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domenica 11 marzo 2012

I 100 giorni del governo Monti: un grande avvenire dietro le spalle

Il governo degli pseudotecnici, quello che toglie ai poveri pur di non disturbare i ricchi, è arrivato al traguardo dei primi 100 giorni e già molti si interrogano su che cosa ne sarà in futuro, magari dopo le elezioni del 2013. 
Prima di guardare in avanti varrà forse la pena di girarsi indietro per capire che cosa ha combinato finora.
Sicuramente è riuscito a togliere parecchie castagne dal fuoco a Silvio Berlusconi che, tra una manovra di mezza estate, la lettera della BCE, gli scandali privati, le varie inchieste giudiziarie sulle mille e una cricca, gli attacchi finanziari ai suoi gioielli di famiglia, era giunto alla fine di ottobre in completo stallo e in grosso debito di credibilità internazionale, nel pieno di una tempesta finanziaria che aveva portato il rendimento dei titoli di stato italiani oltre la soglia psicologica del 7%, ad un passo del default con il famigerato spread sui bund tedeschi decennali stabilmente sopra i 500 punti.
Soprattutto è stato capace di varare una manovra lacrime e sangue che rappresenta il fiore all'occhiello per una destra tecnocratica e filoeuropea: in Europa nessun altro governo è riuscito a fare di più, tanto che l'Italia può oggi vantare (si fa per dire!) le regole previdenziali più severe del vecchio continente e gli stipendi tra i più bassi (al 23°posto tra 30 paesi OCSE).
Dopo questa partenza bruciante, trascorse le vacanze di fine anno, la guida del governo è stata assai più incerta e contraddittoria: sia la manovra delle liberalizzazioni che il decreto sulle semplificazioni, strombazzati come passaggi epocali, si sono rivelati ben poca cosa, confermando l'assoluta inadeguatezza dell'esecutivo guidato da Mario Monti non solo di proporre una necessaria redistribuzione del reddito, condizione necessaria per riavviare il motore dello sviluppo, ma semplicemente di modulare gli ulteriori sacrifici imposti ai cittadini in proporzione alla loro condizione economica.
Niente da fare, pagano sempre i soliti noti, lavoratori e pensionati, mentre pure le categorie che a chiacchiere erano state prese di mira come tassisti, notai, liberi professionisti, farmacisti, hanno potuto tirare il proverbiale respiro di sollievo.
Di imposta patrimoniale non è rimasta quasi traccia: la nuova Ici, cioè l'Imu, colpisce tutti, con un vero e proprio shock per i piccoli proprietari e le imprese agricole.
La cosiddetta minipatrimoniale sulle attività finanziarie è poi una autentica beffa: non il quotidiano dei bolscevichi, ma Il Sole 24 ore qualche giorno fa ha titolato che la stangata non è per tutti ma nel 2012 risparmia proprio i grandi patrimoni, dato che il bollo dell'1 per mille prevede un tetto di 1.200 euro. Con una imbarazzante curiosità:  a beneficiarne saranno pure i coniugi Monti...
Delle tre parole d'ordine rigore-equità-crescita, resta solo soletto il rigore, ma a questo punto trattasi di pura vessazione sociale.
E se lo spread è sceso fino a quota 300 lo si deve in massima parte alla gigantesca immissione di liquidità effettuata dalla BCE di Mario Draghi che in due tranches, il 22 dicembre e il 28 febbraio scorsi, ha immesso qualcosa come 1000 miliardi di euro nel sistema bancario europeo: per intenderci metà del debito pubblico italiano.
Con questi soldi presi in prestito al tasso simbolico dell'1% per tre anni, le banche hanno potuto acquistare i titoli di stato che ancora garantiscono un rendimento medio attorno al 4%: ecco spiegato il miracolo della discesa dello spread!
Nel frattempo, contrariamente ad ogni previsione  azzardata al momento delle sue dimissioni, adesso Berlusconi non solo non è fuori gioco ma è politicamente più forte, avendo recuperato in questi mesi  molte frecce al suo arco.
Come avrebbe potuto sperare di meglio quel freddo sabato di novembre quando salì al Quirinale per dimettersi tra i fischi e le scene di giubilo della folla, di ritrovarsi tre mesi dopo senza aver dovuto caricarsi personalmente della responsabilità di misure impopolari, lasciando che a farlo fossero i tecnici?
E adesso  pure con l'inopinata prescrizione sul processo Mills e, ciliegina sulla torta, con l'annullamento della condanna di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa al suo fido scudiero Marcello Dell'Utri!
E' proprio tutto un altro clima ora, tant'è che lui e il suo delfino, quello con o senza quid (a voi la scelta!), possono sparare ancora una volta ad alzo zero contro i magistrati: eppur non chiamandoli pecorelle, nessuno si scompone più di tanto, meno ancora dentro il partito di Bersani.
Infatti, senza il Partito Democratico e il suo emerito segretario, tutto questo sarebbe stato materialmente impossibile.
Se non è restato un sogno del Cavaliere, è anche grazie al partito in cui militava il tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, quello che ha fatto fuori 13 ma forse 25 milioni di euro: sì quello che al ristorante dietro il Pantheon spendeva 100 euro a testa per l'antipasto e 180 euro per un piatto di spaghettini al caviale, tutto in conto al partito, senza che nessuno si sia mai accorto di nulla. E che intervistato da Servizio Pubblico di Michele Santoro si domanda incredulo: "Dove sono finiti i 181 dei 214 milioni di euro che ho amministrato. 181 li abbiamo usati tutti per pagare il personale e per pagare i telefonini??".
Ma è anche grazie al segretario Pierluigi Bersani che, intervistato da Repubblica venerdì scorso, rivendica la riforma delle pensioni con queste parole"Quando mi fermano al supermercato- perché io vado al supermercato - le persone si lamentano per la riforma della previdenza. Dicono 'Segretario, noi andremo in pensione quattro anni dopo'. Io, nel rispondere ci metto la mia di faccia, e credo di dare così un contributo alla discesa dello spread".
E sulla TAV  è ancora una volta ultimativo: "Il se non è più in discussione. Non c'è più spazio per posizioni ambigue che con la scusa del dialogo possano mettere in forse l'opera. Si può invece discutere il come".
Per il democratico Bersani l'opera va fatta, il dialogo su questo punto è inutile.
Che poi la sollecitazione non solo provenga dalle popolazioni della Val di Susa (e oltre!) ma da più di trecento docenti universitari, ricercatori e professionisti è cosa che proprio non lo riguarda.
In fondo un'opera pubblica da oltre 20 miliardi di euro, pronta forse nel 2030, mentre il Paese è alla canna del gas, che vuoi che sia?
Fra l'altro come non essere ottimisti vista e considerata l'attenzione certosina che i suoi colleghi di partito, vedi i casi Lusi, Penati e compagnia gaudente, hanno per il denaro pubblico?
Lasciateci però ancora credere che di fronte ai cittadini non ci si possa intestardire su un megaprogetto senza prima essersi rimboccati le maniche (vi ricordate la mitica camicia di Bersani nel manifesto elettorale?) e essersi confrontati a viso aperto con loro.
Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel suo odierno editoriale freme alla sola idea che si possa aprire un confronto pubblico sul tema e si domanda ironicamente se ci sia forse una "Repubblica referendaria" da creare o un "Palazzo d'Inverno da invadere".
Ma la risposta è molto più semplice: c'è una intera classe dirigente, di destra e di sinistra, incompetente, corrotta e infingarda, da mandare a casa.
A stretto giro di urne.