Visualizzazione post con etichetta Nanni Moretti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Nanni Moretti. Mostra tutti i post

domenica 17 agosto 2008

Se l'opinione pubblica resta senza voce...

Approfittando della pausa ferragostana che vede allentare i ritmi della politica italiana fino a ridurla a quella che in fondo è spesso la sua essenza, cioè basso avanspettacolo dispensato generosamente per coprire mediaticamente decisioni prese altrove dai poteri forti, si è aperto un interessante dibattito sul ruolo dell’opinione pubblica in questa asfittica Italia berlusconiana.
Il tutto ha preso le mosse dall’intervento del regista Nanni Moretti che, in occasione della retrospettiva dei suoi film che il festival di Locarno gli dedica, ha denunciato l’assenza sia di un’opposizione che di un’opinione pubblica, ormai collassata sotto l’incalzare dell’unico format culturale presente in Italia, quello delle reti Mediaset.
Proseguito con una serie di interventi autorevoli che, tra i mille distinguo, confermano in sostanza la resa dell’opinione pubblica di fronte al ciclone del centrodestra che, pur non possedendo una precisa fisionomia culturale tanto da apparire in molte occasioni incoerente e contraddittorio, ha l’indiscutibile pregio di aver formulato messaggi semplici e di facile presa popolare.
Come se la gestione della cosa pubblica e lo sviluppo della società italiana nell’era della postmodernità si potesse proporre all’elettorato come la tastiera di un telecomando dove ciascuno cittadino può scegliere: più o meno sicurezza, più o meno individualismo, più o meno stato, più o meno tasse, ecc.
Il cittadino-telespettatore si è illuso di vedere affermato, con la vittoria berlusconiana, il suo diritto a poter premere il tasto giusto nella misura preferita e, dunque, di riacquistare un potere di influenza nella gestione pubblica: nulla di più improbabile e lontano dalla realtà e con il tempo si accorgerà che il telecomando virtuale che il centrodestra gli ha conferito è solo l’ennesima suggestione di una formidabile televendita messa in piedi in questi mesi, con l’amara sorpresa di non poter esercitare neppure il diritto di ripensamento.
Davvero un bel guaio accorgersi tra breve che con quell’aggeggio non si riesce a fare un bel niente e che è impossibile persino restituirlo al mittente!
Ma mentre tutto questo accadeva, la cosiddetta opposizione e l’opinione pubblica cosa ci stavano a fare? E’ questo il vero nodo della questione.
Sì, gli altri saranno pure stati bravi a confezionare il kit per i primi 100 fortunati che telefoneranno subito, ma i nostri come hanno fatto a non accorgersi di nulla?
Perché la sconfitta del 13-14 aprile (lo diciamo instancabilmente da tempo!), ancor prima di essere elettorale, è stata una gravissima sconfitta culturale che ha fotografato una classe intellettuale impegnata a farsi gli affari propri ed un’opposizione del tutto sprovvista di coordinate ideologiche da contrapporre efficacemente al vento berlusconiano.
Siamo arrivati al punto di vedere il leader del Pd dichiarare di essere disposto al dialogo con il Cavaliere, superando "ogni contrapposizione ideologica": una enorme bestialità detta con grande disinvoltura e lasciata passare così, senza essere stata minimamente rimbeccata dalla cosiddetta intellighenzia. Nessuno che si sia alzato a dire: ma costui cosa sta dicendo?
Ancora, se oggi l’opinione pubblica è rimasta senza voce è proprio perché i giornali, con rare eccezioni, non hanno fatto il loro dovere malgrado ne avessero tutti gli strumenti; per non parlare delle televisioni, naturalmente.
Lo stesso linguaggio usato è l’emblema di questo decadimento culturale.
Basterebbe scorrere i titoli dei principali quotidiani di queste settimane sulla crisi tra Russia e Georgia per sondare subito a quale livello di disinformazione si è precipitati.
Si glissa quasi completamente sui più di mille morti causati dai bombardamenti del presidente filoamericano della Georgia contro l’Ossezia del sud (con la capitale Tskhinvali rasa al suolo!) che ha aperto le ostilità, per enfatizzare solo la violenta replica del Cremlino, intervenuta con caccia e carri armati in sua difesa e per impedire l’ennesima pulizia etnica ai danni della popolazione osseta.
Siamo al paradosso che, nei titoli, i quotidiani di casa nostra hanno il coraggio di presentare Bush, il presidente della guerra unilaterale in Iraq, come uomo di pace esaltando le sua parole sdegnate “E’ un golpe, ritiratevi”.
Sentire parlare di “Violenza inaccettabile” da parte sua suona veramente molto ma molto strano; peccato che i nostri quotidiani facciano finta di non accorgersene anche, se in qualche editoriale di approfondimento, le contraddizioni della politica americana emergono evidenti.
Ma il lettore che si limita sfogliare il giornale leggendo soltanto i titoli è messo completamente fuori strada.
Naturalmente, nessuno vuole minimamente difendere la risposta violenta di Putin ma si pretenderebbe un minimo di obiettività, innanzittutto nelle titolazioni, nel raccontare gli accadimenti senza voler forzare indebitamente il giudizio dei lettori per farlo propendere erroneamente da una parte, soltanto perché dietro ci sono in ballo gli interessi sempre più smisurati dell’alleato americano in una zona tradizionalmente nell’orbita russa.
Perché presentare la drammatica realtà di una guerra dietro una lente volutamente deformata?
Ingenuamente ci chiediamo, cosa c’entra l’informazione con l’esercizio del potere?
Sarà poi il governo che, prendendosene tutte le responsabilità, farà al momento opportuno le proprie scelte di politica estera; e, l’opinione pubblica ha il diritto, da subito, di essere informata in modo obiettivo ed esauriente per poterle in seguito giudicare come meglio crede.
Se i media, invece, si mettono ad arare il terreno per le eventuali scelte che il governo assumerà in futuro, è chiaro che viene a saltare forse il cardine principale della democrazia rappresentativa.
Quando l’opinione pubblica resta senza voce, quindi, gran parte della colpa è proprio di chi agisce nella cabina di regia del circuito mediatico: cioè di coloro che, a chiacchiere, fanno finta di lamentarsi di questo deplorevole stato di cose, ma che nei fatti non muovono un dito perché qualcosa cambi; anzi!
Almeno fino a quando una risata dalla blogosfera non li sommergerà.

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.