I tre referendum sulla legge porcata, così cara al ministro leghista Calderoli, non sono passati: infatti, ad urne chiuse, si può dire che il quorum è rimasto distante anni luce. Solo il 20% dei votanti!
E’ questo l’unico risultato veramente interessante di questa tornata elettorale.
E’ questo l’unico risultato veramente interessante di questa tornata elettorale.
I tre referendum richiesti per rendere, se possibile, ancora peggiore la porcata sono stati giustamente azzerati dagli Italiani che non ne possono più di vedersi rifilare delle autentiche mostruosità giuridiche in nome di una governabilità che resta solo nelle finte intenzioni di coloro che propugnano da quindici anni il maggioritario.
Sistema elettorale che ha dimostrato in tutte le salse di non funzionare in Italia: non ha garantito la pretesa governabilità (mai la vita politica italiana è stata tanto tribolata come adesso); non ha prodotto il tanto auspicato ricambio della classe dirigente (ci troviamo come quindici anni fa, Bossi, Berlusconi e D’Alema); ha tolto la rappresentanza parlamentare ad ampi settori della società italiana; infine, ha generato una crescente sfiducia per la politica e per le istituzioni.
Con due dei tre referendum bocciati si voleva addirittura attribuire il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che avesse ottenuto più voti: un tentativo perverso di passare di colpo dall’attuale pessimo bipartitismo ad un ancora più inquietante monopartitismo imperfetto, il colpo di grazia alla nostra indifesa democrazia.
Erano schierati per il Sì, com’era prevedibile in un contesto ormai da basso impero, sia il Pdl che il Pd, due contenitori politici sempre più inguardabili ma sodali nell’obiettivo di demolire la nostra repubblica parlamentare, e i cosiddetti referendari, che escono allo scoperto solo per lanciare iniziative referendarie insulse: veri affossatori, con la loro condotta spregiudicata, dell’unico vero istituto di democrazia diretta che la Costituzione abbia riservato ai cittadini.
E’ mai possibile che gente come Mario Segni debba riporre le proprie fortune politiche semplicemente sullo sfruttamento su scala industriale dello strumento referendario?
La conclusione è che i due grandi partiti dai piedi d’argilla escono di nuovo battuti da questa domenica elettorale.
Al di là dell’esito dei ballottaggi, l’affuenza alle urne, così bassa persino dove è in palio la poltrona di sindaco, la dice lunga sulla sfiducia ormai generalizzata verso la classe politica nel suo insieme.
A chi in questi giorni evoca il 25 luglio del 1943 per assestare la spallata finale alla indicibile leadership di Silvio Berlusconi, suggeriamo di rileggere le successive cronache dell’8 settembre.
Perché la massiccia diserzione delle urne in questa fredda domenica estiva, non certo per andare al mare, è un gigantesco grido di indignazione che percorre l’intera penisola: Tutti a casa!
Sistema elettorale che ha dimostrato in tutte le salse di non funzionare in Italia: non ha garantito la pretesa governabilità (mai la vita politica italiana è stata tanto tribolata come adesso); non ha prodotto il tanto auspicato ricambio della classe dirigente (ci troviamo come quindici anni fa, Bossi, Berlusconi e D’Alema); ha tolto la rappresentanza parlamentare ad ampi settori della società italiana; infine, ha generato una crescente sfiducia per la politica e per le istituzioni.
Con due dei tre referendum bocciati si voleva addirittura attribuire il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che avesse ottenuto più voti: un tentativo perverso di passare di colpo dall’attuale pessimo bipartitismo ad un ancora più inquietante monopartitismo imperfetto, il colpo di grazia alla nostra indifesa democrazia.
Erano schierati per il Sì, com’era prevedibile in un contesto ormai da basso impero, sia il Pdl che il Pd, due contenitori politici sempre più inguardabili ma sodali nell’obiettivo di demolire la nostra repubblica parlamentare, e i cosiddetti referendari, che escono allo scoperto solo per lanciare iniziative referendarie insulse: veri affossatori, con la loro condotta spregiudicata, dell’unico vero istituto di democrazia diretta che la Costituzione abbia riservato ai cittadini.
E’ mai possibile che gente come Mario Segni debba riporre le proprie fortune politiche semplicemente sullo sfruttamento su scala industriale dello strumento referendario?
La conclusione è che i due grandi partiti dai piedi d’argilla escono di nuovo battuti da questa domenica elettorale.
Al di là dell’esito dei ballottaggi, l’affuenza alle urne, così bassa persino dove è in palio la poltrona di sindaco, la dice lunga sulla sfiducia ormai generalizzata verso la classe politica nel suo insieme.
A chi in questi giorni evoca il 25 luglio del 1943 per assestare la spallata finale alla indicibile leadership di Silvio Berlusconi, suggeriamo di rileggere le successive cronache dell’8 settembre.
Perché la massiccia diserzione delle urne in questa fredda domenica estiva, non certo per andare al mare, è un gigantesco grido di indignazione che percorre l’intera penisola: Tutti a casa!