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domenica 6 aprile 2008

Per il dopo voto, si preannuncia la vera spallata

Ad ormai una settimana dalle elezioni il quadro politico italiano resta sconfortante.
La campagna elettorale affonda sotto sterili slogan e promesse al vento mentre tutto attorno stanno crollando, l’una dietro l’altra, le poche impalcature ancora in piedi dello stato sociale.
L’inflazione (finalmente se n’è accorta anche l’Istat!), è alle stelle: oltre al preoccupante livello raggiunto, 3,3% annuo, questo è il peggior dato degli ultimi dieci anni. Per ritrovare un tasso superiore occorre risalire addirittura al settembre 1996, con il 3,4%.
L’emergenza rifiuti in Campania (e non solo lì) è tutt’altro che superata, l’Alitalia è al collasso, adesso perde colpi anche il settore agroalimentare, investito da una pesantissima quanto improvvisa crisi che trova come capri espiatori la mozzarella di bufala e il vino (due indiscussi simboli del made in Italy) a causa della contaminazione da diossina e dell’adulterazione scellerata operata da alcune aziende vinicole miscelando sostanze tossiche.
Dal servizio di Report di qualche settimana fa, sappiamo con certezza che a pochi metri di distanza da discariche a cielo aperto in cui vengono illegalmente sversate e criminalmente bruciate montagne di rifiuti, si coltiva, senza nessun controllo sanitario, frutta e verdura destinate alle tavole degli italiani; mentre gli allevamenti di ovini situati nei paraggi subiscono un’ecatombe per aver brucato erba contaminata.
Ma il cahier de doléances non finisce qui...
Il disastro delle ferrovie italiane è quotidianamente confermato dagli sventurati che hanno ancora l’ardire di recarsi al lavoro utilizzando il treno.
Per capire in quali acque navighi la Telecom basta scorrere il listino di borsa o, più stoicamente, tentare il percorso ad ostacoli del 187, dove è già un successo riuscire a parlare con un operatore in carne ed ossa; che poi i singoli operatori diano, di volta in volta, risposte diverse ad una stessa reiterata richiesta è un particolare tutto sommato secondario.
Se la mission aziendale di Telecom è finire a Waterloo, i suoi manager possono già ritenersi soddisfatti.
Quanto alle società multiutilities, tra Enel, Eni e aziende locali, il cittadino consumatore è stritolato nella morsa dei prezzi in continua ascesa: poco importa se dipenda dal petrolio, dalla forza dell’euro, dalla rete distributiva o dai meccanismi di mercato poco trasparenti.. la corsa al rialzo non ha freni.
Per lo sviluppo di fonti alternative di energia (vedi fotovoltaico), qualche passo in avanti è stato fatto dal governo Prodi ma l’Italia resta ancora molto indietro rispetto ai maggiori paesi europei.
Sul fronte giustizia nessuna novità importante per i cittadini che si misurano quotidianamente con l’inefficienza cronica degli uffici giudiziari; la lotta alla criminalità organizzata langue, malgrado l’arresto di qualche nome di spicco.
Circa la situazione dell’ordine pubblico basta vedere cosa succede puntualmente ogni domenica quando è in programma qualche sfida calcistica di rilievo; intanto, restano impuniti i reati da macelleria messicana perpetrati da alcuni elementi delle forze dell'ordine durante il G8 di Genova del 2001.
Quanto alle cosiddette leggi vergogna, malgrado i roboanti proclami del centrosinistra e due anni di governo Prodi, restano ancora tutte in vigore.
Se poi volessimo approfondire i problemi irrisolti di scuola, università, ricerca scientifica, riforma della pubblica amministrazione, assetto istituzionale del Paese, riforma degli ordini professionali, ecc., già saremmo costretti ad issare bandiera bianca.
Si può concludere, senza nessun disfattismo, che non c’è settore della vita nazionale dove le cose vadano per il verso giusto grazie ad una politica illuminata.
La realtà è che i nostri politici non si stracciano le vesti né si sbracciano per intervenire a fondo sulle mille emergenze del nostro Paese. Al contrario, in una logica del tutto autoreferenziale, sono intenti a consolidare il loro status di privilegiati a dispetto dei cittadini che reclamano risposte concrete ai loro spinosi problemi. E' pur vero che molti di loro sono di una incompetenza disarmante.
Dello stato di malessere sociale in cui ci hanno ridotti non risponde più nessuno; per i leader dei due schieramenti diventa ininfluente persino il risultato elettorale.
Domenica scorsa, così si è pronunciato Walter Veltroni, leader del Partito Democratico, replicando a chi gli chiedeva che intenzioni avesse in caso di sconfitta elettorale: "Ho preso un impegno per fare un grande partito, il Pd, e continuerò ad assolvere l'impegno preso il 14 ottobre con tre milioni e mezzo di persone, lo farò fino a quando non potrà essere superato da una scadenza analoga, fino ad allora ho il dovere etico di continuare a guidare il Pd".
Dal canto suo, Silvio Berlusconi gigioneggia e coglie l’occasione di un incontro con la Coldiretti per mettere in piedi lo sketch della mozzarella: ne addenta un morso, porta la mano al cuore fingendo di accusare un malore, si flette all’indietro come avvelenato dalla diossina, poi se la mangia tutta d’un fiato mostrando sommo piacere.
Insomma, anche la brutta storia delle contaminazione alimentare diventa il pretesto per uno show di cattivo gusto.
Su un’altra ribalta, malgrado abbia fatto di tutto per arrivare alla rivincita elettorale, il Cavaliere dichiara di abbracciare malvolentieri la croce del governo anche perché certo di avere poi contro tutte le istituzioni: "Sappiamo di andare verso una situazione difficile, con tutte le istituzioni contro, la Corte, il Csm e la stragrande maggioranza dei giornali. E poi sappiamo che il premier non ha alcun potere. Ha solo l'autorità e il diritto di formulare l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri".
Come sia stato possibile che alcuni mesi fa Veltroni, con Prodi ancora ben in sella a Palazzo Chigi, abbia dato credito ad un tale personaggio per progettare le riforme istituzionali, resta un mistero.
Per fortuna, mancano solo sette giorni alla fine di questo spettacolo indegno, con i due maggiori protagonisti che fingono di tirarsi fendenti ma sotto sotto aspirano alle oligarchiche larghe intese, ovvero a dare l'ultima spallata alla nostra democrazia rappresentativa.

domenica 30 marzo 2008

La campagna promozionale di PD - PDL: è partito il "Fuori Tutto!"

Il Financial Times, come abbiamo visto nella corrispondenza da Roma di sabato 22 marzo, ha ridicolizzato la campagna elettorale italiana.
In particolare ha preso di mira Walter Veltroni e Silvio Berlusconi che hanno cercato al momento della formazione delle liste (folcloristica, potrebbero dire gli inglesi), di modellare il prossimo Parlamento a propria immagine e somiglianza.
Che il prestigioso quotidiano economico dica qualcosa che è sulla bocca di tutti, qui in Italia, non ci meraviglia: non a caso Beppe Grillo ha preannunciato da giorni di poter dare un nome e cognome ai prossimi senatori e deputati molto prima che si aprano le urne per votare.
Ciò che stupisce è che mentre di solito il Financial Times viene citato dalla stampa di casa nostra ad ogni stormir di fronda con l’enfasi dell’Enciclopedia Britannica, in questo caso l’editoriale è passato del tutto inosservato.
Eppure questa volta sarebbe stato assai opportuno raccontare come dall’estero si guardi alla politica italiana in un momento così delicato.
Ma i media, bipolarizzati tra Partito Democratico e Popolo delle Libertà, hanno deciso di tacere, a dimostrazione di quanto abbiano a cuore i princìpi di trasparenza e di completezza dell’informazione e, quindi, in quale considerazione tengano i cittadini e la società civile.
Il giudizio caustico del Financial Times ha avuto, guarda caso, una qualche eco proprio su Il Messaggero di Roma, che fa capo al gruppo Caltagirone; e, come si sa, l’UDC di Pierferdinando Casini, marito di Azzurra Caltagirone, si è recentemente smarcato dall’asse Veltrusconi e gareggia per conto suo.
Sta di fatto che i due colossi dai piedi d’argilla, dopo aver mandato a picco una legislatura con tre anni di anticipo, stanno affondando anche questa campagna elettorale, riempiendola di vuoti slogan e di proposte per il dopo voto così estemporanee e insulse da rasentare il ridicolo: come quella di aumentare le pensioni minime di 400 euro all’anno per gli ultrasessantacinquenni.
Certo, meglio di niente, si è tentati di dire.
Ma tale aumento come verrebbe finanziato? Con il famigerato tesoretto o tagliando risorse da qualche altra parte? E perché non ci si è pensato prima, magari durante quella che doveva essere la fase due del governo Prodi? Infine, perché tale idea non è stata riportata nero su bianco e con tutti i riferimenti del caso nel programma elettorale del Partito Democratico?
Insomma, è una proposta che Veltroni ha buttato lì, tanto per fare clamore e smuovere le acque stagnanti di questa plumbea corsa al voto.
Il classico coniglio tirato fuori dal cilindro, secondo uno stile da televendita che, paradossalmente, ha reso celebre proprio il suo avversario di Arcore.
Se questo deve essere il livello del confronto tra i due partiti, suggeriamo a Veltroni di rendere più allettante la sua offerta promozionale aggiungendo per ogni pensionato magari un servizio di piatti da sei in fine porcellana ed un set di valigie da viaggio in similpelle con serratura di sicurezza.
Berlusconi, da par suo, per ottenere una maggioranza sicura al Senato, potrebbe rispondere promettendo ai suoi elettori di età superiore ai 25 anni un abbonamento gratuito per un anno al digitale terrestre con tutte le partite in diretta della squadra del cuore…
Ormai è chiaro: invece di rispondere al grido di Beppe Grillo Fuori tutti!, PD e PDL si danno al Fuori Tutto! cercando di accalappiare gli elettori con promesse elettorali sottocosto.
Che squallore!

martedì 25 marzo 2008

Il Financial Times è assai critico con il duo Veltroni - Berlusconi

E venne il giorno in cui finalmente da Oltremanica qualcuno, riferendosi a Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, leader di due partiti nuovi di zecca, il PD e il PDL, scrisse: "It is the leaders who choose their lists, in most opaque fashion. Mr Berlusconi, the centre-right opposition leader, and Walter Veltroni, the head of the ruling centre-left Democratic party, failed last year to agree on electoral reform. Mr Berlusconi, comfortably ahead in opinion polls, wanted lists to stay. Both have since been ruthless in exploiting their power to shape parliament."
Lo dice il Financial Times nell'edizione on line di sabato scorso in un editoriale a firma di Guy Dinmore.
L'articolo è molto critico nei confronti dei due leader che, gattopardescamente, hanno cambiato tutto per non cambiare niente.
Quando il pubblico si annoia o è ostile ma serve la sua attenzione, esordisce il prestigioso quotidiano economico inglese, niente di meglio che dargli l'illusione di poter scegliere mentre invece si tiene in piedi il vecchio ordine.
E giù le critiche su come si sono compilate le liste elettorali e sui due leader che le hanno decise in modo molto opaco.
Viene riportata pure la perla del Cavaliere sul consiglio dato alla giovane precaria di sposare un uomo ricco come suo figlio.
E così la finta novità dei due colossi partitici tanto sbandierata dalla strana coppia Veltroni - Berlusconi riceve la prima sonora bordata di fischi da un autorevole osservatorio internazionale.
Complimenti!

lunedì 24 marzo 2008

Dopo il voto, c'è sempre la Casta

Nel giorno di Pasquetta, è possibile tirare una linea e fare un primo bilancio della campagna elettorale, ormai a tre settimane dal voto.
Alcuni osservatori che vanno per la maggiore l’hanno definita la miglior campagna elettorale della seconda repubblica ma questo dimostra, una volta di più, come il mondo dell’informazione sia agli antipodi del mondo reale.
Sì, perché mai come in quest’occasione la campagna elettorale si trascina, a voler essere generosi, nella più completa indifferenza: pochi comizi, poca gente in piazza, molti nervi scoperti quando qualcuno la mette in politica, anche se sta semplicemente sorseggiando un caffé al tavolino di un bar.
Molti leader, in viaggio per lo Stivale, vengono accolti da sparuti gruppi di curiosi, con qualche luogotenente locale che cerca alla men peggio di organizzare la claque.
Ormai le riunioni politiche si fanno in luoghi chiusi perché in piazza la desolazione che li accompagna sarebbe veramente insopportabile.
E’ la campagna elettorale dove solo i segretari di partito battono il Paese provincia per provincia: i candidati prescelti se ne stanno al calduccio, in attesa che il leader passi dal loro collegio per organizzare su due piedi un incontro pubblico in cui lo affiancheranno silenziosi per poi tornarsene disciplinati dietro le quinte.
Beppe Grillo ha detto che prima del voto pubblicherà i nomi degli eletti delle prossime elezioni: ha perfettamente ragione, dato che tra collegi blindati e candidature decise a tavolino, il prossimo Parlamento ha una fisionomia già ampiamente nota.
Non è difficile pronosticare che sugli scranni parlamentari siederanno gli amici degli amici degli amici e, mentre il giudice Clementina Forleo è lasciato solo a subire una vera tempesta disciplinare per lo zelo dimostrato nell’inchiesta Antonveneta, molti furbetti del quartierino varcheranno i portoni di Montecitorio e Palazzo Madama per infliggerci un sonoro schiaffo immorale.
Ormai la campagna elettorale resta appannaggio degli schermi televisivi dove, tra Berlusconi e Veltroni, siamo alle comiche: l’uno che dice di avere in tasca la cordata di imprenditori che salverà l’Alitalia; l’altro che gli rinfaccia di bluffare, forse memore del pessimo stato in cui gli ultimi capitani coraggiosi hanno lasciato la Telecom.
Entrambi si accusano vicendevolmente di ripetere le stesse cose ma poi, con sfumature diverse, concordano sul voto utile.
Per interrompere le prove tecniche di Veltrusconi, è dovuto intervenire addirittura il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricordando ai due che non esiste il voto inutile.
Ma è possibile che l’Italia si meriti uno spettacolo così scialbo?
Possibile che la classe politica non sappia alzare il livello del confronto dialettico al di sopra del goffo duello tra i leader di PD e PDL e non sappia vedere nella campagna elettorale un’ultima occasione per entrare in sintonia con il cupo umore del Paese?
Perché non è solo questione di una pessima legge elettorale: quella a cui assistiamo ormai quotidianamente è proprio una grave crisi di identità della Casta, la sua anticipata rinuncia a qualsiasi serio progetto di cambiamento della società italiana.
Insomma, quando non combinano direttamente guai, spesso i nostri politici non hanno la minima idea di come affrontare i problemi del Paese e si limitano a gestire male l'ordinaria amministrazione.
In questo senso il caso Alitalia è molto simile all’emergenza rifiuti a Napoli: entrambe le questioni dimostrano l’impreparazione, l’insipienza, l’ottusità della nostra classe dirigente, al di là della casacca indossata.
Problemi fatti incancrenire per anni senza mai il coraggio, o forse l’orgoglio, di venirne a capo sciogliendone finalmente i fili aggrovigliati: si decide di non decidere per non ostacolare i corposi, illegittimi, interessi di pochi; molto spesso illeciti.
Ma che razza di democrazia è quella che si piega alle pressioni oligarchiche e resta del tutto indifferente ai problemi della generalità dei cittadini?
Siamo stanchi di persone che aspirano solo ai privilegi della politica ma non vogliono sopportarne gli inevitabili, pesanti oneri.
Chi è in corsa per cariche pubbliche deve dimostrare di possedere non solo probità morale ma anche adeguate competenze professionali.
Ma nelle condizioni di disfacimento interiore in cui è da tempo caduta, la Casta non è emendabile.
Un esempio su tutti: appena Veltroni ha provato a sollevare la questione dei mostruosi stipendi di deputati e senatori è stato duramente attaccato proprio dai suoi colleghi parlamentari che, forse accusandolo di uno sgarro, gli hanno subito rinfacciato la lauta pensione di cui già gode.
Segno evidente che solo energie nuove, non compromesse con la vecchia nomenclatura, possono effettivamente recidere quei legami incestuosi che hanno reso irrespirabile l’aria nei palazzi della politica.
Il paradosso è che, contro il comune buon senso e a dispetto delle pungenti, circostanziate critiche di Beppe Grillo e dei suoi tanti sostenitori, il prossimo Parlamento deciso a tavolino dalle segreterie di partito è sul nascere un'istituzione oligarchica, incapace per vizio originale di dare le risposte che una democrazia costituzionale affida al suo massimo organo legislativo.

lunedì 10 marzo 2008

Tra programmi stracciati e possibili scalate...

La campagna elettorale è arrivata al punto di svolta: con la definizione delle liste elettorali, che il porcellum affida totalmente alle segreterie di partito, si è scatenato un fuoco di polemiche sui nomi dei candidati prescelti.
E’ un gioco al massacro che non risparmia nessuno e di cui tutti sono nello stesso tempo vittime e carnefici.
Veltroni ci ha messo del suo con la pessima idea di chiuderle con una settimana di anticipo; il risultato è stato quello di farsi fagocitare per sette giorni nel tritacarne mediatico delle critiche di ogni provenienza, anche la più dubbia, e di dover poi restare fermo sulla difensiva.
Ancora una volta, lo staff democratico ha toppato clamorosamente; ma ormai non è più una notizia.
Anche sul fronte opposto non se la passano un granché bene: dopo il no dell’ex presidente della Confindustria Antonio D’Amato, si cercano rincalzi dell’ultima ora ma sempre nelle file degli imprenditori.
Ormai Confindustria nel duello mediatico PD-PDL la fa da padrona e già questo la dice lunga sullo stato confusionale in cui versano i due colossi politici.
Tentare di chiarirsi le idee leggendo i loro programmi elettorali è da masochisti: molto meglio commentare le loro ultime scorribande televisive.
Il fatto che al Palalido di Milano il Cavaliere abbia stracciato simbolicamente il programma del PD può far storcere il naso ai benpensanti ma sostanzialmente fotografa la disillusione che regna sovrana nell’elettorato, dove serpeggia tanta voglia di astensionismo.
Veltroni, con maggior fair play, non farà altrettanto con quello di Berlusconi semplicemente perché è una fatica sprecata: infatti, chi ci bada a questi specchietti per le allodole?
In questa finta sfida non sono i programmi che contano: la competizione si basa sulla diversità di temperamento dei due leader e sul loro appeal mediatico; il resto è noia.
Qualunque risultato esca nel derby PD-PDL, il governo prossimo venturo farà più o meno le stesse cose: taglierà ancora una volta la spesa pubblica, distribuirà a pioggia qualche euro, varerà grandi inutili opere pubbliche, lascerà le leggi vergogna al loro posto, occulterà il disegno di legge sul conflitto di interessi in qualche soffitta polverosa di Montecitorio.
E’ forse un caso che il programma del Partito Democratico parli di legge antitrust in modo puramente accademico? A pag. 27, il punto 5 dell’ottava azione di governo (sulle dodici elencate) dice testualmente: “Infine i conflitti di interesse vanno rimossi nella nuova logica dell’intervento pubblico: li elimina uno stato che fa meno gestione diretta, concentrandosi su leggi antitrust”.
Ma l’ingrato Berlusconi, invece di ringraziare Veltroni per la mano leggera promessa in materia, lo sbeffeggia pubblicamente riducendone in pezzetti svolazzanti i suoi propositi da premier!
Comunque, da grande comunicatore quale è, il suo è stato solo un coup de théâtre: tranquilli, il governo Veltrusconi sta venendo fuori alla grande.
E se Beppe Grillo e i suoi sostenitori non alzeranno ancora una volta la voce, c'è il rischio che tra poco la strana coppia potrebbe festeggiare la fusione di Mediaset con Telecom Italia, in disprezzo del buon senso e degli interessi strategici del Paese, prima ancora che di una seria normativa antitrust. Al momento è soltanto un'illazione ma la classe politica, piuttosto che accapigliarsi sulle guasconate del Cavaliere, farebbe molto meglio a preoccuparsi di cose assai più serie come, appunto, l'assetto societario della nostra compagnia di bandiera nel settore delle telecomunicazioni.
Infatti la società telefonica, con un altro 12% perso tra venerdì scorso ed oggi, è scesa ai minimi del valore di Borsa fin quasi dai tempi della sua privatizzazione ed è diventata, quindi, un'ottima preda.
Vi ricordate la stagione dei capitani coraggiosi? Nel frattempo, memore di quelle gesta eroiche (la scalata Telecom ad opera della razza padana fu definita una rapina in pieno giorno dal Financial Times), il PD schiera in lista il figlio di uno di loro, Matteo Colanino.
Ma forse il piatto forte i piccoli azionisti Telecom lo devono ancora assaggiare: dopo i capitani, sono in arrivo i cavalieri?

martedì 26 febbraio 2008

Campagna elettorale all'insegna della demagogia

Lo scontro tra PD e PDL in questa seconda settimana di campagna elettorale ci regala un’unica certezza: nel dopo elezioni, in caso di un quasi pareggio tra i due colossi politici, si andrebbe al governo di larghe intese.
Lo stesso Berlusconi, il meno interessato ad una soluzione del genere dato il vantaggio di cui è ancora accreditato dai sondaggi, lo lascia intendere senza tanti giri di parole.
La cosa non sorprende, come si è avuto già occasione di dire, però dovrebbe far arrabbiare i milioni di cittadini mandati alle urne già sapendo che con questa legge elettorale incostituzionale nella migliore delle ipotesi perdurerà lo stallo politico.
Che il bipolarismo italiano sia ridotto ad un cumulo di macerie è ormai un dato di fatto, a conferma dell’esistenza di una classe politica inetta che ci costringe a queste inutili elezioni, incurante dello sperpero di denaro pubblico che ciò comporta.
La cosiddetta semplificazione politica tanto caldeggiata sia da Berlusconi che da Veltroni finisce per negare quello che dovrebbe essere l’essenza stessa (l’unico pregio!) del principio maggioritario: una parte politica governa, l’altra fa opposizione. Se invece va a finire che governano tutte e due a braccetto vuol dire che la classe politica regna incontrastata su una società civile che ne subisce rassegnata lo strapotere.
Come a dire che dopo il ciclone dell’indignazione civile del 2007 (che i media tentano di esorcizzare chiamandola antipolitica), la Casta non solo non lascia ma tenta persino il raddoppio.
Beppe Grillo, alla vigilia del Monnezza Day a Napoli ha fotografato da par suo lo stato dei rapporti tra PD e PDL con una battuta sferzante: “Si inventano due formazioni: con lo stesso programma, si scopiazzano. Una presa per i fondelli…”.
Se poi consideriamo che la legge sulla par condicio è stata regolamentata per questa campagna elettorale in modo che lo spazio televisivo sia di fatto monopolizzato dai due maggiori partiti mentre agli altri restano le briciole, si capisce come si stia inscenando l’ennesima farsa sulla pelle dei cittadini e di ciò che resta della nostra democrazia rappresentativa.
Veltroni rinfaccia a Berlusconi di aver voluto trascinare il Paese alle urne prima di modificare il porcellum; ma non è stato forse il leader del PD, con Romano Prodi in carica, a ridare smalto alla politica del Cavaliere quando questi era ormai fuori gioco?
Quale governo, a parte la tragicomica vicenda Mastella, avrebbe potuto restare in piedi quando il leader della principale forza di maggioranza, invece di rinserrare i ranghi della coalizione, si mette a flirtare su una questione delicata come la legge elettorale proprio con il capo dell’opposizione, già al tappeto?
Del resto che dietro ci fosse una precisa strategia demolitrice del governo Prodi e non una serie ininterrotta di errori lo dimostra il fatto che, ancora tre giorni fa, Veltroni ha insistito sulla sua intenzione di fare un governo molto diverso da quello del Professore attirandosi volutamente gli strali degli altri partiti della ex Unione.
Se qualcuno voleva la firma autentica in calce alla crisi del governo Prodi adesso l’ha avuta.
La stessa spregiudicatezza Veltroni la rivela a proposito della legge sul conflitto di interessi; a Modena, alla Festa dell’Unità, così si esprime: “Regole del gioco ci vogliono ma non possiamo continuare a discutere di questo”.
Affermazione che fa il paio con quanto detto qualche tempo da Piero Fassino secondo il quale un’eventuale legge su questa materia non crea posti di lavoro.
Tutto ciò accade mentre il governo dimissionario, di cui ancora l’impareggiabile Walter fa parte suo malgrado, invece di occuparsi del disbrigo degli affari correnti ipoteca la politica estera del prossimo esecutivo assumendo una decisione di enorme rilevanza come il riconoscimento del Kosovo, sul merito e la legittimità della quale fortissime riserve sono state espresse da più parti.
Come sia possibile che da un lato si discrediti il governo dimissionario dall’altro lo si spinga a prendere decisioni che vanno ben oltre l’ordinaria amministrazione è un altro di quei giri di Valter a cui ci stiamo purtroppo abituando.
Dispiace dover dare ragione in parte all’escluso Ciriaco De Mita quando dice che “La crisi con il PD è nata quando si è fatto un partito immagine che come obbiettivo ha la trasposizione in Italia del modello americano” e quando ammonisce: “Il Pd non ha futuro. Diventa un guscio di raccolta di cose indistinte. Qualsiasi contenitore vinca, sarà la stessa cosa. L’evoluzione del sistema politico passa riscoprendo le radici”.
Ecco perché il partito contenitore assomiglia tanto a quelle trasmissioni di intrattenimento della domenica pomeriggio che non hanno altro scopo di far trascorrere, al minimo costo possibile per la rete televisiva, qualche ora di sbadigli agli italiani in poltrona, in un vorticoso intrecciarsi di suoni, colori e chiacchiere senza né capo né coda, di cui poi non resta traccia alcuna: stabilire tra Rai e Mediaset chi proponga le cose peggiori è vana impresa ma ciò finisce per convincere entrambi a non cambiare rotta, rinunciando deliberatamente ad una tv di qualità.
Analogamente il Partito Democratico può proporsi all’elettorato senza compiere neppure lo sforzo di una chiara analisi politica, sicuro che il suo diretto concorrente alle urne non sia migliore. E’ così che, imperturbabile, Walter Veltroni trae dal cilindro della propria confusione ideologica un nuovo slogan: quello dell’ambientalismo del fare.
Il PD come partito dei termovalizzatori, dei rigassificatori, dell’alta velocità e del nucleare (ad essere precisi, per l'atomo non è ancora così ma vedrete che è questione di poco tempo!) è il partito che rinuncia al principio di precauzione e di responsabilità verso le generazioni future in nome di una malintesa idea di progresso e di sviluppo economico senza limiti che affida totalmente il nostro futuro ad un certo tipo di scienza e tecnologia, facendo finta che esse siano neutre e autonome e non sotto il dominio quasi assoluto dell’economia e della finanza.
Di fronte alle gravi emergenze ambientali, la risposta veltroniana è più che mai liberista: l’uomo non deve fare un passo indietro per recuperare l’equilibrio perduto con la natura; al contrario, deve accelerare la ricerca e lo sfruttamento delle risorse ambientali assecondando gli appetiti tecnologici per sperare di giungere ad un diverso equilibrio, in un mondo violato nei suoi equilibri fondamentali e ricostruito ad immagine e somiglianza del nuovo totem, l’apparato scientifico e tecnologico dominante.
Il discorso pronunciato a Spello, animato dalla convinzione fideistica sulle “magnifiche sorti e progressive” tranquillizza i poteri forti, che possono progettare indisturbati nuovi scempi ambientali facendoli passare come "grandi opere pubbliche di cui l’Italia ha bisogno": che poi in discussione ci sia la TAV in Val di Susa piuttosto che il Ponte di Messina, non fa una grossa differenza.
Ecco perché Silvio Berlusconi ha facile gioco quando dichiara che Veltroni sta copiando il suo programma; così come ha ragioni da vendere De Mita quando afferma che la nascita dei due partiti contenitore segna la fine della democrazia liberale e la deriva verso una democrazia populista.
La difesa dei diritti dell’individuo e della collettività lascia, cioè, il passo all’assolutismo del potere politico che, una volta legittimato in qualche modo dal voto popolare (con l’indebolimento degli altri poteri costituzionali e grazie ad una sequela di leggi vergogna: da quella elettorale a quella sulle televisioni), è in grado di imporre dall’alto qualsiasi decisione.
Ed il voto popolare si cerca di conquistarlo comunicando attraverso emozioni, suscitando suggestioni, come se si stesse lavorando su un set cinematografico.
Quale scenario migliore di una collina di olivi per dire sì agli inceneritori?
Le prime battute di questa campagna elettorale rivelano sul nascere il carattere autoritario di questo bipolarismo ideologicamente convergente dove il ruolo chiave non è più esercitato da chi progetta la proposta politica ma da colui che la sa meglio comunicare alle masse, non fosse altro perché essa è sostanzialmente identica ed è stata elaborata lontano dalle aule parlamentari.
E’ il trionfo assoluto della demagogia.

lunedì 18 febbraio 2008

PD e PDL, due colossi dai piedi d'argilla

I tempi sono senza dubbio difficili. Il fallimento dell’esperienza del centrosinistra dopo soli 20 mesi di governo sui 60 possibili la dice lunga sull’umore plumbeo che regna in Italia.
Il fatto che si sia chiuso un ciclo politico prima ancora che avesse sviluppato i suoi effetti lascia un grande sconforto un po’ in tutti, sia in chi aveva scommesso su Prodi capo del governo, sia in chi nell’elettorato con simpatie di destra, al di là del fuoco di sbarramento prodotto da Berlusconi & c., avrebbe voluto bocciare il governo dell’Unione sul terreno dell’economia e non sulla politica estera (crisi del febbraio 2007) o, peggio, sulla vicenda familiare di Mastella.
Per i conservatori, sarebbe bastato un terzo anno di legislatura per mettere la parola fine alla proposta politica del centrosinistra per parecchi anni; invece, così si lascia ai politici di quello schieramento l’alibi di un governo crollato sotto i colpi traditori di forze centriste capeggiate da Dini e Mastella.
In un momento molto delicato per la politica ed economia internazionale, anche a seguito della tempesta bancaria che sta scuotendo da mesi i mercati finanziari mondiali, le elezioni anticipate aggiungono problema a problema senza che se ne veda in alcun modo una via d’uscita.
E’ iniziata la campagna elettorale che si disputerà con il porcellum, pur sapendo in anticipo che la legge con cui si andrà per la seconda volta a votare presenta profili di incostituzionalità tali da mettere a rischio la ratifica dei risultati del voto, chiunque dovesse vincere.
Nel frattempo si è scatenata la bagarre comunicativa tra Veltroni e Berlusconi che, insieme ai propri luogotenenti, occupano da giorni pressoché tutto lo spazio mediatico disponibile.
Sono bastate le prime due puntate di Porta a Porta d’inizio settimana per mettere al tappeto chiunque segua ancora con un minimo di interesse le vicende politiche italiane.
Apprendiamo da Veltroni che la guerra in Afganistan condotta dall’Italia insieme alla Nato ha la stessa importanza della lotta alla mafia; ma il leader del partito democratico dimentica di dire che la prima sta andando avanti con micidiali bombardamenti aerei mentre la seconda si fa con le attività investigative, magari proprio avvalendosi delle intercettazioni.
Inoltre Veltroni ci ha avvertito in diretta TV che le intercettazioni non vanno rese di dominio pubblico (quindi pubblicate dalla stampa) fino alla celebrazione dei processi.
Almeno in questo caso, qualcuno gli dovrebbe spiegare (magari il suo nuovo alleato, Antonio Di Pietro) che senza il controllo dell’opinione pubblica le intercettazioni telefoniche, comunque messe a conoscenza delle parti processuali, diverrebbero materia di pressioni e ricatti, con il rischio concreto di inquinamento delle prove.
Perché, come dice Marco Travaglio, se non fossero state pubblicate quelle della doppia scalata Bnl - Antonveneta, i furbetti del quartierino sarebbero ancora nelle condizioni di fare altre “bravate” e il governatore Fazio siederebbe comodamente dietro la sua scrivania di Palazzo Koch.
Che poi l’Italia sia in Afganistan in missione di pace mentre il suo alleato americano insiste nel mettere a ferro e fuoco quella sfortunata terra chiedendoci un ulteriore coinvolgimento nelle operazioni militari, resta uno di quei misteri la cui comprensione è alla portata solo di menti superiori, magari proprio di quella del leader del Partito Democratico che, beato lui, ha tutto chiaro in testa.
Sui temi economici, usando gli stessi toni da televendita per i quali Berlusconi è insuperabile, Veltroni promette meno tasse e più asili nido.
Chissà perché ma quando dice così il pensiero va diretto al bravissimo Antonio Albanese alias Cetto La Qualunque con il suo surreale e prosaico “cchiu' pilu pi' tutti”.
Intanto Berlusconi promette che, tornato a Palazzo Chigi, non metterà ancora le mani in tasca agli italiani (come a dire, non diminuirà le tasse...) e non li terrorizzerà (dice proprio così!) con la lotta all’evasione fiscale; anzi, toglierà l’Ici.
Insomma, a tv spenta, Veltroni e Berlusconi nei vari interventi televisivi dicono più o meno le stesse cose: più che leader di due partiti in piena competizione tra di loro sembrano esponenti dello stesso partito che si sfidano sotto lo stesso tetto in una personalissima tenzone.
Non solo c’è convergenza tra le piattaforme politiche tra Partito Democratico e Partito della Libertà (ma si chiama veramente così il partito del Cavaliere?) ma, a furia di incontrarsi in vertici a due, sembra quasi che le loro forme di comunicazione si siano contaminate e reciprocamente omologate.
E’ come se lo stile di Berlusconi avesse finito per contagiare anche Veltroni che, se non altro per mancanza di originalità, rischia di perdere nettamente il confronto a distanza; ma un po’ di Veltroni c’è pure nel nuovo stile berlusconiano, più controllato del passato, meno propenso a promesse da marinaio.
Anche se i due continuano a mostrare sotto le telecamere temperamenti molto differenti: il primo straripante e istrionico, finge (lo speriamo!) di credersi l’unto del signore; il secondo, nei modi più colloquiale ma assai supponente in quello che dice, indugia frequentemente in toni ecumenici (la gag di Maurizio Crozza sul “ma anche” veltroniano è perfetta).
Insomma, un messia contro un santone, ovvero lo scontro politico più improbabile e lontano dai bisogni della gente comune che, annoiata e irritata, li vede pronunciare una sequela di vuoti slogan e sterili promesse, senza indicare a quale nuovo modello di società intendano riferirsi: insomma, la stessa minestra democristiana, per giunta riscaldata.
Di ciò si incomincia a preoccupare lo stesso Eugenio Scalfari che, nell’editoriale di ieri, cerca di trovare a tutti i costi delle differenze tra i due; una bella impresa che, nonostante il suo eloquio e la sua cultura, questa volta non gli riesce. Tant’è che è costretto, pur di operare un distinguo, a scendere sul piano della mera propaganda: “Berlusconi propone il ritorno al già visto, Veltroni vuole che tutto cambi nei programmi e nelle persone” ma si guarda bene dal precisare il senso concreto di queste parole, utili al suo pupillo solo per infarcire il prossimo discorso elettorale.
E’ facile prevedere che il Cavalier Silvio e l’americano de Roma Walter, così facendo, finiranno per pestarsi i piedi, sovrapponendo in parte la loro base elettorale e rischiando di lasciare scoperti spazi di consenso grandi come praterie dove potranno scorrazzare, a destra, l’Udc di Casini e la Rosa Bianca di Tabacci; a sinistra, evidentemente, la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti.
Ma questo rassemblement, lungi dall’aprire nuovi scenari all’indomani delle elezioni politiche li costringerà, a causa della loro reciproca debolezza, ad una qualche forma di coabitazione.
Per i due colossi dai piedi d’argilla, l’ipotesi di grande coalizione, versione riveduta e corretta del “governo di larghe intese”, potrebbe diventare la sola strada percorribile: una vera iattura per il nostro Paese.
A meno che la forza iconoclasta di Beppe Grillo non scompagini, più di quanto non abbia già fatto in questi pochi mesi, la politica italiana...

martedì 12 febbraio 2008

E' partita la campagna acquisti in vista delle elezioni

Sul CorrierEconomia dell’11 febbraio, compare un interessante ritratto, a firma del giornalista Enrico Marro, di Renata Polverini, giovane e vincente leader dell’Ugl, il sindacato della destra, già Cisnal (prima del cambio di nome avvenuto nel 1996).
Quel movimento che per tanto tempo è stato la finestra nel mondo del lavoro del vecchio Msi, il partito di Giorgio Almirante, buono “a dar voce ai nemici acerrimi di Cgil, Cisl e Uil”, ha trovato in questa donna neo-segretario, perfetta sconosciuta fino a due anni fa, la guida giusta per bruciare le tappe della visibilità mediatica.
Giovanni Floris, il conduttore di Ballarò, la invita così di frequente nel suo salotto televisivo (insieme ad altri politici ed “esperti” habitué) che ci fa sorgere qualche dubbio su quale sia il sistema di reclutamento per le comparsate serali negli studi Rai (non osando guardare dalle parti della cosiddetta concorrenza!).
Sembra che l’impareggiabile segretario del PD, Walter Veltroni, adesso le farebbe la "corte" in vista di una eventuale candidatura alle prossime elezioni politiche.
Nulla da eccepire sulla persona: se è riuscita a sdoganare (anche grazie alla collaborazione, guarda caso, dello stesso Veltroni che due anni fa si recò al congresso di Roma dell’Ugl per portare il suo personale saluto a quell’assemblea), un sindacato votato altrimenti ad una presenza di testimonianza, è sicuramente brava e senz’altro merita il successo che sta avendo.
Ma riesce difficile far digerire ai tanti italiani, da tempo in crisi anafilattica per colpa della politica, come sia possibile che, da un estremo all’altro degli schieramenti politici, Fini e Veltroni si contendano per le candidature le stesse persone.
E’ vero, il porcellum elettorale lascia la scelta dei candidati alle segreterie dei partiti: uno scandalo con profili di incostituzionalità assolutamente evidenti. Con la conseguenza che ogni segretario di partito sceglie per le liste chi gli pare.
Ma è possibile che, dopo aver inscenato per giorni il piagnisteo circa la dichiarata impossibilità di andare a votare con questa pessima legge elettorale, il leader del PD sia diventato di colpo così spregiudicato nello sfruttarne le mostruosità giuridiche, pescando i candidati a destra e a manca?
Già le cronache ci hanno segnalato il suo interessamento per Luca di Montezemolo, presidente della Confindustria, prima ancora per la moglie di Berlusconi; ed ancora per Mario Monti, due volte commissario europeo, per Sabrina Ratti, moglie dell’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo.
Ma non basta: secondo quanto riportato da Repubblica, nel mirino di Veltroni ci sarebbe “la leader di Confindustria campana Cristiana Coppola, la giovane imprenditrice che ha ereditato dalla famiglia il Villaggio omonimo, un ecomostro che lei stessa ha deciso di abbattere. La Coppola è considerata vicina a Silvio Berlusconi, ma per lei il Pd ha già prenotato un posto in lista”.
Insomma, un saccheggio a piene mani nel campo avversario che appare indecoroso (prima che stolto) e assai mortificante per i simpatizzanti del PD, chiamati a votare nomi certo importanti ma del tutto estranei alla matrice culturale e sociale di appartenenza.
Una lista di candidati costruita a tavolino, con scambi di telefonate nel chiuso della segreteria di partito, dosando gli ingredienti in maniera opportuna, attenti agli equilibri interni, con uno sguardo allo share televisivo; insomma, un piatto per palati raffinati che non disdegna i sapori popolari: ecco quindi che un pizzico di sano operaismo (vedi la possibile candidatura di uno dei sopravvissuti al rogo della Thyssen Krupp) ci può stare e non mandare il tutto di traverso all'élite che conta.
Un brutto pasticcio, reso possibile proprio da questa legge elettorale antidemocratica, dove i candidati non sono espressi dalla base ma designati dal vertice dei partiti.
Con un corollario sconfortante: qualunque sarà l’epilogo di questa sconsiderata campagna elettorale, gli attuali gruppi dirigenti l’avranno comunque vinta.
Infatti, in caso di malaparata, è pensabile che i vertici politici possano essere sfiduciati proprio dai neoeletti che ne hanno beneficiato conquistandosi il seggio parlamentare per decisione presa dall’alto, proprio al momento della stesura delle liste?
Ecco perché Veltroni si permette il lusso di far correre il Partito Democratico da solo, giocando chiaramente d’azzardo: male che vada, nessuno ne potrà mettere in discussione la leadership, perché la legittimazione politica degli eletti è diretta emanazione del vertice e non della base.
Statene certi, all’indomani di questa finta competizione elettorale, saremo condannati a ritrovarci sempre in prima o seconda serata tv, Fassino, Veltroni, D’Alema, Franceschini, Fini, La Russa, Alemanno, Casini, Dini, Mastella, Bordon, Bonino, Maroni, Berlusconi, Bondi, Schifani.. tanto per citare alcuni tra i maggiori frequentatori degli studi televisivi.
Sempre pronti, nella veste di salvatori della patria, a dispensarci le loro preziose ricette per il bene comune, ad ammonirci a fare altri sacrifici, imperturbabili sul ponte di comando mentre la stella italica va a picco.

lunedì 4 febbraio 2008

La Casta si prepara alle elezioni

Dopo aver detto tutto il male possibile dell’attuale legge elettorale, la Casta si prepara a chiedere di nuovo il consenso dei cittadini con le ormai prossime elezioni.
Che questo fosse l’epilogo naturale della crisi di governo era scontato. Che, però, si torni alle urne con la tanto contestata legge porcellum dopo due soli anni di legislatura, senza che nessun politico si assuma la responsabilità di questo ennesimo strappo alle regole istituzionali, è veramente scandaloso.
Facciamoci caso: nessuno ha ancora parlato e, probabilmente, nessuno parlerà dei costi esorbitanti di questo ennesimo appuntamento elettorale: 500 milioni di euro, per tenerci prudenti, da spendere nel momento meno opportuno, con un Paese in piena emergenza economica.
Non ne parla il centrodestra che le elezioni le ha chieste da sempre, sin dal momento in cui due anni fa Romano Prodi varcò il portone di Palazzo Chigi.
Non ne parla il centrosinistra che dalla nascita del Partito Democratico non ha più trovato pace: con Walter Veltroni che, pur di sbarazzarsi degli alleati dell’Unione, si è reso disponibile a dare una mano a Berlusconi, riportandolo sul ponte di comando del Polo.
Ma il Cavaliere, da bravo uomo d’affari, sa giocare contemporaneamente su più tavoli: prima, ha finto un interessamento alle riforme istituzionali proposte da Veltroni; poi, quando si è visto riabilitato da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo principale sfidante nella prossima contesa elettorale, gli ha rovesciato il tavolo addosso, lasciandolo annaspare in mezzo al guado.
Così il sindaco di Roma, a cui i cittadini della capitale dovrebbero chiedere di fare a tempo pieno il mestiere per cui viene pagato piuttosto che perdere tempo con il Cavaliere, si è ritrovato all’improvviso senza un governo, senza le riforme e, al limite, senza un partito, perché parte dei suoi dirigenti, con tutti i suoi ultimi passi falsi, si interrogano seriamente sulla sue qualità di leader.
Di fronte ad una casta così insipida ed impermeabile al malcontento che sale dalla società, va a finire che per i media la colpa di questo sfascio, come il classico cerino, resti in mano al procuratore di Santa Maria Capua Vetere che ha mandato agli arresti domiciliari per qualche giorno la moglie di Mastella.
Incredibilmente la Casta, dopo averci portato sull’orlo del baratro istituzionale, cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità addossando la croce sulla magistratura, come fa da oltre 15 anni, cioè dai tempi di Mani Pulite.
Ma no, forse la colpa è di Michele Santoro che con il suo Anno Zero, ha l’imperdonabile vizio di portare sotto i riflettori Rai le gravissime colpe della nostra classe dirigente.
Sì, perché per il Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Michele Santoro ha violato il pluralismo».
Prendendo di mira la puntata sul caso Mastella-De Magistris, quella sulla riforma Tv, l'altra sulla vicenda Forleo-D’Alema e l’intercettazione Berlusconi-Saccà, il presidente dell’organismo di garanzia Corrado Calabrò così ne stigmatizza l’operato: «In televisione il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice».
E fingendo di non voler censurare nessuno, amplifica la sua reprimenda affermando che ciò «non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione. Ma l'informazione non può diventare gogna mediatica nè spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità ».
Siamo al paradosso: espressione di amore per la verità sarebbero, a questo punto, i panini confezionati dal Tg1, la cronaca nera urlata dai Tg Mediaset, il notiziario di Emilio Fede oppure il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa: basta visitare il sito di Beppe Grillo per rivedere sequenze di quell’informazione televisiva che per il Garante delle Comunicazioni sarebbe equilibrata, obiettiva, veritiera, non essendo mai intervenuto per criticarla, men che meno per sanzionarla.
Magari per Calabrò il massimo della conduzione giornalistica è quella dimostrata da Giovanni Floris che, nella puntata del 22 gennaio del suo programma, ha lasciato che Pierferdinando Casini desse ripetutamente del cialtrone ad Alfonso Pecoraro Scanio senza battere ciglio, quando un minimo di deontologia gli avrebbe dovuto suggerire di riprendere severamente il leader UDC.
Ma ormai siamo da tempo assistendo ad un pessimo spettacolo che si replica sempre più frequentemente negli studi televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle aule parlamentari, nelle commissioni disciplinari del Csm, nelle invettive pronunciate dal ministro della giustizia contro la magistratura, nelle corsie ospedaliere attraversate da primari rigorosamente con la tessera di partito, in un escalation di comportamenti gravissimi che, a causa della lottizzazione sistematica di ogni spazio decisionale, sta provocando nei cittadini oltre una grandissima rabbia, una più preoccupante nausea, con il rischio una fortissima astensione quando si arriverà alle urne.
Chi disprezza compra, recita l'adagio e questa legge elettorale "porcata" in fondo fa comodo a molti, in primis proprio alle segreterie di partito che potranno stilare in tutta comodità le liste lasciando agli elettori un'alternativa secca: prendere o lasciare.
La Casta, al minimo storico di popolarità, si gioca così il tutto per tutto, sfidando in modo temerario l'elettorato: alle prossime consultazioni, ancora una volta, dovremo votare i loro nomi.
Il rischio dell'astensionismo è forte ma proprio per questo non sorprendente: ogni forza politica avrà facile gioco ad imprecare pubblicamente contro il porcellum, salvo stropicciarsi le mani dietro le quinte per aver imposto ai cittadini le proprie scelte.
A meno che l'esercito degli astensionisti imbufaliti non raggiunga dimensioni tali da sconvolgere i piani di questa classe politica che, con incredibile leggerezza, continua a giocare d'azzardo con le nostre Istituzioni.

mercoledì 30 gennaio 2008

L'isolazionismo suicida del Partito Democratico

Nel domenicale del 27 gennaio, Eugenio Scalfari difende a spada tratta il leader del PD Walter Veltroni, negando che sia uno dei principali responsabili della crisi di governo.
Eppure i fatti parlano chiaro: certo, si sono sfilati dalla maggioranza Dini e Mastella e con loro una pattuglia di senatori; uno di questi è quel Barbato che si è reso sciagurato protagonista di un comportamento vergognoso contro il suo collega di partito nell’austera Aula del Senato al punto da farlo svenire sotto gli occhi delle telecamere, dimostrando a milioni di italiani di quale pasta siano fatti alcuni dei nostri rappresentanti nel massimo consesso parlamentare.
Uno sconcio per il nostro Paese rimbalzato via Internet in ogni angolo del pianeta. In un paese serio, costui sarebbe già stato espulso dal Parlamento.
Ma senza le stecche reiterate di Veltroni, probabilmente il patatrac del Professore non si sarebbe verificato adesso.
Perché la cosa più incredibile è che il governo Prodi non è caduto per aver sfiorato i suoi nervi scoperti: il tema giustizia con gli strascichi della vicenda Forleo e De Magistris, le leggi vergogna ancora tutte in vigore, la sempre rinviata legge sulle televisioni, la gravissima questione salariale, l’emergenza rifiuti in Campania.
A spazzarlo via purtroppo non è stato neppure il ciclone Beppe Grillo che tuttavia è divenuto in pochissimo tempo un fattore di cui, finalmente, bisognerà tener conto per gli sviluppi futuri della politica italiana.
Ed è anche ingenuo ritenere che l’agguato a Prodi sia dipeso dagli arresti domiciliari della moglie di Mastella: quell’episodio ne è stato un semplice pretesto, per giunta già rientrato, con la sua rimessa in libertà.
La vera ragione della crisi è stata il fallito tentativo di riforma della legge elettorale, affidato ai vertici Veltroni - Berlusconi, a cui hanno fatto seguito le improvvide dichiarazioni del sindaco di Roma secondo cui il partito democratico avrebbe corso da solo alle prossime elezioni.
Contenuto, forme e tempi scelti dal neosegretario del PD non avrebbero potuto essere più infelici: a voler pensare bene, è stato un dilettante allo sbaraglio; i maligni invece direbbero che, pur di fare le scarpe a Prodi, ha finito per gettarsi la zappa sui piedi.
Per difendere Veltroni, Scalfari è costretto ad andarci leggero con Mastella, perché se quest’ultimo è stato l’esecutore materiale della débacle ministeriale, è probabile che il mandante sia da ricercare dalle parti del Circo Massimo, dove si trova il loft democratico.
Così il fondatore di Repubblica finisce per contestare al politico di Ceppaloni soprattutto la citazione pronunciata in Senato della poesia di una poetessa brasiliana “Lentamente muore”, preferendogli i versi di Ungaretti di “Allegria di naufragi”: “Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”.
Disquisizione dotta, non c’è che dire, ma surreale data la gravità della crisi politica italiana.
C’è evidente sarcasmo nella critica mossa da Scalfari a Mastella; niente di paragonabile, comunque, al suo viscerale risentimento verso Pecoraro Scanio, Diliberto, Giordano: sono tutti brutti, sporchi e cattivi, sembra continuamente volerci dire.
Anche questa volta non resiste alla tentazione di accomunarli a Mastella e Dini, quali responsabili della caduta di Prodi.
Eppure le cose non stanno così.
Se Prodi è caduto, la responsabilità politica è tutta dei cespugli di centro, cioè di quel ventre molle dell’alleanza di centrosinistra che non ha mai dato tregua al Professore sin dal varo dell’esecutivo: Dini, Mastella, Bordon, Fisichella i principali indiziati.
Le insidie più gravi sono venute da lì e dalla dissennata politica isolazionista di Veltroni che dalle primarie di ottobre ha, in 90 giorni, resuscitato Berlusconi, in caduta libera dopo la sua goffa spallata al governo. Non solo, ha demolito l’Unione, prima con il tentativo di modificare la legge elettorale cercando l’accordo a due con il Cavaliere, poi dichiarando, con Prodi ancora in sella, di correre da solo alle prossime elezioni.
E’ ancora incomprensibile come la classe dirigente del partito democratico abbia potuto commettere così tanti errori di fila, rimettendo in gioco Silvio Berlusconi come leader del centrodestra.
La cosa più angosciante è che lo staff veltroniano non solo non recita il mea culpa ma baldanzosamente rilancia la propria politica fallimentare.
Non più tardi di ieri sera, nella trasmissione di Giovanni Floris, Ballarò, la senatrice Angela Finocchiaro ha insistito sul fatto che il Partito Democratico non snaturerà il proprio programma elettorale per cercare l’accordo con la sinistra dell’Unione: una dichiarazione d’intenti che, numeri alla mano, significa consegnare il paese per i prossimi cinque anni al centrodestra.
Fatalmente, dopo il naufragio di D’Alema con la Bicamerale, spetta ora proprio a Walter Veltroni, suo concorrente politico da sempre, incappare nello stesso tragico errore offrendo su un piatto d’argento la vittoria elettorale al Cavaliere.
Da quando è stato in lizza per la segreteria del Partito Democratico, non ne ha azzeccata più una (tra le tante, la disarmante uscita di volere mettere nella propria squadra la moglie di Berlusconi) e, nonostante sia diventato il pupillo di Eugenio Scalfari, sarà bene che ascolti di più la sua base elettorale, ammesso che ne abbia identificata una e non preferisca, come sembra adesso, la pesca a strascico: cioè, tirarsi dietro una parte degli elettori di Forza Italia.
Ma in questa gravissima crisi italiana, di apprendisti stregoni non se ne sente proprio la necessità.

mercoledì 5 dicembre 2007

Il governo è nudo e... fuori fa freddo!

Che il governo dell’Unione abbia fallito è un dato di fatto. Non bisognava scomodare il Presidente della Camera Fausto Bertinotti per prendere atto che la spinta propulsiva del centrosinistra si è ormai esaurita. Troppe le tessere del mosaico progettato due anni fa con il programmone di 281 pagine che non sono andate al posto giusto.
Due finanziarie incolori, nessuna riforma di ampio respiro, le difficoltà economiche che stanno minando la capacità di resistenza di milioni di famiglie italiane, una politica estera sospesa tra grandi speranze e l’amara realtà di una guerra al fianco dell’alleato americano ormai incomprensibile, una questione giustizia che dopo il passo falso dell’indulto ha fatto capire a tutti che la politica si chiude a riccio in difesa dei potenti e dei privilegi della casta.
L’attacco frontale mosso a Clementina Forleo e Luigi De Magistris ha segnato l’ultimo passaggio di una stagione politica assai deludente che oramai non ha più molto da dire.
Il battesimo del Partito Democratico di Walter Veltroni dimostra poi che l’asse politico di Prodi è stato scavalcato dal suo maggiore alleato il quale, mentre il Professore geste il quotidiano incassando una gragnuola di colpi da ogni parte, intesse relazioni con Berlusconi in vista della riforma elettorale e dello sbocco naturale di nuove elezioni.
Insomma il governo politico dell’Unione si sta trasformando, senza che nessuno lo dica apertamente, in un governo istituzionale che sopravvive soltanto grazie alla speranza di apportare quei ritocchi alla legge elettorale e, magari, a qualche organo costituzionale prima del definitivo rompete le righe.
Del resto lo stesso Veltroni, a leggere le sue dichiarazioni di queste ore, non ha contestato il merito dell'esternazione di Bertinotti sull’esito crepuscolare del governo Prodi; ne ha semplicemente criticato la scelta dei tempi che potrebbe compromettere la fragile trama delle riforme che sta faticosamente imbastendo con il Cavaliere.
Intanto Prodi, quasi solo a Palazzo Chigi, deve affrontare le sfide sociali di questo terribile autunno con benzina e tassi d’interesse alle stelle.
Insomma, non scopriamo niente di nuovo se diciamo che in questo rigido autunno il governo di centro sinistra è nudo.