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giovedì 20 giugno 2013

No, caro Travaglio, questa volta sbagli di grosso...

Dispiace che della penosa vicenda Gambaro, la senatrice 5stelle entrata in Parlamento senza sapere né come né perché, oltre alla classica torma di pennivendoli scritturati dalla partitocrazia, equidistribuiti tra stampa e televisione, si siano occupati persino i pseudogrillini di complemento, quelli che dal primo giorno in cui Beppe Grillo si è cimentato nella più straordinaria avventura politica degli ultimi anni, hanno cominciato a giorni alterni a fare i maestrini dal lapis rosso-blu.
Tra quelli sulla cresta dell'onda, specie su La7, annoveriamo Andrea Scanzi, giornalista del Fatto Quotidiano, che autoconvocatosi  grillino embedded, ha cominciato a presenziare i talk show televisivi, disertati dai parlamentari pentastellati, dispensando con spocchia degna di miglior causa consigli non richiesti al M5S e al suo leader ma soprattutto bacchettandolo a giorni alterni con tono paternalistico: eh no, Grillo, questo non si fa! No, neppure quest'altro... Adesso, stai sbagliando tutto!  
Un alter ego putativo del M5S con l'aria di chi la sa così lunga da imporsi a favore di telecamera come l'oracolo ispiratore.
Insomma, dall'esordio col tono scanzonato e irriverente da giovinastro cresciuto a pane e internet, ha finito per identificarsi talmente con la parte in commedia che il talk gli affida, da prendersi troppo sul serio, persino impressionato dalle sue stesse parole, diventate inopinatamente continue lezioni di giornalismo, di democrazia, di realismo politico, di strategia con una sicumera e persino la postura di chi ha la convinzione di avere ormai in tasca la verità rivelata.
Come lui, tanti altri,  che alle spalle e, adesso, a spese del M5S e della battaglia politica di Grillo, si stanno costruendo una reputazione mediatica, essendo restati nell'ombra fintantoché non si sono autocandidati alla carica imperscrutabile di "vicini al movimento".
Ma in cosa consista questa vicinanza non è dato sapere, se non, nel caso di Scanzi, l'essere autore di un libro su Grillo pubblicato nel 2008.
Sappiamo però in termini di fringe benefits che cosa ciò abbia comportato: comparsate  a tutte le ore e su tutte le reti, non appena si accenna al M5S.
Così ecco materializzato sul piccolo schermo il vicinologo che con aria da professorino e caviglia destra appoggiata sguaiatamente sul ginocchio sinistro, trincia giudizi e sentenze da maxiesperto in pectore.
E via assestando un colpo al cerchio ed un colpo alla botte, il teleguru da talk si atteggia a tutore del movimento che considera, non si sa perché, una sua creatura, tanto da essere pronto a dispensargli gratuitamente e con molta nonchalance i suoi ferali moniti, senza togliersi il gusto, toscanaccio qual è, di concludere alla Bartali, scuotendo la testa: "gli è tutto da rifare".
Fornendo così un ripetibile assist al conduttore di turno che, non fosse che per pronunciare questa sentenza inappellabile,  lo aveva invitato.
A questa allegra brigata si è ora unito anche  Marco Travaglio, il quale dal 25 febbraio usa con il M5S la tecnica del bastone e della carota.
Almeno fino a ieri, quando dalle colonne del suo giornale ha mazzolato pesantemente i grullini (sic!) senza tanti giri di parole liquidandoli con poche ma banali parole sferzanti: «cacciare, o far cacciare dalla “rete”, una senatrice che ha parlato male di Grillo, manco fosse la Madonna o Garibaldi, è demenziale, illiberale e antidemocratico in sé. E non solo perché serve su un piatto d’argento agli eterni Gattopardi e ai loro camerieri a mezzo stampa la miglior prova di tutte le calunnie che hanno sempre spacciato per dogmi di fede. Non è nemmeno il caso di esaminare l’oggetto del contendere, cioè le frasi testuali pronunciate dalla senatrice nell’intervista incriminata a Sky, perché il reato di lesa maestà contro il Capo è roba da Romania di Ceausescu.»
Un ragionamento così rasoterra che ci ha sorpreso.
Sulla bravura di Travaglio e sulla sua autonomia di giudizio questo blog si è più volte soffermato, quindi abbiamo le carte in regola per fargli adesso la classica tiratina d'orecchie, anche se non gli facciamo sconto dell'egolatria che a volte trasuda dai suoi pezzi, in parte deformazione professionale.  Tenuto conto che si trova spesso a raccontare, oltre che di colleghi imbarazzanti, di nani, ballerine, lacché, mezzetacche, personaggi balzati agli onori dei media in ragione della propria pusillanimità, ignoranza, grettezza, doppiezza (l'elenco degli attributi potrebbe continuare a lungo). 
Il meglio che gli capiti è di interloquire in prima serata con Daniela Santanché e Pierluigi Battista, con il sottofondo di Michele Santoro che nel frattempo scantona di diritto costituzionale: un mestieraccio...
E' chiaro che di fronte a gente con simili attributi, Travaglio furoreggia ed è per questo che adesso ci intristisce che anche lui se la prenda con Grillo senza capire quale sia in questo caso la vera posta in gioco.
Non la leadership del Beppe nazionale, che evidentemente non può essere messa in discussione, ma l'autonomia e l'indipendenza del M5S, che molti nei partiti della Casta vorrebbero trasformare, con questo continuo lavorìo mediatico ai fianchi, in un'armata Brancaleone, dove si sostenga tutto e il contrario di tutto. La creatura politica di Grillo trasformata, a reti unificate, in serbatoio di consenso a cui il PD possa attingere in caso di necessità, magari adesso che le larghe intese iniziano a scricchiolare, vista la situazione di difficoltà in cui versa  di nuovo Berlusconi.
C'è però la necessità di disarcionare o depotenziare Grillo che da fondatore, custode e garante del movimento, si preoccupa di tenerne saldo il timone, evitando le incursioni letali del signor nessuno di turno.
Ecco perché all'attacco della Gambaro, che oggi ha pure l'impudenza di dichiarare che la sua è stata "una critica garbata", andava data una risposta chiara e perentoria, contro ogni altro tentativo di fare del M5S un partito prêt-à-porter.
Soprattutto di questi tempi, mentre il Paese è pericolosamente nelle mani di una pessima oligarchia come Travaglio fotografa impietosamente nei suoi tragicomici editoriali, sarebbe un po' come sparare sulla Croce Rossa.
Non fosse altro perché, di fronte allo sfascio totale della partitocrazia, il M5S resta l'unica concreta speranza per tanti italiani.
E quindi suona veramente irritante che qualcuno, fosse pure Travaglio,  impartisca ex cathedra lezioni di strategia politica ad un movimento che ha mostrato di incarnare lealmente la parte migliore del Paese, magari pure con quell'ingenuità che si deve sicuramente perdonare ai neofiti del Palazzo che quotidianamente sono costretti a confrontarsi con quel poco raccomandabile sottobosco di volpi, lupi, termiti e zecche che da tempo immemorabile vi albergano lautamente.
Di fronte alla Gambaro che ha commesso un gravissimo errore di superbia luciferina o di disarmante ingenuità (le vogliamo credere? Ma come mai non ha finora chiesto scusa?) dichiarando a telecamere spiegate che il problema del M5S è il suo leader fondatore e mettendogli in bocca cose da lui mai dette (la denuncia di Grillo del cattivo funzionamento del Parlamento che la senatrice trasforma d'arbitrio in insulto all'istituzione parlamentare, facendo incredibilmente da sponda ai soliti pennivendoli), la decisione che il M5S ha preso con il supporto della Rete era l'inevitabile e prevedibile conseguenza del suo colpo di testa, lungi da un finto buonismo cavalcato dai media giusto il tempo per scassare il movimento.
Qui non è in questione la libertà di pensiero o di parola ma il regolamento che i parlamentari del M5S spontaneamente e liberamente si sono dati: è in questione la lealtà e il decoro di una forza politica che incarna un movimento di cittadini di cui è semplice tramite nelle assemblee legislative di Camera e Senato.
I parlamentari di Grillo, proprio nell'esercizio delle loro prerogative, sono semplici portavoce delle idee e delle istanze che il movimento ha deciso a maggioranza di portare avanti.
Se qualcuno non vuole adeguarsi alla disciplina di gruppo, farebbe coerentemente molto meglio ad andarsene piuttosto che incaponirsi a restarvi dentro, avendo ormai infranto quel rapporto fiduciario che intratteneva coi suoi colleghi e con il vertice.
E' semplicemente folle pensare che la Gambaro potesse essere assecondata nel desiderio di incarnare lei la vera anima del Movimento 5 Stelle. Se si è sentita prigioniera di uno schema che non condivide più, o forse non ha mai pienamente condiviso, ritenendolo mortificante per la propria personalità libera e indipendente, avrebbe già dovuto trarne le debite conseguenze.
Ma alle dimissioni da parlamentare, dopo la cacciata dal gruppo, non ci pensa proprio, avendo ora espresso l'intenzione di fuoriuscire nel gruppo misto. Di nuovo cadendo in contraddizione con quanto da lei stessa dichiarato soltanto qualche settimana fa nel suo manifesto elettorale:
"Penso ad un Parlamentare che nel caso non fosse più in sintonia con il M5S, grazie al quale è stato  eletto, la sua base, i suoi princìpi, semplicemente si debba dimettere" .
Del resto, non si capisce come sia possibile che l'urlo di Grillo, così ben accetto per consentirle l'ingresso trionfante a Palazzo Madama, le sia di colpo sembrato stonato o addirittura cacofonico.
Ecco, se la Gambaro fosse stata un briciolo coerente ci saremmo risparmiati quel grave danno di immagine che ha cagionato e che ora pesa come un macigno su tutti coloro che si sono dannati l'anima in questi anni per far nascere ed affermare il M5S.
Caro Travaglio,  la prossima volta che scrivi del M5S, ti conviene prima di contare fino a dieci!
Segnare un calcio di rigore fasullo, fischiato solo perché invocato a gran voce  dalla curva mediatica non dovrebbe essere per te un grande onore!


mercoledì 12 giugno 2013

Il Paese affonda nel silenzio delle urne

Mentre i media continuano la loro campagna diffamatoria contro Grillo e il M5S, con il fiancheggiamento dei cosiddetti costituzionalisti di regime che assistono inerti alla dissoluzione della repubblica parlamentare da parte di Re Giorgio II, la situazione economica del Paese, se è possibile, si fa di giorno in giorno più grave: ormai è un fiorire quotidiano di dati consuntivi che non lasciano dubbi sulla pericolosa spirale in cui si è avvitato il nostro sistema produttivo e sull'inerzia di un governo che ciurla nel manico, non essendo riuscito a tracciare in quasi due mesi di attività neppure una bozza di politica industriale. 
La Cgil ci ricorda che per recuperare la caduta del Pil del 2007, occorreranno 13 anni, addirittura 63 anni per ritrovare gli stessi livelli occupazionali.
A questo punto non si capisce come sia stato possibile nel luglio scorso che il professor Monti, l'economista osannato dalla partitocrazia PD-PDL, dichiarasse di aver scorto la luce fuori del tunnel
Ecco: l'unico tunnel che questi bocconiani hanno saputo costruire, e di lunghezza spropositata!, di certo superiore a quello che vogliono materialmente far scavare per il TAV, è proprio quello in cui hanno ficcato economicamente il Paese, facendolo letteralmente agonizzare.
Sarebbe interessante rileggersi le paginate di giornali come Repubblica, il Corriere della Sera e altri degni compari della disinformazione, qualche tempo fa dedicavano al grande Monti, al suo loden sobrio e imperturbabile, al suo gioco delle tre carte (rigore, crescita, equità) dove crescita e equità sono subito spariti, da bravo illusionista: ma, a differenza del grande Silvan, soltanto grazie a pacchiani trucchi televisivi.
Così il professor Monti ha lasciato dopo 17 mesi soltanto macerie, senza neppure essere riuscito a spuntare un solo risultato utile per l'Italia sulla scena europea: una débâcle così straordinaria che, probabilmente, nessuno potrà in futuro fare peggio di lui. 
Ma i media, così pronti a spedire squadre di giornalisti, ad auscultare in tempo reale i brontolii del movimento di Grillo, si sono lasciati sfuggire incredibilmente la ghiotta occasione di fare chiarezza sull'operato del professorone.
Ed oggi nessuno si azzarda a porgli questa semplicissima domanda: Illustrissimo Professor Montigrandissimo mago dell'economia (almeno secondo i suddetti compari), com'è possibile che Lei vedeva un anno fa la luce fuori dal tunnel mentre pure gli ultimi dati comunicati dall'Istat registrano per il primo trimestre del 2013 un tonfo del PIL del 2,4% annuo e un calo della produzione industriale nel mese di aprile 2013 addirittura del 4,6%???
Ma, come si sa, piove sempre sul bagnato: e adesso è il turno del governo Letta, che si sta distinguendo per il totale immobilismo.
Prima ancora che sui singoli provvedimenti, è proprio sul piano delle idee che mostra un deficit culturale sorprendente, tant'è che Berlusconi ha buon gioco con le sue sparate a sottolineare la necessità per il nipote Enrico di cotanto zio Gianni, di sbattere i pugni al prossimo vertice europeo di fine giugno. 
Purtroppo dietro il giovanilismo lettiano c'è un'assoluto vuoto mentale: non c'è nessuna idea forte che sappia trascinare via l'Italia dalle secche della sua disperazione, nulla a livello di politica degli investimenti, fiscale, industriale, bancaria. Niente di niente. 
Come pensa che si debba progettare il futuro di quella che solo pochi anni fa (a questo punto sembra impossibile!) era la quinta potenza industriale ed economica del mondo? Silenzio assordante.
Non a caso non la rivista dei grillini incazzati ma l'austero e autorevole Financial Times titola oggi  Letta's lethargy, accusando il giovane premier di totale inconcludenza.
Infatti, l'unica cosa a cui sta pensando, accanto ad un velleitario proclama di lotta alla disoccupazione giovanile magari demolendo la riforma Fornero (che la stessa OCSE ha da tempo bocciato), ovvero quello che fu il famoso fiore all'occhiello del governo Monti (W i professori...) e che ci ha portato in aprile la disoccupazione al record del 12%, è l'avvio del semipresidenzialismo.
Perché, giustamente, gli Italiani questo si raccontano preoccupati quando trovano il tempo di scambiarsi due parole: non di lavoro, non di sbarcare il lunario, non di mancanza di futuro per un'intera comunità nazionale... No, per Letta e c., si accapigliano per il semipresidenzialismo!!! Pure Maurizio Crozza non si è lasciato sfuggire questa ghiotta occasione di satira.
Ma in nome di chi e per cosa si avvia un processo di radicale trasformazione della forma di Stato senza aver ricevuto alcun mandato popolare, senza aver avviato un serio dibattito nell'opinione pubblica? 
Può la Casta partitocratica strappare la Carta del 1948 per nascondere la propria totale inettitudine e, peggio, il proprio degrado morale? 
Perché  scopo del semipresidenzialismo, come sostiene giustamente il giurista Paolo Becchi, è quello di mantenere in piedi un bipolarismo che le elezioni di febbraio hanno bocciato definitivamente. 
Una riforma costituzionale di ampissima portata verà sballottolata, tra Ferragosto e Capodanno, tra il Comitato dei 40 parlamentari e la Commissione dei 35 saggi: una procedura del tutto inedita e senza precedenti nella storia della repubblica.
Chi sarebbero i 35 seggi che dovrebbero emendare il testo della Costituzione? Chi conferisce loro tale autorità?
Come fa il Presidente della Repubblica ad avallare una procedura talmente anomala ed in palese contrasto con il dettato Costituzionale, tenuto conto che viene esclusa dalla concertazione una buona parte del Paese, in primis proprio quella forza parlamentare che ha espresso più intensamente l'istanza di cambiamento e di rinnovamento?
Attorno a noi stanno succedendo cose gravissime ma i media cercano di sviare l'attenzione di tutti celebrando quotidianamente il processo al M5S, reo per definizione, per partito preso (quello della Casta!), di tutte le colpe, di tutte le nefandezze e di tutte le infamie della I e II repubblica.
Ma colpevole di che? Forse di aver scoperchiato, almeno in parte, il verminaio della nostra vita pubblica.
Eppure anche tra i parlamentari del M5S non mancano carneadi che, forse non paghi dell'attacco furioso scatenato dai media in questi ultimi quattro mesi contro la nuova forza politica, se ne fanno a loro volta interpreti. 
E' il caso della senatrice Adele Gambaro che ieri, dai microfoni di Sky Tg24, ha accusato Beppe Grillo di essere il problema del M5S, responsabile dell'insuccesso elettorale delle amministrative, in cui un italiano su due non è andato a votare.
Poveretta, proiettata di punto in bianco a svolgere un compito decisamente superiore alle sue possibilità, la senatrice è andata in pochi mesi in tilt, forse neppure rendendosi conto fino in fondo di essersi messa lei stessa, con le sue stesse parole, fuori dal gruppo parlamentare.
La Gambaro, di cui fino a ieri ignoravamo insieme a milioni di Italiani l'esistenza, fino a quel momento non aveva capito che stava lì, non per le qualità personali, ma perché ha aderito ad una missione, quella di far entrare la voce dei cittadini nelle polverose ed oscure stanze dell'assemblea legislativa, occupate abusivamente dalla partitocrazia.
Se qualcosa non le fosse stato chiaro del suo compito avrebbe dovuto chiedere spiegazioni e aiuto ai suoi colleghi e magari rivolgersi personalmente a Grillo, senza lanciare accuse gratuite e velleitarie, che denotano, fra l'altro, labilità emotiva ed una evidente limitatezza culturale. 
Se sulla via di Roma è rimasta fogorata dalla partitocrazia ebbene si faccia da parte, senza gettare ulteriore discredito, prima ancora che sui suoi colleghi,  su se stessa: dimostra infatti che non è degna del ruolo che milioni di cittadini le hanno affidato e che al Senato di certo il M5S  non ha più bisogno di lei.
Se non altro perché l'evidente stato confusionale in cui versa non le consente più di lavorare con la necessaria serenità e coerenza. 
Se, si spera, mantiene un briciolo di dignità personale e di onestà intellettuale, dovrebbe dimettersi immediatamente da parlamentare passando senza indugio il testimone a chi potrebbe ricoprire quel ruolo con maggiore coerenza ed affidabilità. 
Ma dubitiamo che sia questa la sua scelta perché imboscarsi nel gruppo misto a stipendio pieno è una tentazione per molti versi irresistibile.
La situazione italiana è talmente drammatica, come testimoniato dall'odierna strigliata del più importante quotidiano economico del mondo  a Enrico Letta, che non ci possiamo comunque permettere, dall'unica forza di opposizione rimasta nel nostro Paese, neppure un attimo di distrazione dai compiti di cui il M5S è stato investito a furor di popolo.
Lo psicodramma personale di questa comparsa politica, unico ruolo che veramente le si attaglia, la sua crisi d'identità, il conclamato deficit culturale, li lasciamo infine alle cure ed alle premure di chi ne condivide i momenti privati.