dalla promulgazione fatta, nel luglio 2008, a tempo di record del lodo Alfano, primo solenne attentato alla nostra Carta.
Errore a suo tempo denunciato clamorosamente, prima ancora che fosse compiuto, da decine di insigni costituzionalisti e, poi, sancito inoppugnabilmente dalla bocciatura della Corte Costituzionale nell’ottobre scorso, nonostante le continue intimidazioni a cui venne sottoposta in quei giorni.
Già ce l’immaginiamo l’editoriale di Eugenio Scalfari di domani, il quale sicuramente si esibirà in una serie di arzigogoli verbali pur di negare l’ennesimo svarione del Presidente della Repubblica per aver controfirmato un decreto interpretativo della legge elettorale ad uso e consumo del partito del premier, mentre la questione della riammissione della sua lista alle prossime Regionali resta ancora sub judice.
Atto che ci pone evidentemente fuori dal solco democratico: si cambiano le regole del gioco mentre la partita elettorale è già in corso e la squadra del premier si è già fatta un clamoroso autogol.
Pare già di leggere come la penna più tronfia di Piazza Indipendenza difenderà domani Napolitano:
"Ringraziare dobbiamo il rigore morale e l’austera fermezza del Capo dello Stato che, solitario al tavolo di lavoro, si attardava fino a notte inoltrata, dopo una giornata di impietosa resistenza alle cupe mire del Cavaliere, per arginare la sua debordante furia demolitrice e, con abile e superbo piglio, pari solo alla sua forza d’animo ed al suo amore sconfinato verso la nostra carta fondamentale, sola stella polare del suo firmamento, poneva fine alle inusitate onde telluriche che attentavano all’integrità dell’edificio costituzionale, apponendo tosto la firma in calce al decreto invocato dalla canaglia, così evitando l’abisso e risparmiandoci più dolorose e perigliose giornate…".
Fatto sta che, ampollosità e bizantinismi a parte e vuote dissertazioni che volentieri lasciamo ai soloni ed ai politologi à la page, nella giornata di venerdì 5 marzo 2010, siamo usciti dall’alveo della democrazia costituzionale, per addentraci nelle spesse, imperscrutabili nebbie di un ignoto far west.
Fatto sta che, ampollosità e bizantinismi a parte e vuote dissertazioni che volentieri lasciamo ai soloni ed ai politologi à la page, nella giornata di venerdì 5 marzo 2010, siamo usciti dall’alveo della democrazia costituzionale, per addentraci nelle spesse, imperscrutabili nebbie di un ignoto far west.
Nessun commento:
Posta un commento