E finalmente il giorno della resa dei conti arrivò.
Il tanto strombazzato chiarimento tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema partorì il topolino.
E’ sempre stato così dalla fondazione: la grande montagna del Partito democratico, franando adesso rovinosamente, riesce a malapena ad articolare una minuscola dichiarazione d’intenti: “Sì al rinnovamento, no ai capibastone ”.
Conclusione scontata, quasi liturgica, quella pronunciata da Walter Veltroni nella sua due giorni, prima alla direzione del partito poi alla prima assemblea dei giovani democratici.
Parole giuste, non c’è che dire, ma che non riescono ad infondere quella speranza di cambiamento che da più parti si invoca.
Non si tratta di stabilire se l’amalgama sia più o meno riuscito, lasciamo risolvere questo bizantinismo ai politici di professione.
Il fatto è che la casta dei democratici legge l’emergenza politica in cui ci troviamo (un pessimo governo lasciato libero di fare quello che vuole, persino di annunciare di voler ridisegnare la Costituzione ad immagine e somiglianza del suo premier, senza che l’opposizione dia la sensazione neppure di reagire, semplicemente di esistere) con la lente deformata della sua inattaccabile condizione di privilegio.
E’ un linguaggio paludato quello di Veltroni e D’alema che dista anni luce dalle parole che i cittadini vorrebbero sentire: diranno pure cose sensate ed in gran parte condivisibili ma lontane e fredde.
Solo per fare un paragone, il linguaggio di Renato Soru, presidente Pd della Sardegna, sarà meno elegante, meno costruito secondo i dettami del politichese ma non per questo meno efficace; al contrario, è dotato di una forza ideale e di innovazione sociale decisamente maggiore.
Anche se la parola innovazione non viene abusata dal suo vocabolario: la sua è la politica del fare, rispetto alla politica del parlare.
Si può essere più o meno d’accordo con quello che dice e che propone: fatto sta che parla di cose concrete, non di correnti, non di capibastone, non di innovazione prêt à porter.
E a molti la politica fatta solo di parole, fossero anche le più eleganti e forbite, ha ormai stancato.
Siamo alla pausa di Natale ma la casta anche quest’anno ribadisce il suo peccato originale: quello della sua scarsa credibilità, anche quando mostra le migliori intenzioni.
Neppure l’animosa, vibrante replica di Veltroni ha solo scalfito questa triste realtà.
Il tanto strombazzato chiarimento tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema partorì il topolino.
E’ sempre stato così dalla fondazione: la grande montagna del Partito democratico, franando adesso rovinosamente, riesce a malapena ad articolare una minuscola dichiarazione d’intenti: “Sì al rinnovamento, no ai capibastone ”.
Conclusione scontata, quasi liturgica, quella pronunciata da Walter Veltroni nella sua due giorni, prima alla direzione del partito poi alla prima assemblea dei giovani democratici.
Parole giuste, non c’è che dire, ma che non riescono ad infondere quella speranza di cambiamento che da più parti si invoca.
Non si tratta di stabilire se l’amalgama sia più o meno riuscito, lasciamo risolvere questo bizantinismo ai politici di professione.
Il fatto è che la casta dei democratici legge l’emergenza politica in cui ci troviamo (un pessimo governo lasciato libero di fare quello che vuole, persino di annunciare di voler ridisegnare la Costituzione ad immagine e somiglianza del suo premier, senza che l’opposizione dia la sensazione neppure di reagire, semplicemente di esistere) con la lente deformata della sua inattaccabile condizione di privilegio.
E’ un linguaggio paludato quello di Veltroni e D’alema che dista anni luce dalle parole che i cittadini vorrebbero sentire: diranno pure cose sensate ed in gran parte condivisibili ma lontane e fredde.
Solo per fare un paragone, il linguaggio di Renato Soru, presidente Pd della Sardegna, sarà meno elegante, meno costruito secondo i dettami del politichese ma non per questo meno efficace; al contrario, è dotato di una forza ideale e di innovazione sociale decisamente maggiore.
Anche se la parola innovazione non viene abusata dal suo vocabolario: la sua è la politica del fare, rispetto alla politica del parlare.
Si può essere più o meno d’accordo con quello che dice e che propone: fatto sta che parla di cose concrete, non di correnti, non di capibastone, non di innovazione prêt à porter.
E a molti la politica fatta solo di parole, fossero anche le più eleganti e forbite, ha ormai stancato.
Siamo alla pausa di Natale ma la casta anche quest’anno ribadisce il suo peccato originale: quello della sua scarsa credibilità, anche quando mostra le migliori intenzioni.
Neppure l’animosa, vibrante replica di Veltroni ha solo scalfito questa triste realtà.
2 commenti:
Quello che considero l'aspetto più negativo dell'operato di questa sinistra è il modo di intendere il concetto di opposizione politica: la critica distruttiva del Governo non è fare opposizione, e, nei rari casi in cui c'è effettivamente una controproposta alle iniziative della destra passa in secondo piano a vantaggio del solito, sterile concetto "abbasso Berlusconi".
Ovvio che poi l'elettorato percepisce come leader, gente tipo Di Pietro.Veltroni ha ampiamente dimostrato di non essere in grado di guidare questa malconcia sinistra, checché lui ne dica (vedi ad esempio qui). Piuttosto, uno che mi sembra stia facendo fruttare il proprio mandato è Zingaretti, eletto alla Provincia di Roma: io lo vedrei bene al posto di Veltroni, perché, da quello che il suo operato (coerente!!) lascia presagire, potrebbe conferire al PD un’identità e dei valori.
Concordo totalmente!
Posta un commento