Aldo Schiavone nell’editoriale di sabato scorso su la Repubblica delinea per la sinistra italiana nel prossimo futuro “una grande occasione per entrare in scena da protagonista”.
Sarebbero le contraddizioni del liberismo a costringerla, oseremmo dire quasi suo malgrado, a ritornare alla ribalta della politica. Verissimo.
Poi, però, conclude goffamente: “E c’è bisogno di una sinistra forte, per un bipolarismo mite”.
Qualcuno ci spieghi per favore cosa sia questo preteso bipolarismo mite.
Qualcuno ci spieghi per favore cosa sia questo preteso bipolarismo mite.
Ma, innanzitutto, che senso abbia parlare ancora di bipolarismo in un’Italia frantumata, in cui è venuta a mancare la percezione collettiva di comunità ed ognuno, come minuscola scheggia impazzita, bada esclusivamente al proprio orticello ignorando la necessità di un contesto condiviso di regole ed infischiandosene molto spesso del cosiddetto bene comune.
Ritenere che in questa implosione sociale il ruolo dei media sia stato marginale è un errore imperdonabile in cui Schiavone incorre quando afferma: “E’ in errore, e di molto, chi pensa che l’Italia di questi anni si sia “berlusconizzata” a causa delle televisioni o delle strategie mediatiche. A pensare così, si scambia la causa con l’effetto. Non è Berlusconi che ha ridotto l’Italia a somiglianza delle sue televisioni. E’ l’Italia “privatizzata” dall’ondata della modernizzazione che ha identificato in Berlusconi il suo principe naturale, il quale, dal canto suo, non ha inventato niente:[…]”.
Minimizzare il ruolo dei media nell’evoluzione della società rischia di essere un errore fatale, perché la modernità è stata declinata proprio in ragione di quella che ne è stata la sua rappresentazione mediatica. E purtroppo quest’ultima è stata affidata quasi esclusivamente ai formidabili interessi del colosso editoriale berlusconiano, secondo una logica privatistica che nulla ha a che vedere con l’interesse pubblico.
E’ stata una vera e propria Caporetto culturale.
La gente si è così dovuta confrontare con fenomeni epocali come la rivoluzione tecnologica e la globalizzazione capitalistica in completa balia dei suoi poderosi effetti, avendo come unica guida il tam tam dei mass media, in assenza di istituzioni preposte a fornire ai cittadini quantomeno alcuni essenziali strumenti di orientamento se non una vera e propria rete di protezione.
E’ facile capire come l’onda d’urto della modernizzazione, coniugata con il mercatismo e l’idea del denaro quale unico feticcio del nostro tempo, in mancanza di forme adeguate di ammortizzatori sociali e culturali, abbia finito per disarticolare il tessuto sociale mandando in frantumi la stessa idea di comunità.
Come se qualcuno si fosse potuto illudere cha da tanto disimpegno delle nostre istituzioni sarebbe derivata, chissà per quale prodigio, una società più ricca, sicura, solidale, equa, inclusiva, con una nuova sensibilità al recupero degli equilibri naturali.
Purtroppo niente di tutto questo è avvenuto e la politica, rinchiusa gelosamente nella propria confortevole campana di vetro, ne porta evidenti responsabilità.
Non basta, quindi, il bipolarismo a governare una complessità che degrada rapidamente nella frammentazione; figuriamoci se può bastare poi il cosiddetto bipolarismo mite che, non a caso, è stata proprio la scommessa politica portata avanti finora da Veltroni: con quali risultati deludenti, è sotto gli occhi di tutti.
Perché la semplificazione bipolarista forse può servire a mantenere in piedi il teatrino del Palazzo ancora per qualche tempo ma mina alle fondamenta il concetto stesso di comunità nazionale.
Non ci potrà mai essere una società forte (che è idea molto più avanzata di auspicare una sinistra forte nell’attuale Stato debole) se la politica non recupera la propria innata vocazione a mediare i processi sociali facendoli riemergere dal colpevole oblìo in cui sono stati fatti precipitare e li sottoponga al vaglio dell’istituzione parlamentare per osservarli, indagarli, indirizzarli.
Occorre, quindi, rilanciare una politica che, pur nella necessaria ricerca di una sintesi, sappia però guardare alle grandi correnti di pensiero che attraversano la società, al nuovo protagonismo delle comunità locali, per restituire ai cittadini, nessuno escluso, la consapevolezza di contare qualcosa.
Tentare semplicemente di concentrare tutto in due soli contenitori elettorali su cui mettere un tappo ed un'etichetta quasi identica (PD -PDL), facendoli comunicare secondo le convenienze politiche del momento, è molto pericoloso, se non altro perché la rapidità e la durezza dei cambiamenti in atto richiedono la massima partecipazione dei cittadini alle scelte difficili che incombono sul nostro futuro.
Una politica semplificata fa forse tirare un sospiro di sollievo al duo Veltroni Berlusconi, che restano così, tronfi, al centro della scena, ma non soddisfa quel bisogno di democrazia che proprio la modernizzazione capitalista porta con sé, non solo nelle nuove economie emergenti (vedi il caso cinese) ma, in forme sia pure diverse, persino nella vecchia Europa.
Più soffia il vento della modernizzazione, più occorrono istituzioni che abbiano la forza democratica di governarlo, di assecondarlo ma anche di resistergli.
Ad esempio, un obiettivo da subito perseguibile, prima ancora che si apra la stagione delle riforme istituzionali, è ridare smalto all’amministrazione pubblica, riconoscendone il ruolo cruciale in questo difficile passaggio storico.
Le istituzioni, sia a livello nazionale che locale, i singoli organi dell’amministrazione pubblica centrale e periferica, in quanto portatori di interessi collettivi, devono essere messi nelle condizioni di funzionare in linea con le aspettative dei cittadini che, a fronte di una pressione fiscale elevata, esigono giustamente qualità dei servizi, efficacia ed efficienza dell’azione pubblica.
La politica deve cioè assicurare le risorse alla pubblica amministrazione affinché essa possa assolvere i propri compiti con puntualità e trasparenza; al tempo stesso, si deve astenere da tutti quei comportamenti che ne configurino una sorta di tutela feudale, come oggi troppo spesso accade.
Ecco il grande scenario che la sinistra deve disegnare per il futuro e per il quale può apertamente chiedere il consenso e legittimarlo con un prevedibile successo elettorale: costruire un modello di società forte, non solo a garanzia dei deboli ma di tutti i cittadini, basato sul rispetto delle regole da parte di chiunque.
Giustizia, legalità, efficienza della pubblica amministrazione, valorizzazione della dimensione pubblica della vita collettiva, sono obiettivi da perseguire all’unisono per non subire passivamente le forze dell’economia ma, al contrario, per interagirvi positivamente.
Costruire un nuovo paradigma, dunque, che abbia il suo nucleo fondante proprio nel recupero della funzione pubblica come presidio democratico dei cambiamenti sociali: è questa la sfida da cogliere per fondare una nuova sinistra.
Se pure il moderato Eugenio Scalfari, nel suo editoriale di domenica riconosce “la scomparsa della politica come attività regolatrice della convivenza e la sua degradazione a pura funzione di sostegno degli interessi forti”, si comprende quanto sia di drammatica attualità il ritorno ad un’idea alta di politica.
Altro che bipolarismo mite!
Ci vuole, piuttosto, una società fortemente integrata con le sue istituzioni, che ritrovi nella legge lo strumento per ridefinirsi ed irradiare erga omnes la forza rigenerante della propria democrazia.
Ritenere che in questa implosione sociale il ruolo dei media sia stato marginale è un errore imperdonabile in cui Schiavone incorre quando afferma: “E’ in errore, e di molto, chi pensa che l’Italia di questi anni si sia “berlusconizzata” a causa delle televisioni o delle strategie mediatiche. A pensare così, si scambia la causa con l’effetto. Non è Berlusconi che ha ridotto l’Italia a somiglianza delle sue televisioni. E’ l’Italia “privatizzata” dall’ondata della modernizzazione che ha identificato in Berlusconi il suo principe naturale, il quale, dal canto suo, non ha inventato niente:[…]”.
Minimizzare il ruolo dei media nell’evoluzione della società rischia di essere un errore fatale, perché la modernità è stata declinata proprio in ragione di quella che ne è stata la sua rappresentazione mediatica. E purtroppo quest’ultima è stata affidata quasi esclusivamente ai formidabili interessi del colosso editoriale berlusconiano, secondo una logica privatistica che nulla ha a che vedere con l’interesse pubblico.
E’ stata una vera e propria Caporetto culturale.
La gente si è così dovuta confrontare con fenomeni epocali come la rivoluzione tecnologica e la globalizzazione capitalistica in completa balia dei suoi poderosi effetti, avendo come unica guida il tam tam dei mass media, in assenza di istituzioni preposte a fornire ai cittadini quantomeno alcuni essenziali strumenti di orientamento se non una vera e propria rete di protezione.
E’ facile capire come l’onda d’urto della modernizzazione, coniugata con il mercatismo e l’idea del denaro quale unico feticcio del nostro tempo, in mancanza di forme adeguate di ammortizzatori sociali e culturali, abbia finito per disarticolare il tessuto sociale mandando in frantumi la stessa idea di comunità.
Come se qualcuno si fosse potuto illudere cha da tanto disimpegno delle nostre istituzioni sarebbe derivata, chissà per quale prodigio, una società più ricca, sicura, solidale, equa, inclusiva, con una nuova sensibilità al recupero degli equilibri naturali.
Purtroppo niente di tutto questo è avvenuto e la politica, rinchiusa gelosamente nella propria confortevole campana di vetro, ne porta evidenti responsabilità.
Non basta, quindi, il bipolarismo a governare una complessità che degrada rapidamente nella frammentazione; figuriamoci se può bastare poi il cosiddetto bipolarismo mite che, non a caso, è stata proprio la scommessa politica portata avanti finora da Veltroni: con quali risultati deludenti, è sotto gli occhi di tutti.
Perché la semplificazione bipolarista forse può servire a mantenere in piedi il teatrino del Palazzo ancora per qualche tempo ma mina alle fondamenta il concetto stesso di comunità nazionale.
Non ci potrà mai essere una società forte (che è idea molto più avanzata di auspicare una sinistra forte nell’attuale Stato debole) se la politica non recupera la propria innata vocazione a mediare i processi sociali facendoli riemergere dal colpevole oblìo in cui sono stati fatti precipitare e li sottoponga al vaglio dell’istituzione parlamentare per osservarli, indagarli, indirizzarli.
Occorre, quindi, rilanciare una politica che, pur nella necessaria ricerca di una sintesi, sappia però guardare alle grandi correnti di pensiero che attraversano la società, al nuovo protagonismo delle comunità locali, per restituire ai cittadini, nessuno escluso, la consapevolezza di contare qualcosa.
Tentare semplicemente di concentrare tutto in due soli contenitori elettorali su cui mettere un tappo ed un'etichetta quasi identica (PD -PDL), facendoli comunicare secondo le convenienze politiche del momento, è molto pericoloso, se non altro perché la rapidità e la durezza dei cambiamenti in atto richiedono la massima partecipazione dei cittadini alle scelte difficili che incombono sul nostro futuro.
Una politica semplificata fa forse tirare un sospiro di sollievo al duo Veltroni Berlusconi, che restano così, tronfi, al centro della scena, ma non soddisfa quel bisogno di democrazia che proprio la modernizzazione capitalista porta con sé, non solo nelle nuove economie emergenti (vedi il caso cinese) ma, in forme sia pure diverse, persino nella vecchia Europa.
Più soffia il vento della modernizzazione, più occorrono istituzioni che abbiano la forza democratica di governarlo, di assecondarlo ma anche di resistergli.
Ad esempio, un obiettivo da subito perseguibile, prima ancora che si apra la stagione delle riforme istituzionali, è ridare smalto all’amministrazione pubblica, riconoscendone il ruolo cruciale in questo difficile passaggio storico.
Le istituzioni, sia a livello nazionale che locale, i singoli organi dell’amministrazione pubblica centrale e periferica, in quanto portatori di interessi collettivi, devono essere messi nelle condizioni di funzionare in linea con le aspettative dei cittadini che, a fronte di una pressione fiscale elevata, esigono giustamente qualità dei servizi, efficacia ed efficienza dell’azione pubblica.
La politica deve cioè assicurare le risorse alla pubblica amministrazione affinché essa possa assolvere i propri compiti con puntualità e trasparenza; al tempo stesso, si deve astenere da tutti quei comportamenti che ne configurino una sorta di tutela feudale, come oggi troppo spesso accade.
Ecco il grande scenario che la sinistra deve disegnare per il futuro e per il quale può apertamente chiedere il consenso e legittimarlo con un prevedibile successo elettorale: costruire un modello di società forte, non solo a garanzia dei deboli ma di tutti i cittadini, basato sul rispetto delle regole da parte di chiunque.
Giustizia, legalità, efficienza della pubblica amministrazione, valorizzazione della dimensione pubblica della vita collettiva, sono obiettivi da perseguire all’unisono per non subire passivamente le forze dell’economia ma, al contrario, per interagirvi positivamente.
Costruire un nuovo paradigma, dunque, che abbia il suo nucleo fondante proprio nel recupero della funzione pubblica come presidio democratico dei cambiamenti sociali: è questa la sfida da cogliere per fondare una nuova sinistra.
Se pure il moderato Eugenio Scalfari, nel suo editoriale di domenica riconosce “la scomparsa della politica come attività regolatrice della convivenza e la sua degradazione a pura funzione di sostegno degli interessi forti”, si comprende quanto sia di drammatica attualità il ritorno ad un’idea alta di politica.
Altro che bipolarismo mite!
Ci vuole, piuttosto, una società fortemente integrata con le sue istituzioni, che ritrovi nella legge lo strumento per ridefinirsi ed irradiare erga omnes la forza rigenerante della propria democrazia.