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venerdì 11 luglio 2008

L'8 luglio e il patetico ultimatum di Veltroni a Di Pietro

Casta e mass media stanno cercando in tutti i modi di azzerare il significato dell’8 luglio, giorno in cui, a due mesi dall’insediamento del governo di destra, si è avuta la prima vera risposta di sdegno della società civile contro il kit di leggi vergogna approntato in un battibaleno dalla squadra di Berlusconi.
E’ stata una giornata di passione e fervore popolare, interpretata secondo varie sensibilità e differenti stili comunicativi, ma tutti uniti nel denunciare e condannare lo strappo costituzionale che si sta consumando.
L’obiettivo di far salire verso il Palazzo un vibrato no alle leggi, anticostituzionali piuttosto che incostituzionali, di Silvio Berlusconi è stato netto e chiaro e può ritenersi ampiamente raggiunto.
Ha fatto da sfondo all’evento una piazza Navona gremita all’inverosimile fino a sera inoltrata, in un tripudio di slogan, striscioni colorati, bandiere e battimani spontanei di una folla che, nella sua eterogeneità, si è ritrovata accomunata da un bisogno alto: quello di difesa della legalità e di fedeltà alla carta costituzionale.

E’ chiaro, che lontano da ogni ipocrisia, nella giornata in cui si esprimeva un perentorio no alla politica di Berlusconi non poteva essere steso un velo, neppure pietoso, sul modo disastroso in cui è stata condotta finora l’opposizione: qui la bocciatura di Walter Veltroni e del suo gruppo dirigente è stata altrettanto inappellabile.
Non ci voleva l’intervento di Beppe Grillo o quello di Marco Travaglio, applauditissimi, a capire che se Berlusconi è il primo responsabile di questo tristissimo stato di cose, una buona parte di responsabilità la porta proprio chi, in un Parlamento praticamente divenuto bipartitico, non ha svolto e continua a non svolgere quel ruolo di critica serrata e di opposizione autentica e trasparente che un sistema elettorale nato da una legge porcata gli imporrebbe di fare.
Dalle dichiarazioni del leader del PD di critica durissima alla manifestazione organizzata dai girotondi e dall’Italia dei Valori si comprende, al di là delle apparenze, il motivo vero della sua assenza: senza le stringenti e ferree consegne di un agguerrito servizio di vigilanza ed una claque opportunamente organizzata, Walter Veltroni avrebbe rischiato scendendo in piazza di ricevere soltanto sonore bordate di fischi.
Ma un leader dell’opposizione che teme il confronto aperto con la piazza che manifesta contro il governo in carica (beninteso una piazza speciale, non di estremisti, ma di gente pacifica e perbene che si mobilita non per protestare giustamente contro il carovita o per qualche rivendicazione corporativa, ma semplicemente in difesa della Costituzione), si autocertifica quale leader senza qualità, oscuro portavoce del Palazzo.
Quanto poi al tentativo di ripararsi dietro la figura del Capo dello Stato per ridimensionare il grandissimo valore politico di una manifestazione in difesa della Costituzione, esso è malamente naufragato: ieri, tutti i principali organi di informazione non parlavano d’altro ma bastava andare in giro per le mille piazze d’Italia per sentire ancora intatta l’eco di una soddisfazione malcelata che accomuna trasversalmente settori sociali molto differenti.
D’altronde, solo in una teocrazia criticare il Capo dello Stato è da ritenersi una bestemmia; in ogni paese normale, vagliarne e persino criticarne l’operato magari accostandone la figura ai suoi predecessori, come Pertini, Scalfaro, Ciampi, può essere un esercizio addirittura necessario.
Ma la Casta pur di difendere se stessa è disposta a tutto, anche a fare dell’anziano presidente Giorgio Napolitano l’agnello sacrificale, invocando il peccato di lesa maestà: ecco cos’è la vera antipolitica, non quella di Beppe Grillo o dei girotondini!
Ed è banalmente un mezzuccio ridurre il tutto ad una questione di turpiloquio: di ciò rispondono personalmente i singoli protagonisti di quella serata, senza sfiorare neppure lontanamente la sostanza politica della protesta, civilissima e meritoria.
Prendere le distanze dalle manifestazione, concentrandosi su alcune battute di Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e Marco Travaglio, che peraltro danno sfogo a sentimenti non minoritari tra la gente, è un meschino escamotage per nascondere le gravi colpe di una classe politica, rinchiusa nei propri privilegi, sorda e distante anni luce dalla piazza.

Perché martedì in piazza Navona erano rappresentate due Italie.
Il convitato di pietra, l’Italia berlusconiana, quella che fa quello che vuole e non risponde a nessuno se non a se stessa; e la società civile che, pur nelle sue contraddizioni, è pronta e leale al richiamo dei valori costituzionali.
Quest’Italia non solo è vivamente preoccupata per la brutta piega che stanno prendendo gli eventi ma si mostra decisamente irritata con chi, dall’opposizione, non sta facendo affatto il suo dovere.
Altro spazio politico, di fronte alla straordinarietà della sfida berlusconiana, non ce n’è!
Ascoltare, quindi, lo sconfitto Veltroni lanciare una sorta di ultimatum nei confronti di Antonio Di Pietro getta tutti nello sconforto più assoluto: nessuna consapevolezza della propria inadeguatezza, non un briciolo di autocritica, non un minimo di pudore rispetto al patatrac a cui ha costretto l’Italia intera!
Il delirio di onnipotenza lo perseguita (1): "Ora di Pietro scelga e decida con chi sta: se è con Grillo e Travaglio, con la piazza che insulta lo dica, se invece decida di stare in un’area riformista prenda l’impegno conseguente e metta fine a manifestazioni come quella di piazza Navona". Ed ancora: “Sentire quella caterva di insulti a tutto e a tutti mi ha fatto molto male mentre Berlusconi ha goduto, la sceneggiatura sembrava scritta da lui. Se avessimo portato in piazza il Pd oggi saremmo un cumulo di macerie”.
Ma come si fa a dire cose simili, persino rivendicando una qualche lungimiranza, quando egli in meno di sei mesi ha portato la politica italiana a Caporetto!
Adesso taglia i ponti anche con l’alleato Di Pietro, che lo sta surclassando non per qualità del proprio progetto politico ma semplicemente perché dimostra dignità ed onestà intellettuale con i propri elettori.
Ormai l’ex sindaco di Roma è riuscito a compiere un vero capolavoro: di isolare il Pd al punto tale da fargli rompere i rapporti persino con l’alleato dell’ultim’ora!

Di questo passo, rischia di litigare anche con se stesso. Perché solo con Silvio Berlusconi gli riesce di parlare pacatamente, serenamente; con gli altri invece usa toni sempre minacciosi e ultimativi.
La dimostrazione è che, di fronte al diluvio di iniziative ad personam del governo di destra, l’impareggiabile Walter abbia pensato prima di raccogliere le famose 5 milioni di firme (ma forse qualcuno lo convincerà a soprassedere…) e poi di organizzare una giornata di protesta, fissandola tra più di tre mesi: addirittura per il 25 ottobre!
Sembra che Silvio Berlusconi sia compiaciuto di quanto non stia facendo Walter Veltroni ma, raccontano (2), “se davvero resterà segretario solo fino alle europee, allora tanto vale iniziare a cambiare interlocutore fin da ora”.
Insomma, siamo al paradosso che persino ad Arcore si lamentino di non poter più contare su un avversario credibile.
Anche il Cavaliere si è stancato di tanta mediocrità!
(1): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "Lodo, oggi il sì della Camera cambia il blocca-processi"
(2): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "E Berlusconi plaude al leader del Pd [...]"

giovedì 15 maggio 2008

Il passo falso di D'Avanzo

E’ inaccettabile l’attacco personale che il giornalista Giuseppe D’Avanzo ha mosso a Marco Travaglio nella controreplica di ieri su Repubblica che segue il suo già pessimo editoriale di martedì scorso.
Per dimostrare che il suo metodo di lavoro, ovvero il giornalismo d’inchiesta, possa inconsapevolmente produrre effetti perversi si è messo a raccontare una storia che soltanto qualcuno roso dal rancore o dall’invidia potrebbe avvicinare in qualche modo alle vicende raccontate da Marco Travaglio nei suoi poderosi e documentatissimi libri.
D’Avanzo la tira in ballo quasi di soppiatto facendola uscire chissà da quale cassetto per lanciargliela addosso dichiarando che lo stesso Travaglio ne è parte in causa. Ne riportiamo testualmente il contenuto tratto dal suo editoriale:

“Farò un esempio che renderà, forse, più chiaro quanto può essere letale questo metodo.
8 agosto del 2002. Marco telefona a Pippo. Gli chiede di occuparsi dei "cuscini". Marco e Pippo sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia.
Michele Aiello, ingegnere, fortunato impresario della sanità siciliana, protetto dal governatore Totò Cuffaro (che, per averlo aiutato, beccherà 5 anni in primo grado), è stato condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Pippo è Giuseppe Ciuro, sottufficiale di polizia giudiziaria, condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e aver rivelato segreti d'ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Marco è Marco Travaglio.
Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all'integrità di Marco Travaglio un'ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice? Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?
Nessuno, che sia in buona fede, può farlo. Eppure un'"agenzia del risentimento" potrebbe metter su un pirotecnico spettacolino con poca spesa ricordando, per dire, che "la mafia ha la memoria lunghissima e spesso usa le amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso" . Basta dare per scontato il "fatto", che ci fosse davvero una consapevole amicizia mafiosa: proprio quel che deve essere dimostrato ragionevolmente da un attento lavoro di cronaca.”

Non ci vuole molto a capire che l’esempio proposto da D’Avanzo non dimostra un bel niente e nulla ha a che vedere con la vita specchiata che i cittadini possono e devono pretendere da una carica istituzionale.
Scopriamo l’acqua calda nell'affermare che la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto?
Fa bene, dunque, Marco Travaglio a sporgere querela nei suoi confronti per una storia che, pur senza alcuna rilevanza, potrebbe, questo sì, metterlo in cattiva luce di fronte a lettori distratti o sprovveduti oppure gettare ombre sull’efficacia del suo metodo di lavoro.
Non è così, ne siamo certi, ma dispiace che Travaglio debba essere costretto a prendere carta e penna semplicemente per dichiararne la totale falsità e denunciare i possibili fini calunniosi.
Giuseppe D’Avanzo ci ha abituato da un po’ di tempo a prove incredibilmente scialbe e opache.
In questo caso è andato veramente oltre misura scadendo non solo nel cattivo gusto ma anche incorrendo in una serie di grossolane pecche deontologiche che ad un giornalista, fosse pure alle prime armi, non si possono perdonare e per le quali il suo ordine professionale farebbe bene ad intervenire.
Se con quell’esempio aveva soltanto intenti didascalici perché non lo ha costruito su se stesso, violando la sua di privacy?
Alla minuziosa lettera con cui, oggi, Marco Travaglio sul quotidiano di Piazza Indipendenza cancella definitivamente il teorema D’Avanzo segue un’ultima imbarazzata ed inquietante risposta del suo maldestro autore.
Una cosa è certa: questo suo clamoroso passo falso ci convince una volta di più della giustezza della battaglia intrapresa da Beppe Grillo per la libera informazione nel nostro Paese.
A questo punto, firmare i suoi referendum non è più un’opportunità ma un dovere civico.

mercoledì 14 maggio 2008

Tutti insieme contro Travaglio

L’ultimo fine settimana ci ha regalato sul fronte mediatico tutta una serie di conferme, ampiamente previste nei mesi scorsi da questo blog.
Continuano, anzi sono in stato avanzato di realizzazione, le prove tecniche di larghe intese.
Il soccorso insperato che la senatrice Anna Finocchiaro, recentemente bocciata alle elezioni regionali siciliane ma inopinatamente più in sella che mai nel PD, ha portato al neo presidente del Senato Renato Schifani in merito alle dichiarazioni di Marco Travaglio nella trasmissione di Fabio Fazio di sabato sera è quanto di peggio, cioè nello stesso tempo inopportuno, imbarazzante, irrituale, incoerente potesse fare un esponente dell’opposizione, per giunta ad un mese dalla batosta elettorale subita.
Soprattutto, di incompatibile con la lezione morale di Enrico Berlinguer, del quale molti tra i politici del Partito Democratico si sono dimenticati completamente mentre dovrebbero testimoniarne la stringente attualità.
Purtroppo, invece di occuparsi di giustizia sociale, di scottanti questioni economiche, di stipendi e pensioni, di sanità a rischio, perché no? di questione morale, i dirigenti del Partito Democratico continuano a fare i portatori d’acqua per il Popolo della Libertà attaccando le poche voci fuori dal coro.
Non sono stati in grado di cancellare nemmeno una delle leggi vergogna ma sanno benissimo come togliere il microfono a chi si ostina, magari con tono caustico ed un linguaggio non politically correct, a ricordare fatti e misfatti del pasticcio italiano.
Facciano pure, mandino a picco la Rai cacciandone anche gli ultimi spettatori insieme ai residui spazi di libertà. Dopo l’Alitalia, sotto a chi tocca!
Nello specifico, non è chiaro perché prima si inviti un vero giornalista come Marco Travaglio in una trasmissione di conversazione con ambizioni culturali e poi si cerchi goffamente di prenderne le distanze di fronte all’Italia televisiva, semplicemente perché questi ancora una volta mostra l’imperdonabile vizio di dire quello che pensa e scrive da anni; difetto che gli ha permesso di acquisire una stima sconfinata fuori dal fortino in cui si è asserragliata la nomenklatura.
Se il senatore Schifani ritiene che le affermazioni nei suoi confronti siano state ingiuriose prenda le determinazioni del caso (come ha preannunciato).
Ma per piacere che Petruccioli, la Finocchiaro, la Melandri e mezzo PD la smettano di fare i farisei.
Si stracciano le vesti forse per il paragone irriverente muffa – lombrico fatto da Travaglio e non fanno una piega di fronte alle ripetute ingiurie rivolte a presenti ed assenti soltanto due settimana fa da Sgarbi.
E’ il loro il comportamento più inqualificabile.
Il giornalista Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica critica Travaglio sostenendo che egli abbia rispolverato storie vecchie e stravecchie che non hanno offerto alcun, ulteriore e decisivo, elemento di verità; ripete la solita litania delle agenzie del risentimento che lavorano ad un cattivo giornalismo che solo abusivamente si definisce d’informazione ma è d’opinione per poi, in modo palesemente contraddittorio, chiudere improvvisamente su Schifani affermando che “dalle inchieste del 2002, ha sempre preferito tacere su quel suo passato sconsiderato”.
In altri termini, finisce per dare ragione a Travaglio senza volerlo ammettere, dopo aver confezionato tutto il pezzo in segno contrario.
Insomma, D’Avanzo contro tutti, persino contro se stesso.
Travaglio non è un inquisitore, racconta fatti sulla base di evidenze processuali, fossero anche di vent’anni. Infatti non è alla magistratura che si rivolge ma al pubblico televisivo: perché questo deve essere tenuto all’oscuro di alcune storie facilmente disponibili a pochi euro sugli scaffali delle librerie?
Il torto di Travaglio è quello di parlare in televisione a milioni di persone perché fino a quando si limita a scrivere poderosi volumi, nessuno ha nulla da obiettare: sono pochi gli Italiani che leggono e di certo il loro isolato sdegno non costituisce una minaccia per la nomenklatura.
Ma se Marco Travaglio parla in televisione come autore dei suoi libri, apriti cielo!
Stessa sorte per Michele Santoro: se lascia spazio in prima serata alle parole pronunciate in piazze gremite da Beppe Grillo, dal Palazzo d’Inverno piovono strali.
I più agguerriti diventano proprio gli uomini dell’opposizione, sorpresi dai telespettatori nell’inerzia più completa di fronte alle tante verità scomode: sono per primi loro, con il loro seguito di giornali d’area, ad invocare la censura preventiva sulla tv pubblica ed a ostentare solidarietà nei confronti di chi proprio non ne ha bisogno.
Perché la seconda carica dello Stato, per di più sotto l’ombrello protettivo del Cavaliere, disporrà o no degli strumenti necessari per far valere eventualmente le sue ragioni senza che in suo soccorso arrivino le scompaginate truppe democratiche, in ritirata strategica dalla società civile?
Siamo veramente all’anno zero, come efficacemente ha battezzato la sua trasmissione Michele Santoro.
Ormai a testimoniare contro il pensiero unico nell’Italia dei media normalizzati sono rimasti in tre: Marco Travaglio, Michele Santoro e Beppe Grillo.
E i loro più temibili avversari non sono, come si potrebbe pensare ingenuamente, gli esponenti della maggioranza parlamentare che si sta apprestando all’occupazione di tutti i gangli istituzionali: quelli sono antagonisti dichiarati con cui ognuno di loro si misura quotidianamente.
Contro questi valorosi testimoni di una democrazia che brancola nel buio, ci sono proprio gli esponenti di quell’opposizione che, sovvertendo le regole del gioco di uno strano maggioritario bipolare, ha rinunciato ad esistere molto tempo prima di subire il cappotto elettorale.
L’ultima trovata, quella del governo ombra, che ieri ha pure ottenuto il riconoscimento di Berlusconi con la famosa telefonata a Veltroni, escludendo dal valoroso consesso proprio l’alleato vincente Antonio Di Pietro, è l’ennesimo sberleffo rivolto a quegli elettori che appena un mese fa hanno concentrato il voto sul Partito Democratico contro lo spauracchio Berlusconi, agitato dal loft democratico (ormai è lampante) con l’obiettivo prioritario di togliere i voti alla Sinistra.
Quanto a Fabio Fazio, alla sua declamata dissociazione dall’intervento di Travaglio, beh è meglio stendere un velo pietoso; avendo adesso pienamente compreso come mai le gag della Litizzetto sul suo conto siano tanto efficaci.
A sua tempo, si sarà pure proclamato ammiratore di Enzo Biagi ma del compianto giornalista di certo non possiede né statura morale né coraggio intellettuale.
Gioca a presentarsi al pubblico televisivo come il classico vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, una sorta di don Abbondio senza tonaca in casa Rai; purché sotto lucroso contratto, s’intende.

venerdì 2 maggio 2008

L'ospite che non ti aspetti ad Anno Zero

Come era già successo qualche tempo fa, il Corriere della Sera.it scivola nuovamente su un video Rai: questa volta è tratto dalla trasmissione Anno Zero condotta magistralmente da Michele Santoro nel cui studio ieri sera interveniva (si fa per dire!) tra gli ospiti Vittorio Sgarbi.

Il Corrierone titola "Tele-rissa Travaglio-Sgarbi" ma le cose non stanno affatto così.

Nel caso in questione si è trattato di un attacco di una violenza verbale inaudita sferrato contro l'imperturbabile Marco Travaglio da un tal personaggio che non si capisce per quali meriti calchi ancora le scene televisive, nonostante lasci al suo passaggio soltanto una sequela di insulti rivolti a bella posta a chiunque entri in contraddittorio con lui.

Travaglio e Santoro hanno mantenuto il sangue freddo: il primo, restando impassibile benché le prevaricazioni reiterate avrebbero fatto perdere la pazienza anche ad un santo; il secondo, invitandolo ripetutamente ad abbassare i toni, mostrandosi assolutamente convinto che la medicina migliore da somministrare ad una persona che ha perduto il lume della ragione resti, comunque, la persuasione intellettuale.

Parlare di tele-rissa risulta quindi palesemente errato.

Vale forse la pena ricordare alla redazione del Corriere della Sera.it che, come recita il vocabolario della lingua italiana Gabrielli, la rissa è una "Zuffa violenta tra due o più persone, con scambio di offese e di botte".

Che un personaggio del genere possa fare il bello ed il cattivo tempo, avventandosi verbalmente contro gli ospiti in studio, senza che nessuno decida di accompagnarlo garbatamente ma inflessibilmente dietro le quinte, non è proprio un bel vedere.
Ancora più grave è che il pubblico che guarda da casa Anno Zero si veda costretto ad assistere impotente a queste intemperanze per non girare canale e rinunciare definitivamente a quest'ultima riserva televisiva di libero pensiero.

lunedì 18 febbraio 2008

PD e PDL, due colossi dai piedi d'argilla

I tempi sono senza dubbio difficili. Il fallimento dell’esperienza del centrosinistra dopo soli 20 mesi di governo sui 60 possibili la dice lunga sull’umore plumbeo che regna in Italia.
Il fatto che si sia chiuso un ciclo politico prima ancora che avesse sviluppato i suoi effetti lascia un grande sconforto un po’ in tutti, sia in chi aveva scommesso su Prodi capo del governo, sia in chi nell’elettorato con simpatie di destra, al di là del fuoco di sbarramento prodotto da Berlusconi & c., avrebbe voluto bocciare il governo dell’Unione sul terreno dell’economia e non sulla politica estera (crisi del febbraio 2007) o, peggio, sulla vicenda familiare di Mastella.
Per i conservatori, sarebbe bastato un terzo anno di legislatura per mettere la parola fine alla proposta politica del centrosinistra per parecchi anni; invece, così si lascia ai politici di quello schieramento l’alibi di un governo crollato sotto i colpi traditori di forze centriste capeggiate da Dini e Mastella.
In un momento molto delicato per la politica ed economia internazionale, anche a seguito della tempesta bancaria che sta scuotendo da mesi i mercati finanziari mondiali, le elezioni anticipate aggiungono problema a problema senza che se ne veda in alcun modo una via d’uscita.
E’ iniziata la campagna elettorale che si disputerà con il porcellum, pur sapendo in anticipo che la legge con cui si andrà per la seconda volta a votare presenta profili di incostituzionalità tali da mettere a rischio la ratifica dei risultati del voto, chiunque dovesse vincere.
Nel frattempo si è scatenata la bagarre comunicativa tra Veltroni e Berlusconi che, insieme ai propri luogotenenti, occupano da giorni pressoché tutto lo spazio mediatico disponibile.
Sono bastate le prime due puntate di Porta a Porta d’inizio settimana per mettere al tappeto chiunque segua ancora con un minimo di interesse le vicende politiche italiane.
Apprendiamo da Veltroni che la guerra in Afganistan condotta dall’Italia insieme alla Nato ha la stessa importanza della lotta alla mafia; ma il leader del partito democratico dimentica di dire che la prima sta andando avanti con micidiali bombardamenti aerei mentre la seconda si fa con le attività investigative, magari proprio avvalendosi delle intercettazioni.
Inoltre Veltroni ci ha avvertito in diretta TV che le intercettazioni non vanno rese di dominio pubblico (quindi pubblicate dalla stampa) fino alla celebrazione dei processi.
Almeno in questo caso, qualcuno gli dovrebbe spiegare (magari il suo nuovo alleato, Antonio Di Pietro) che senza il controllo dell’opinione pubblica le intercettazioni telefoniche, comunque messe a conoscenza delle parti processuali, diverrebbero materia di pressioni e ricatti, con il rischio concreto di inquinamento delle prove.
Perché, come dice Marco Travaglio, se non fossero state pubblicate quelle della doppia scalata Bnl - Antonveneta, i furbetti del quartierino sarebbero ancora nelle condizioni di fare altre “bravate” e il governatore Fazio siederebbe comodamente dietro la sua scrivania di Palazzo Koch.
Che poi l’Italia sia in Afganistan in missione di pace mentre il suo alleato americano insiste nel mettere a ferro e fuoco quella sfortunata terra chiedendoci un ulteriore coinvolgimento nelle operazioni militari, resta uno di quei misteri la cui comprensione è alla portata solo di menti superiori, magari proprio di quella del leader del Partito Democratico che, beato lui, ha tutto chiaro in testa.
Sui temi economici, usando gli stessi toni da televendita per i quali Berlusconi è insuperabile, Veltroni promette meno tasse e più asili nido.
Chissà perché ma quando dice così il pensiero va diretto al bravissimo Antonio Albanese alias Cetto La Qualunque con il suo surreale e prosaico “cchiu' pilu pi' tutti”.
Intanto Berlusconi promette che, tornato a Palazzo Chigi, non metterà ancora le mani in tasca agli italiani (come a dire, non diminuirà le tasse...) e non li terrorizzerà (dice proprio così!) con la lotta all’evasione fiscale; anzi, toglierà l’Ici.
Insomma, a tv spenta, Veltroni e Berlusconi nei vari interventi televisivi dicono più o meno le stesse cose: più che leader di due partiti in piena competizione tra di loro sembrano esponenti dello stesso partito che si sfidano sotto lo stesso tetto in una personalissima tenzone.
Non solo c’è convergenza tra le piattaforme politiche tra Partito Democratico e Partito della Libertà (ma si chiama veramente così il partito del Cavaliere?) ma, a furia di incontrarsi in vertici a due, sembra quasi che le loro forme di comunicazione si siano contaminate e reciprocamente omologate.
E’ come se lo stile di Berlusconi avesse finito per contagiare anche Veltroni che, se non altro per mancanza di originalità, rischia di perdere nettamente il confronto a distanza; ma un po’ di Veltroni c’è pure nel nuovo stile berlusconiano, più controllato del passato, meno propenso a promesse da marinaio.
Anche se i due continuano a mostrare sotto le telecamere temperamenti molto differenti: il primo straripante e istrionico, finge (lo speriamo!) di credersi l’unto del signore; il secondo, nei modi più colloquiale ma assai supponente in quello che dice, indugia frequentemente in toni ecumenici (la gag di Maurizio Crozza sul “ma anche” veltroniano è perfetta).
Insomma, un messia contro un santone, ovvero lo scontro politico più improbabile e lontano dai bisogni della gente comune che, annoiata e irritata, li vede pronunciare una sequela di vuoti slogan e sterili promesse, senza indicare a quale nuovo modello di società intendano riferirsi: insomma, la stessa minestra democristiana, per giunta riscaldata.
Di ciò si incomincia a preoccupare lo stesso Eugenio Scalfari che, nell’editoriale di ieri, cerca di trovare a tutti i costi delle differenze tra i due; una bella impresa che, nonostante il suo eloquio e la sua cultura, questa volta non gli riesce. Tant’è che è costretto, pur di operare un distinguo, a scendere sul piano della mera propaganda: “Berlusconi propone il ritorno al già visto, Veltroni vuole che tutto cambi nei programmi e nelle persone” ma si guarda bene dal precisare il senso concreto di queste parole, utili al suo pupillo solo per infarcire il prossimo discorso elettorale.
E’ facile prevedere che il Cavalier Silvio e l’americano de Roma Walter, così facendo, finiranno per pestarsi i piedi, sovrapponendo in parte la loro base elettorale e rischiando di lasciare scoperti spazi di consenso grandi come praterie dove potranno scorrazzare, a destra, l’Udc di Casini e la Rosa Bianca di Tabacci; a sinistra, evidentemente, la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti.
Ma questo rassemblement, lungi dall’aprire nuovi scenari all’indomani delle elezioni politiche li costringerà, a causa della loro reciproca debolezza, ad una qualche forma di coabitazione.
Per i due colossi dai piedi d’argilla, l’ipotesi di grande coalizione, versione riveduta e corretta del “governo di larghe intese”, potrebbe diventare la sola strada percorribile: una vera iattura per il nostro Paese.
A meno che la forza iconoclasta di Beppe Grillo non scompagini, più di quanto non abbia già fatto in questi pochi mesi, la politica italiana...

lunedì 24 dicembre 2007

Gli "omaggi" natalizi di Scalfari alla Forleo

Nel sermone natalizio di domenica 23, Eugenio Scalfari attacca a fondo il giudice di Milano Clementina Forleo (1):
“Una magistratura che ricama sgorbi sulle sue toghe aggrappandosi al cavillo della norma senza capacità né voglia di coglierne la sostanza. Magistratura pubblicitaria, così dovrebbe chiamarsi la parte ormai largamente diffusa che insegue la propria visibilità non meno dei Diliberto e dei Mastella.
La vicenda Forleo è il sintomo palese di questa devastazione pubblicitaria che sta sconvolgendo l'Ordine giudiziario e, con esso, il corretto esercizio della giurisdizione. Ho grande rispetto per Franco Cordero, nostro esimio collaboratore, e capisco anche le motivazioni giuridiche che l'hanno indotto a difendere il Gip milanese.
Secondo me quel Gip andrebbe censurato dal Csm non per la procedura che ha seguito ma per l'esibizione di volta in volta vittimistica e sguaiata, con la quale ha invaso teleschermi e giornali. Disdicevole. Aberrante per un magistrato. Falcone, tanto per dire, non ha mai usato quel metodo né lo usarono il magistrato Alessandrini, l'avvocato Giorgio Ambrosoli e tutti coloro che del mondo della giustizia caddero sotto il piombo del terrorismo o della mafia.”
Grande Scalfari! Non ne fa più una questione di rispetto delle procedure o di improprietà dell’attività giudiziaria del gip di Milano.
Come potrebbe d’altronde?
Il giurista Franco Cordero bolla le motivazioni che hanno spinto il Csm a chiedere il trasferimento della Forleo come del tutto inconsistenti e paralogiche; nella trasmissione di Michele Santoro di giovedì scorso, l’insigne studioso dice testualmente: “L’atto d’accusa nei confronti della dottoressa Forleo è fondato su argomenti che valgono pochissimo; potrei anche usare parole più brutali e dire che non valgono niente.”
Per questo il fondatore di Repubblica è costretto a fare marcia indietro sul merito delle accuse e la mette folcloristicamente sul piano della presunta sguaiatezza del giudice Clementina Forleo nelle sue ripetute invasioni mediatiche: sarebbe questo il vero motivo, per Scalfari, della necessità di una censura da parte del Csm.
Un’assurdità che si commenta da sola.
Ma per dimostrare la validità del suo bel ragionamento egli cita uomini di legge come Falcone, Alessandrini e Ambrosoli che non hanno inseguito la visibilità mediatica e che sono caduti sotto i colpi di mafia e terrorismo.
Purtroppo Scalfari non si rende conto che è proprio da quella illustre ed eroica esperienza che discende la necessità per magistrati come Clementina Forleo e Luigi De Magistris di gridare ai quattro venti il boicottaggio patito e l’isolamento in cui sono caduti ad opera delle istituzioni da quando si sono trovati tra le mani inchieste scottanti: una sorta di polizza assicurativa sulla vita fondata semplicemente sulla propria visibilità mediatica.
Purtroppo è questa la situazione in cui si trovano ad operare i magistrati più coraggiosi in un’Italia dominata dalle consorterie e incupita da una scia di sangue che ha intimidito i tutori della legge per decenni e su cui non è mai stata fatta luce fino in fondo.
Come è possibile che un navigato giornalista come Scalfari non si renda conto di quale pesante eredità ci sia tramandata dai mille misteri italiani ancora insoluti?
La devastazione pubblicitaria di cui egli blatera è purtroppo l’inevitabile conseguenza di quel clima e della guerra, questa sì rovinosa perché senza esclusione di colpi, che la politica con rare eccezioni ha apertamente dichiarato alla magistratura dall’epoca di Mani pulite.
Eppure il grande giornalista non sembra si sia scandalizzato quando a seguito della ormai famosa ordinanza del Gip Forleo l’onorevole Massimo D’Alema così sguaiatamente commentava (cfr. citazione di Marco Travaglio in Anno Zero del 20 u.s.)": “Che monnezza, che schifo la magistratura si comporta in modo inaccettabile; forse li abbiamo difesi troppo questi magistrati ma ora dobbiamo reagire. E’ una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati. Siamo ancora uno stato di diritto? Non vedo alcuna ragione di giustizia, deve esserci sotto dell’altro… io ho qualche idea, prima o poi bisogna tirarla fuori”; oppure quando diceva: “Siamo fuori dallo stato di diritto. E’ pazzesco: quel Gip fa cattiva letteratura, crocifigge un cittadino, fa saltare per aria il sistema democratico. Perché questa vecchia immondizia rispunta fuori proprio ora?”
Quello in cui vive il fondatore di Repubblica probabilmente non è lo stesso paese in cui tutti noi siamo costretti a vivere sotto la cappa di formidabili poteri occulti, in un intreccio perverso di politica, affari e criminalità, che caratterizza senza soluzione di continuità periodi importanti di vita repubblicana.
E poi finiamola una buona volta col minimizzare quanto avvenuto tra la primavera e l’estate di due anni fa: quello fu il tentativo, abortito solo perché inopinatamente emerso alla luce del sole, di due scalate bancarie parallele ma entrambe illegali che si sostennero vicendevolmente grazie al tifo fazioso delle due principali forze politiche di allora.
Ce n’è abbastanza, al di là delle risultanze giudiziarie, per mandare a casa l’intera classe dirigente di quei due partiti.
E invece no, gli sciagurati protagonisti di quella stagione sono ancora lì a fare il bello ed il cattivo tempo, a dettare ancora l’agenda politica del nostro Paese.
Ecco perché, caro Scalfari, la gente come dice Lei, è schifata: perché già sa che, gattopardescamente, niente cambierà né alla Rai né in qualunque altro presidio pubblico occupato militarmente dalla politica.
E quella telefonata intercettata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi sarà pure stomachevole ma è tutt’altro che sorprendente o inaspettata, al di là dell’opinione che si ha dei protagonisti: al bando l’ipocrisia, fotografa in modalità macro l’ordinario degrado morale della nostra classe dirigente.
Malauguratamente non si intravede all’orizzonte niente che possa toglierci rapidamente dalle sabbie mobili in cui il nostro sistema politico istituzionale è precipitato da tempo.
L’altra sera ad Annozero, in una meritoria puntata in cui Michele Santoro ha finalmente rivelato al grande pubblico televisivo come sembrino pretestuose ed inconsistenti le carte del Csm contro la Forleo, abbiamo potuto sentire la cosiddetta nuova politica rappresentata dal leader della Sinistra Giovanile criticare aspramente l’ordinanza emessa nel luglio scorso dal giudice Clementina Forleo, usando le stesse logore argomentazioni a suo tempo usate dai difensori e luogotenenti di Berlusconi: davvero un pugno nello stomaco per chi crede che i giovani possano rappresentare l’asso nella manica di un paese che, giustamente, al di là dell’Atlantico viene visto triste ed immobile.
Perché dei replicanti di D’Alema, Fassino, Mastella, ma anche degli emuli in erba di Berlusconi e Fini, questo paese non solo non sente la necessità ma addirittura ne teme lo shock anafilattico.
Ciò non toglie che la nostra democrazia ha un bisogno vitale di ricostruire efficaci processi di selezione della propria classe dirigente: magari fosse solo questione di legge elettorale!
E’ un intero sistema di reclutamento delle forze migliori, di nuovi talenti, di energie ideali che va ricostruito dalle fondamenta.
Che cosa possa innescare questo processo virtuoso è difficile dirlo: forse la rabbia montante tra i cittadini indignati dallo schifo della vita pubblica, proprio quello sottolineato dal predicozzo dell’antivigilia di Natale su Repubblica, può segnare l’alba di una nuova Italia.
Ma, allo stato delle cose, più che una speranza questo è piuttosto un pio desiderio.
(1): la Repubblica.it del 23/12/2007

giovedì 11 ottobre 2007

Santoro, Travaglio: di nuovo all'anno zero?

Chi l'avrebbe mai detto? La Rai del centrosinistra, o meglio del nascituro Partito Democratico, che frena le vittime simbolo dell'epoca berlusconiana: Santoro e Travaglio. Serve moderazione, spiega il cda Rai.
Di tutte le inerzie e fallimenti di questa stagione politica, quella che appare la più incredibile e, per certi versi, crepuscolare è proprio l'isolamento in cui sono stati messi al loro rientro in Rai questi due ottimi giornalisti.
L'editto di Sofia pronunciato da Berlusconi ha trovato la sua imprevista replica con l'intervento estemporaneo di Romano Prodi il quale, sia pure con una frettolosa e impacciata retromarcia, ha di fatto confermato le accuse mosse a suo tempo dal Cavaliere e che a quest'ultimo erano costate la riprovazione generale e, forse, l'onda lunga della sconfitta elettorale ai punti nella primavera del 2006.
Quello che appare ancora più sconfortante è che proprio in seno al Partito Democratico non si siano levate, come ci si sarebbe potuto ragionevolmente attendere, quelle voci di dissenso per l'infelice battuta del premier e, soprattutto, di piena solidarietà con il conduttore di Anno Zero che in altri tempi non gli sarebbero di certo mancate.
Quasi che il primo frutto del matrimonio DS - Margherita sia la nascita di un partito che recita al primo vagito l'abiura dei principi di un'informazione libera e pluralista.
Festeggiare il battesimo di questa nuova creatura politica in un'atmosfera mediatica di piena restaurazione (senza che il Cavaliere abbia dovuto muovere un dito!) è di pessimo auspicio per il futuro del centrosinistra e di ormai questo scorcio di legislatura.
In tale frangente, infatti, ha gioco facile la destra nel rispedire al mittente tutto lo sdegno a suo tempo suscitato dall'uscita bulgara di Berlusconi. Quale peggior viatico per le primarie di domenica! Con quale spirito molti elettori di sinistra potrebbero recarsi alle urne?
Di certo l'affluenza di domenica ci dirà se il Partito Democratico è rimasto all'anno zero: se non si dovesse ripetere il risultato delle primarie vinte da Prodi, si aprirebbe una stagione politica assai delicata per la nuova leadership.
Ma stasera ritorna, fortunatamente, Anno Zero.