La brusca accelerazione impressa dal governo Berlusconi alla questione rifiuti in Campania rappresenta, come da manuale, la classica risposta che un governo di destra predilige una volta messo di fronte ai complessi problemi di una società moderna.
Nonostante siano conclamate le gravissime responsabilità di un intero ceto politico e di una classe dirigente che ha costruito per decenni le sue fortune su rapporti affaristico clientelari rinunciando alle più elementari regole di una buona amministrazione pubblica, il riflesso pavloviano del potere è quello di trasformare un ordinario problema di igiene ambientale in uno, straordinario, di ordine pubblico.
I problemi fatti incancrenire dalla nomenklatura per decenni vengono quindi scaricati di nuovo sulla popolazione, costretta a vivere da mesi in mezzo ai miasmi dell’immondizia sotto casa, senza peraltro trarne le conseguenze politiche del caso. Così il governatore della Campania Antonio Bassolino ed il sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, invece di fare pubblica ammenda delle loro colpe insieme ai tanti burocrati preposti in quindici anni all’emergenza rifiuti, caldeggiano la svolta autoritaria per porre fine alla fase di emergenza anche in palese violazione della legge e della Costituzione: se questo non è un harakiri della Casta, poco ci manca.
La discarica di Chiaiano s’ha da fare, punto e basta.
Sono queste le intenzioni di Palazzo Chigi che ha trovato, per molti simpatizzanti del PD, l’inatteso via libera dell’opposizione mentre gli accertamenti tecnici per stabilire la validità del sito sono partiti solo da pochi giorni ed il loro esito è in fieri.
Se non fosse che il premier già anticipa: “Le nostre relazioni tecniche ci danno sicurezza che il sito sia idoneo”.
Preoccupano inoltre le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a proposito dell’inchiesta giudiziaria che vede inquisiti alcuni funzionari della Protezione civile: “Non si può pensare alle leggi come ad un moloch valido in ogni circostanza, devono essere adattate per il vivere bene dei cittadini”.
Come a dire che rispettare le leggi è un lusso che, con l’attuale stato di eccezionalità, non ci possiamo permettere.
Quale strappo costituzionale si stia consumando in questo modo è lampante.
Per giunta, dalle conseguenze incalcolabili dato che, se una democrazia deraglia, per un banale problema di nettezza urbana, dal binario delle garanzie costituzionali, si produce comunque un vulnus allo stato di diritto difficilmente rimarginabile, rappresentando, anche con gli esiti migliori, un pericoloso precedente.
Perché in futuro in mille altre occasioni, invocando lo stato di eccezionalità, un esecutivo potrebbe neutralizzare parti della Costituzione.
Così le declamate regole del gioco, alla cui revisione dichiara di tenere così tanto Walter Veltroni, vengono parzialmente e temporaneamente sospese senza che dal loft democratico si obietti alcunché; anzi, rinunciando in anticipo a qualsiasi forma di mediazione con la popolazione.
Sono mesi che parecchi osservatori mettono in guardia contro questo modo di fare politica che, scambiando le buone maniere con la confusione dei ruoli, sta repentinamente rendendo sterile la nostra democrazia.
Un organismo vivente è sano e si sviluppa in modo equilibrato se dispone di un robusto sistema immunitario: in una democrazia questo dovrebbe essere incarnato dall’opposizione.
Così purtroppo non è con l’attuale leadership del Partito Democratico.
Che, in tempi di pace e senza l’impellenza destabilizzante di una cataclisma naturale (per fortuna!), si rinunci ad esigere il pieno rispetto dei principi costituzionali sacrificandolo prioritariamente alla difesa corporativa dei propri uomini d’apparato (perché mai non sono stati dimissionati?), è qualcosa di veramente abnorme.
A meno che non ce la volessimo prendere semplicemente con il calendario ed il caldo estivo.
Mai la festività repubblicana del 2 giugno era stata celebrata in un’atmosfera tanto cupa e sconfortante.
Nonostante siano conclamate le gravissime responsabilità di un intero ceto politico e di una classe dirigente che ha costruito per decenni le sue fortune su rapporti affaristico clientelari rinunciando alle più elementari regole di una buona amministrazione pubblica, il riflesso pavloviano del potere è quello di trasformare un ordinario problema di igiene ambientale in uno, straordinario, di ordine pubblico.
I problemi fatti incancrenire dalla nomenklatura per decenni vengono quindi scaricati di nuovo sulla popolazione, costretta a vivere da mesi in mezzo ai miasmi dell’immondizia sotto casa, senza peraltro trarne le conseguenze politiche del caso. Così il governatore della Campania Antonio Bassolino ed il sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, invece di fare pubblica ammenda delle loro colpe insieme ai tanti burocrati preposti in quindici anni all’emergenza rifiuti, caldeggiano la svolta autoritaria per porre fine alla fase di emergenza anche in palese violazione della legge e della Costituzione: se questo non è un harakiri della Casta, poco ci manca.
La discarica di Chiaiano s’ha da fare, punto e basta.
Sono queste le intenzioni di Palazzo Chigi che ha trovato, per molti simpatizzanti del PD, l’inatteso via libera dell’opposizione mentre gli accertamenti tecnici per stabilire la validità del sito sono partiti solo da pochi giorni ed il loro esito è in fieri.
Se non fosse che il premier già anticipa: “Le nostre relazioni tecniche ci danno sicurezza che il sito sia idoneo”.
Preoccupano inoltre le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a proposito dell’inchiesta giudiziaria che vede inquisiti alcuni funzionari della Protezione civile: “Non si può pensare alle leggi come ad un moloch valido in ogni circostanza, devono essere adattate per il vivere bene dei cittadini”.
Come a dire che rispettare le leggi è un lusso che, con l’attuale stato di eccezionalità, non ci possiamo permettere.
Quale strappo costituzionale si stia consumando in questo modo è lampante.
Per giunta, dalle conseguenze incalcolabili dato che, se una democrazia deraglia, per un banale problema di nettezza urbana, dal binario delle garanzie costituzionali, si produce comunque un vulnus allo stato di diritto difficilmente rimarginabile, rappresentando, anche con gli esiti migliori, un pericoloso precedente.
Perché in futuro in mille altre occasioni, invocando lo stato di eccezionalità, un esecutivo potrebbe neutralizzare parti della Costituzione.
Così le declamate regole del gioco, alla cui revisione dichiara di tenere così tanto Walter Veltroni, vengono parzialmente e temporaneamente sospese senza che dal loft democratico si obietti alcunché; anzi, rinunciando in anticipo a qualsiasi forma di mediazione con la popolazione.
Sono mesi che parecchi osservatori mettono in guardia contro questo modo di fare politica che, scambiando le buone maniere con la confusione dei ruoli, sta repentinamente rendendo sterile la nostra democrazia.
Un organismo vivente è sano e si sviluppa in modo equilibrato se dispone di un robusto sistema immunitario: in una democrazia questo dovrebbe essere incarnato dall’opposizione.
Così purtroppo non è con l’attuale leadership del Partito Democratico.
Che, in tempi di pace e senza l’impellenza destabilizzante di una cataclisma naturale (per fortuna!), si rinunci ad esigere il pieno rispetto dei principi costituzionali sacrificandolo prioritariamente alla difesa corporativa dei propri uomini d’apparato (perché mai non sono stati dimissionati?), è qualcosa di veramente abnorme.
A meno che non ce la volessimo prendere semplicemente con il calendario ed il caldo estivo.
Mai la festività repubblicana del 2 giugno era stata celebrata in un’atmosfera tanto cupa e sconfortante.