Le rivelazioni che stanno uscendo grazie alle indagini della procura di Palermo sul patto mafia-stato che nel 1992 avrebbe tra l'altro portato alla strage di via D'Amelio, con l'uccisione del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, sono di un'estrema gravità e qualsiasi cittadino italiano degno di questo nome avrebbe il diritto sacrosanto di pretendere, ad alta voce, la massima trasparenza a tutti i livelli istituzionali affinché sia fatta finalmente luce, con vent'anni di ritardo, su una delle stagioni più oscure e terribili della nostra storia.
Soprattutto ci si aspetterebbe da parte degli attuali vertici istituzionali, in primis la presidenza della Repubblica, la massima collaborazione con quel manipolo di eroici magistrati che, avendolo giurato prima ancora che sopra la tomba dei colleghi alla propria stessa coscienza ed a tutti gli Italiani, si prodigano quotidianamente nell'indifferenza o nel silenzio complice della politica, combattendo una lotta impari ed a rischio del proprio estremo sacrificio, per venire a capo delle tante ombre che ancora si affollano su quelle tragiche vicende e ne occultano la verità e le gravissime responsabilità penali.
Purtroppo, nella costernazione di quanti hanno ancora a cuore questo Paese, non è così. E ad essi si risponde in modi evasivi ed arroganti.
Lo staff del presidente della Repubblica ha infatti definito come "risibili e irresponsabili illazioni" le rivelazioni del Fatto Quotidiano sulle pressioni esercitate dall'ex ministro Nicola Mancino contro i pubblici ministeri di Palermo, in prima linea nell'indagine sullo scellerato patto che, cedendo al ricatto mafioso, all'epoca avrebbe finito per barattare l'incolumità di alcuni politici per l'allentamento delle condizioni carcerarie dei boss mafiosi allora detenuti.
Meno grave ma ugualmente inquietante è che alcuni importanti quotidiani, dopo essere stati i primi ad averne dato nei giorni scorsi la notizia (sia pure a pagina 22 che, come ironizza il grandissimo Marco Travaglio, "dev'essere quella riservata agli scandali di Stato") si affannino adesso a minimizzarne la portata, e per voce delle loro firme migliori, a mettere su una difesa del Colle così sbilenca e raffazzonata da lasciare allibiti.
Racconta, infatti, Eugenio Scalfari in un poco meditato intervento video, spendendosi a spada tratta per Giorgio Napolitano, che non sarebbe la prima volta che il Capo dello Stato interviene su un'inchiesta in corso quando la magistratura procede in ordine sparso e fa il caso del conflitto di competenza sollevato a suo tempo tra le procure di Salerno e Reggio Calabria.
Ma, a parte le mille riserve su questo paragone, Scalfari fa finta di non sapere che sulla trattativa mafia-Stato del '92-93 non c'è alcun conflitto di competenza tra le procure di Palermo e Caltanissetta (che intanto sta indagando sulla strage di Via D'Amelio) e dunque nessuna necessità di coordinamento o normalizzazione, che dir si voglia.
Inoltre, implicitamente egli avalla l'inammissibile pratica per cui un imputato, quale è allo stato degli atti il privato cittadino Nicola Mancino, possa chiedere riservatamente un intervento superiore sull'inchiesta in cui lui stesso è direttamente coinvolto abusando della conoscenza personale del Capo dello Stato.
Una mostruosa bestemmia logica prima ancora che giuridica.
Ed è per questo che Scalfari, mandato all'ammasso il buon senso, è costretto a spostare il focus della sua argomentazione sul governo Monti, usando le stesse argomentazioni che per anni hanno usato gli ascari di Berlusconi per sottrarlo politicamente all'assunzione di responsabilità sui suoi vizi pubblici e privati: chi attacca Napolitano per queste ragioni pretestuose (sic!), egli conclude, lo fa per indebolire il governo Monti e quindi il PD deve prendere le distanze da Antonio Di Pietro, promotore di un'indagine parlamentare sui fatti del biennio nero '92-93.
Ma è possibile che un quotidiano come Repubblica sia disposto a tale sacrificio culturale, intellettuale (e di lettori!), pur di difendere ciecamente il Quirinale, il governo dei tecnici e quel che resta del PD?
1 commento:
Complimenti gran bella critica. Posso aggiungere che La Repubblica sta diminuendo i suoi lettori su carta stampata in modo considerevole. In aggiunta pure i lettori sul web stanno diminuendo mentre il "popolo di internet" sta aumentando.
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