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martedì 12 febbraio 2008

E' partita la campagna acquisti in vista delle elezioni

Sul CorrierEconomia dell’11 febbraio, compare un interessante ritratto, a firma del giornalista Enrico Marro, di Renata Polverini, giovane e vincente leader dell’Ugl, il sindacato della destra, già Cisnal (prima del cambio di nome avvenuto nel 1996).
Quel movimento che per tanto tempo è stato la finestra nel mondo del lavoro del vecchio Msi, il partito di Giorgio Almirante, buono “a dar voce ai nemici acerrimi di Cgil, Cisl e Uil”, ha trovato in questa donna neo-segretario, perfetta sconosciuta fino a due anni fa, la guida giusta per bruciare le tappe della visibilità mediatica.
Giovanni Floris, il conduttore di Ballarò, la invita così di frequente nel suo salotto televisivo (insieme ad altri politici ed “esperti” habitué) che ci fa sorgere qualche dubbio su quale sia il sistema di reclutamento per le comparsate serali negli studi Rai (non osando guardare dalle parti della cosiddetta concorrenza!).
Sembra che l’impareggiabile segretario del PD, Walter Veltroni, adesso le farebbe la "corte" in vista di una eventuale candidatura alle prossime elezioni politiche.
Nulla da eccepire sulla persona: se è riuscita a sdoganare (anche grazie alla collaborazione, guarda caso, dello stesso Veltroni che due anni fa si recò al congresso di Roma dell’Ugl per portare il suo personale saluto a quell’assemblea), un sindacato votato altrimenti ad una presenza di testimonianza, è sicuramente brava e senz’altro merita il successo che sta avendo.
Ma riesce difficile far digerire ai tanti italiani, da tempo in crisi anafilattica per colpa della politica, come sia possibile che, da un estremo all’altro degli schieramenti politici, Fini e Veltroni si contendano per le candidature le stesse persone.
E’ vero, il porcellum elettorale lascia la scelta dei candidati alle segreterie dei partiti: uno scandalo con profili di incostituzionalità assolutamente evidenti. Con la conseguenza che ogni segretario di partito sceglie per le liste chi gli pare.
Ma è possibile che, dopo aver inscenato per giorni il piagnisteo circa la dichiarata impossibilità di andare a votare con questa pessima legge elettorale, il leader del PD sia diventato di colpo così spregiudicato nello sfruttarne le mostruosità giuridiche, pescando i candidati a destra e a manca?
Già le cronache ci hanno segnalato il suo interessamento per Luca di Montezemolo, presidente della Confindustria, prima ancora per la moglie di Berlusconi; ed ancora per Mario Monti, due volte commissario europeo, per Sabrina Ratti, moglie dell’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo.
Ma non basta: secondo quanto riportato da Repubblica, nel mirino di Veltroni ci sarebbe “la leader di Confindustria campana Cristiana Coppola, la giovane imprenditrice che ha ereditato dalla famiglia il Villaggio omonimo, un ecomostro che lei stessa ha deciso di abbattere. La Coppola è considerata vicina a Silvio Berlusconi, ma per lei il Pd ha già prenotato un posto in lista”.
Insomma, un saccheggio a piene mani nel campo avversario che appare indecoroso (prima che stolto) e assai mortificante per i simpatizzanti del PD, chiamati a votare nomi certo importanti ma del tutto estranei alla matrice culturale e sociale di appartenenza.
Una lista di candidati costruita a tavolino, con scambi di telefonate nel chiuso della segreteria di partito, dosando gli ingredienti in maniera opportuna, attenti agli equilibri interni, con uno sguardo allo share televisivo; insomma, un piatto per palati raffinati che non disdegna i sapori popolari: ecco quindi che un pizzico di sano operaismo (vedi la possibile candidatura di uno dei sopravvissuti al rogo della Thyssen Krupp) ci può stare e non mandare il tutto di traverso all'élite che conta.
Un brutto pasticcio, reso possibile proprio da questa legge elettorale antidemocratica, dove i candidati non sono espressi dalla base ma designati dal vertice dei partiti.
Con un corollario sconfortante: qualunque sarà l’epilogo di questa sconsiderata campagna elettorale, gli attuali gruppi dirigenti l’avranno comunque vinta.
Infatti, in caso di malaparata, è pensabile che i vertici politici possano essere sfiduciati proprio dai neoeletti che ne hanno beneficiato conquistandosi il seggio parlamentare per decisione presa dall’alto, proprio al momento della stesura delle liste?
Ecco perché Veltroni si permette il lusso di far correre il Partito Democratico da solo, giocando chiaramente d’azzardo: male che vada, nessuno ne potrà mettere in discussione la leadership, perché la legittimazione politica degli eletti è diretta emanazione del vertice e non della base.
Statene certi, all’indomani di questa finta competizione elettorale, saremo condannati a ritrovarci sempre in prima o seconda serata tv, Fassino, Veltroni, D’Alema, Franceschini, Fini, La Russa, Alemanno, Casini, Dini, Mastella, Bordon, Bonino, Maroni, Berlusconi, Bondi, Schifani.. tanto per citare alcuni tra i maggiori frequentatori degli studi televisivi.
Sempre pronti, nella veste di salvatori della patria, a dispensarci le loro preziose ricette per il bene comune, ad ammonirci a fare altri sacrifici, imperturbabili sul ponte di comando mentre la stella italica va a picco.

lunedì 4 febbraio 2008

La Casta si prepara alle elezioni

Dopo aver detto tutto il male possibile dell’attuale legge elettorale, la Casta si prepara a chiedere di nuovo il consenso dei cittadini con le ormai prossime elezioni.
Che questo fosse l’epilogo naturale della crisi di governo era scontato. Che, però, si torni alle urne con la tanto contestata legge porcellum dopo due soli anni di legislatura, senza che nessun politico si assuma la responsabilità di questo ennesimo strappo alle regole istituzionali, è veramente scandaloso.
Facciamoci caso: nessuno ha ancora parlato e, probabilmente, nessuno parlerà dei costi esorbitanti di questo ennesimo appuntamento elettorale: 500 milioni di euro, per tenerci prudenti, da spendere nel momento meno opportuno, con un Paese in piena emergenza economica.
Non ne parla il centrodestra che le elezioni le ha chieste da sempre, sin dal momento in cui due anni fa Romano Prodi varcò il portone di Palazzo Chigi.
Non ne parla il centrosinistra che dalla nascita del Partito Democratico non ha più trovato pace: con Walter Veltroni che, pur di sbarazzarsi degli alleati dell’Unione, si è reso disponibile a dare una mano a Berlusconi, riportandolo sul ponte di comando del Polo.
Ma il Cavaliere, da bravo uomo d’affari, sa giocare contemporaneamente su più tavoli: prima, ha finto un interessamento alle riforme istituzionali proposte da Veltroni; poi, quando si è visto riabilitato da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo principale sfidante nella prossima contesa elettorale, gli ha rovesciato il tavolo addosso, lasciandolo annaspare in mezzo al guado.
Così il sindaco di Roma, a cui i cittadini della capitale dovrebbero chiedere di fare a tempo pieno il mestiere per cui viene pagato piuttosto che perdere tempo con il Cavaliere, si è ritrovato all’improvviso senza un governo, senza le riforme e, al limite, senza un partito, perché parte dei suoi dirigenti, con tutti i suoi ultimi passi falsi, si interrogano seriamente sulla sue qualità di leader.
Di fronte ad una casta così insipida ed impermeabile al malcontento che sale dalla società, va a finire che per i media la colpa di questo sfascio, come il classico cerino, resti in mano al procuratore di Santa Maria Capua Vetere che ha mandato agli arresti domiciliari per qualche giorno la moglie di Mastella.
Incredibilmente la Casta, dopo averci portato sull’orlo del baratro istituzionale, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità addossando la croce sulla magistratura, come fa da oltre 15 anni, cioè dai tempi di Mani Pulite.
Ma no, forse la colpa è di Michele Santoro che con il suo Anno Zero, ha l’imperdonabile vizio di portare sotto i riflettori Rai le gravissime colpe della nostra classe dirigente.
Sì, perché per il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Michele Santoro ha violato il pluralismo».
Prendendo di mira la puntata sul caso Mastella-De Magistris, quella sulla riforma Tv, l'altra sulla vicenda Forleo-D’Alema e l’intercettazione Berlusconi-Saccà, il presidente dell’organismo di garanzia Corrado Calabrò così ne stigmatizza l’operato: «In televisione il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice».
E fingendo di non voler censurare nessuno, amplifica la sua reprimenda affermando che ciò «non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione. Ma l'informazione non può diventare gogna mediatica nè spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità ».
Siamo al paradosso: espressione di amore per la verità sarebbero, a questo punto, i panini confezionati dal Tg1, la cronaca nera urlata dai Tg Mediaset, il notiziario di Emilio Fede oppure il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa: basta visitare il sito di Beppe Grillo per rivedere sequenze di quell’informazione televisiva che per il Garante delle Comunicazioni sarebbe equilibrata, obiettiva, veritiera, non essendo mai intervenuto per criticarla, men che meno per sanzionarla.
Magari per Calabrò il massimo della conduzione giornalistica è quella dimostrata da Giovanni Floris che, nella puntata del 22 gennaio del suo programma, ha lasciato che Pierferdinando Casini desse ripetutamente del cialtrone ad Alfonso Pecoraro Scanio senza battere ciglio, quando un minimo di deontologia gli avrebbe dovuto suggerire di riprendere severamente il leader UDC.
Ma ormai siamo da tempo assistendo ad un pessimo spettacolo che si replica sempre più frequentemente negli studi televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle aule parlamentari, nelle commissioni disciplinari del Csm, nelle invettive pronunciate dal ministro della giustizia contro la magistratura, nelle corsie ospedaliere attraversate da primari rigorosamente con la tessera di partito, in un escalation di comportamenti gravissimi che, a causa della lottizzazione sistematica di ogni spazio decisionale, sta provocando nei cittadini oltre una grandissima rabbia, una più preoccupante nausea, con il rischio una fortissima astensione quando si arriverà alle urne.
Chi disprezza compra, recita l'adagio e questa legge elettorale "porcata" in fondo fa comodo a molti, in primis proprio alle segreterie di partito che potranno stilare in tutta comodità le liste lasciando agli elettori un'alternativa secca: prendere o lasciare.
La Casta, al minimo storico di popolarità, si gioca così il tutto per tutto, sfidando in modo temerario l'elettorato: alle prossime consultazioni, ancora una volta, dovremo votare i loro nomi.
Il rischio dell'astensionismo è forte ma proprio per questo non sorprendente: ogni forza politica avrà facile gioco ad imprecare pubblicamente contro il porcellum, salvo stropicciarsi le mani dietro le quinte per aver imposto ai cittadini le proprie scelte.
A meno che l'esercito degli astensionisti imbufaliti non raggiunga dimensioni tali da sconvolgere i piani di questa classe politica che, con incredibile leggerezza, continua a giocare d'azzardo con le nostre Istituzioni.

mercoledì 30 gennaio 2008

L'isolazionismo suicida del Partito Democratico

Nel domenicale del 27 gennaio, Eugenio Scalfari difende a spada tratta il leader del PD Walter Veltroni, negando che sia uno dei principali responsabili della crisi di governo.
Eppure i fatti parlano chiaro: certo, si sono sfilati dalla maggioranza Dini e Mastella e con loro una pattuglia di senatori; uno di questi è quel Barbato che si è reso sciagurato protagonista di un comportamento vergognoso contro il suo collega di partito nell’austera Aula del Senato al punto da farlo svenire sotto gli occhi delle telecamere, dimostrando a milioni di italiani di quale pasta siano fatti alcuni dei nostri rappresentanti nel massimo consesso parlamentare.
Uno sconcio per il nostro Paese rimbalzato via Internet in ogni angolo del pianeta. In un paese serio, costui sarebbe già stato espulso dal Parlamento.
Ma senza le stecche reiterate di Veltroni, probabilmente il patatrac del Professore non si sarebbe verificato adesso.
Perché la cosa più incredibile è che il governo Prodi non è caduto per aver sfiorato i suoi nervi scoperti: il tema giustizia con gli strascichi della vicenda Forleo e De Magistris, le leggi vergogna ancora tutte in vigore, la sempre rinviata legge sulle televisioni, la gravissima questione salariale, l’emergenza rifiuti in Campania.
A spazzarlo via purtroppo non è stato neppure il ciclone Beppe Grillo che tuttavia è divenuto in pochissimo tempo un fattore di cui, finalmente, bisognerà tener conto per gli sviluppi futuri della politica italiana.
Ed è anche ingenuo ritenere che l’agguato a Prodi sia dipeso dagli arresti domiciliari della moglie di Mastella: quell’episodio ne è stato un semplice pretesto, per giunta già rientrato, con la sua rimessa in libertà.
La vera ragione della crisi è stata il fallito tentativo di riforma della legge elettorale, affidato ai vertici Veltroni - Berlusconi, a cui hanno fatto seguito le improvvide dichiarazioni del sindaco di Roma secondo cui il partito democratico avrebbe corso da solo alle prossime elezioni.
Contenuto, forme e tempi scelti dal neosegretario del PD non avrebbero potuto essere più infelici: a voler pensare bene, è stato un dilettante allo sbaraglio; i maligni invece direbbero che, pur di fare le scarpe a Prodi, ha finito per gettarsi la zappa sui piedi.
Per difendere Veltroni, Scalfari è costretto ad andarci leggero con Mastella, perché se quest’ultimo è stato l’esecutore materiale della débacle ministeriale, è probabile che il mandante sia da ricercare dalle parti del Circo Massimo, dove si trova il loft democratico.
Così il fondatore di Repubblica finisce per contestare al politico di Ceppaloni soprattutto la citazione pronunciata in Senato della poesia di una poetessa brasiliana “Lentamente muore”, preferendogli i versi di Ungaretti di “Allegria di naufragi”: “Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”.
Disquisizione dotta, non c’è che dire, ma surreale data la gravità della crisi politica italiana.
C’è evidente sarcasmo nella critica mossa da Scalfari a Mastella; niente di paragonabile, comunque, al suo viscerale risentimento verso Pecoraro Scanio, Diliberto, Giordano: sono tutti brutti, sporchi e cattivi, sembra continuamente volerci dire.
Anche questa volta non resiste alla tentazione di accomunarli a Mastella e Dini, quali responsabili della caduta di Prodi.
Eppure le cose non stanno così.
Se Prodi è caduto, la responsabilità politica è tutta dei cespugli di centro, cioè di quel ventre molle dell’alleanza di centrosinistra che non ha mai dato tregua al Professore sin dal varo dell’esecutivo: Dini, Mastella, Bordon, Fisichella i principali indiziati.
Le insidie più gravi sono venute da lì e dalla dissennata politica isolazionista di Veltroni che dalle primarie di ottobre ha, in 90 giorni, resuscitato Berlusconi, in caduta libera dopo la sua goffa spallata al governo. Non solo, ha demolito l’Unione, prima con il tentativo di modificare la legge elettorale cercando l’accordo a due con il Cavaliere, poi dichiarando, con Prodi ancora in sella, di correre da solo alle prossime elezioni.
E’ ancora incomprensibile come la classe dirigente del partito democratico abbia potuto commettere così tanti errori di fila, rimettendo in gioco Silvio Berlusconi come leader del centrodestra.
La cosa più angosciante è che lo staff veltroniano non solo non recita il mea culpa ma baldanzosamente rilancia la propria politica fallimentare.
Non più tardi di ieri sera, nella trasmissione di Giovanni Floris, Ballarò, la senatrice Angela Finocchiaro ha insistito sul fatto che il Partito Democratico non snaturerà il proprio programma elettorale per cercare l’accordo con la sinistra dell’Unione: una dichiarazione d’intenti che, numeri alla mano, significa consegnare il paese per i prossimi cinque anni al centrodestra.
Fatalmente, dopo il naufragio di D’Alema con la Bicamerale, spetta ora proprio a Walter Veltroni, suo concorrente politico da sempre, incappare nello stesso tragico errore offrendo su un piatto d’argento la vittoria elettorale al Cavaliere.
Da quando è stato in lizza per la segreteria del Partito Democratico, non ne ha azzeccata più una (tra le tante, la disarmante uscita di volere mettere nella propria squadra la moglie di Berlusconi) e, nonostante sia diventato il pupillo di Eugenio Scalfari, sarà bene che ascolti di più la sua base elettorale, ammesso che ne abbia identificata una e non preferisca, come sembra adesso, la pesca a strascico: cioè, tirarsi dietro una parte degli elettori di Forza Italia.
Ma in questa gravissima crisi italiana, di apprendisti stregoni non se ne sente proprio la necessità.

domenica 6 gennaio 2008

La politica non è una partita a scacchi

Nell’ultima intervista rilasciata su Repubblica a Massimo Giannini alla vigilia dell’Epifania, Walter Veltroni, segretario del PD, dopo aver bocciato il modello elettorale tedesco di tipo proporzionale professa la sua cieca fiducia nel bipolarismo italiano ed in un sistema elettorale di tipo maggioritario a doppio turno, con l’elezione diretta del Capo dello Stato.
E’ abbastanza sferzante sul punto: “Forse chi vuole il sistema tedesco così com’è ha in testa un’altra idea: la Grande Coalizione. L’unica che renderebbe coerente la scelta del modello tedesco integrale. Ma se è così, si sappia fin da ora che la Grande Coalizione non è il progetto politico del PD. Il nostro partito nasce per consentire un sistema bipolare dell’alternanza, ispirato ad un principio di coesione. Questa, per noi, è una frontiera invalicabile”.
Ci piacerebbe, qualche volta, piuttosto di parlare di formule astratte, che gli uomini politici di primo piano si sbilanciassero a discutere dei veri problemi del nostro Paese.
La tiritera del bipolarismo ha fatto il suo tempo.
Mai in questi ultimi quindici anni il bipolarismo italiano ha dato prova di funzionare decentemente: pessimi gli esiti sia con il centrosinistra che con il centrodestra. Mentre la politica nel suo complesso si è sempre più rinchiusa nel proprio fortino, esprimendo un linguaggio criptico, distante dalla gente: è così che la riforma elettorale o quella dell’assetto costituzionale diventano semplicemente l’occasione di una grande partita a scacchi, dove il futuro del Paese viene immaginato sul proprio personale successo.
E’ una politica per primedonne dove le idee contano relativamente poco: tutto si può discutere, non ci sono pregiudiziali; l’importante è non mettere in crisi il proprio sconfinato narcisismo.
Probabilmente, le stesse categorie logiche della destra e della sinistra sono ormai un retaggio del passato e non riescono più a spiegare né tanto meno ad affrontare (meno che mai a risolvere!) i problemi della società contemporanea.
Se Veltroni ci tiene tanto ad un sistema bipolare, dovrebbe meglio spiegarci in che modo PD e Forza Italia rappresentano delle reali alternative sul piano programmatico.
Lasciamo stare le polemiche che puntano tutto sull’uomo Berlusconi e che rappresentano una facile scorciatoia per eludere il quesito principale: qual è il modello di società che il PD sostiene e che sarebbe, a dire del suo leader, contrapposto a quello rappresentato, adesso alla men peggio, dal centrodestra?
L’impressione, condivisa da molti osservatori, è che i due poli si assomiglino molto, anzi troppo: tutta questa differenza sul piano dell’azione di governo non c’è mai stata.
Lasciamo per una volta stare la storia personale del Cavaliere, in eterno conflitto di interessi e sempre polemico con la magistratura.
Se il centrodestra riuscisse ad esprimere una leadership diversa, in che modo il PD di Veltroni resterebbe alternativo a Forza Italia nell’agenda delle cose da fare? E’ questo il vero interrogativo.
Perché avremmo sperato che non dovessimo aspettare la sortita del governatore di Bankitalia Draghi per scoprire all’improvviso che salari e stipendi in Italia sono troppo bassi; o, addirittura, assistere all’affannoso recupero di Piero Fassino, spiazzato dall’amministratore delegato della Fiat Marchionne, quando questi ha recentemente deciso di ritoccare al rialzo le buste paga dei suoi dipendenti.
Ma la classe politica che stava a fare nel frattempo? Di certo, non gli interessi del Paese.
Per non parlare dell’ignavia dimostrata in tante questioni cruciali: difesa del territorio, lotta alla criminalità organizzata, leggi vergogna, ecc. Tutte ancora puntualmente in alto mare.
Ma forse il governo Prodi, ha dato la peggiore prova di sé proprio nell’affrontare la vicenda del gip di Milano Clementina Forleo così come quella che vede protagonista il pm di Catanzaro Luigi De Magistris: due magistrati coraggiosi, non soltanto lasciati soli nel loro compito ingrato ma diventati vittime di una vera e propria campagna mediatica di delegittimazione e discredito.
La vicenda dell’allargamento della base militare di Vicenza, l’avvelenata saga Rai e la questione rifiuti in Campania rappresentano infine l’emblema dell’incapacità di questa classe politica di affrontare questioni tutto sommato di ordinaria amministrazione, spendendo positivamente il consenso ricevuto dai cittadini.
Con minime differenze nel dosaggio degli ingredienti ma, alla prova dei fatti, la ricetta politica del PD e quella proposta da Forza Italia non sono state finora così diverse.
Ma allora che senso ha esaltare tanto un bipolarismo che esiste solo sulla carta? Sembra infatti che sia semplicemente una questione di bottega, un azzuffarsi all’interno della casta. Un voler ribadire la propria supremazia, sbattendo i pugni sul tavolo.
E’ per questo che nel corso del 2007 ha cominciato a soffiare sempre più forte il vento dell’insofferenza popolare contro una politica che nega se stessa, che è cioè diventata antipolitica, appoggiandosi su un’informazione mediatica ridotta al lumicino della disinformazione.
Prima di riscrivere le regole del gioco, come pensano Veltroni ed altri suoi colleghi, bisognerebbe prendere coscienza di quello che i cittadini davvero pretendono dalla classe politica: non chiedono semplicemente di governare o d’inventarsi qualche marchingegno elettorale per assicurarsi la governabilità (questa preme soltanto ai politici!).
Chiedono di risolvere problemi concreti proponendo un modello di società il più possibile condiviso o condivisibile, ben al di là del colore politico, che è sempre più spesso usato dalle burocrazie partitiche solo per attrarre il consenso di massa e continuare a fare in silenzio i propri privatissimi affari.
E intanto, nonostante il diluvio, i nostri politici continuano a giocare a scacchi.

venerdì 19 ottobre 2007

Dopo i lavavetri... caccia ai bloggers!

Non sono più Democratici di sinistra, in fondo di sinistra molti di loro probabilmente non lo sono stati mai: alcune uscite di Veltroni non danno da pensare?
Ma almeno democratici, almeno quello, dovrebbero essere restati.
Altrimenti la tanto strombazzata prova delle Primarie a cosa sarebbe servita? Solo a battezzare il partito della non sinistra? Ovvero sarebbe nata una forza politica che si caratterizza per quello che non è, per l'abbandono di alcuni valori, più che per il rinvigorimento di altri, che a volte veramente ci sfuggono...
Commento amaro dopo il disegno di legge, approvato alla chetichella in Consiglio dei ministri il 12 ottobre scorso che impone a chiunque abbia un blog di registrarlo all'Autorità delle Comunicazioni con una serie di lacciuoli burocratici che passano, tra l'altro, per l'avere una società editrice ed un direttore responsabile iscritto all'Albo dei giornalisti.
Come a dire che il 99 % dei blog, come dice Beppe Grillo, sarà costretto a chiudere, perdendo l'ultimo spazio di libertà informativa che ancora resta, agli antipodi dei mass media sotto tutela politica.
Davvero un bel colpo per gli elettori del Partito Democratico: tutti a pensare che in Consiglio dei Ministri, alla vigilia delle Primarie, si affrontassero con premura e competenza le tante emergenze del Paese (ogni tanto, uno sguardo alla trasmissione di Santoro sarebbe oltremodo consigliabile ai nostri politici del centrosinistra) ed invece questi stavano pensando di imbavagliare Internet per frenare il risentimento popolare contro di loro: dopo i lavavetri, sotto ai bloggers...
Un nuovo editto, dopo quello bulgaro di Berlusconi, che include adesso anche il blog di Beppe Grillo....
Senza parole, nemmeno in Rete!

giovedì 11 ottobre 2007

Santoro, Travaglio: di nuovo all'anno zero?

Chi l'avrebbe mai detto? La Rai del centrosinistra, o meglio del nascituro Partito Democratico, che frena le vittime simbolo dell'epoca berlusconiana: Santoro e Travaglio. Serve moderazione, spiega il cda Rai.
Di tutte le inerzie e fallimenti di questa stagione politica, quella che appare la più incredibile e, per certi versi, crepuscolare è proprio l'isolamento in cui sono stati messi al loro rientro in Rai questi due ottimi giornalisti.
L'editto di Sofia pronunciato da Berlusconi ha trovato la sua imprevista replica con l'intervento estemporaneo di Romano Prodi il quale, sia pure con una frettolosa e impacciata retromarcia, ha di fatto confermato le accuse mosse a suo tempo dal Cavaliere e che a quest'ultimo erano costate la riprovazione generale e, forse, l'onda lunga della sconfitta elettorale ai punti nella primavera del 2006.
Quello che appare ancora più sconfortante è che proprio in seno al Partito Democratico non si siano levate, come ci si sarebbe potuto ragionevolmente attendere, quelle voci di dissenso per l'infelice battuta del premier e, soprattutto, di piena solidarietà con il conduttore di Anno Zero che in altri tempi non gli sarebbero di certo mancate.
Quasi che il primo frutto del matrimonio DS - Margherita sia la nascita di un partito che recita al primo vagito l'abiura dei principi di un'informazione libera e pluralista.
Festeggiare il battesimo di questa nuova creatura politica in un'atmosfera mediatica di piena restaurazione (senza che il Cavaliere abbia dovuto muovere un dito!) è di pessimo auspicio per il futuro del centrosinistra e di ormai questo scorcio di legislatura.
In tale frangente, infatti, ha gioco facile la destra nel rispedire al mittente tutto lo sdegno a suo tempo suscitato dall'uscita bulgara di Berlusconi. Quale peggior viatico per le primarie di domenica! Con quale spirito molti elettori di sinistra potrebbero recarsi alle urne?
Di certo l'affluenza di domenica ci dirà se il Partito Democratico è rimasto all'anno zero: se non si dovesse ripetere il risultato delle primarie vinte da Prodi, si aprirebbe una stagione politica assai delicata per la nuova leadership.
Ma stasera ritorna, fortunatamente, Anno Zero.

mercoledì 3 ottobre 2007

La moglie di Berlusconi nel Partito Democratico??

Purtroppo ancora una volta la realtà ha superato l'immaginazione: il candidato favorito alla segreteria del costituendo partito democratico Walter Veltroni intenderebbe far entrare nella propria squadra Veronica Lario, moglie di Berlusconi.
Sentite cosa dice in un'intervista alla giornalista Maria Latella sul settimanale A: «Ci sarebbe una donna che non so come collocare nel nostro panorama politico, e di cui conosco le curiosità culturali...». «L'ho incontrata qui in Campidoglio e mi sembra abbia due caratteristiche rare, entrambe utili a questo Paese: è open minded, curiosa e ha una grande autonomia intellettuale. Mi sembra una personalità di primissimo piano».
Il kennediano Veltroni non trova di meglio che andare a fare campagna acquisti presso la squadra avversaria, addirittura a casa del Mister.
Al di là delle qualità personali della signora Berlusconi, che nessuno vuole mettere in discussione nè semplicemente dibattere, la scelta veltroniana è sintomatica di un modo di far politica che ormai è anni luce lontana dalla vita dei cittadini, qualcosa che con la democrazia rappresentativa ha sempre meno a che fare.
Ormai c'è un'oligarchia che a destra come a sinistra si perpetua indifferente agli umori del Paese, alle sue istanze, alle sue passioni, ai suoi bisogni.
Questa sì è la vera antipolitica, altro che la passione civile di Grillo!
Senza i loro costosissimi stati maggiori (naturalmente tutti spesati dal contribuente), tanti uomini politici non avrebbero più alcun seguito, ciechi nel loro narcisismo opportunista, sensibili solo al fascino dello star system.
E' la politica spettacolo che vorrebbe farci credere che si possa governare senza ideali, senza obiettivi, senza conflitti con un continuo restyling comunicativo che nasconde l'inerzia dei suoi protagonisti e che di fatto affida la regia del Paese al potere economico; il quale, dietro le quinte, non solo dirige la rappresentazione ma scrive pure la sceneggiatura, cioè detta l'agenda politica che fa poi leggere attraverso la radio, i giornali, la televisione.
Prova ne sia che tra il governo di centrodestra e quello di centrosinistra le differenze siano state finora più apparenti che reali, incentrate prevalentemente sullo stile comunicativo.
Ecco perchè la disaffezione alla politica è così generale e gli umori degli elettori così cupi.
L'idea veltroniana è l'ennesimo pugno nello stomaco nei confronti di chi, soltanto un mese fa, ha affollato le piazze d'Italia invocando con Beppe Grillo il recupero di un minimo di decenza nella vita pubblica.
Ma ormai la politica batte altre strade e gira al largo dalle piazze.

martedì 2 ottobre 2007

Se il Partito Democratico fa flop

Siamo a due settimane dalle primarie che sanciranno la nascita del Partito Democratico e la sensazione è che le oligarchie dei due partiti che ne costituiscono la spina dorsale, DS e Margherita, siano di fronte ad un passaggio politico che forse ne decreterà una solenne bocciatura.
Lo spirito di partecipazione che animava gli elettori dell'Unione soltanto due anni fa si è spento e c'è il rischio che il risultato ottenuto da Prodi in quelle stravaganti primarie non troverà adesso la stessa consacrazione sul nome di Veltroni.
Stiamo arrivando alla nascita di un nuovo partito in un'atmosfera cupa e malinconica: sembra piuttosto una classica operazione di Palazzo, più vicina alla nomenclatura che ad intercettare gli umori della gente.
Già il modo di comporre le liste nazionali e regionali certo non ha appassionato chi pure si ostina a sfogliare i giornali nelle pagine di politica interna: il metodo sembra in fotocopia lo stesso delle liste bloccate che ha caratterizzato le scorse elezioni politiche.
Lì si dava la colpa alla legge elettorale di Calderoli, ripromettendosi al più presto di modificarla; qui invece sono state le consorterie dei due partiti a trovare un punto di equilibrio sui nomi che, però, è quanto di più lontano possibile dal modo di approcciare la politica di chi credeva che il nuovo partito avrebbe portato una ventata di aria fresca nel Paese e, con le prossime elezioni legislative, nelle aule parlamentari.
A questo punto sfugge il senso di questa operazione che lascia ai posti di comando esattamente i personaggi di sempre dopo, però, un estenuante braccio di ferro tra rutelliani, prodiani, veltroniani, dalemiani, bindiani, ecc. senza alcun vero dibattito politico.
Davvero uno spettacolo deprimente!
Sicuramente il 14 ottobre nei seggi sfileranno gli apparati dei due partiti, mobilitati a dovere, ma l'anima popolare che ne dovrebbe costituire la linfa vitale se ne terrà a debita distanza: non è un mistero che in giro, a pochi giorni da questo battesimo, di questo nuovo partito nessuno voglia sentir parlare.