Che pure il presidente della Repubblica si sia unito allo scandaloso coro di voci che tentano di riabilitare Bettino Craxi facendolo passare per padre della patria, martire della giustizia italiana, costretto all’esilio da magistrati spietati, è davvero troppo.
Perché stiamo parlando di un condannato in forma definitiva per reati sicuramente infamanti per chiunque, a maggior ragione per chi ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio per quasi quattro anni.
Pertanto il discorso che Giorgio Napolitano fa nella lettera inviata alla vedova del leader socialista, suona stonato e appare oggettivamente quanto mai inopportuno e, quel che è peggio, ambiguo.
Ma non si è sempre detto che il Presidente della Repubblica deve avere un ruolo super partes e che deve rappresentare l’intera comunità nazionale?
In che modo Giorgio Napolitano rappresenta tutti gli Italiani se scende in campo su un tema tanto controverso con un intervento politicamente deprecabile, cogliendo simbolicamente proprio la ricorrenza del decennale craxiano, per esternare valutazioni di cui, se è libero interprete come privato cittadino, dovrebbe marcare la distanza come inquilino del Quirinale?
Che parli in questa occasione come Presidente della Repubblica tende addirittura a sottolinearlo, qualora non ce ne fossimo accorti:
"Per la funzione che esercito al vertice dello Stato, mi pongo, cara Signora, dal solo punto di vista dell'interesse delle istituzioni repubblicane, che suggerisce di cogliere anche l'occasione di una ricorrenza carica - oltre che di dolorose memorie personali - di diversi e controversi significati storici, per favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano.E' stato parte di quel cammino l'esplodere della crisi del sistema dei partiti che aveva retto fino ai primi anni '90 lo svolgimento della dialettica politica e di governo nel quadro della Costituzione. E ne è stato parte il susseguirsi, in un drammatico biennio, di indagini giudiziarie e di processi, che condussero, tra l'altro, all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale dell'on. Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fino all'epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall'Italia, dell'ex Presidente del Consiglio, dopo che egli decise di lasciare il paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti."
E gli Italiani che sono stati taglieggiati dalla politica di Craxi e degli altri protagonisti di Tangentopoli e che si ritrovano ancor oggi un debito pubblico enorme, a cagione del quale sono ormai vent’anni (dalla famosa finanziaria dei 100.000 miliardi di Amato del 1992), che tirano la cinghia aspettando un’alba che non arriva mai, chi li rappresenta? Non certo Giorgio Napolitano.
Pessimo anche il richiamo che egli fa all’inchiesta condotta dal pool di Milano, facendo passare Bettino Craxi come il capro espiatorio di una macchina giudiziaria accecata che avrebbe persino violato il principio del diritto ad un processo equo e che si sarebbe accanita con lui con "una durezza senza eguali".
“Ma era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla Procura di Milano e da altre. E dall'insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto tempestivamente un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, nè una conseguente svolta rinnovatrice sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò, sempre di più, spazio, sostegno mediatico e consenso l'azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia. L'on. Craxi, dimessosi da segretario del PSI, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l'esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona. Nè si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo - nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi - ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea."
L’agiografo Eugenio Scalfari che non manca un’occasione per santificare il presidente Napolitano anche in questo ennesimo brutto incidente di percorso, cerca con un suo tronfio arzigogolo verbale di giustificare questa lettera imprudente, tutta improntata a descrivere gli aspetti positivi del leader socialista e che quasi ignora le malefatte di Tangentopoli, richiamando la "pietas".
Non si rende conto che in tal modo, parlando di un atto assunto dal Capo dello Stato, rasenta addirittura il ridicolo.
"La lettera è ampia e si può dividere in due parti: la prima si occupa della politica di Craxi nei tre anni di presidenza del Consiglio; la seconda, assai più sommaria, della fase che è stata battezzata "Tangentopoli". La diversa attenzione dedicata ai due argomenti è pienamente comprensibile: si voleva in questa lettera commemorare e privilegiare gli aspetti positivi e soltanto sfiorarne quelli negativi che però non potevano esser taciuti. Anche questo criterio adottato dal nostro Presidente è pienamente accettabile; fa parte di una "pietas" che non è soltanto una privata virtù ma un elemento costitutivo d'una democrazia dove convivono valutazioni diverse e talvolta non condivise né condivisibili, sulle quali la "pietas" soffonde una virtuosa tolleranza."
Queste ultime pompose parole di Scalfari riescono al massimo a suscitare ilarità e ci fanno capire a che punto di degrado morale è giunta la nostra classe dirigente.
Nessuna meraviglia per gli ex lettori di Repubblica se il suo fondatore, dopo aver cercato di arrampicarsi sugli specchi sostenendo che la pietas pubblica non è l’oblio, così concluda l’arringa a difesa dell’inquilino del Colle:
"Detto questo, si proceda pure alla toponomastica nei Comuni che nella loro libera capacità di decidere vogliano intestare a Craxi piazze e giardini."
Stiamo parlando di un pregiudicato latitante, un satrapo della politica che, tanto per dirne una, spendeva appena 100 milioni al mese per finanziare l’emittente televisiva della sua amica a cui faceva fra l’altro mille altri regali importanti.
Quanto al presidente Napolitano, dopo le mille deludenti sortite, attendiamo serenamente la scadenza del suo mandato.
Perché stiamo parlando di un condannato in forma definitiva per reati sicuramente infamanti per chiunque, a maggior ragione per chi ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio per quasi quattro anni.
Pertanto il discorso che Giorgio Napolitano fa nella lettera inviata alla vedova del leader socialista, suona stonato e appare oggettivamente quanto mai inopportuno e, quel che è peggio, ambiguo.
Ma non si è sempre detto che il Presidente della Repubblica deve avere un ruolo super partes e che deve rappresentare l’intera comunità nazionale?
In che modo Giorgio Napolitano rappresenta tutti gli Italiani se scende in campo su un tema tanto controverso con un intervento politicamente deprecabile, cogliendo simbolicamente proprio la ricorrenza del decennale craxiano, per esternare valutazioni di cui, se è libero interprete come privato cittadino, dovrebbe marcare la distanza come inquilino del Quirinale?
Che parli in questa occasione come Presidente della Repubblica tende addirittura a sottolinearlo, qualora non ce ne fossimo accorti:
"Per la funzione che esercito al vertice dello Stato, mi pongo, cara Signora, dal solo punto di vista dell'interesse delle istituzioni repubblicane, che suggerisce di cogliere anche l'occasione di una ricorrenza carica - oltre che di dolorose memorie personali - di diversi e controversi significati storici, per favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano.E' stato parte di quel cammino l'esplodere della crisi del sistema dei partiti che aveva retto fino ai primi anni '90 lo svolgimento della dialettica politica e di governo nel quadro della Costituzione. E ne è stato parte il susseguirsi, in un drammatico biennio, di indagini giudiziarie e di processi, che condussero, tra l'altro, all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale dell'on. Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fino all'epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall'Italia, dell'ex Presidente del Consiglio, dopo che egli decise di lasciare il paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti."
E gli Italiani che sono stati taglieggiati dalla politica di Craxi e degli altri protagonisti di Tangentopoli e che si ritrovano ancor oggi un debito pubblico enorme, a cagione del quale sono ormai vent’anni (dalla famosa finanziaria dei 100.000 miliardi di Amato del 1992), che tirano la cinghia aspettando un’alba che non arriva mai, chi li rappresenta? Non certo Giorgio Napolitano.
Pessimo anche il richiamo che egli fa all’inchiesta condotta dal pool di Milano, facendo passare Bettino Craxi come il capro espiatorio di una macchina giudiziaria accecata che avrebbe persino violato il principio del diritto ad un processo equo e che si sarebbe accanita con lui con "una durezza senza eguali".
“Ma era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla Procura di Milano e da altre. E dall'insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto tempestivamente un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, nè una conseguente svolta rinnovatrice sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò, sempre di più, spazio, sostegno mediatico e consenso l'azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia. L'on. Craxi, dimessosi da segretario del PSI, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l'esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona. Nè si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo - nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi - ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea."
L’agiografo Eugenio Scalfari che non manca un’occasione per santificare il presidente Napolitano anche in questo ennesimo brutto incidente di percorso, cerca con un suo tronfio arzigogolo verbale di giustificare questa lettera imprudente, tutta improntata a descrivere gli aspetti positivi del leader socialista e che quasi ignora le malefatte di Tangentopoli, richiamando la "pietas".
Non si rende conto che in tal modo, parlando di un atto assunto dal Capo dello Stato, rasenta addirittura il ridicolo.
"La lettera è ampia e si può dividere in due parti: la prima si occupa della politica di Craxi nei tre anni di presidenza del Consiglio; la seconda, assai più sommaria, della fase che è stata battezzata "Tangentopoli". La diversa attenzione dedicata ai due argomenti è pienamente comprensibile: si voleva in questa lettera commemorare e privilegiare gli aspetti positivi e soltanto sfiorarne quelli negativi che però non potevano esser taciuti. Anche questo criterio adottato dal nostro Presidente è pienamente accettabile; fa parte di una "pietas" che non è soltanto una privata virtù ma un elemento costitutivo d'una democrazia dove convivono valutazioni diverse e talvolta non condivise né condivisibili, sulle quali la "pietas" soffonde una virtuosa tolleranza."
Queste ultime pompose parole di Scalfari riescono al massimo a suscitare ilarità e ci fanno capire a che punto di degrado morale è giunta la nostra classe dirigente.
Nessuna meraviglia per gli ex lettori di Repubblica se il suo fondatore, dopo aver cercato di arrampicarsi sugli specchi sostenendo che la pietas pubblica non è l’oblio, così concluda l’arringa a difesa dell’inquilino del Colle:
"Detto questo, si proceda pure alla toponomastica nei Comuni che nella loro libera capacità di decidere vogliano intestare a Craxi piazze e giardini."
Stiamo parlando di un pregiudicato latitante, un satrapo della politica che, tanto per dirne una, spendeva appena 100 milioni al mese per finanziare l’emittente televisiva della sua amica a cui faceva fra l’altro mille altri regali importanti.
Quanto al presidente Napolitano, dopo le mille deludenti sortite, attendiamo serenamente la scadenza del suo mandato.
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