Visualizzazione post con etichetta la Repubblica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta la Repubblica. Mostra tutti i post

martedì 29 gennaio 2013

Crack MPS: la Casta saccheggia lo Stato. Però è antifascista...

Ormai è chiaro (e i loro lettori se ne devono fare una ragione...).
RepubblicaCorriere della Sera in tandem stanno tirando la volata a PD e a Mario Monti e, giorno dopo giorno, spargono a mani basse disinformazione contro l'unica vera novità di questa campagna elettorale: il Movimento 5 Stelle  di Beppe Grillo.
Lo seguono come un'ombra in quello che sempre più si sta profilando come un autentico bagno di folla nelle mille piazze italiane, lo TsunamiTour, restando  in imbarazzato silenzio per settimane data l'accoglienza  trionfale che la gente dovunque gli tributa.
Sperando vivamente in un incidente di percorso ovvero che, preso dalla foga di uno dei tanti discorsi che tiene ogni giorno completamente a braccio, incespichi in qualche iperbole, su cui plotoni di pennivendoli sono lì pronti ad impiccarlo.
Ma nell'attesa dello sfondone che non arriva (quel Grillo si sta rivelando sempre più accorto!), si allestisce una qualche carnevalata.
Così, al soldo della Casta, di fronte al palco, entrano in scena sedicenti antifascisti, uno sparuto gruppo di ragazzotti che, senza sapere di maneggiare parole molto più grosse di loro, in deficit spesso dei più elementari strumenti culturali e di un'accettabile capacità dialettica, inscenano  all'improvviso, ad un preciso ordine di scuderia, una vera e propria gazzarra alzando striscioni vaneggianti accuse di fascismo contro il leader del M5S. Il quale li invita subito dopo a salire sul palco per argomentare il loro dissenso: ma il tentativo va a vuoto, finché la piazza, intuendo che si tratta dell'ennesima provocazione, non li sommerge di fischi.
Ma ciò basta a Corriere e Repubblica, dopo giorni di estenuanti appostamenti a vuoto, di titolare, nuntio vobis gaudium magnum:  "Contestazioni contro Beppe Grillo", facendo assurgere il gesto telecomandato del minuscolo drappello di scalmanati a  notizia del giorno.
E così proprio colui che, unico nel terremotato panorama politico italiano, in questo gelido inverno riempie le piazze, sommerso dal calore e l'entusiasmo di una moltitudine di studenti, lavoratori, pensionati, casalinghe, cassintegrati, ovvero semplici cittadini, (quando non è lui stesso che vi nuota sopra!), ed al quale vengono riservate ovazioni da rockstar, proprio il Beppe nazionale, che va in giro goliardicamente in mezzo ai ragazzi senza scorta alcuna né bisogno di un agguerrito servizio d'ordine, viene additato dai media di regime a parafulmine della Casta.
Tentativo talmente scoperto e maldestro da naufragare miseramente, anzi da rivelarsi un boomerang.
Ma perché tanta animosità contro di lui?
Semplice: con il suo movimento di cittadini, nato per superare vecchi steccati, planando sopra le ideologie con nuove idee processate dalla rete,  il leader del M5S costringe i leader politici come Bersani, Casini, lo stesso Berlusconi, a fare una campagna elettorale su un terreno impervio, per niente congeniale, basato com'è sui contenuti piuttosto che sulle logiche di schieramento.
Ma questi qui contenuti non ne hanno, preoccupati soltanto di mantenere la poltrona  e di continuare a gestire il potere come sempre hanno fatto in passato, attraverso accordi sottobanco, reciproci ricatti, scambio di piaceri, cooptazioni, patetici teatrini televisivi.

Ecco che col suo modo scanzonato di interpretare la politica, sconvolgendo la vecchia liturgia della campagna elettorale, Grillo ha messo in crisi la spartizione del consenso elettorale siglato da sempre dagli uomini della Casta, al riparo delle ideologie.
Perché proprio agitando a comando la bandiera di un'appartenenza ormai fine a se stessa, una generazione di politici è vissuta di rendita alle spalle dei cittadini, che ingenuamente li hanno sostenuti abboccando alle loro vuote parole d'ordine, a cui proprio chi le pronunciava era il primo a non credere.
Vi ricordate l'ex segretario del PD Walter Veltroni, già capolista del vecchio PCI, dichiarare apertamente di non essere mai stato comunista? O Gianfranco Fini, una vita nel MSI, dichiarare che il fascismo è stato il male assoluto.
Per due leader che hanno dovuto fare outing, ce ne sono stati molti altri che hanno fatto finta di niente, usando l'ideologia come un tram su cui salire e scendere alla fermata più vicina, magari col bavero alzato e gli occhiali scuri per non essere riconoscibili.
E' così che si possono mandare in fumo 14 miliardi di euro, secondo una strategia degna non di un management ma di una banda terroristica, mettendo in ginocchio buona parte dell'economia italiana, continuando a fare finta di nulla.
In fondo si tratta solo di compagni che sbagliano, ma che tutti restino tranquilli: sono antifascisti certificati al 100%.
La gente però piano piano si sta svegliando e non gradisce più di essere presa per il naso in questo modo.
Il gioco è ormai così scoperto che i galoppini dei due principali quotidiani sono costretti a confondersi tra la folla mischiandosi proprio con i contestatori.
Le immagini del video girato a Livorno che i due quotidiani esibiscono come un trofeo dimostrano infatti come il punto di osservazione delle riprese fosse proprio a fianco di chi alzava lo striscione: una contiguità più che sospetta!
Nel frattempo Bersani e Monti negano qualsiasi coinvolgimento nello scandalo MPS e Berlusconi preferisce tacere.
Va a finire che la colpa se il Monte dei Paschi sta per saltare per aria è dei correntisti o di coloro che hanno in questi anni preso il mutuo per la prima casa? O dell'artigiano che chiede l'anticipo su fatture?
Nell'attesa che la buriana si plachi, il salvataggio è stato affidato, guarda caso, ancora una volta alle casse dello Stato: e visto che parliamo di qualcosa come 4 miliardi di euro, praticamente all'IMU sulla prima casa, finita di versare dai cittadini appena un mese fa. 
E proprio chi inveisce contro lo Stato sprecone, improduttivo, pieno di debiti, da ridimensionare, (l'opposto del privato che brillerebbe per efficienza e competitività, serietà...) gli assesta il colpo di grazia.
Il ritornello è sempre lo stesso, anche se ci vuole un gran fegato per ripeterlo: socializzare le perdite, privatizzare i profitti ma scagliarsi contro la spesa pubblica improduttiva...
Prima o poi questi cialtroni qualcuno li dovrà pur mandare a casa! 

venerdì 18 gennaio 2013

L'inverno televisivo: ghiacci eterni, cabaret o aria fritta, a voi la scelta!

La campagna elettorale su radio e tv va avanti con il solito tormentone di Monti, Berlusconi e Bersani che fanno la staffetta da un talk show all'altro senza praticamente soluzione di continuità.
L'uno rinfaccia le responsabilità dell'abisso in cui siamo precipitati, l'altro gli risponde per le rime sbattendogli in faccia i numeri del disastro economico degli ultimi dodici mesi, l'altro ancora riempie il suo straripante accento emiliano di frasi spezzate, con cui attacca il secondo e sembra prendere  le distanze dal primo, benché finora lo abbia sempre sostenuto ed ancora insista nel proporgli un percorso comune per il dopo elezioni.
Insomma, tutti insieme appassionatamente,  a chiacchiere rinfacciandosene di tutti i colori, nei fatti senza dire un bel niente.
L'effetto complessivo di questo continuo teatrino è di disagio, avvilimento,  irritazione: per lo spettatore, finita la disillusione, resta solo il rifiuto.
Sequestrano da settimane radio e televisione, che nel frattempo attrezza uno spot tra il serio e il faceto per intimarci  di  pagare il canone, sgomitano per essere sempre lì, in favore di telecamera, per poi non dire una sola parola sul deserto economico che ci circonda, men che meno su come uscire dal baratro in cui ci dimeniamo quotidianamente, atteggiandosi ancora a medici di una patologia che proprio loro hanno causato.
Uno spettacolo deplorevole.
Mario Monti, parla come un libro (mal)stampato, rivolgendosi non si sa bene a chi né perché. Il suo discorso è spento, distaccato, inquietante. Preannuncia ghiacci eterni, ovvero sacrifici solo per i poveracci, il suo strabico rigore lacrime e sangue, senza battere ciglio; mentre ne parla, i suoi lineamenti sembrano paralizzati. Non si sa più quando sia dottor Jekyll o mister Hyde... ma è mai stato dottor Jekyll?
Berlusconi è ormai la maschera di se stesso. Con l'asfalto sulla testa e doppio strato di cerone che letteralmente si scioglie sotto i riflettori, è diventato personaggio da commedia dell'arte: neppure lui si prende più sul serio, è tornato alla sua prima identità di simpatica canaglia. Insomma è Berluscone, ennesima maschera italiana.
Pierluigi Bersani da Bettola è invece vittima del suo modo sconclusionato di parlare: non sa mai bene quello che dice, la sua specialità è l'aria fritta. Riesce a parlare per ore, persino litigando con la poltrona su cui siede, con espressione infastidita tendente al disgusto, su cui ogni tanto tracima un sorriso istrionico: il suo pezzo forte è recitare la parte dell'eterno incompreso. Impossibile resistergli... senza fare zapping.
Che qualcosa nella sua campagna di comunicazione non funzioni se ne è accorto  pure Massimo Giannini,  vicedirettore del quotidiano la Repubblica, da sempre schierato con il PD, che di fronte al vuoto pneumatico della proposta politica bersaniana, invoca il cosiddetto colpo d'ala:  non più dire qualcosa di sinistra, semplicemente dire qualcosa.
Le parole, nella sostanza durissime, sono scelte con grande cautela, come si fa con le persone amiche, eppure non lasciano adito a dubbi:

"[...]in tutte queste settimane se c'è stato un limite nella comunicazione politica di Bersani è stato proprio questo: sull'onda del vantaggio elettorale che i sondaggi gli attribuiscono, il segretario del PD è stato un passo indietro rispetto agli scontri molto aspri e alle polemiche in prima linea che nel frattempo si moltiplicavano tra Berlusconi e Monti [...] E' chiaro che man man che andiamo  avanti con i giorni e si avvicina la scadenza del 24-25 febbraio anche Bersani deve riempire di contenuti questa campagna elettorale. E' vero che lui non fa cabaret, ma chi si presenta e si candida alla guida del Paese deve mettere elementi concreti, deve richiamare soprattutto i suoi elettori ma anche gli elettori indecisi su contenuti molto concreti. Ecco, su questo forse Bersani deve fare uno sforzo in più, di qui alle prossime tre settimane, perché finora il Partito Democratico proprio sotto il profilo dei programmi, per esempio sulle materie che riguardano il lavoro, il fisco, la scuola, è stato un pochino ambiguo per non dire a tratti evanescente... Quindi spetta al segretario mettere carne al fuoco e dare finalmente l'impressione non soltanto all'establishment, alle cancellerie, ai mercati internazionali, ma prima di tutto all'opinione pubblica italiana che il centrosinistra si candida a governare questo paese e che ha idee molto chiare su come può e deve farlo [...] Insomma il colpo d'ala ci vuole e ancora il colpo d'ala da Bersani non lo abbiamo avuto".
 
E' un de profundis...
Proprio oggi, La Stampa di Torino misura il tempo di apparizione in tv dei tre principali competitor per la poltrona di premier. Secondo la ricerca del quotidiano, nel periodo 24 dicembre-14 gennaio, un periodo costellato di festività, Berlusconi ha totalizzato oltre 63 ore di presenza sul piccolo schermo. Il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, si è fermato poco sotto, a 62 ore. Mentre l'esposizione di Pier Luigi Bersani è stata quantificata in sole 28 ore, pur sempre un'enormità rispetto alle altre forze politiche, praticamente assenti dai palinsesti, in barba alla par condicio.
Ebbene, accanto all'inesauribile vecchietto, come il giornale torinese battezza scherzosamente il Berlusconi che imperversa per l'etere insieme al Professore, a presidiare lo spazio radiotelevisivo c'è Bersani, che in quasi trenta ore di permanenza davanti alle telecamere, a detta del giornale amico, è stato un pochino ambiguo, a tratti evanescente...
Com'è possibile che si riesca a stare sulla scena mediatica per tanto tempo in questo modo?
La domanda è volutamente retorica, visto lo stato di degrado del sistema dell'informazione radiotelevisiva in Italia, dove  i giornalisti, più che il loro mestiere, fanno da spalla al politico di turno, permettendogli di parlare a ruota libera.
Se Bersani critica giustamente Berlusconi, il cabarettista, come fa a non accorgersi che lui stesso mena sistematicamente il can per l'aia?
Dovrà pur convincersi che chi di cabaret ferisce, di aria fritta perisce...

domenica 25 novembre 2012

La sera scrivevamo (on line) per largo Fochetti

La notizia più ghiotta della settimana, ma nessuno dei media ad eccezione del Fatto Quotidiano ci ha posto attenzione, sono le dimissioni improvvise da blogger embedded della corazzata la Repubblica di Piergiorgio Odifreddi, matematico, divulgatore scientifico, intellettuale spesso controcorrente.
Che qualche giorno fa, accendendo il computer e aprendo il suo blog sulla piattaforma mediatica di Largo Fochetti, si è accorto che il suo ultimo post "Dieci volte peggio dei nazisti" era sparito, o meglio era stato rimosso. 
L'intervento, esorcizzato in punta di mouse dalla direzione del giornale, conteneva una dura critica al comportamento del governo israeliano che, prendendo spunto da alcuni razzi lanciati sul proprio territorio dai guerriglieri di Hamas, un paio di settimane fa ha scatenato l'ennesima guerra asimmetrica contro la Striscia di Gaza, con ripetute indisturbate incursioni dei suoi caccia a suon di missili e bombe contro la popolazione palestinese che hanno provocato, accanto ad enormi devastazioni,  almeno un centinaio di morti, in prevalenza donne e bambini; quelli che le autorità militari israeliane si sono subito affrettate a definire "scudi umani".
Insomma per Tel Aviv non sono le bombe israeliane ad ucciderli, sono le donne e i bambini palestinesi in cerca di guai, sommamente colpevoli di vivere nei quartieri densamente popolati dove dall'alto i caccia e gli elicotteri con la stella di David  hanno licenza di strage per portare a termine le condanne a morte pronunciate del governo Netanyahu contro gli esponenti della resistenza palestinese.
Ed a questo pensiero unico, irradiato dai network occidentali senza risparmio di energie, si sono omologati pure i nostri media anche a costo di andare contro cultura, logica e buon senso, non prima di ignorare, anzi di rimuovere, compassione e solidarietà umane.
E' così che un intervento come quello di Odifreddi non solo non può essere neppure lontanamente condivisibile per gli ideologi del pensiero liberale di Repubblica, ma neanche semplicemente tollerato in nome di Voltaire.
Al contrario,  va prontamente disinnescato perché mina alla base il pluralismo di facciata così pilatescamente messo su in decenni di edicola, declinando ideologicamente il lib-lab a giorni alterni, secondo le convenienze oligarchiche che questo giornale intimamente esprime.
Ecco perché non si può permettere neppure all'intellettuale Odifreddi di dire sommessamente, non dalle colonne del giornale ma dalla sua stanza virtuale presa in comodato d'uso, verità scomode per il mainstream e che suonano malissimo per l'establishment nostrano.
Finché ostenta il suo laicismo, lanciando strali contro le interferenze nella vita pubblica di Oltretevere, dalla cabina di regia è ben accetto.
Anzi,  per Ezio Mauro & c.,  è cosa buona e giusta che se la sia presa in un recentissimo post con  Beppe Grillo,  vomitandogli convulsamente addosso di tutto, senza un minimo di discernimento e di cautela, affibbiandogli, in una sorta di offerta speciale "tre per uno", contemporaneamente del neofascista, del neoleghista e del neoberlusconista, dopo aver equivocato goffamente l'uso del termine dummies, quando sarebbe bastato wikipedia per evitare di aprire bocca e dargli fiato.
In un caso del genere gli si dà pure l'onore dell'apertura in prima pagina!
Ugualmente, val bene Odifreddi quando fa, del tutto a sproposito, la difesa d'ufficio della pseudoscienza a seguito del pronunciamento del Tribunale dell'Aquila che ha condannato gli esperti della Commissione Grandi Rischi a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, rei di aver messo in piedi un'operazione mediatica tesa esplicitamente e unicamente a tranquillizzare la popolazione proprio alla vigilia della scossa micidiale di 6.3 punti della scala Richter, senza una effettiva valutazione del rischio.
Non si trattava, evidentemente, di prevedere la scossa fatale ma di evitare la monumentale negligenza di diffondere informazioni rassicuranti ma fasulle, che hanno finito per vanificare la più elementare attività di tutela delle persone, inducendole a restare a dormire nelle loro case.
Superficialità e inganno, altro che non aver previsto il terremoto!
Eppure le parole di Odifreddi erano queste: "La ragione, o anche solo il buon senso, dovrebbero portare a ringraziare gli scienziati per ciò che sanno e riescono a fare, e non a condannarli per ciò che non sanno e non possono fare: come le previsioni dei terremoti gli esperti sono responsabili dei pareri che hanno dato. Non sono responsabili dei suggerimenti che la protezione civile ha ritenuto di dover dare alla popolazione, in seguito a questi pareri".
Se si fosse minimamente informato si sarebbe risparmiato una simile figuraccia.
Ma tanto è bastato per coprire culturalmente, si fa per dire,  la castroneria mediatica del ministro dell'Ambiente, Corrado Clini (lo stesso che contestava negli stessi giorni inopinatamente i dati sull' inquinamento ambientale causati dall'Ilva di Taranto), che ha avuto la spudoratezza di criticare la sentenza parlando di processo a Galileo. E con lui, l'intoccabile governo dei tecnici.
In un Paese serio, un ministro del genere avrebbe già dovuto fare le valigie.
Ora Odifreddi ha deciso di prendersi una pausa di riflessione, cioè di ritirarsi in buon ordine a "coltivare il proprio giardino", nel frattempo tracciando un bilancio più che positivo della sua esperienza tra i blogger del gruppo De Benedetti.
Gli è stata lasciata carta bianca, dice lui, e delle lagnanze ricevute, magari in latino, l'editore non gli avrebbe fatto trasparire se non un vago sentore condividendo in pieno la massima spesso (erroneamente) attribuita a Voltaire "detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo".
Ma quando le critiche sono pervenute in ebraico, apriti cielo!
Quello che neppure a qualche alto esponente della Chiesa cattolica era riuscito, magari quando l'opinionista sfotteva Mario Monti e Corrado Passera, Santi subito!,  per via dell'IMU inspiegabilmente abbuonata dai rigorosissimi tecnici al Vaticano, è divenuto realtà non appena la critica si è diretta, senza troppi peli sulla lingua ma con ben altre ragioni da vendere, contro l'iniziativa militare israeliana sui cieli di Gaza.
A quel punto la rappresaglia direzionale ha, pure stilisticamente, ricalcato la reazione israeliana.
Odifreddi è stato messo a tacere, senza troppi complimenti, e il suo post cancellato: mediaticamente, un'esecuzione mirata.
Ora, è vero  che in rete vige una sorta di primo principio della termodinamica secondo il quale in natura "nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma", per cui il suo post rimosso dai censori, si può replicare infinite volte in altrettanti siti, com'egli sostiene nel post di commiato: "Cancellare un post non è, di per sè, un grande problema: soprattutto nell’era dell’informatica, quando tutto ciò che si mette in rete viene clonato e continua comunque a esistere e circolare"; tant'è che anche noi ne siamo venuti in tal modo a conoscenza.
Il fatto è che, proprio in ragione dell'inutilità e velleità di questa censura, un comportamento del genere, tanto più in un quotidiano che si fregia di rappresentare il pensiero liberale di sinistra e di essere un crocevia  ed una fucina di idee anche in contrasto tra di loro, dimostra che anche qui le grandi dichiarazioni di libertà lasciano il passo in concreto ad una gestione assai più prosaica ed opaca, oseremmo dire squadristica, del quotidiano.
Per cui chi tocca i fili (la questione israeliano-palestinese, la trattativa Stato mafia, le imbarazzanti conversazioni telefoniche tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino, l'appoggio senza se e senza ma al governo Monti, eccetera eccetera), virtualmente muore.
E alle ortiche il dibattito delle idee!
Questa volta ne fa le spese Piergiorgio Odifreddi ma è semplicemente l'ultimo della lista, preceduto soltanto di qualche settimana da Gustavo Zagrebelsky, l'insigne costituzionalista, svillaneggiato sulla carta stampata da un iroso Eugenio Scalfari soltanto per aver chiesto pubblicamente al Capo dello Stato una prova di buona volontà e correttezza costituzionale, rimettendo il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo che ha di fatto da mesi impantanato l'indagine sulla trattativa Stato mafia.
Fra l'altro, si tratta di personalità con un pedigree di primo livello.
Figuriamoci cosa possa capitare a chi, pur nella legittimità e onesta intellettuale del proprio punto di vista, non possa vantare altrettanta certificata autorevolezza.
Ecco perché quando Odifreddi rivendica, per il tempo di permanenza del suo blog a Largo Fochetti "809 giorni di libertà", teniamo a fargli sapere, anche a costo di sconvolgerlo, che questa sua libertà è sempre stata vigilata e che, nei giorni buoni, lui stesso ha finito per essere senza saperlo (o magari senza volerlo) uno dei Masaniello mandati in avanscoperta dal duo Scalfari-Mauro & c.
Premiata ditta che, finito il tuo lavoro, sporco o pulito che sia, ben prima che tu possa profferire parola, ti spedisce il ben servito con un semplice click.
Possibile che lo scaltro Odifreddi non se ne fosse mai accorto?
Difficile pensarlo, a meno di non sentirsi Alice in Wonderland.
Ma a volte barattare la propria scapigliata curiosità intellettuale con una "invidiabile visibilità" mediatica finisce,  come si sa, per renderci piccini piccini...

domenica 4 novembre 2012

Il pasdaran della partitocrazia

Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari imbratta oggi la prima pagina del quotidiano, guarnendo il suo consueto sfogo settimanale, con un delirante attacco a Beppe Grillo ed al Movimento 5 Stelle.
Di ciò che fuoriesce dalla sua penna non sarebbe più il caso neppure di fare cenno, evidenza conclamata di un disagio personale che attiene alla sua privacy, che certo non vogliamo violare e per cui lo affidiamo fiduciosi alle cure delle persone che gli sono più vicine.
Ciò non ci permette, comunque, di archiviare sbrigativamente i suoi editoriali liquidandoli con sufficienza, almeno finquando la direzione di Largo Fochetti gli lascia carta bianca consentendogli di militarizzarne la linea editoriale che sempre più combacia con quella del Giornale berlusconiano, quello diretto ancora da Alessandro Sallusti, ormai in procinto di osservare il cielo a scacchi.
Il suo delirio meriterebbe da parte dello staff di Beppe Grillo la dignità di una querela per diffamazione in quanto l'anziano giornalista  risulta recidivo nell'usare impunemente l'epiteto "eversivo" contro gli avversari politici. Più giù nel pezzo, a proposito di Flores D'Arcais, Travaglio e Santoro, accomunati non si sa come, avrà l'ardire di dichiarare:  "A me sembrano alquanto disturbati o bizzarri che dir si voglia, altro non dico."
Ma torniamo indietro.
Scrive Scalfari: "Quale sia il programma del M5S resta un mistero salvo che vuole mandare tutti i politici di qualunque partito a casa o meglio ancora in galera perché "cazzo, hanno rubato tutti, sono tutti ladri". Monti "è un rompicoglioni che affama il popolo". E "Napolitano gli tiene bordone". Sul suo "blog" uno dei suoi seguaci ha già costruito la futura architettura politica: al Quirinale Di Pietro, capo del governo e ministro dell'Economia Beppe in persona, De Magistris all'Interno, Ingroia alla Giustizia, Saviano all'Istruzione. Quest'ultimo nome sarebbe una buona idea ma penso che il nostro amico non accetterebbe quella compagnia. Per gli altri c'è da rabbrividire e chi può farebbe bene ad espatriare. Resta da capire perché mai alcune emittenti televisive si siano trasformate in amplificatori di questo populismo eversivo. Resta la domanda: perché lo fanno?"
A parte il fatto che quello citato da Scalfari è uno tra un'infinità di commenti che affollano il suo blog e, in quanto tale, può essere stato lasciato lì da chiunque, senza in alcun modo impegnare né Grillo né averne evidentemente ottenuto il placet, come sa chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la rete e  con le dinamiche interattive della blogosfera, quello che egli bolla come "populismo eversivo" ed esecutivo da paura,  per molti Italiani potrebbe essere addirittura un "dream team", dopo aver dovuto inghiottire in questi anni di tutto: dalla Gelmini all'Istruzione ad Angelino Alfano alla Giustizia,  a Brancher al Federalismo, a Belsito alla Semplificazione, al Calderoli firmatario della legge elettorale porcata, alla Fornero al Welfare, a Clini all'Ambiente... l'elenco è praticamente sterminato!
Ma torniamo all'aggetivo eversivo ed al sostantivo da cui trae origine.
'Eversione' per il vocabolario Sabatini Coletti è "Ogni azione e movimento che impiega mezzi violenti anche terroristici per rovesciare il potere costituito".
Accusa quindi non solo immensamente infamante ma destituita di ogni fondamento.
Perché quello che da sempre è stato il tratto distintivo dell'azione politica dell'ex comico genovese è stato il pieno rispetto della legge e la totale adesione alla Costituzione ed agli istituti di democrazia diretta, in essa non solo previsti ma incoraggiati.
Senza enfasi alcuna, un riconoscimento di alto valore civile che chiunque, anche il più feroce avversario, dovrebbe obiettivamente tributargli perché grazie alla sua pluriennale azione d'informazione e di critica all'establishment è stato possibile in pochi mesi costruire un blocco democratico, pacifico e legalitario, per dare finalmente voce alla sormontante rabbia di un intero popolo, sprofondato d'improvviso in una crisi globale disperante ma ancora alle prese con una classe politica inguardabile ed indifendibile.
Ecco perché quello di Scalfari non è dissenso, critica, disapprovazione (sia pure la più aspra!), faziosità: è qualcosa di molto più grave, una sistematica e senza precedenti opera di delegittimazione.
Per giunta, nel contesto di una campagna elettorale incombente (se non già in atto), le sue non sono le intemperanze verbali di un ottuagenario sfuggito alle badanti, ma la lucida follia di un guastatore che concepisce la democrazia secondo le proprie convenienze.
Magari in attesa di ricevere da Napolitano un seggio d'antan, quello di senatore a vita, dopo essersi speso in questi mesi in sua difesa ben oltre il buon senso e la decenza.
Scriveva di lui Mario Pannunzio, intellettuale liberale e fondatore del Mondo, in un epistolario a Leo Valiani, padre costituente, dato in questi giorni alle stampe dall'editore Nino Aragno:
"Instabile, femmineo, esuberante. Non ha veri legami o affinità ideali e morali con nessuno.Tutto è strumentale e utilitario; tutto deve servire alla sua splendida carriera. Ma ha sempre avuto la sensazione di perdere tempo stando con noi".
Può darsi che il sacro fuoco dell'ambizione, nonostante la sua veneranda età, ancora non si sia spento in lui e lo induca, piuttosto  che passeggiare per Villa Borghese, a ficcarsi l'elmetto in testa per ergersi a pasdaran dell'Ancien régime partitocratico...
Ma è una fine veramente ingloriosa.

domenica 23 settembre 2012

Pancia piena e piazza vuota

Repubblica, Libero e Il Giornale nell'edizione on line hanno praticamente titoli-fotocopia a proposito dell'intervento di ieri pomeriggio di Beppe Grillo a Parma.


Repubblica è il primo a titolare sulla piazza semivuota
 
Clamoroso errore di Libero: nell'occhiello confonde il sindaco Federico Pizzarotti con Giovanni Favia 
 
Il Giornale dopo qualche minuto ha preferito aprire sull'immagine inquietante di Sallusti che rischia la galera
  
Non è la prima volta che succede, ma negli ultimi tempi è diventato sin troppo frequente.
L'inciucio giornalistico è servito: quello che non era riuscito a Massimo D'Alema (con tutta la sua buona volontà) e a Silvio Berlusconi ai tempi ruggenti della Bicamerale, riesce ora a Ezio Mauro, Alessandro Sallusti (che, come confessa il suo giornale, per i giudici è "socialmente pericoloso") e Vittorio Feltri.
Per esorcizzare il pericolo Grillo questa volta l'attenzione si concentra sul numero dei partecipanti alla kermesse del Movimento 5 Stelle, minore delle attese ma non al punto di titolare "piazza semivuota".

Non è un sabato elettorale, la spianata di Parma non è stracolma come qualche mese fa alla vigilia dell'affermazione elettorale del sindaco Pizzarotti, ma pur sempre due-tremila persone assistono alla manifestazione in una giornata di settembre, mese classicamente di ritorno al lavoro ed alle consuete peripezie quotidiane. 
Nel suo intervento il leader della forza politica che i sondaggi accreditano ormai stabilmente tra i possibili vincitori delle prossime elezioni del 2013, dopo aver bocciato l'inceneritore in costruzione, ha parlato di onestà, di partecipazione diretta dei cittadini alla vita amministrativa del loro comune, rivolgendo fra l'altro un grosso elogio a Federico Pizzarotti (che interviene sul palco, ci dispiace per Libero!), di referendum sull'euro, di volontà non di dare vita ad un partito ma di sollecitare una "rivoluzione di civiltà, di cultura e di pensiero".
Beppe Grillo non dimentica i media,  stigmatizzando il vergognoso ruolo che stanno svolgendo in questi mesi di autentica stampella della Casta, concludendo il suo breve intervento con una sacrosanta verità:
"Se avessimo avuto un'informazione normale non avremmo una politica così".
Come dargli torto?
L'analoga titolazione di quotidiani che culturalmente dovrebbero posizionarsi ai lati opposti dello schieramento partitocratico, la dice lunga su come la vecchia politica intenda fronteggiare il Movimento 5 Stelle. 
E' il partito della pancia piena che cerca di fare terra bruciata attorno ai grillini, fregandosene altamente dei mille scandali che ne hanno ormai azzerato la credibilità: quello della Roma trimalcionesca guidata dalla governatrice Renata Polverini è solo l'ultimo della serie.

Perché se il PDL piange, il PD non può ridere.
E' possibile che in tutti questi anni i democratici di Bersani non si fossero resi conto dell'enorme sperpero di soldi pubblici operato dai gruppi consiliari della regione Lazio?
Soltanto adesso, a verminaio scoperchiato, il capogruppo PD Esterino Monti se ne esce con una dichiarazione a Repubblica che lascia perlomeno sconcertati:
"Nessuno qui dentro può dire che il PD si è intascato soldi. L'unica nostra colpa, se c'è, è quella di non averli rifiutati". 
Un'autocritica blanda e che giunge fuori tempo massimo, non fosse altro per il piccolo particolare che nel frattempo venivano tagliati con l'accetta posti letto, ospedali e servizi ai cittadini.

Eppure i media continuano a prendersela con Beppe Grillo che urla dal palco: 
"Noi siamo un movimento di incensurati. I soldi dei rimborsi elettorali li abbiamo lasciati lì. Quello che gli altri devono fare, noi lo abbiamo già fatto. A Parma è arrivata una persona onesta e questa è la rivoluzione".
Effettivamente per la Casta le sue sono parole eversive, da far tremare i polsi...
Ecco perché più che a quello che dice, il partito trasversale della pancia piena, ostriche e champagne, punta tutto sui numeri della manifestazione grillina.

Ecco uno stralcio del suo intervento, con la parte censurata dai media per trastullarsi con l'insulso tormentone piazzapiena-piazzavuota, ovvero tutto quello che succede nel mondo e che non osiamo più neppure sapere:

mercoledì 12 settembre 2012

Professori allo sbaraglio: le "perle" di Monti e Passera

Con tutti gli indicatori economici in picchiata, il governo Monti sta penosamente annaspando e ormai si affida al governatore della BCE, Mario Draghi, per restare a galla.
Dopo dieci mesi di totale latitanza sul fronte dell'economia reale, senza uno straccio di politica industriale e di idea per il futuro del paese che non sia l'ormai logoro riflesso ideologico del liberismo più oltranzista come si sono rivelati essere la riforma delle pensioni e l'abolizione de facto dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il professorone della Bocconi affida alla politica monetaria di Draghi la difesa di un esecutivo allo sbando.
La linea del Piave è diventata la seguente: per SuperMario senza la sua politica lacrime e sangue, l'Italia oggi sarebbe stata considerata dai partners europei poco seria e ciò non avrebbe consentito a Mario Draghi di imporre al board della BCE quasi all'unanimità (col solo voto contrario del membro tedesco) l'impegno ad una politica monetaria più espansiva in soccorso di quei paesi, come l'Italia e la Spagna, che pur in gravi difficoltà, stanno facendo i famigerati compiti a casa, benché a costo di enormi sacrifici.
In questo modo Monti cerca di sottrarsi alla marcatura ormai asfissiante di quanti, su vari fronti, gli contestano l'assoluta inconsistenza dei risultati raggiunti che, rispetto alla data del suo insediamento nel novembre scorso, sono tutti in netto peggioramento.
Il meno 2,6% del PIL comunicato due giorni fa dall'Istat  è un dato così drammatico (per giunta arrivato al quinto anno di crisi economico-finanziaria!), da racchiudere in sè tutti gli altri dati negativi:  rapporto debito/pil, inflazione, disoccupazione, deficit pubblico, ecc.
Non potendo quindi che presentare un carniere vuoto, Monti cerca di brillare di luce riflessa, ammonendoci: senza di me, Draghi non avrebbe potuto convincere i tedeschi ad allentare i cordoni della borsa.
Come in effetti, se andiamo a vedere, neppure il più brillante Mario Draghi è riuscito a fare.
La politica di sostegno, per quantità illimitate, dei titoli di stato da uno a tre anni sul mercato secondario (e non, come sarebbe stato più efficace, su quello delle nuove emissioni) dei paesi europei in difficoltà, è infatti condizionata al proseguimento di una politica fiscale di estremo rigore cioè diligentemente restrittiva.
Come le due cose si possano combinare in modo felice, permettendo all'Italia di venir fuori dalle sabbie mobili della profonda recessione in cui è precipitata, resta un mistero.
Tant'è che la forte caduta dello spread BTP-Bund tedeschi ad un livello che resta comunque molto elevato nel medio periodo (oggi, dopo l'atteso e importante pronunciamento favorevole della Corte costituzionale tedesca sul Fondo salvastati ESM, è inchiodato sopra la pericolosa quota 340), non esclude la possibilità che il governo italiano debba comunque chiedere entro fine anno aiuto alla troika BCE - Fondo Monetario Internazionale - Commissione Europea, concordando nuove condizioni capestro ed ulteriori pesanti misure di finanza pubblica. Per il Financial Times, non ha scampo.
L'altro giorno, Mr. Monti ha avuto finalmente la schiettezza di ammettere che la sua politica economica ha aggravato la recessione ma in vista di "un risanamento a lungo termine. Quando a questo governo è stato chiesto di trattare un caso non semplice, ci siamo posti il tema se comportarci con una visione di lungo periodo o se cercare di fare un surfing sulle onde della tempesta finanziaria. Penso che le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione congiunturale, è ovvio. Ma è solo così che si può avere qualche speranza un pochino più in là di vedere risanata in maniera durevole la situazione".
Come sia possibile realizzare il risanamento a lungo termine provocando subito una durissima recessione è cosa che neppure spulciando imponenti trattati di economia è facile capire, essendo palesemente contraddittoria. 
Non a caso nessun economista si è cimentato nell'impresa impossibile e meno che mai ha cercato di addentrarsi nel Monti pensiero.
La cosa deve essere suonata così male nelle redazioni dei giornali che i quotidiani tradizionalmente fiancheggiatori del premier, Corriere e Repubblica, hanno bucato la notizia, preferendo trattare dell'incontro tra governo e sindacati.
Durante il quale Corrado Passera, Superministro economico, ha dichiarato che l'incremento dei salari è possibile a condizione che ci sia un aumento di produttività.
Ma come? I consumi interni sono fermi, le aziende non producono più perché hanno i magazzini pieni (classica crisi da mancanza di domanda) e qual è la ricetta avanzata dal ministro dello Sviluppo economico? Aumentare la produttività!
Cioè, a parità di stock di capitale e di livello di produzione (insensato sarebbe aumentarla di questi tempi!), ridurre la forza lavoro, aumentando così la disoccupazione.
Splendido!
Per seppellire la castroneria di Monti, i media hanno finito, senza accorgersene, per sottolineare una dichiarazione ancora più stravagante del suo emerito collega.
Li vogliamo definire professori allo sbaraglio?

venerdì 7 settembre 2012

Prosegue il linciaggio mediatico di Repubblica contro Beppe Grillo

Sfruttando un fuori onda del consigliere regionale del Movimento 5 Stelle dell'Emilia Romagna, Giovanni Favia, il quale si rivela, parlando con un giornalista del programma televisivo di La7, Piazza Pulita, inaffidabile e sleale nei confronti del movimento grazie al quale è stato proiettato, da perfetto sconosciuto, alla ribalta politica nazionale, il quotidiano la Repubblica, nell'edizione on line, prosegue nella sua campagna di aggressione mediatica e di diffamazione contro Beppe Grillo e il movimento di cui è leader.


I toni del quotidiano romano sono come al solito durissimi anche se, nella totale confusione del messaggio, il lettore non è in grado di capire quale genere di accusa gli venga contestata questa volta.
Che dietro Grillo ci sia Roberto Casaleggio? Dov'è il problema?
Lo ammette lo stesso Piergiorgio Odifreddi a margine del box di Repubblica: "Gli speechwriter e i ghostwriter, così come gli advisor e i think tank, esistono da sempre. E i politici ne hanno sempre fatto ampio uso, rivelando di essere spesso più attori che recitano copioni, che non autori che li scrivono. Dunque, non stupisce che alla fine qualche attore diventi direttamente un politico, da Reagan a Grillo, appunto: se la politica è una farsa che qualcuno deve mettere in scena, tanto vale che sia qualcuno che in scena ci sappia stare per professione. Un “tecnico”, si direbbe oggi. "
Anche se così dicendo, Odifreddi, da opinionista embedded della corazzata Repubblica-L'Espresso, tenta subdolamente di esautorare Grillo dal ruolo di leader carismatico.
Perché quello tra Grillo e Casaleggio è un sodalizio di vecchia data, alla luce del sole, che sicuramente non costituisce una novità.
Il presunto ruolo egemone di Casaleggio rispetto a Grillo? Una vecchia illazione, già liquidata come  maldestro tentativo di spargere zizzania tra i due.
Ma allora dov'è lo shock (come titola Repubblica) della notizia? Soprattutto, dov'è la notizia?
Che un consigliere eletto sotto il simbolo di Grillo si lasci sfuggire, pensando di non essere registrato, parole non proprio generose nei confronti del suo mentore, può significare soltanto che egli è uno sprovveduto.
Al più, sollecita pensieri più profondi sulla doppiezza dell'animo umano.
Niente a che vedere né con Grillo né con la novità epocale del suo movimento.
Anche perché l'italiano medio è stato costretto dalla Casta ad incassare di molto peggio.
In pochi anni,  abbiamo assistito a un Walter Veltroni che ha confessato disinvoltamente (pacatamente direbbe lui!) di non essere mai stato comunista, pur essendo stato persino capolista nel vecchio PCI alle politiche; di più, di preferire, guardando indietro alla storia della sinistra, Bettino Craxi a Enrico Berlinguer. 
Chi non ricorda, poi, un suo pupillo, Massimo Calearo, voluto a tutti i costi in lista proprio da Veltroni, dichiarare un anno dopo la sua elezione nel Pd, di non essere mai stato di sinistra e di lasciare il partito?
Lo stesso personaggio che, soltanto alcuni mesi fa, ha dichiarato di non recarsi quasi più in Parlamento e che l'incarico di parlamentare gli serve per pagare il mutuo.
Ma l'elenco sarebbe molto più lungo: i vari La Torre, Penati (ex braccio destro di Bersani), Lusi, Enrico Letta (vi ricordate il suo pizzino a Monti?)... per finire poi in bellezza con Scilipoti!
E allora dov'è lo scandalo delle finte rivelazioni carpite a Favia?
"Casaleggio prende per il culo tutti perché da noi la democrazia non esiste. Grillo e’ un istintivo, lo conosco bene, non sarebbe mai stato in grado di pianificare una cosa del genere".
Con questa sua opinione, singolare ma del tutto legittima, del Movimento 5 Stelle e dei suoi leader, Giuseppe Favia farebbe bene a trarne le debite conseguenze: dimettendosi.
Del resto non glielo ha prescritto il medico di iscriversi tra i grillini!
Non ne condivide le regole? Benissimo, faccia un passo indietro.
E magari si faccia lui promotore di una propria lista, democraticissima, e raccolga il consenso che crede!
Dov'è lo shock?
Forse che D'Alema e Veltroni non se sono sempre dette di tutti i colori, eppure stanno sempre lì appollaiati alla direzione del Pd?
E con loro, la decrepita nomenklatura di quel partito.
Chissà perché, ma con tutta la democrazia di questo mondo, dalla sua  nascita e ancor prima (già ai tempi del Pds, Ds, ecc.), nel Partito Democratico comandano sempre le stesse persone.
Per non parlare, per carità di patria, di quello che da sempre succede nel Pdl (già Forza Italia, ecc.)!
Il vero scandalo resta piuttosto quello di un quotidiano di tiratura nazionale che prosegue da mesi in un'opera di demolizione di quello che, nelle stanze della sua direzione, è stato stabilito dover essere l'avversario politico di riferimento e che imbastisce, giorno dopo giorno, una sistematica attività di disinformazione e di diffamazione nei suoi confronti, spesso basata sul nulla.
Un quotidiano, la Repubblica, che come ci informa proprio Beppe Grillo nel post odierno (su dati elaborati da Italia Oggi), ha ricevuto per il 2006 qualcosa come oltre 16 milioni di euro a fondo perduto di contributo pubblico, cioè a carico di tutti i contribuenti italiani, che va a scapito di sanità, scuola, trasporti, ambiente...

venerdì 24 agosto 2012

Ezio Mauro sulla scia di Scalfari: W il Colle e la partitocrazia!

Sollecitata da più parti, quasi sospirata dal berlusconiano Giuliano Ferrara, è arrivata la risposta di Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, chiamato a dipanare un grave problema di linea editoriale tenuto conto che sul suo giornale dove il corazziere Eugenio Scalfari fa il bello e cattivo tempo lanciando strali contro chiunque osi mettere in discussione il comportamento di Giorgio Napolitano, scrivono pure grandi giuristi come Gustavo Zagrebelsky e Franco Cordero, assai critici con la recente decisione del Presidente della Repubblica di sollevare conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, per via delle sue improvvide telefonate con Nicola Mancino, delle quali il Capo dello Stato avrebbe preteso la distruzione immediata  sulla base di sue millantate prerogative di intangibilità, esortando i pm siciliani a conformarsene, pure oltrepassando la legge (che lascia questa decisione al Gip durante la cosiddetta udienza-filtro in cui sono presenti tutte le parti processuali).
Rivendica con orgoglio il fatto che sul suo giornale possano confrontarsi liberamente pareri contrapposti anche se, ad avviso di molti, gli interventi pur autorevoli in dissenso con il Quirinale rappresentano voci fuori dal coro, anche visivamente sopraffatte dai caratteri cubitali e le lenzuolate di segno opposto; oggetto pure di dileggio da parte del fondatore di Repubblica che domenica all'insigne costituzionalista Zagrebelsky ha riservato un trattamento speciale, non esitando a dargli dello sprovveduto, dello scorretto, persino dell'ignorante.
Così  meritandosi, per la prima volta in assoluto, il plauso peloso dei lacché berlusconiani, da Sandro Bondi a scendere, che da sempre hanno i nervi scoperti sulle questioni giudiziarie, per evidenti necessità di bottega.

Mauro cerca di attraversare il difficile crinale che lo obbliga, su un versante, a non sconfessare il suo anziano mentore, pena la fine, brevi manu, della sua avventura professionale a Largo Fochetti, dall'altro a non poter eccepire veramente nulla alle due illustri firme di Repubblica, in  particolare a Zagrebelsky, a cui lo unisce pure una grande amicizia personale.
Così, preso tra  due fuochi (o meglio tra il lanciafiamme di Scalfari e la lucida penna dei prestigiosi collaboratori) si trova, con un artificio retorico, prima a sostenere posizioni più aperte (l'indagine della Procura "è meritoria" e "gli italiani hanno il diritto di conoscere la verità sulla trattativa Stato-mafia, dopo vent'anni di nascondimenti, di menzogne e depistaggi") così segnando un distinguo rispetto al pensiero scalfariano, ma poi a battere precipitosamente in ritirata: il conflitto sollevato da Napolitano "è perfettamente legittimo. Può non essere opportuno, ed è una valutazione politica: io non lo avrei aperto".

Ma Mauro non è la Corte Costituzionale (che il 19 settembre sarà chiamata ad esprimersi sull'ammissibilità giuridica del ricorso) e riconoscendone l'inopportunità, finisce per fare una critica nient'affatto marginale all'operato di Napolitano.
Anche perché stiamo parlando di un'iniziativa presidenziale presa in un momento particolarmente grave per l'Italia, in cui tutto ci si poteva attendere tranne che colui che, per dirla enfaticamente alla Mauro, "gli altri Paesi considerano come uno dei pochi punti fermi della nostra democrazia" desse vita ad uno scontro istituzionale tanto dirompente e dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Infatti, si immagini  per un istante che cosa potrebbe accadere tra qualche settimana se la Consulta giudicasse inammissibile il conflitto di Napolitano: costui, dopo aver squassato l'equilibrio dei poteri, come potrebbe restare un minuto in più al proprio posto?
E' ovvio che in questo modo si mettono i giudici costituzionali con le spalle al muro, costringendoli a prendere una decisione  a favore del Colle, che più politica non potrebbe essere! Come saggiamente, dall'alto della sua scienza e di una particolare sensibilità istituzionale, ma pure con tutta la cautela di questo mondo, osservava sgomento Zagrebelsky.
Che il punto cruciale sia questo è dimostrato dal fatto che quegli stessi corazzieri di complemento che plaudono alla sconsiderata iniziativa di Napolitano si rendono conto che urge farla passare il più possibile sotto tono.
Macché, non è un atto presidenziale senza precedenti, è una tazzulella 'e caffé! Che volete che sia?
Ammesso e non concesso che sia dell'importanza di una tazzina di caffé, non si capisce come mai Napolitano l'abbia sollevata proprio adesso e contro la Procura di Palermo.
Perché, in precedenza, quella di Firenze, nell'ambito delle indagini sulla cosiddetta cricca degli appalti, aveva messo agli atti proprio le telefonate intercorse tra il Presidente e Bertolaso, in cui il primo si preoccupa, con una grande partecipazione emotiva, della situazione dei terremotati dell'Aquila.
Quindi l'affermazione ripetuta adesso pure da Ezio Mauro che "il Presidente non ritiene che i testi delle sue conversazioni private debbano essere divulgati, a tutela delle sue prerogative più che del caso specifico" suona finta e appare di giorno in giorno come la classica foglia di fico, che però è più imbarazzante di Alte nudità verbali che probabilmente serve ad occultare.

Poi Mauro inizia a menare il can per l'aia, mettendo sullo stesso piano le telefonate di Napolitano con Nicola Mancino, testimone poi divenuto indagato, con quelle intercorse  per finalità istituzionali con i più disparati interlocutori, nell'ambito di quella tipica attività istituzionale di moral suasion che il Capo dello Stato quotidianamente deve esercitare sia come potere discrezionale che come dovere d'ufficio. Come, ad esempio, quella che ha caratterizzato le settimane precedenti le dimissioni di Berlusconi e l'avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi.
Per poi domandarsi retoricamente "è interesse di Napolitano (posto che non si parla in alcun modo di reati) o è interesse della Repubblica che queste conversazioni non vengano divulgate? Secondo me è interesse di tutti, con buona pace di chi allude senza alcuna sostanza a misteriosi segreti da proteggere, già esclusi da tutti gli inquirenti."
Ecco che il direttore di Repubblica finisce per attestarsi rapidamente sulla linea di Scalfari circa l'esistenza di un complotto contro il Quirinale, che egli ammette di aver focalizzato sul nascere già due mesi fa.
Non arriva a definirne i contorni, con nomi e cognomi, ma siamo lì, è lo stesso populismo giuridico evocato da Luciano Violante qualche giorno fa.
Solo che ci arriva, con uno sforzo retorico degno di migliore causa, con un discorso tutto strampalato dove, ficcandoci dentro tutto e il suo contrario e agitando prima dell'uso (shakerando da bravo barman persino le categorie culturali della destra e della sinistra), alla fine va a parare sempre lì, sull'antipolitica, che sarebbe l'origine di tutti i mali italiani.
Due i passaggi decisivi:
"Io ho una mia risposta, che non piacerà ai miei critici sui due spalti contrapposti. Il fatto è che l'onda anomala del berlusconismo ha spinto nella nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra) forze, linguaggi, comportamenti e pulsioni che sono oggettivamente di destra. Una destra diversa dal berlusconismo, evidentemente, ma sempre destra: zero spirito repubblicano, senso istituzionale sottozero (come se lo Stato fosse nemico), totale insensibilità sociale ai temi del lavoro, della disuguaglianza e dell'emancipazione, delega alle Procure non per la giustizia ma per la redenzione della politica, considerata tutta da buttare, come una cosa sporca."

Ma con chi ce l'ha? E' l'identikit dell'attuale Partito Democratico...
Sembra impossibile, forse abbiamo capito male, così andiamo avanti:
"Ma per chi ha queste posizioni, cultura è già una brutta parola. Meglio alzare ogni giorno di più i toni chiamando i politici "larve", "moribondi", "morti". Meglio alimentare la confusione, fingere che la destra sia uguale alla sinistra, che è il vero nemico, come il riformismo è stato sempre il nemico del massimalismo.
Ecco perché per coloro che sostengono queste posizioni Berlusconi non è mai stato il vero avversario, ma semplicemente lo strumento con cui suonare la loro musica. Per questa nuova destra, Napolitano e Berlusconi devono essere uguali, ingannando i cittadini."
Ah, adesso è chiaro: ce l'ha pure lui con Beppe Grillo, Antonio Di Pietro, e perché no?, Marco Travaglio e i ragazzi del Fatto Quotidiano!
Siamo all'apoteosi del ridicolo: insomma, la colpa della decadenza italiana, del fallimento politico-istituzionale ed economico-finanziario, sarebbe, udite udite, di chi fuori dal Palazzo (è bene precisare, con la propria dedizione quotidiana e senza prendere una sola lira di denaro pubblico!) negli ultimi vent'anni ha denunciato la corruzione, le ruberie, il parassistismo, il nepotismo e l'incompetenza della partitocrazia, le deviazioni dal solco costituzionale della nostra democrazia.
Gli unici responsabili dello scempio attuale sarebbero cioè coloro che da sempre invocano verità e giustizia e sostengono il lavoro dei magistrati affinché accertino la responsabilità di quanti, dentro e fuori le Istituzioni, quale che sia il colore politico e il ruolo ricoperto, sono stati gli ispiratori, i mandanti, i lucratori della stagione del Terrore politico-mafioso.
Per Mauro addirittura rappresentano "la nuova destra", non meno pericolosa di quella berlusconiana, da  "'il Borghese' degli anni più torvi" (dice proprio così!).
Adesso si capisce come mai dalle parti del Pdl, Bondi, Cicchitto, Gasparri, Ferrara & c., increduli, stiano festeggiando.


domenica 19 agosto 2012

Scalfari furioso contro Zagrebelsky

Eugenio Scalfari, nel suo ultimo editoriale, arriva a prendersela addirittura con l'insigne costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, colpevole di aver invitato, con un intervento chiarissimo e oggettivamente ineccepibile su Repubblica di venerdì, il Capo dello Stato a fare un passo indietro nella guerra dichiarata alla Procura di Palermo, in seguito all'inaudito e senza precedenti conflitto di attribuzione sollevato contro i Pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, da cui derivarono le stragi del 1992-93 con l'uccisione del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta ma forse anche la precedente ecatombe di Capaci, con il chilometro di autostrada fatto saltare al passaggio del corteo di auto in cui viaggiavano Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti di scorta.
E' vero che con l'età, specie se veneranda, si perdono i freni inibitori ma Scalfari ha l'ardire di  impartire insulse lezioni di diritto costituzionale non solo ad un ex presidente della Consulta ma soprattutto ad un indiscusso valentissimo giurista, lui che si è laureato in giurisprudenza nel 1946, avendo avuto al massimo dimestichezza con lo Statuto Albertino piuttosto che con la Costituzione Repubblicana (del 1948). 
Ma è forse proprio la sua vetusta e obsoleta preparazione universitaria, accanto ad una percezione di sè tanto smisurata da sembrare caricaturale, che lo induce erroneamente a riconoscere a Giorgio Napolitano i poteri di un monarca assoluto, da ancien régime.
Il tutto condito da argomentazioni speciose in cui evoca per l'ennesima volta un clima eversivo che congiurerebbe contro il Quirinale a cui lo stesso Zagrebelsky non solo colpevolmente non si sottrarrebbe ma di cui finirebbe per essere direttamente responsabile; senza dimenticare quelle forze politiche e quei giornali (leggi: Il Fatto Quotidiano) e l'uso che fanno delle sue dichiarazioni.
Scalfari giunge a tanto: ad additare presunti nemici del Presidente inserendoli in una sua fantomatica lista di proscrizione.
Siamo veramente messi male!
E poi, prendendo spunto da una recente missiva del Colle, riesce a confondere, ipocritamente, il predicare bene con il razzolare male.
Purtroppo per lui, quello che contano sono i comportamenti.
Ed è inutile che Napolitano faccia la bella figura di esortare i pm palermitani a fare piena luce sulle inchieste in corso se poi, per occultare le telefonate con Mancino che lui stesso deve evidentemente ritenere disdicevoli, arriva a compiere un atto di inaudità gravità, cui consegue la delegittimazione ipso facto di quegli stessi organi inquirenti.
Siamo tutti stanchi di quei continui vuoti e polverosi moniti cui, nella migliore tradizione italiana, non segue alcun comportamento coerente, beninteso non solo da parte sua. 
Ma ciò che di più riprovevole tenta di fare Scalfari è di negare l'esistenza della trattativa Stato-mafia, fingendo che non ci sia mai stata, nonostante parlino, molto più della ricostruzione degli storici, l'evidenza incontrovertibile di importanti sentenze giudiziarie definitive.
Per Scalfari, ma sembrano le parole di Marcello Dell'Utri, non c'è verità da conoscere: "Qual è dunque il reato che si cerca, la verità che si vuole conoscere? Deve essere un'altra e non questa". Oppure, prosegue, attribuendone l'analisi ad Antonio Ingroia "una trattativa svoltasi in una fase in cui la mafia era ridotta al lumicino e per tenerla in vita si invocava l'aiuto dello Stato".
Qui lo scantonamento di Scalfari diventa pericoloso: ma quando mai la mafia è stata ridotta al lumicino?
Il fatto che i capimafia da dentro il carcere spingessero per l'abolizione del 41 bis non vuole assolutamente dire che il loro potere si fosse indebolito né che indebolita fosse l'organizzazione criminale che continuavano a comandare.
E' tuttavia evidente che in una struttura tanto accentrata e gerarchizzata come Cosa nostra, che  dipende in tutto e per tutto dai boss, sia pure internati nelle patrie galere, la possibilità di questi di comunicare più facilmente con l'esterno andava al più presto ristabilita, anche al prezzo di alzare il livello della sfida criminale contro lo Stato e di scatenare un volume di fuoco senza precedenti, persino contro vittime innocenti.
Possibile che Scalfari prenda un abbaglio simile con tanta sciocca sicumera?
Ed anche il riferimento che fa a Giovanni Falcone non solo è di pessimo gusto ma è per certi versi inquietante. 
Cosa sta tentando di dirci? Forse che sia meglio per i magistrati palermitani rilasciare poche interviste, non addentrarsi nella "zona grigia" del coinvolgimento della politica, per poi comunque saltare in aria  su una bomba?
Dov'è finito lo Scalfari degli anni del giornalismo d'inchiesta ora che, in preda al cupio dissolvi, sta dilapidando miseramente un patrimonio di credibilità per difendere, non si sa bene come e perché, l'uomo Napolitano ma non certo l'istituzione che egli rappresenta?

La verità è che è ancora oggi in atto una lotta senza esclusione di colpi di una parte dello Stato, quella che trattò con i mafiosi ed essa stessa è stata infiltrata o è organica alla mafia, contro la parte sana che pretende finalmente verità e giustizia.
Ciò sta avvenendo nel corso di un passaggio politico epocale in cui il vecchio assetto della Seconda repubblica è collassato su se stesso in conseguenza della grave crisi finanziaria ed economica e dell'improvviso emergere di forze e movimenti nuovi che non ne possono più di una dittatura strisciante in cui ha finito per degradare il finto bipolarismo italiano.
Se il famigerato ABC, simbolo supremo di nullità ideologica e parassitismo politico, l'impresentabile trio Alfano-Bersani-Casini, non fosse stato costretto a venire allo scoperto,  appoggiando insieme e appassionatamente il governo di Mario Monti, ponendo fine a quello stucchevole teatrino quotidiano che li vedeva finti avversari con le loro penose schermaglie di rito da dare in pasto ad un elettorato ingenuo, stanco e disattento che la sera cerca in televisione solo intrattenimento a livello di "Scherzi a parte", molto probabilmente sarebbe stato possibile evitare lo scontro aperto con la magistratura ed arrivare ad una qualche forma di normalizzazione, contando sul frastuono della disinformazione di regime.
Ma l'accelerazione impressa alle indagini degli eroici pm siciliani, anche  grazie alle rivelazioni di Spatuzza e di Massimo Ciancimino, in aggiunta alla grave crisi politico-istituzionale con il discredito generale dei vecchi partiti e ai nuovi irridenti movimenti della società civile, in primis quello capeggiato da Beppe Grillo, fa temere per chi è rimasto o addirittura è andato al potere proprio a seguito di quella sanguinosa stagione, che una drammatica e definitiva resa dei conti presto ci sarà.
Ecco perché lo scontro è trasversale ai vecchi schieramenti; ecco perché l'anomalia Silvio Berlusconi ha finito per troppo tempo per camuffare una parte della verità, cioè il vero titanico scontro tra lo Stato democratico e un irriducibile Controstato politico-mafioso, i cui esponenti vestono evidentemente diverse maglie, non solo quella del Pdl.

venerdì 17 agosto 2012

Gustavo Zagrebelsky a Giorgio Napolitano: "Perché lo fai?"

Su Repubblica di oggi viene pubblicato, sicuramente facendo dispiacere ad Eugenio Scalfari, un appassionato intervento del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky che si appella al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché torni sui suoi passi e ritiri il decreto del 16 luglio con cui ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo per la vicenda delle intercettazioni telefoniche indirette di lui con Mancino e che Re Giorgio  pretende in tutti i modi vadano distrutte prima che la pubblica opinione ne apprenda il contenuto.

Con tutta la studiata cautela e la personale riflessione di un insigne giurista, Zagrebelsky gli fa capire che non solo personalmente in questo modo si è ficcato in un vicolo cieco ma ha messo in crisi l'intero assetto costituzionale costringendo la Corte Costituzionale ad un pronunciamento che, quale esso sia, finirà per modificare la Costituzione, contro la volontà ed il silenzio dei padri Costituenti. E sottolinea:
"Per di più, su un punto cruciale che tocca in profondità la forma di governo, con irradiazioni ben al di là della questione specifica delle intercettazioni e con conseguenze imprevedibili sui settennati presidenziali a venire, che nessuno può sapere da chi saranno incarnati. Il ritegno del Costituente sulla presente questione non suggerisce analogo, prudente, atteggiamento in coloro che alla Costituzione si richiamano?".

Tuttavia quello di Zagrebelsky non è solo un accorato appello ma un rimprovero bello e buono, vada anche per l'affettuoso, rivolto al Capo dello Stato per la sua condotta avventata. Infatti esordisce così (beninteso, con la garbata omissione di un 'non'):

"È davvero difficile immaginare che il presidente della Repubblica, sollevando il conflitto costituzionale nei confronti degli uffici giudiziari palermitani, abbia previsto che la sua iniziativa avrebbe finito per assumere il significato d'un tassello, anzi del perno, di tutt'intera un'operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati che operano per portare luce su ciò che, in base a sentenze definitive, possiamo considerare la "trattativa" tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia. Sulla straordinaria importanza di queste indagini e sulla necessità che esse siano non intralciate, ma anzi incoraggiate e favorite, non c'è bisogno di dire parola, almeno per chi crede che nessuna onesta relazione sociale possa costruirsi se non a partire dalla verità dei fatti, dei nudi fatti. Tanto è grande l'esigenza di verità, quanto è scandaloso il tentativo di nasconderla."

Per favore, somministrate d'urgenza un calmante al corazziere di complemento Scalfari anche perché Zagrebelsky invita il Presidente a non lasciarsi "fuorviare dal coro dei pubblici consensi".



venerdì 10 agosto 2012

La patacca di Repubblica contro Grillo

L'oscena deriva  che ormai da mesi ha imboccato il quotidiano Repubblica, divenuto di colpo un giornalaccio che gli ormai sparuti  lettori  sempre più spesso confessano di leggere di nascosto, lontano da sguardi indiscreti per non doversi giustificare prima ancora con se stessi di un'abitudine del mattino divenuta improvvisamente imbarazzante, ha toccato oggi un'altra punta di volgarità, nel quadro  di una vera e propria caccia all'uomo che sul piano mediatico il quotidiano diretto da Ezio Mauro ha scatenato inopinatamente contro il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo.
Infatti, con un furore che neppure al nemico Berlusconi è stato mai riservato, la pattuglia di cronisti sguinzagliati al suo inseguimento è pronta in tempo reale ad avventarsi famelicamente su ogni sua dichiarazione, come un branco di lupi, pur di metterlo in qualche modo in cattiva luce.
Con risultati  il più delle volte controproducenti oltreche infamanti per lo stesso quotidiano romano.
Scavano nella sua vita privata, passano ai raggi X la sua lunga e brillante carriera di artista inviso da sempre alla partitocrazia, sin dagli anni ruggenti della sua barzelletta sui socialisti, ben sei anni prima che scoppiasse Tangentopoli e travolgesse i potenti uomini del cosiddetto CAF, cioè Craxi e Forlani.
Come sempre capace, come nessun altro, di anticipare i tempi e di condensare in una battuta uno scenario che di lì a poco si sarebbe manifestato con la caduta dei partiti della prima repubblica: molto meglio dei verbosi soloni che, a quell'epoca, sulla stampa, costruivano surreali cronache politiche, farcite di vuoti slogan, insulsi retroscena, termini criptici come verifica, governo vattelapesca, staffetta, ago della bilancia, riformismo, maggioranza variabilepatto del camper, ecc., espressioni gergali di una classe politica corrotta,   giunta tardivamente al capolinea  e soltanto perché finalmente colta con le mani nel sacco, dopo aver per decenni saccheggiato lo Stato.
Di lì l'ostracismo eterno che gli venne giurato dalla Casta e che continua a tenerlo lontano dagli schermi televisivi, ormai da oltre venticinque anni a questa parte.
Molto ma molto tempo prima del famigerato editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi pronunciato dal premier Silvio Berlusconi.
E adesso torniamo ai titoli di prima pagina che l'edizione on line di Repubblica (ma il Corriere non è da meno!)  dedica da giorni alle performance olimpiche dei nostri atleti, avendo del tutto sovvertito l'ordine delle notizie.
Così il Pil italiano a -2,5 % (profonda, drammatica recessione!), vera perla del governo Monti, scivola in basso  nel palinsesto mediatico per dare l'apertura addirittura a Josefa Idem, che si merita titoli sensazionali per aver raggiunto la finale olimpica di canoa alla veneranda età di 48 anni.
Un gesto sportivo rilevante ma che sicuramente non può oscurare tutto quello che di grave sta intanto succedendo in Italia e che, sistematicamente, viene fatto passare sotto silenzio.
A partire dalla guerra senza esclusione di colpi che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha mosso contro la Procura di Palermo (che indaga sulle stragi mafiose del 1992-93 e sulla trattativa che apparati dello Stato hanno intessuto con Cosa Nostra), invocando presunte sue prerogative e immunità che la Costituzione, Carta alla mano, non gli riconosce.
Ma anche la vicenda di Taranto, con il sequestro da parte della magistratura degli impianti dell'Ilva per inquinamento ambientale; o la vergognosa approvazione, senza un minimo di dibattito pubblico, della legge sulla subdola spending review che prevede tagli di spesa selvaggi, con grave pregiudizio, questa volta sì, per i diritti costituzionali del cittadino.
Così lo sport televisivo viene dispensato agli Italiani come oppio.
E i politici che ci stanno conducendo al fallimento si augurerebbero un'Olimpiade all'anno pur di  farci dimenticare le loro malefatte!
Vi ricordate come hanno cercato poco più di un mese fa di sfruttare le vittoria della nazionale di calcio sulla Germania per costruire il mito di cartapesta di SuperMario Monti e celebrare l'epopea delle sue gesta assolutamente ordinarie al vertice di Bruxelles?
Adesso la stampa serva mette letteralmente in bocca alla connazionale Josefa, di chiare origini tedesche, una insignificante battuta contro Beppe Grillo: Repubblica on line ieri ci ha fatto, pazzescamente, per ore il titolo d'apertura!
Ma basta cliccarci sopra per scoprire che è una bufala, questa sì una vera patacca.


L'home page di Repubblica di ieri pomeriggio, 9 agosto 2012

"Non ho parlato io, mi han chiesto cosa ne penso. Allora, considerando che comunque una grande percentuale della squadra italiana è fatta anche da atleti nati altrove ed anche per questo gli Italiani tifano, credo che dire sia proprio momento di esaltare nazionalismi e pensare delle cose del genere io lo credo veramente ridicolo. Non ne avrei parlato se non mi avessero chiesto."

Povera Josefa, ti hanno messo fuori strada!
Se avessi letto il post di Beppe Grillo, ti saresti accorta che il Beppe nazionale diceva tutt'altra cosa, di ben altra levatura della demenziale semplificazione che ne hanno voluto fare i maggiori quotidiani.
In particolare, egli poneva l'accento sull'uso politicamente spregiudicato che viene fatto di questo gigantesco circo foraggiato dalle multinazionali.
Pensaci un attimo: come dargli torto? Il solo fatto che, mediaticamente, un quinto posto in una finale olimpica valga  molto di più del deferimento degli eroici pm palermitani al Consiglio Superiore della Magistratura, la dice lunga su come viene maltrattata l'informazione pubblica in Italia.
Ma pur di aizzare la gente, sviandola dalla scottante attualità politico-istituzionale ed economico-finanziaria, orchestrando un vergognosa campagna di stampa contro un Movimento che farà piazza pulita della Casta e dei suoi araldi e tamburini, si è disposti a tutto, anche a profanare quello che pomposamente, in altri momenti, proprio loro, facce di bronzo, chiamano lo spirito olimpico.

PS: mentre tagliano 20'000 (ventimila!) posti letto negli ospedali, cioè burocraticamente cancellano con un tratto di penna 20'000 malati bisognosi di cure urgenti, è accettabile concedere finanziamenti pubblici, cioè a carico di tutti noi contribuenti, per tenere all'ingrasso giornalacci che fanno un uso spudoratamente privato e di parte della comunicazione pubblica?
Anche in questo caso, nel voler abolire questo vergognoso e anacronistico cadeau che la Casta fa al mondo dell'informazione, Beppe Grillo ha centomila volte ragione!


mercoledì 11 luglio 2012

Scalfari: ma che domenica bestiale in difesa del Colle

L'editoriale di Eugenio Scalfari su Repubblica di domenica scorsa corredato dalla sua aggiunta di ieri in cui circostanzia  a modo suo le accuse contro la Procura di Palermo, rea a suo dire di aver intercettato illegittimamente Giorgio Napolitano e poi di non averne subito distrutto i contenuti, è stato azzerato dalle numerosissime critiche degli addetti ai lavori in conseguenza degli enormi e diffusi strafalcioni giuridici che ne minano pressoché tutte le argomentazioni.
Neppure uno studentello, magari ancora in procinto di cimentarsi nello studio delle sudatissime procedure, avrebbe commesso un tal peccato, al tempo stesso, d'ingenuità, d'ignoranza e di presunzione. 
Eppure Scalfari, noncurante di accumulare in poche righe castronerie su castronerie in un percorso minato che certamente ha finito per non rendere un buon servizio al suo amato Presidente né al giornale che lo deve ospitare in virtù di antichi meriti (decisamente prescritti), sembra animato da una sola grande preoccupazione: che le telefonate tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano vengano al più presto distrutte, rinverdendo suo malgrado i fasti dell'epopea berlusconiana.
Insomma, da buon amico del Presidente della Repubblica, Scalfari lascia pensare che neanche lui è disposto a mettere la mano sul fuoco sulla esemplarità costituzionale delle intercessioni telefoniche del Colle a favore dell'indagato Mancino.
Se qualcuno tra gli Italiani si ostinasse ancora a pensare che quella del Quirinale è una casa di vetro nella quale l'attuale inquilino agisce in perfetta trasparenza e soprattutto in coerenza con il diluvio dei suoi vacui moniti e tracimanti esternazioni, ecco che è stato prontamente smentito.
Pare che sia l'Avvocatura dello Stato che il consigliere giuridico di Napolitano, Loris D'Ambrosio, protagonista lui stesso delle suddette performances via cavo, si starebbero muovendo, la prima, chiedendo chiarimenti alla Procura palermitana, il secondo, addirittura per ottenere l'acquisizione dell'intero fascicolo.
Insomma, invece di mettere tutto nero su bianco e far emergere alla luce del sole il contenuto di quelle conversazioni proprio per fare piazza pulita di tutte le illazioni costruite sul "nulla", come ha sdegnosamente precisato il Presidente, la macchina del Quirinale starebbe virando in tutt'altra direzione. 
Quanto a Scalfari, decisamente gli esami per lui non finiscono mai.
Per risparmargli altre brutte figure, possibile che a Piazza Indipendenza non ci si attrezzi finalmente a impartirgli lezioni private, passandogli appunti di diritto costituzionale e di procedura penale?

domenica 17 giugno 2012

La lezione di giornalismo di Scalfari: le notizie non vanno nascoste, vanno date in modo sommario e quindi impreciso

Nei giorni scorsi abbiamo assistito all'ennesima figuraccia del ministro Elsa Fornero che, invece di lasciare, dimettendosi dalla carica così maldestramente ricoperta, cospargendosi il capo di cenere per aver ostinatamente fissato da mesi in 65mila contro ogni evidenza il numero degli esodati a fronte di un dato appena diramato dall'INPS che ne quantifica addirittura 6 volte tanti (390mila), ha deciso addirittura di raddoppiare, arrivando a chiedere le dimissioni del presidente dell'Inps, Antonio Mastropasqua, reo di aver fatto pubblicare le cifre reali del fenomeno: "E' grave l'episodio riguardante l'uscita dei numeri sull'entità degli esodati. Se l'Inps facesse parte di un settore privato, questo sarebbe un motivo per riconsiderare i vertici".
Invece di fare pubblica ammenda per la cantonata presa ha soggiunto: "Sono usciti dei documenti che contengono numeri parziali e non spiegati, e questa non è mai una bella cosa. Il ministero non ha mai voluto dire che i numeri non debbano essere dati: io dico soltanto che quelli sono parziali e non interpretati. E allora - ha proseguito -dare dei numeri così, su questioni che interessano molti italiani è molto improprio e deresponsabilizzante. Quindi questo è un episodio grave".
Non siamo i soli a ritenere, un po' come scriveva l'Economist ai tempi di Berlusconi, che il ministro Fornero sia unfit for office.
In soccorso del ministro inopinatamente scende in campo proprio Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica che nell'odierno domenicale, prima sembra prenderne le distanze: "[...]cifre il cui ordine di grandezza è comunque fortemente superiore a quanto finora ha previsto il governo"; ed ancora: "Ciò che il ministro dovrebbe fare ora con la massima urgenza è di chiarire e indicare cifre certe rinnovando l'impegno alla loro copertura nella data corrispondente allo scatto della 'tagliola'".
Poi sorprendentemente conclude: "Che la pubblicazione del documento Inps abbia acceso un incendio di rabbie aggiuntive è un fatto incontestabile che poteva essere evitato non nascondendo le notizie ma dandole in modo sommario e quindi impreciso."
Grande lezione di giornalismo del decano di Piazza Indipendenza: le notizie non vanno nascoste, piuttosto vanno date in modo sommario e impreciso.
A sostegno del ministro, Scalfari aveva in precedenza usato un argomento non solo sbagliato ma pericoloso.
A proposito della mozione di sfiducia personale presentata da Lega e Idv contro il ministro, egli sostiene: "La mozione non considera che una copertura preventiva di un debito dalle cifre ancora incerte iscrive quella posta passiva nella contabilità nazionale "sopra la linea", il che significa che va ad aumentare ulteriormente l'ammontare del già gigantesco debito pubblico."
A parte il fatto che da parte dello Stato riconoscere oggi un diritto che maturerà a suo tempo a favore di coloro che sono costretti dalle aziende a lasciare il lavoro in via anticipata mentre la riforma delle pensioni ne sposta in avanti di 5-7 anni la meta previdenziale, non solo è necessario ma è sacrosanto, per evitare di tenere centinaia di migliaia di famiglie sulla corda.
Ma forse Scalfari e il suo governo dei tecnici a queste quisquilie non ci badano, abituati come sono a vivere in mezzo agli agi.
C'è poi soprattutto una considerazione tecnica da fare, cioè che un impegno di spesa previsto per il medio-lungo termine non aumenta ipso facto l'attuale debito pubblico, come egli fa credere.
E ammesso e non concesso che ciò avvenga, il suo suggerimento rappresenterebbe l'ennesima misura da finanza creativa, proprio come ai tempi di Berlusconi e Tremonti:  nascondere le spese tra le pieghe di bilancio, tanto per ingannare la Merkel e l'UE.
Un ragionamento balzano che speriamo non giunga agli occhi dei tedeschi; i quali, non è un mistero, non nutrono grande considerazione per la nostra classe dirigente e che dei conti pubblici italiani finora hanno sempre diffidato.
Figuriamoci se leggono la difesa di Scalfari per la Fornero quando, senza troppi giri di parole, fa capire che il ministro, con la scusa della gradualità dell'esodo pensionistico,  ha fatto bene ad occultare le cifre!