domenica 25 gennaio 2009

Sempre più giù, il Pd scivola pure sul federalismo

"Questa è una decisione giusta di una forza responsabile, ma questo atteggiamento potrà modificarsi nella futura lettura se non saranno chiariti alcuni nodi" (1). Queste le parole del segretario del Pd, Walter Veltroni, dopo l’approvazione da parte del Senato del federalismo fiscale, provvedimento che ora passerà alla Camera.
L’astensione del Pd in aula è stato il fatto politico di maggiore rilevanza in questo passaggio parlamentare che ridisegna il sistema di finanza pubblica degli enti locali; ma in commissione il Pd aveva approvato insieme al centrodestra tutti i principali articoli della riforma.
Insomma, ancora una volta l’opposizione si allinea al centrodestra nel votare una legge che rompe il patto di solidarietà tra le diverse italie per sancire un federalismo al buio le cui conseguenze sia sul piano dei costi che dell’erogazione dei servizi ai cittadini sono tutte da definire.
Cioè, il Partito democratico ha votato un provvedimento di grande portata senza rendersi conto né se esso produrrà dei risparmi fiscali per il contribuente (sembrerebbe esattamente il contrario) né se creerà disparità di trattamento tra abitanti di parti diverse della penisola nelle prestazioni erogate dagli enti locali.
Eugenio Scalfari, nell'odierno domenicale, solleva a riguardo gravissime perplessità: "Voglio sperare che i piemontesi, i lombardi, i veneti del Partito democratico non dimentichino la storia del nostro paese e il contenuto che i loro avi dettero alla sua unità."
Culturalmente parlando, Veltroni firma l’ennesima débâcle della sinistra italiana senza neppure accertarsi di quali potrebbero essere gli effetti perversi di questa riforma, nonostante mezzo partito avrebbe preferito votare contro.
Se l’ opposizione di questo finto bipolarismo non si preoccupa delle possibili conseguenze della rottura del patto di solidarietà tra gli Italiani, vuol dire proprio che ha subito una mutazione genetica, tale da non avere più nulla a che vedere né con la tradizione socialista e comunista né con il cattolicesimo sociale.
Insomma dalle ceneri delle due matrici culturali più importanti della storia d’Italia è uscito fuori un partito che rinnega entrambe senza peraltro proporre alcun modello politico alternativo.
Fa cascare le braccia la risposta che Veltroni dà all’ex Udc Follini, ora dentro il Pd, che aveva bollato come irresponsabile l’astensione decisa nel voto finale al Senato: "Il nostro profilo riformista consiste anche in questo. Noi siamo un’opposizione responsabile" (2).
No, la verità è che l’oligarchia all’interno del Pd sta conducendo una battaglia di resistenza politica che non ha nulla a che vedere con i bisogni dell’elettorato che si arroga di rappresentare.
E' un fatto che in tanti mesi, senza avere impegni particolari, la leadership democratica non sia riuscita a formulare neppure uno straccio di proposta di riforma su un qualsivoglia campo della vita pubblica.
Un’inerzia paurosa, il vertice democratico resta alla finestra confidando nella crisi economica ed in attesa che il centrodestra vari un qualche provvedimento per avere la possibilità o di criticarlo in modo sgangherato (giusto per farsi un po’ di pubblicità) o di accodarcisi dietro in nome di un malinteso senso di responsabilità: "Il Pd ha sbriciolato il cliché berlusconiano dell’opposizione riottosa e incapace di riforme" (3) , conclude non a caso la capogruppo Anna Finocchiaro.
Si capisce a questo punto perché il Partito democratico stia letteralmente precipitando nei sondaggi (23%?) e per quale motivo stia spingendo per una nuova legge elettorale per le Europee con soglia di sbarramento al 4-5% in modo da fare fuori quello che resta di autentica opposizione nel panorama politico italiano.
Il messaggio è chiaro: anche se ci considerate dei buoni a nulla, siete comunque costretti a votarci!
(1) (2) (3): Corriere della Sera del 23/01/09, pagg. 5-6

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