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mercoledì 28 ottobre 2009

Dopo Marrazzo, a chi spetta dimettersi?

La vicenda che ha visto coinvolto il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, presenta molteplici aspetti su cui riflettere.
Innanzitutto, la dissennatezza di una condotta che, senza scomodare personalissimi giudizi morali, esalta una tendenza al cupio dissolvi, quale comportamento insolitamente diffuso nella nostra classe dirigente.
Ci si chiede se i criteri con cui essa viene selezionata non vadano completamente ripensati, visto che si dà per scontato che la visibilità mediatica sia garanzia di dirittura morale, correttezza ed efficienza nell’azione amministrativa.
Non è forse un caso se molti politici sembrano oggi muoversi come personaggi in cerca di autore, disposti a tutto pur di stare sotto le luci della ribalta.
Nessuna meraviglia, quindi, se per le stesse ragioni, qualche fanciulla sia indecisa tra il fare la velina o la parlamentare a seconda delle opportunità che il papi di turno prospetta: è il paradossale ma inevitabile costo che la cattiva televisione fa pagare alla nostra gioventù meno avvertita sacrificando i suoi entusiasmi e ideali sull’altare della popolarità mediatica.
L’altro aspetto che va messo a fuoco, al di là dell’umana comprensione verso chi è precipitato in poche ore in un abisso, è come una vicenda privata sia diventata pubblica nel giro di poche ore, senza che allo sventurato protagonista sia stata risparmiata nessuna delle feroci sofferenze di un vero e proprio processo mediatico per direttissima.
Qui la barriera della privacy non è stata infranta, non c’è mai stata!
Da sabato tutta Italia è a conoscenza che il presidente Marrazzo aveva una doppia vita. Lui, vittima di un ricatto da parte di quattro carabinieri, ne diventa mediaticamente il capro espiatorio.
Non fa tanto scandalo che quattro militari della Benemerita abbiano messo su addirittura un’associazione a delinquere a fini estorsivi ai danni del governatore del Lazio, quanto le sue private frequentazioni al di sotto di ogni sospetto, la cui divulgazione urbi et orbi ne sanciscono definitivamente l’azzeramento della sua vita pubblica e privata.
Eppure, allo stato degli atti, a Piero Marrazzo non vengono mosse dai magistrati contestazioni di reato.
Chissà perché, in men che non si dica, ancor prima di fare chiarezza completa, lo hanno scaricato sia gli avversari che i suoi stessi compagni di partito.
Ci si chiede se la Casta dei politici non abbia giocato ancora una volta una torbida partita.
E’ poi veramente inqualificabile la posizione degli esponenti del Pdl che, da un lato, ne hanno chiesto a gran voce le dimissioni mentre, dall’altro, continuano a difendere la posizione assai più imbarazzante del loro premier, coinvolto in vicende giudiziarie ben più pesanti e dalle quali si è pure sottratto con numerose leggi ad personam: epocale quella dell’incostituzionale lodo Alfano.
La condanna anche in appello dell’avvocato Mills dimostra che Silvio Berlusconi, la cui posizione processuale è stata stralciata proprio grazie al lodo incostituzionale, non può continuare a fare il presidente del Consiglio senza portare pregiudizio all’istituzione che rappresenta.
Ciò che vale per fatti privati del presidente di una regione deve valere, a maggior ragione, per il capo dell'Esecutivo, quando è in corso un procedimento giudiziario nei suoi confronti con capi di imputazione di obiettiva gravità.
E persino nella vicenda Marrazzo, Silvio Berlusconi, padrone della Mondatori, lo zampino ha finito per mettercelo: ad ulteriore conferma di un conflitto di interessi talmente gigantesco da mettere in crisi qualsiasi equilibrio istituzionale.
Che il Presidente del Consiglio abbia telefonato a Piero Marrazzo soltanto qualche giorno prima (pare il 21 ottobre) che scoppiasse lo scandalo per informarlo di un video compromettente ai suoi danni ed assicurargli che il suo gruppo editoriale non avrebbe pubblicato nulla di ciò, passandogli i numeri telefonici dell’agenzia che custodiva quel materiale, è la prova del nove di come non sia mai possibile sapere, di momento in momento, se agisca in Berlusconi l’uomo di Stato o il tycoon di un potentissimo gruppo economico con infiniti tentacoli.
Infine, che dire dei quattro carabinieri?
Di loro non si sa quasi niente, tranne che i loro capi li hanno liquidati come mele marce.
Eppure al momento sono gli unici incriminati di questa fosca vicenda: a dispetto dell’essere tutori dell’ordine, hanno ricattato il governatore del Lazio distruggendone per soldi la reputazione.
Le guardie che diventano criminali: perché i media sorvolano sulla questione?
Una cosa è certa: nessuna condanna penale, fosse pure la più esemplare, potrà mai risarcire il danno immenso che essi hanno inflitto in un colpo solo ad un uomo politico, alla sua famiglia, all’immagine dei Carabinieri ed alle Istituzioni.

lunedì 25 maggio 2009

Nulla di scandaloso nel "respingimento" di questo Pd

La politica italiana è arrivata ad un livello di degrado intellettuale (quello morale è superato da tempo!), come probabilmente non si era mai verificato nella storia repubblicana.
Non si era mai vista tanta povertà di idee e una così forte omologazione nella proposta politica da parte dei due grandi contenitori politici, PD e PDL, che, riflessi l’uno nell’altro, per attirare le simpatie di coloro che ancora resistono a guardarli, hanno imboccato decisamente la strada del reality show, sicuri di replicarne le fortune.
Repubblica, lancia in resta, si spinge a rinnovare i fasti di Cronaca Vera, con le famose dieci domande al premier su Noemi e famiglia.
Per capire quale sia la potenza di fuoco messa in campo da questa corazzata editoriale, basta rendersi conto che ormai nei media nazionali da quattro giorni a questa parte non si parla di altro ed il centrosinistra si uniforma alla politica scandalistica del gruppo De Benedetti, rilanciando per bocca dei suoi dirigenti, il questionario di D’Avanzo & c.
Tutti gli altri grandi temi, dalla crisi economica sempre più grave alla questione ammortizzatori sociali, dalla giustizia in stato catatonico al nuovo sviluppo economico verde, dai tagli indecenti a scuola e università alla ricostruzione in Abruzzo ancora da progettare, tutto, ma proprio tutto, è sparito sotto i colpi dell’ultima intervista del quotidiano di piazza Indipendenza, udite udite, al personaggio del momento: l’ex ragazzo di Noemi...
Che Repubblica ieri gli abbia dedicato oltre la prima pagina ben due pagine interne con tanto di foto a colori e riproduzione della lettera che la ragazza gli scrisse prima di Natale, ci fa rabbrividire: alla faccia del giornalismo d’inchiesta, siamo caduti nella morbosità stile Cogne!
Certamente, nessuno può accusarci di essere stati mai morbidi con Silvio Berlusconi che, lo ribadiamo, non avrebbe mai dovuto salire a Palazzo Chigi se la nostra fosse stata una vera democrazia; perché le leggi, prima ancora di un’opposizione presentabile, glielo avrebbero dovuto impedire.
Ma questo è il paese in cui l’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni appena acclamato vincitore delle primarie del 2007, tese la ciambella di salvataggio al Cavaliere, in caduta libera nei sondaggi e nel credito politico, dichiarando di volere concordare le riforme istituzionali proprio con lui, scaricando a stretto giro di stampa Prodi e i partiti della sua maggioranza e portando il Paese, inopinatamente, alle elezioni anticipate dopo appena 1 anno e mezzo di governo!
Questo è il paese in cui è tuttora in corso una durissima lotta di potere all’interno della casta dei politici, ma non in nome di principi costituzionali da salvaguardare o di interessi dei cittadini da difendere; unicamente allo scopo di una più ricca spartizione delle poltrone, un redde rationem tra potentati di varia matrice.
Il povero Dario Franceschini, che in questi mesi ha dimostrato di essere enormemente più abile di Veltroni, è suo malgrado espressione di quel gruppo dirigente che oggi si nasconde alle sue spalle: anzi trama nel dimenticatoio, nella prospettiva di un rilancio in grande stile.
Diverso sarebbe potuto essere il suo destino se sul suo nome si fosse coagulato un nuovo consenso nell’ambito di un congresso vero, che la nomenklatura non ha invece voluto celebrare, negandogli un mandato diverso.
Votare per il Partito democratico alla prossima tornata elettorale è, per l’elettore di centrosinistra, un po’ come gettarsi la zappa sui piedi: sai che soddisfazione a rivedere in primo piano i Fassino, D’Alema, Veltroni, Violante, Finocchiaro, i Bettini, cioè coloro che hanno permesso dopo pochi mesi a Silvio Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi con le chiavi del portone!
Coloro che hanno tifato per la doppia scalata Bnl-Antonveneta e hanno favorito l’ostracismo contro Clementina Forleo e, contemporaneamente, contro Luigi de Magistris, titolare dell’inchiesta Why Not, colpevoli solo di aver fatto rispettare la legge.
Per fortuna i successivi pronunciamenti della magistratura ci hanno restituito adesso l’immagine specchiata e fulgida di questi due valorosi magistrati e la vergogna di una classe politica che ha scomodato il Csm pur di bloccarli.
Al procuratore di Salerno Luigi Apicella sono giunti persino a togliergli lo stipendio: un provvedimento del genere non sembra sia stato mai preso, neppure contro magistrati collusi con la mafia!
Eugenio Scalfari, maître à penser del Partito democratico, nel suo ultimo editoriale di ieri si dimentica di tutte queste vicende e, proprio come se non fosse successo niente, si ostina a pensare che il significato delle Europee andrà valutato attraverso la misura del distacco che ci sarà tra Partito democratico e Pdl.
Ci racconta la solita favoletta: elettori delusi del centrosinistra, se non volete rafforzare Silvio Berlusconi, votate Partito democratico!
Purtroppo per lui, è vero esattamente il contrario: è stato proprio il Partito democratico di Veltroni, quello che l’anno scorso perse clamorosamente raggiungendo il 33% dei voti, in questo primo anno di legislatura a lasciare campo libero a Silvio Berlusconi ed al suo enorme conflitto di interessi.
Soltanto indebolendo la stampella del Cavaliere, questo inguardabile Partito democratico, nonostante il recente make-up a cui lo ha sottoposto il bravo Franceschini, si potrà fare piazza pulita di un gruppo di potere che domina il centrosinistra da quasi vent’anni e che ha permesso all’uomo di Arcore di regnare per oltre un decennio e farsi con tutta tranquillità tante leggi ad personam ed, in ultimo, il lodo Alfano, vero buco nero della nostro assetto Costituzionale.
Accusare Di Pietro, delle cui ambiguità ideologiche certo noi non gli facciamo sconto, di spalleggiare il Cavaliere semplicemente perché critica le perplessità, cioè le vischiosità del PD, nell’opporvisi fieramente, è un’autentica castroneria!
Purtroppo Scalfari fa finta di non comprendere che il successo berlusconiano del 2008 è dipeso in misura soverchiante proprio dal fatto che la classe dirigente del Pd, rinnegate le proprie origini e la sua presunta diversità morale, abbia indossato gli stessi abiti dei lacchè di Berlusconi, diventandone troppo spesso una pessima controfigura, cioè mal destra.
Per sentire ancora una volta Piero Fassino ragionare come fanno Maroni e La Russa, beh è decisamente meglio cercarsi i propri rappresentanti altrove: magari nel variopinto arcipelago di sinistra o nelle liste civiche di Beppe Grillo; o proprio nell’Idv di Antonio Di Pietro, della cui fiera opposizione al Cavaliere gli va oggettivamente reso merito.
Un’opposizione che trova più congeniale rinfacciare a Silvio Berlusconi le sue burrascose vicende extraconiugali, piuttosto che affondare il coltello sulla scandalosa vicenda Mills o sulla gravità della situazione economica o, ancora, sui dissennati tagli alla spesa pubblica decisi da Tremonti, è destinata all’ennesimo naufragio.
Prendendo in prestito le parole di Fassino, per gli elettori di centrosinistra, non c’è niente di scandaloso nel respingimento di questo Pd. Anzi.

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

lunedì 14 aprile 2008

Il peggiore risultato elettorale dai tempi della Resistenza

Probabilmente la sinistra italiana non avrà alcun rappresentante nel prossimo parlamento.
E’ una notizia che lascia senza parole.
Si può dire tutto il peggio possibile della classe dirigente di quei partiti che erano confluiti nel cartello elettorale “la Sinistra l’Arcobaleno” ma, di certo, non meritavano un risultato tanto disastroso, unico nella storia dell’Italia repubblicana.
Allontanato lo spettro del governo delle larghe intese, un’offesa per l’intelligenza degli Italiani e una grave lesione della nostra Costituzione, è giusto che Berlusconi, Bossi & c. possano governare indisturbati.
Ne vedremo delle belle…
Il segretario del PD Walter Veltroni ostenta soddisfazione ma ha dimostrato di non essere all’altezza del compito che tre milioni e mezzo di simpatizzanti gli hanno conferito nelle primarie, flirtando fino in fondo con Berlusconi dopo averlo rimesso in campo dal fuorigioco in cui era caduto nel novembre scorso.
Ha detto politicamente per mesi le stesse cose di Berlusconi cercando di attirare il consenso degli elettori semplicemente mostrandosi davanti alle telecamere più serio, più moderno, più preparato ma senza indicare alcun progetto politico alternativo.
Che cosa raccoglie? Forse un 1-2% in più della somma dei voti di DS e Margherita ma al prezzo della débacle di tutti i partiti di sinistra, grazie ad una campagna mediatica completamente bipolarizzata.
Davvero una grande pensata quella di presentarsi alle elezioni da solo!
E adesso teniamoci inceneritori, nucleare, ponte di Messina, precarietà del lavoro, leggi vergogna, monopolio televisivo, militari impegnati a fianco degli States in ogni angolo del Pianeta e… chi più ne ha più ne metta!
Il fronte antiberlusconiano è da rifondare con tutta la sua classe dirigente.
Un solo grido: tutti a casa!

domenica 6 aprile 2008

Per il dopo voto, si preannuncia la vera spallata

Ad ormai una settimana dalle elezioni il quadro politico italiano resta sconfortante.
La campagna elettorale affonda sotto sterili slogan e promesse al vento mentre tutto attorno stanno crollando, l’una dietro l’altra, le poche impalcature ancora in piedi dello stato sociale.
L’inflazione (finalmente se n’è accorta anche l’Istat!), è alle stelle: oltre al preoccupante livello raggiunto, 3,3% annuo, questo è il peggior dato degli ultimi dieci anni. Per ritrovare un tasso superiore occorre risalire addirittura al settembre 1996, con il 3,4%.
L’emergenza rifiuti in Campania (e non solo lì) è tutt’altro che superata, l’Alitalia è al collasso, adesso perde colpi anche il settore agroalimentare, investito da una pesantissima quanto improvvisa crisi che trova come capri espiatori la mozzarella di bufala e il vino (due indiscussi simboli del made in Italy) a causa della contaminazione da diossina e dell’adulterazione scellerata operata da alcune aziende vinicole miscelando sostanze tossiche.
Dal servizio di Report di qualche settimana fa, sappiamo con certezza che a pochi metri di distanza da discariche a cielo aperto in cui vengono illegalmente sversate e criminalmente bruciate montagne di rifiuti, si coltiva, senza nessun controllo sanitario, frutta e verdura destinate alle tavole degli italiani; mentre gli allevamenti di ovini situati nei paraggi subiscono un’ecatombe per aver brucato erba contaminata.
Ma il cahier de doléances non finisce qui...
Il disastro delle ferrovie italiane è quotidianamente confermato dagli sventurati che hanno ancora l’ardire di recarsi al lavoro utilizzando il treno.
Per capire in quali acque navighi la Telecom basta scorrere il listino di borsa o, più stoicamente, tentare il percorso ad ostacoli del 187, dove è già un successo riuscire a parlare con un operatore in carne ed ossa; che poi i singoli operatori diano, di volta in volta, risposte diverse ad una stessa reiterata richiesta è un particolare tutto sommato secondario.
Se la mission aziendale di Telecom è finire a Waterloo, i suoi manager possono già ritenersi soddisfatti.
Quanto alle società multiutilities, tra Enel, Eni e aziende locali, il cittadino consumatore è stritolato nella morsa dei prezzi in continua ascesa: poco importa se dipenda dal petrolio, dalla forza dell’euro, dalla rete distributiva o dai meccanismi di mercato poco trasparenti.. la corsa al rialzo non ha freni.
Per lo sviluppo di fonti alternative di energia (vedi fotovoltaico), qualche passo in avanti è stato fatto dal governo Prodi ma l’Italia resta ancora molto indietro rispetto ai maggiori paesi europei.
Sul fronte giustizia nessuna novità importante per i cittadini che si misurano quotidianamente con l’inefficienza cronica degli uffici giudiziari; la lotta alla criminalità organizzata langue, malgrado l’arresto di qualche nome di spicco.
Circa la situazione dell’ordine pubblico basta vedere cosa succede puntualmente ogni domenica quando è in programma qualche sfida calcistica di rilievo; intanto, restano impuniti i reati da macelleria messicana perpetrati da alcuni elementi delle forze dell'ordine durante il G8 di Genova del 2001.
Quanto alle cosiddette leggi vergogna, malgrado i roboanti proclami del centrosinistra e due anni di governo Prodi, restano ancora tutte in vigore.
Se poi volessimo approfondire i problemi irrisolti di scuola, università, ricerca scientifica, riforma della pubblica amministrazione, assetto istituzionale del Paese, riforma degli ordini professionali, ecc., già saremmo costretti ad issare bandiera bianca.
Si può concludere, senza nessun disfattismo, che non c’è settore della vita nazionale dove le cose vadano per il verso giusto grazie ad una politica illuminata.
La realtà è che i nostri politici non si stracciano le vesti né si sbracciano per intervenire a fondo sulle mille emergenze del nostro Paese. Al contrario, in una logica del tutto autoreferenziale, sono intenti a consolidare il loro status di privilegiati a dispetto dei cittadini che reclamano risposte concrete ai loro spinosi problemi. E' pur vero che molti di loro sono di una incompetenza disarmante.
Dello stato di malessere sociale in cui ci hanno ridotti non risponde più nessuno; per i leader dei due schieramenti diventa ininfluente persino il risultato elettorale.
Domenica scorsa, così si è pronunciato Walter Veltroni, leader del Partito Democratico, replicando a chi gli chiedeva che intenzioni avesse in caso di sconfitta elettorale: "Ho preso un impegno per fare un grande partito, il Pd, e continuerò ad assolvere l'impegno preso il 14 ottobre con tre milioni e mezzo di persone, lo farò fino a quando non potrà essere superato da una scadenza analoga, fino ad allora ho il dovere etico di continuare a guidare il Pd".
Dal canto suo, Silvio Berlusconi gigioneggia e coglie l’occasione di un incontro con la Coldiretti per mettere in piedi lo sketch della mozzarella: ne addenta un morso, porta la mano al cuore fingendo di accusare un malore, si flette all’indietro come avvelenato dalla diossina, poi se la mangia tutta d’un fiato mostrando sommo piacere.
Insomma, anche la brutta storia delle contaminazione alimentare diventa il pretesto per uno show di cattivo gusto.
Su un’altra ribalta, malgrado abbia fatto di tutto per arrivare alla rivincita elettorale, il Cavaliere dichiara di abbracciare malvolentieri la croce del governo anche perché certo di avere poi contro tutte le istituzioni: "Sappiamo di andare verso una situazione difficile, con tutte le istituzioni contro, la Corte, il Csm e la stragrande maggioranza dei giornali. E poi sappiamo che il premier non ha alcun potere. Ha solo l'autorità e il diritto di formulare l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri".
Come sia stato possibile che alcuni mesi fa Veltroni, con Prodi ancora ben in sella a Palazzo Chigi, abbia dato credito ad un tale personaggio per progettare le riforme istituzionali, resta un mistero.
Per fortuna, mancano solo sette giorni alla fine di questo spettacolo indegno, con i due maggiori protagonisti che fingono di tirarsi fendenti ma sotto sotto aspirano alle oligarchiche larghe intese, ovvero a dare l'ultima spallata alla nostra democrazia rappresentativa.

domenica 30 marzo 2008

La campagna promozionale di PD - PDL: è partito il "Fuori Tutto!"

Il Financial Times, come abbiamo visto nella corrispondenza da Roma di sabato 22 marzo, ha ridicolizzato la campagna elettorale italiana.
In particolare ha preso di mira Walter Veltroni e Silvio Berlusconi che hanno cercato al momento della formazione delle liste (folcloristica, potrebbero dire gli inglesi), di modellare il prossimo Parlamento a propria immagine e somiglianza.
Che il prestigioso quotidiano economico dica qualcosa che è sulla bocca di tutti, qui in Italia, non ci meraviglia: non a caso Beppe Grillo ha preannunciato da giorni di poter dare un nome e cognome ai prossimi senatori e deputati molto prima che si aprano le urne per votare.
Ciò che stupisce è che mentre di solito il Financial Times viene citato dalla stampa di casa nostra ad ogni stormir di fronda con l’enfasi dell’Enciclopedia Britannica, in questo caso l’editoriale è passato del tutto inosservato.
Eppure questa volta sarebbe stato assai opportuno raccontare come dall’estero si guardi alla politica italiana in un momento così delicato.
Ma i media, bipolarizzati tra Partito Democratico e Popolo delle Libertà, hanno deciso di tacere, a dimostrazione di quanto abbiano a cuore i princìpi di trasparenza e di completezza dell’informazione e, quindi, in quale considerazione tengano i cittadini e la società civile.
Il giudizio caustico del Financial Times ha avuto, guarda caso, una qualche eco proprio su Il Messaggero di Roma, che fa capo al gruppo Caltagirone; e, come si sa, l’UDC di Pierferdinando Casini, marito di Azzurra Caltagirone, si è recentemente smarcato dall’asse Veltrusconi e gareggia per conto suo.
Sta di fatto che i due colossi dai piedi d’argilla, dopo aver mandato a picco una legislatura con tre anni di anticipo, stanno affondando anche questa campagna elettorale, riempiendola di vuoti slogan e di proposte per il dopo voto così estemporanee e insulse da rasentare il ridicolo: come quella di aumentare le pensioni minime di 400 euro all’anno per gli ultrasessantacinquenni.
Certo, meglio di niente, si è tentati di dire.
Ma tale aumento come verrebbe finanziato? Con il famigerato tesoretto o tagliando risorse da qualche altra parte? E perché non ci si è pensato prima, magari durante quella che doveva essere la fase due del governo Prodi? Infine, perché tale idea non è stata riportata nero su bianco e con tutti i riferimenti del caso nel programma elettorale del Partito Democratico?
Insomma, è una proposta che Veltroni ha buttato lì, tanto per fare clamore e smuovere le acque stagnanti di questa plumbea corsa al voto.
Il classico coniglio tirato fuori dal cilindro, secondo uno stile da televendita che, paradossalmente, ha reso celebre proprio il suo avversario di Arcore.
Se questo deve essere il livello del confronto tra i due partiti, suggeriamo a Veltroni di rendere più allettante la sua offerta promozionale aggiungendo per ogni pensionato magari un servizio di piatti da sei in fine porcellana ed un set di valigie da viaggio in similpelle con serratura di sicurezza.
Berlusconi, da par suo, per ottenere una maggioranza sicura al Senato, potrebbe rispondere promettendo ai suoi elettori di età superiore ai 25 anni un abbonamento gratuito per un anno al digitale terrestre con tutte le partite in diretta della squadra del cuore…
Ormai è chiaro: invece di rispondere al grido di Beppe Grillo Fuori tutti!, PD e PDL si danno al Fuori Tutto! cercando di accalappiare gli elettori con promesse elettorali sottocosto.
Che squallore!

lunedì 24 marzo 2008

Dopo il voto, c'è sempre la Casta

Nel giorno di Pasquetta, è possibile tirare una linea e fare un primo bilancio della campagna elettorale, ormai a tre settimane dal voto.
Alcuni osservatori che vanno per la maggiore l’hanno definita la miglior campagna elettorale della seconda repubblica ma questo dimostra, una volta di più, come il mondo dell’informazione sia agli antipodi del mondo reale.
Sì, perché mai come in quest’occasione la campagna elettorale si trascina, a voler essere generosi, nella più completa indifferenza: pochi comizi, poca gente in piazza, molti nervi scoperti quando qualcuno la mette in politica, anche se sta semplicemente sorseggiando un caffé al tavolino di un bar.
Molti leader, in viaggio per lo Stivale, vengono accolti da sparuti gruppi di curiosi, con qualche luogotenente locale che cerca alla men peggio di organizzare la claque.
Ormai le riunioni politiche si fanno in luoghi chiusi perché in piazza la desolazione che li accompagna sarebbe veramente insopportabile.
E’ la campagna elettorale dove solo i segretari di partito battono il Paese provincia per provincia: i candidati prescelti se ne stanno al calduccio, in attesa che il leader passi dal loro collegio per organizzare su due piedi un incontro pubblico in cui lo affiancheranno silenziosi per poi tornarsene disciplinati dietro le quinte.
Beppe Grillo ha detto che prima del voto pubblicherà i nomi degli eletti delle prossime elezioni: ha perfettamente ragione, dato che tra collegi blindati e candidature decise a tavolino, il prossimo Parlamento ha una fisionomia già ampiamente nota.
Non è difficile pronosticare che sugli scranni parlamentari siederanno gli amici degli amici degli amici e, mentre il giudice Clementina Forleo è lasciato solo a subire una vera tempesta disciplinare per lo zelo dimostrato nell’inchiesta Antonveneta, molti furbetti del quartierino varcheranno i portoni di Montecitorio e Palazzo Madama per infliggerci un sonoro schiaffo immorale.
Ormai la campagna elettorale resta appannaggio degli schermi televisivi dove, tra Berlusconi e Veltroni, siamo alle comiche: l’uno che dice di avere in tasca la cordata di imprenditori che salverà l’Alitalia; l’altro che gli rinfaccia di bluffare, forse memore del pessimo stato in cui gli ultimi capitani coraggiosi hanno lasciato la Telecom.
Entrambi si accusano vicendevolmente di ripetere le stesse cose ma poi, con sfumature diverse, concordano sul voto utile.
Per interrompere le prove tecniche di Veltrusconi, è dovuto intervenire addirittura il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricordando ai due che non esiste il voto inutile.
Ma è possibile che l’Italia si meriti uno spettacolo così scialbo?
Possibile che la classe politica non sappia alzare il livello del confronto dialettico al di sopra del goffo duello tra i leader di PD e PDL e non sappia vedere nella campagna elettorale un’ultima occasione per entrare in sintonia con il cupo umore del Paese?
Perché non è solo questione di una pessima legge elettorale: quella a cui assistiamo ormai quotidianamente è proprio una grave crisi di identità della Casta, la sua anticipata rinuncia a qualsiasi serio progetto di cambiamento della società italiana.
Insomma, quando non combinano direttamente guai, spesso i nostri politici non hanno la minima idea di come affrontare i problemi del Paese e si limitano a gestire male l'ordinaria amministrazione.
In questo senso il caso Alitalia è molto simile all’emergenza rifiuti a Napoli: entrambe le questioni dimostrano l’impreparazione, l’insipienza, l’ottusità della nostra classe dirigente, al di là della casacca indossata.
Problemi fatti incancrenire per anni senza mai il coraggio, o forse l’orgoglio, di venirne a capo sciogliendone finalmente i fili aggrovigliati: si decide di non decidere per non ostacolare i corposi, illegittimi, interessi di pochi; molto spesso illeciti.
Ma che razza di democrazia è quella che si piega alle pressioni oligarchiche e resta del tutto indifferente ai problemi della generalità dei cittadini?
Siamo stanchi di persone che aspirano solo ai privilegi della politica ma non vogliono sopportarne gli inevitabili, pesanti oneri.
Chi è in corsa per cariche pubbliche deve dimostrare di possedere non solo probità morale ma anche adeguate competenze professionali.
Ma nelle condizioni di disfacimento interiore in cui è da tempo caduta, la Casta non è emendabile.
Un esempio su tutti: appena Veltroni ha provato a sollevare la questione dei mostruosi stipendi di deputati e senatori è stato duramente attaccato proprio dai suoi colleghi parlamentari che, forse accusandolo di uno sgarro, gli hanno subito rinfacciato la lauta pensione di cui già gode.
Segno evidente che solo energie nuove, non compromesse con la vecchia nomenclatura, possono effettivamente recidere quei legami incestuosi che hanno reso irrespirabile l’aria nei palazzi della politica.
Il paradosso è che, contro il comune buon senso e a dispetto delle pungenti, circostanziate critiche di Beppe Grillo e dei suoi tanti sostenitori, il prossimo Parlamento deciso a tavolino dalle segreterie di partito è sul nascere un'istituzione oligarchica, incapace per vizio originale di dare le risposte che una democrazia costituzionale affida al suo massimo organo legislativo.

lunedì 10 marzo 2008

Tra programmi stracciati e possibili scalate...

La campagna elettorale è arrivata al punto di svolta: con la definizione delle liste elettorali, che il porcellum affida totalmente alle segreterie di partito, si è scatenato un fuoco di polemiche sui nomi dei candidati prescelti.
E’ un gioco al massacro che non risparmia nessuno e di cui tutti sono nello stesso tempo vittime e carnefici.
Veltroni ci ha messo del suo con la pessima idea di chiuderle con una settimana di anticipo; il risultato è stato quello di farsi fagocitare per sette giorni nel tritacarne mediatico delle critiche di ogni provenienza, anche la più dubbia, e di dover poi restare fermo sulla difensiva.
Ancora una volta, lo staff democratico ha toppato clamorosamente; ma ormai non è più una notizia.
Anche sul fronte opposto non se la passano un granché bene: dopo il no dell’ex presidente della Confindustria Antonio D’Amato, si cercano rincalzi dell’ultima ora ma sempre nelle file degli imprenditori.
Ormai Confindustria nel duello mediatico PD-PDL la fa da padrona e già questo la dice lunga sullo stato confusionale in cui versano i due colossi politici.
Tentare di chiarirsi le idee leggendo i loro programmi elettorali è da masochisti: molto meglio commentare le loro ultime scorribande televisive.
Il fatto che al Palalido di Milano il Cavaliere abbia stracciato simbolicamente il programma del PD può far storcere il naso ai benpensanti ma sostanzialmente fotografa la disillusione che regna sovrana nell’elettorato, dove serpeggia tanta voglia di astensionismo.
Veltroni, con maggior fair play, non farà altrettanto con quello di Berlusconi semplicemente perché è una fatica sprecata: infatti, chi ci bada a questi specchietti per le allodole?
In questa finta sfida non sono i programmi che contano: la competizione si basa sulla diversità di temperamento dei due leader e sul loro appeal mediatico; il resto è noia.
Qualunque risultato esca nel derby PD-PDL, il governo prossimo venturo farà più o meno le stesse cose: taglierà ancora una volta la spesa pubblica, distribuirà a pioggia qualche euro, varerà grandi inutili opere pubbliche, lascerà le leggi vergogna al loro posto, occulterà il disegno di legge sul conflitto di interessi in qualche soffitta polverosa di Montecitorio.
E’ forse un caso che il programma del Partito Democratico parli di legge antitrust in modo puramente accademico? A pag. 27, il punto 5 dell’ottava azione di governo (sulle dodici elencate) dice testualmente: “Infine i conflitti di interesse vanno rimossi nella nuova logica dell’intervento pubblico: li elimina uno stato che fa meno gestione diretta, concentrandosi su leggi antitrust”.
Ma l’ingrato Berlusconi, invece di ringraziare Veltroni per la mano leggera promessa in materia, lo sbeffeggia pubblicamente riducendone in pezzetti svolazzanti i suoi propositi da premier!
Comunque, da grande comunicatore quale è, il suo è stato solo un coup de théâtre: tranquilli, il governo Veltrusconi sta venendo fuori alla grande.
E se Beppe Grillo e i suoi sostenitori non alzeranno ancora una volta la voce, c'è il rischio che tra poco la strana coppia potrebbe festeggiare la fusione di Mediaset con Telecom Italia, in disprezzo del buon senso e degli interessi strategici del Paese, prima ancora che di una seria normativa antitrust. Al momento è soltanto un'illazione ma la classe politica, piuttosto che accapigliarsi sulle guasconate del Cavaliere, farebbe molto meglio a preoccuparsi di cose assai più serie come, appunto, l'assetto societario della nostra compagnia di bandiera nel settore delle telecomunicazioni.
Infatti la società telefonica, con un altro 12% perso tra venerdì scorso ed oggi, è scesa ai minimi del valore di Borsa fin quasi dai tempi della sua privatizzazione ed è diventata, quindi, un'ottima preda.
Vi ricordate la stagione dei capitani coraggiosi? Nel frattempo, memore di quelle gesta eroiche (la scalata Telecom ad opera della razza padana fu definita una rapina in pieno giorno dal Financial Times), il PD schiera in lista il figlio di uno di loro, Matteo Colanino.
Ma forse il piatto forte i piccoli azionisti Telecom lo devono ancora assaggiare: dopo i capitani, sono in arrivo i cavalieri?

lunedì 3 marzo 2008

PD - PDL, l'alleanza impossibile dei due partiti "transgenici"

Nell’ultimo Bestiario, la rubrica che tiene da anni su L’Espresso, il giornalista Giampaolo Pansa scrive: “La verità a me sembra una sola. Chiunque vinca le elezioni, sarà obbligato a proporre alla parte sconfitta di fare un governo insieme, per non essere travolti tutti dal disastro.” E conclude: “In altre parole, tanto il Popolo della Libertà che il Partito Democratico non dovranno temere di veder nascere un Berlusvalter o un Walteroni, affidato ad un premier fuori dalla mischia. E vada al diavolo chi strillerà al super-inciucio!”
A parte il fatto che il nome più indicato per un esecutivo del genere dovrebbe essere Veltrusconi, siamo veramente al paradosso: mancano circa quaranta giorni alle elezioni politiche ed un’altra firma di rilievo del giornalismo italiano si unisce al coro di chi, sotto la cenere della campagna elettorale, soffia sul fuoco di un governissimo tra PD e PDL.
Come a dire: Italiani, per due mesi la Casta giocherà a “Chi è il più bello del reame?” ma, una volta scrutinate le schede elettorali, tornerà compatta nell’addossare per intero sulle spalle dei cittadini la grave crisi economica.
Sì, perché a conforto dell’ipotesi di un governo di larghe intese Pansa ed altri osservatori adducono la grave situazione in cui è precipitata la nostra economia.
Insomma, con le prossime elezioni si sperperano centinaia di milioni di euro soltanto per testare l’appeal dei due neopartiti, ma già adesso si ritiene che, per dare avvio il prima possibile ad un’altra stagione di politica economica lacrime e sangue (ma quand’è finita la precedente?), l’esito del voto sarà ininfluente nel decidere la nuova compagine di governo.

Come a dire: finora noi politici abbiamo scherzato spendendo alla faccia di Voi cittadini ingenti risorse economiche per questa finta competizione elettorale ma, da adesso in poi, ci impegniamo a trovare un accordo trasversale per farvi tirare la cinghia ancora di più.
E’ un ragionamento aberrante che si fonda sull’idea che la nostra è una democrazia virtuale, dove la Casta gioca a wrestling simulando lo scontro tra i due "partiti frankenstein", PD e PDL.
Scontro soltanto fittizio, perché alla fine dello spettacolo, i due colossi politici il cui codice genetico è stato manipolato dai rispettivi leader per gonfiarne l'elettorato a dismisura, torneranno d’amore e d’accordo salutando con un inchino il pubblico pagante.
Bravo Pansa! Invocando un governo di salvezza nazionale per gestire la crisi economica, ci sta dicendo brutalmente che la sovranità non risiede più nel popolo ma nei partiti; cioè, la nostra Costituzione è carta straccia e vale molto meno della legge porcata di Calderoli.
Di più, per meglio confezionare il pacco agli Italiani, Giampaolo Pansa suggerisce che a presiedere il nuovo governo non debba essere né Berlusconi né Veltroni: probabilmente teme che qualche cittadino finisca per arrabbiarsi di brutto di fronte a questo ennesima costosa presa in giro.
Meglio un premier fuori dalla mischia, purchè garante dell’ammucchiata prossima ventura.
Conclusione sconfortante: non basta il premio di maggioranza, non basta la spinta transgenica del bipartitismo, non bastano le liste bloccate di pugno dai segretari di partito; per governare l’Italia in crisi economica ci vuole il partito unico!
E’ un po’ come affermare che in Italia un governo politico, espressione di una maggioranza elettorale, ci possa essere solo quando non ci sia granché da fare, magari per l’ordinaria amministrazione; ma nei momenti importanti, devono essere i poteri forti a prendere in mano le redini della situazione, meglio se sotto le mentite spoglie del governo di salvezza nazionale.
Purtroppo non è bastato a ridare smalto alla politica italiana la nascita dei due nuovi partiti con tecniche simili a quelle usate in ingegneria genetica.
Addirittura Pansa ed altri opinionisti à la page ritengono che sia adesso scoccata l’ora dell’inseminazione artificiale tra PD e PDL per far nascere il primo governo ogm della storia d'Italia!

Ma i progressi tecnologici della politica non possono nascondere un’amara verità: in un sistema elettorale a vocazione maggioritaria (cioè, dove è previsto un premio di maggioranza), il governo di PD e PDL sarebbe il governo dei poteri forti e il suo varo rappresenterebbe una grave violazione della sovranità popolare sancita dall’art. 1 della Costituzione.
Ciò in considerazione del fatto che il premio di maggioranza viene attribuito proprio per dare maggior peso parlamentare ed autonomia di governo al partito vincente, non certo per consentirgli una più comoda spartizione di poltrone con il partito sfidante che, a ben vedere, risulterebbe così solo per finta perdente.
Diversamente, il sistema maggioritario sarebbe incostituzionale perché discriminerebbe in modo grave le formazioni politiche minori le cui capacità di rappresentanza elettorale e di influenza politica verrebbero di fatto azzerate.

Auspicare una soluzione del genere è quindi voce dal sen sfuggita; comunque, l’ennesima conferma del legame di ferro che unisce politica di palazzo, carta stampata e circuito radiotelevisivo: mondi solo all’apparenza separati.
Si dà il caso che, fuori dalla campana di vetro in cui essi si sono comodamente sistemati, la gente comune è costretta, per restare a galla, a compiere sforzi non più a lungo sopportabili.
Perciò un eventuale governo transgenico PD-PDL non solo violerebbe la sovranità popolare ma, essendo sprovvisto per peccato originale di un chiaro e condiviso modello culturale di riferimento, non sarebbe minimamente in grado di affrontare e risolvere con il consenso sociale necessario gli intricati problemi di un’economia in declino.

A meno che esso non si occupi soltanto di approvare con la massima rapidità possibile una nuova legge elettorale e ci traghetti di nuovo alle urne, da celebrarsi immediatamente dopo con le nuove regole.
Ma il rischio che poi la situazione sfugga di mano e che l'Italia precipiti in un nuovo otto settembre è così alto da non prendere minimamente in considerazione un simile scenario.