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lunedì 24 gennaio 2022

Per il Quirinale, l'ineffabile segretario del PD Enrico Letta sogna Draghi

Che la dirigenza del PD sia ormai completamente scollata dalla propria base elettorale e più in generale dai problemi dell'Italia è fatto notorio. 

Continua ad impressionare però la distanza persino psicologica che pure è confermata dall'ultimo intervento tv del suo segretario Letta: sembra un alieno, direttamente catapultato sulla Terra dal pianeta Marte. 

Ci fa sapere che se il PD avesse i numeri ci condannerebbe a Draghi, il commissario liquidatore del Paese, colui che in un solo anno è riuscito a distruggere ciò che restava del tessuto economico-sociale di quella che era fino a qualche anno fa la quarta potenza economica del mondo. 

Colpisce l'assoluta mancanza di sensibilità rispetto al cataclisma economico-finanziario che si sta abbattendo e deflagrerà nelle prossime settimane sulle famiglie italiane grazie ai servigi dell'uomo di Goldman Sachs, il quale agisce per conto della nomenklatura europea. 

Questa ha sempre tentato di affossarci, gelosa delle nostre enormi potenzialità culturali, intellettuali ed ambientali. 

Mario Draghi sta lì appunto ad assicurarsi che il cappio venga ben stretto attorno al collo del Paese, per poi lasciarci alle 'cure' del direttorio franco-tedesco che, tramite il Mes, ci assesterà il definitivo colpo di grazia. 

In questo quadro veramente fosco, abbiamo un personaggio, che la sera della vigilia delle Presidenziali, si presenta ad ora di cena in tv, scuro in volto, ad esternare la propria preoccupazione per il fatto che il PD non ha i numeri sufficienti per portare al Quirinale il 'vile affarista', come ebbe modo di appellarlo l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Quando la realtà supera la più cupa immaginazione.

sabato 27 ottobre 2018

Quando Travaglio scantona...

Travaglio ogni tanto per segnare una equidistanza da tutti, anche dal M5S, si avventura in questioni che sono mille miglia lontane dalle sue competenze e pensa di poter parlare di economia con la stessa sicumera con cui affronta le problematiche della giustizia e della lotta alla criminalità organizzata. Ma, purtroppo per lui e per noi, non è così.
Nell’editoriale odierno ha preso un'enorme cantonata: attaccare Di Maio quando il capo 5Stelle ha ragioni da vendere contro Draghi, non solo è ingeneroso ma è platealmente sbagliato.
Non si è mai visto un banchiere centrale parlare di continuo come fa Draghi, per giunta a mercati aperti, prendendo posizioni di indirizzo politico che evidentemente non gli appartengono.
Se lo spread è a 300 è perché la BCE, di cui lui è governatore, non sta facendo il suo dovere di banca centrale, che istituzionalmente deve gestire il rischio dell’instabilità monetaria, lavorando in silenzio dietro le quinte, senza lanciare intimidazioni a mezzo stampa come ha fatto lui qualche giorno fa contro l’Italia. Se poi vuole dare un onesto e disinteressato consiglio al governo italiano, alza il telefono e chiede che gli passino Palazzo Chigi: non fa sparate in conferenza stampa, annunciando che chiuderà i rubinetti.
E’ così evidente che Mario Draghi è una parte importante del problema e non la soluzione che sentire Travaglio incensarlo, lascia attoniti e stizziti.
E finiamola di pensare che Draghi ha salvato l’Italia con il QE!! Eventualmente egli ha salvato (momentaneamente!) l’euro, perché la crisi innescata dal Fondo Salvastati, il Fiscal compact e tutte le folli iniziative che l’Europa ha varato per far recuperare i crediti che Germania e Francia vantavano con la Grecia, dopo la bufera americana del 2008 e l’enorme esposizione debitoria delle banche tedesche in derivati e altri titoli tossici, ha bloccato l’Eurosistema. E il QE non ha aiutato l’Italia ma ha cercato di rianimare un sistema monetario che resta senza futuro.
Travaglio dovrebbe studiare invece di alzare il ditino anche in temi su cui la sua ignoranza si taglia, purtroppo per il malcapitato lettore, a fette.

mercoledì 12 novembre 2014

Fuggire dall'Euro! L'unica chance dopo le parole agghiaccianti di Draghi

Parole agghiaccianti quelle pronunciate oggi da Mario Draghi, governatore della BCE, intervenuto  all'Università Roma Tre ad un convegno su Federico Caffé, a 100 anni dalla sua nascita. 
Mentre all'esterno della facoltà di Economia un corteo di studenti veniva "contenuto" dalle solite manganellate dalla polizia di Renzi.
Insomma, dopo gli operai  (della Thyssen Krupp), a subire la scure della finanza è ora la volta degli studenti.
"Non si tratta di perdere la sovranità", quella l'hanno persa i Paesi troppo indebitati, "ma di acquistarla condividendola con altri Paesi dell'Eurozona"
Parole che delineano, senza mezze misure, l'incubo kafkiano in cui è piombata l'Italia da quando ha aderito alla moneta unica.
Il re è nudo. Ormai non siamo più padroni di nulla: neppure della povertà, quella di cui erano così orgogliosi i nostri genitori e i nostri nonni, che pure combattevano instancabilmente, giorno dopo giorno, per assicurarci un futuro migliore.
Siamo purtroppo in balìa di un gruppo di banchieri che, numeri alla mano, dopo averci depredato di ogni ricchezza per coprire i loro tragici errori di gestione, adesso hanno rialzato la testa e, irriconoscenti, vogliono pure cacciarci fuori dalla nostra terra e dalle nostre case. 
In nome del dio Euro, senza che nessuno in tutto questo tempo ci abbia mai avvisato, nè interpellato prima  di spingerci giù nel precipizio.
Come tutto ciò sia compatibile con la nostra democrazia resta un mistero. 
Ma qualcuno, la nostra classe dirigente, i politici, dovranno pure rendere conto di fronte al Paese di aver permesso la sua occupazione silenziosa e inesorabile: quella portata avanti, anonimamente, sui monitor azzurrognoli dei borsini, a colpi di spread, del prosciugamento progressivo della liquidità, di una disoccupazione generalizzata, della cessione ormai già consumata della nostra sovranità.
Ma chi sono costoro che possono venire a comandare a casa nostra? 
Dove sta il Presidente della Repubblica, il Parlamento, il Governo, la nomenklatura di destra e di sinistra dell'ultimo ventennio che hanno permesso, per il proprio vantaggio personale e familiare, la perpetrazione di un simile disegno eversivo?
Perché qui i reati di alto tradimento, di attentato al funzionamento degli organi costituzionali, di eversione, ci sono tutti. E qualcuno dovrà pur pagare per tale ecatombe morale prima ancora che finanziaria ed economica!
Ancora una volta Beppe Grillo aveva visto giusto: tutti a casa (e molti in galera!).
Ed uscire dall'Euro diventa ora un imperativo categorico e non procrastinabile per ogni Italiano che abbia a cuore la propria terra, voglia tutelare le proprie radici, prima che i lanzichenecchi la saccheggino per l'ultima volta riportandola, come sentenziava cinicamente il cancelliere austriaco Metternich, ad un'espressione geografica.
Ma se questo è lo scenario, il premier Matteo Renzi, che non può non conoscerlo, ci sta soltanto spudoratamente prendendo in giro.
Tutto è perduto, fuorché l'onore: ma per riprendercelo, dobbiamo fare in fretta. 
Fuori dall'Euro, il prima possibile!



mercoledì 12 settembre 2012

Professori allo sbaraglio: le "perle" di Monti e Passera

Con tutti gli indicatori economici in picchiata, il governo Monti sta penosamente annaspando e ormai si affida al governatore della BCE, Mario Draghi, per restare a galla.
Dopo dieci mesi di totale latitanza sul fronte dell'economia reale, senza uno straccio di politica industriale e di idea per il futuro del paese che non sia l'ormai logoro riflesso ideologico del liberismo più oltranzista come si sono rivelati essere la riforma delle pensioni e l'abolizione de facto dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il professorone della Bocconi affida alla politica monetaria di Draghi la difesa di un esecutivo allo sbando.
La linea del Piave è diventata la seguente: per SuperMario senza la sua politica lacrime e sangue, l'Italia oggi sarebbe stata considerata dai partners europei poco seria e ciò non avrebbe consentito a Mario Draghi di imporre al board della BCE quasi all'unanimità (col solo voto contrario del membro tedesco) l'impegno ad una politica monetaria più espansiva in soccorso di quei paesi, come l'Italia e la Spagna, che pur in gravi difficoltà, stanno facendo i famigerati compiti a casa, benché a costo di enormi sacrifici.
In questo modo Monti cerca di sottrarsi alla marcatura ormai asfissiante di quanti, su vari fronti, gli contestano l'assoluta inconsistenza dei risultati raggiunti che, rispetto alla data del suo insediamento nel novembre scorso, sono tutti in netto peggioramento.
Il meno 2,6% del PIL comunicato due giorni fa dall'Istat  è un dato così drammatico (per giunta arrivato al quinto anno di crisi economico-finanziaria!), da racchiudere in sè tutti gli altri dati negativi:  rapporto debito/pil, inflazione, disoccupazione, deficit pubblico, ecc.
Non potendo quindi che presentare un carniere vuoto, Monti cerca di brillare di luce riflessa, ammonendoci: senza di me, Draghi non avrebbe potuto convincere i tedeschi ad allentare i cordoni della borsa.
Come in effetti, se andiamo a vedere, neppure il più brillante Mario Draghi è riuscito a fare.
La politica di sostegno, per quantità illimitate, dei titoli di stato da uno a tre anni sul mercato secondario (e non, come sarebbe stato più efficace, su quello delle nuove emissioni) dei paesi europei in difficoltà, è infatti condizionata al proseguimento di una politica fiscale di estremo rigore cioè diligentemente restrittiva.
Come le due cose si possano combinare in modo felice, permettendo all'Italia di venir fuori dalle sabbie mobili della profonda recessione in cui è precipitata, resta un mistero.
Tant'è che la forte caduta dello spread BTP-Bund tedeschi ad un livello che resta comunque molto elevato nel medio periodo (oggi, dopo l'atteso e importante pronunciamento favorevole della Corte costituzionale tedesca sul Fondo salvastati ESM, è inchiodato sopra la pericolosa quota 340), non esclude la possibilità che il governo italiano debba comunque chiedere entro fine anno aiuto alla troika BCE - Fondo Monetario Internazionale - Commissione Europea, concordando nuove condizioni capestro ed ulteriori pesanti misure di finanza pubblica. Per il Financial Times, non ha scampo.
L'altro giorno, Mr. Monti ha avuto finalmente la schiettezza di ammettere che la sua politica economica ha aggravato la recessione ma in vista di "un risanamento a lungo termine. Quando a questo governo è stato chiesto di trattare un caso non semplice, ci siamo posti il tema se comportarci con una visione di lungo periodo o se cercare di fare un surfing sulle onde della tempesta finanziaria. Penso che le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione congiunturale, è ovvio. Ma è solo così che si può avere qualche speranza un pochino più in là di vedere risanata in maniera durevole la situazione".
Come sia possibile realizzare il risanamento a lungo termine provocando subito una durissima recessione è cosa che neppure spulciando imponenti trattati di economia è facile capire, essendo palesemente contraddittoria. 
Non a caso nessun economista si è cimentato nell'impresa impossibile e meno che mai ha cercato di addentrarsi nel Monti pensiero.
La cosa deve essere suonata così male nelle redazioni dei giornali che i quotidiani tradizionalmente fiancheggiatori del premier, Corriere e Repubblica, hanno bucato la notizia, preferendo trattare dell'incontro tra governo e sindacati.
Durante il quale Corrado Passera, Superministro economico, ha dichiarato che l'incremento dei salari è possibile a condizione che ci sia un aumento di produttività.
Ma come? I consumi interni sono fermi, le aziende non producono più perché hanno i magazzini pieni (classica crisi da mancanza di domanda) e qual è la ricetta avanzata dal ministro dello Sviluppo economico? Aumentare la produttività!
Cioè, a parità di stock di capitale e di livello di produzione (insensato sarebbe aumentarla di questi tempi!), ridurre la forza lavoro, aumentando così la disoccupazione.
Splendido!
Per seppellire la castroneria di Monti, i media hanno finito, senza accorgersene, per sottolineare una dichiarazione ancora più stravagante del suo emerito collega.
Li vogliamo definire professori allo sbaraglio?

domenica 11 marzo 2012

I 100 giorni del governo Monti: un grande avvenire dietro le spalle

Il governo degli pseudotecnici, quello che toglie ai poveri pur di non disturbare i ricchi, è arrivato al traguardo dei primi 100 giorni e già molti si interrogano su che cosa ne sarà in futuro, magari dopo le elezioni del 2013. 
Prima di guardare in avanti varrà forse la pena di girarsi indietro per capire che cosa ha combinato finora.
Sicuramente è riuscito a togliere parecchie castagne dal fuoco a Silvio Berlusconi che, tra una manovra di mezza estate, la lettera della BCE, gli scandali privati, le varie inchieste giudiziarie sulle mille e una cricca, gli attacchi finanziari ai suoi gioielli di famiglia, era giunto alla fine di ottobre in completo stallo e in grosso debito di credibilità internazionale, nel pieno di una tempesta finanziaria che aveva portato il rendimento dei titoli di stato italiani oltre la soglia psicologica del 7%, ad un passo del default con il famigerato spread sui bund tedeschi decennali stabilmente sopra i 500 punti.
Soprattutto è stato capace di varare una manovra lacrime e sangue che rappresenta il fiore all'occhiello per una destra tecnocratica e filoeuropea: in Europa nessun altro governo è riuscito a fare di più, tanto che l'Italia può oggi vantare (si fa per dire!) le regole previdenziali più severe del vecchio continente e gli stipendi tra i più bassi (al 23°posto tra 30 paesi OCSE).
Dopo questa partenza bruciante, trascorse le vacanze di fine anno, la guida del governo è stata assai più incerta e contraddittoria: sia la manovra delle liberalizzazioni che il decreto sulle semplificazioni, strombazzati come passaggi epocali, si sono rivelati ben poca cosa, confermando l'assoluta inadeguatezza dell'esecutivo guidato da Mario Monti non solo di proporre una necessaria redistribuzione del reddito, condizione necessaria per riavviare il motore dello sviluppo, ma semplicemente di modulare gli ulteriori sacrifici imposti ai cittadini in proporzione alla loro condizione economica.
Niente da fare, pagano sempre i soliti noti, lavoratori e pensionati, mentre pure le categorie che a chiacchiere erano state prese di mira come tassisti, notai, liberi professionisti, farmacisti, hanno potuto tirare il proverbiale respiro di sollievo.
Di imposta patrimoniale non è rimasta quasi traccia: la nuova Ici, cioè l'Imu, colpisce tutti, con un vero e proprio shock per i piccoli proprietari e le imprese agricole.
La cosiddetta minipatrimoniale sulle attività finanziarie è poi una autentica beffa: non il quotidiano dei bolscevichi, ma Il Sole 24 ore qualche giorno fa ha titolato che la stangata non è per tutti ma nel 2012 risparmia proprio i grandi patrimoni, dato che il bollo dell'1 per mille prevede un tetto di 1.200 euro. Con una imbarazzante curiosità:  a beneficiarne saranno pure i coniugi Monti...
Delle tre parole d'ordine rigore-equità-crescita, resta solo soletto il rigore, ma a questo punto trattasi di pura vessazione sociale.
E se lo spread è sceso fino a quota 300 lo si deve in massima parte alla gigantesca immissione di liquidità effettuata dalla BCE di Mario Draghi che in due tranches, il 22 dicembre e il 28 febbraio scorsi, ha immesso qualcosa come 1000 miliardi di euro nel sistema bancario europeo: per intenderci metà del debito pubblico italiano.
Con questi soldi presi in prestito al tasso simbolico dell'1% per tre anni, le banche hanno potuto acquistare i titoli di stato che ancora garantiscono un rendimento medio attorno al 4%: ecco spiegato il miracolo della discesa dello spread!
Nel frattempo, contrariamente ad ogni previsione  azzardata al momento delle sue dimissioni, adesso Berlusconi non solo non è fuori gioco ma è politicamente più forte, avendo recuperato in questi mesi  molte frecce al suo arco.
Come avrebbe potuto sperare di meglio quel freddo sabato di novembre quando salì al Quirinale per dimettersi tra i fischi e le scene di giubilo della folla, di ritrovarsi tre mesi dopo senza aver dovuto caricarsi personalmente della responsabilità di misure impopolari, lasciando che a farlo fossero i tecnici?
E adesso  pure con l'inopinata prescrizione sul processo Mills e, ciliegina sulla torta, con l'annullamento della condanna di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa al suo fido scudiero Marcello Dell'Utri!
E' proprio tutto un altro clima ora, tant'è che lui e il suo delfino, quello con o senza quid (a voi la scelta!), possono sparare ancora una volta ad alzo zero contro i magistrati: eppur non chiamandoli pecorelle, nessuno si scompone più di tanto, meno ancora dentro il partito di Bersani.
Infatti, senza il Partito Democratico e il suo emerito segretario, tutto questo sarebbe stato materialmente impossibile.
Se non è restato un sogno del Cavaliere, è anche grazie al partito in cui militava il tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, quello che ha fatto fuori 13 ma forse 25 milioni di euro: sì quello che al ristorante dietro il Pantheon spendeva 100 euro a testa per l'antipasto e 180 euro per un piatto di spaghettini al caviale, tutto in conto al partito, senza che nessuno si sia mai accorto di nulla. E che intervistato da Servizio Pubblico di Michele Santoro si domanda incredulo: "Dove sono finiti i 181 dei 214 milioni di euro che ho amministrato. 181 li abbiamo usati tutti per pagare il personale e per pagare i telefonini??".
Ma è anche grazie al segretario Pierluigi Bersani che, intervistato da Repubblica venerdì scorso, rivendica la riforma delle pensioni con queste parole"Quando mi fermano al supermercato- perché io vado al supermercato - le persone si lamentano per la riforma della previdenza. Dicono 'Segretario, noi andremo in pensione quattro anni dopo'. Io, nel rispondere ci metto la mia di faccia, e credo di dare così un contributo alla discesa dello spread".
E sulla TAV  è ancora una volta ultimativo: "Il se non è più in discussione. Non c'è più spazio per posizioni ambigue che con la scusa del dialogo possano mettere in forse l'opera. Si può invece discutere il come".
Per il democratico Bersani l'opera va fatta, il dialogo su questo punto è inutile.
Che poi la sollecitazione non solo provenga dalle popolazioni della Val di Susa (e oltre!) ma da più di trecento docenti universitari, ricercatori e professionisti è cosa che proprio non lo riguarda.
In fondo un'opera pubblica da oltre 20 miliardi di euro, pronta forse nel 2030, mentre il Paese è alla canna del gas, che vuoi che sia?
Fra l'altro come non essere ottimisti vista e considerata l'attenzione certosina che i suoi colleghi di partito, vedi i casi Lusi, Penati e compagnia gaudente, hanno per il denaro pubblico?
Lasciateci però ancora credere che di fronte ai cittadini non ci si possa intestardire su un megaprogetto senza prima essersi rimboccati le maniche (vi ricordate la mitica camicia di Bersani nel manifesto elettorale?) e essersi confrontati a viso aperto con loro.
Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel suo odierno editoriale freme alla sola idea che si possa aprire un confronto pubblico sul tema e si domanda ironicamente se ci sia forse una "Repubblica referendaria" da creare o un "Palazzo d'Inverno da invadere".
Ma la risposta è molto più semplice: c'è una intera classe dirigente, di destra e di sinistra, incompetente, corrotta e infingarda, da mandare a casa.
A stretto giro di urne.