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mercoledì 30 luglio 2008

Dallo strappo costituzionale alla prospettiva di un durissimo inverno

Ormai la stampa non ne parla quasi più, ma la legge sull’immunità delle alte cariche resta il buco nero della nostra democrazia. A questo non possiamo rassegnarci, anche se è passata già una settimana.
Perché l’errore più grave è ritenere che si debba rimanere con le mani in mano, magari aspettando il prossimo strappo costituzionale.
Al contrario, occorre percorrere tutte le strade che il nostro ordinamento giuridico prevede per ripristinare l’agibilità costituzionale. In questo riteniamo che anche la via referendaria debba essere battuta pur di sanare la ferita prodotta alla nostra democrazia. Tuttavia, la consideriamo la soluzione estrema, qualora la Consulta, speriamo presto, non azzeri tutto.
Ciò perché di fronte all’incostituzionalità di una legge, neppure la volontà popolare può fare molto: l’eventuale abrogazione con il referendum non è la via maestra; anche perché, con questo clima e questa opposizione, l’esito referendario è tutt’altro che scontato.
Abbiamo un Pd che naviga a vista, avendo perso completamente la bussola.
Soffre la concorrenza di Antonio Di Pietro ma non è in grado di abbozzare alcuna reazione strategica; l’impareggiabile Walter Veltroni ha addirittura il coraggio di giustificare la sciagurata scelta elettorale dei democratici di correre da soli, cinque mesi fa, con le attuali conclusioni del congresso di Rifondazione Comunista che ha visto prevalere Paolo Ferrero: "Auguri a Ferrero, ma oggi si capisce meglio la bontà della scelta di andare liberi, della vocazione maggioritaria del Pd"(1).
Una facile via di fuga dalle proprie responsabilità ma, soprattutto, un grossolano errore di interpretazione politica, perché è chiaro che è stata proprio la scelta isolazionista del Pd che ha spinto Rifondazione comunista verso posizioni più movimentiste, lontane da intese con i democratici.
In altri termini, la sconfitta dell’ala bertinottiana facente capo a Nichi Vendola è dipesa proprio dalla politica fratricida di Veltroni che, invece di fare il gioco di sponda con il vecchio gruppo dirigente di Rifondazione, aiutandolo a consolidarne la disponibilità a future alleanze di governo, ha costretto quel partito a rinchiudersi nel proprio recinto culturale recuperando integralmente la sua identità originaria, lontano dal Palazzo e più vicino alla società.
Fra l’altro, non è detto che questo sia un male per la Sinistra italiana e forse ha ragione il neo segretario Paolo Ferrero quando all’accusa di Veltroni di essere un’estremista risponde facilmente: "E’ una critica sbagliata. Rifiuto l’immagine di una Rifondazione settaria e che si arrocca. Il punto è un nodo drammatico da sciogliere, che del resto anche il Pd ha di fronte: la grande crescita del disagio sociale. Secondo noi, o la sinistra rilancia un conflitto di classe oppure si scatena la guerra fra i poveri. E’ estremismo questo?" (2).
Fatto sta che adesso il Pd si trova tra l’incudine della difesa della legalità costituzionale dell’Italia dei Valori e il martello delle rivendicazioni sociali caldeggiate da Rifondazione Comunista; una posizione scomodissima, di grave debolezza che, per di più, non tiene al riparo il suo gruppo dirigente neppure dagli attacchi ricorrenti di Silvio Berlusconi e del Pdl.
Un vicolo cieco, purtroppo, in cui il vertice ha ficcato il Partito democratico senza sapere più come uscirne.
Paradossalmente, la ciambella di salvataggio all’annaspante Veltroni gliela può lanciare soltanto il Cavaliere che, tuttavia, non ha alcun interesse a farlo ora, preferendo per il momento temporeggiare, giocando con lui come il gatto fa con il topolino.
Per Berlusconi, l’apertura di un dialogo con Veltroni verrà facile quando, per il prevedibile aggravamento della situazione economico-sociale del nostro Paese, i cui segni saranno difficilmente occultabili a partire dal prossimo durissimo inverno, vorrà condividerne il peso delle responsabilità.
Uno scenario che, quindi anche sul piano politico, si presenta negativo per il Paese.
Prepariamoci, sin da queste calde giornate estive, a stringere prossimamente ancor di più la cinghia mentre la Casta si girerà a guardare da un’altra parte…
(1): la Repubblica 29/07/08, "Il day after di Rifondazione...", pag. 6
(2): la Repubblica 29/07/08, "Ferrero: 'Ma quale deriva ...' ", pag. 7

sabato 26 luglio 2008

Un'opinione autorevole sul lodo Alfano, tra prêt à porter e alta moda

Ero andato a dormire un po’ inquieto, interrogandomi sulla promulgazione lampo del famigerato lodo Alfano da parte del Presidente Giorgio Napolitano.
Il dubbio che mi arrovellava era se il Colle stavolta si fosse mostrato troppo accondiscendente nei confronti del Cavaliere: insonne, mi rigiravo nel letto con l’incubo di una firma che forse poteva essere ritardata, magari dopo un rinvio del provvedimento alle Camere per manifesta incostituzionalità.
Di colpo, la notte cominciò a folleggiare di personaggi storici come Celestino V che, nel delirio onirico, restava papa nonostante le pressioni del Cavaliere per farlo dimettere. Poi un flash su Sandro Pertini che sbraitava contro i ritardi nei soccorsi alle popolazioni dell’Irpinia colpite dal terremoto del 1980 e che ammoniva i suoi successori di rifletterci a lungo prima di mettere una firma in fondo ad un qualsiasi testo di legge, con una parata di padri costituenti che faceva da sfondo… scene senza né capo né coda, frutto di un’immaginazione troppo eccitata e dell’amletico dubbio diurno sull’opportunità per Napolitano di firmare l’immunità alle alte cariche a spron battuto.
Al risveglio, a parte il pallore davanti allo specchio e la bocca impastata d'amaro, postumi di una notte difficile, mi fiondavo in edicola per sapere se qualcuno di molto ma molto più autorevole di me condividesse i dubbi sul possibile eccesso di zelo presidenziale.
All’improvviso la folgorazione: il parere del grande costituzionalista Walter Veltroni, da non confondere con l’omonimo e contestato leader del Pd, campeggiava in quinta pagina a chiarirmi finalmente le idee:
"Sono convinto che il Presidente Napolitano in tutta la vicenda del cosiddetto 'lodo Alfano' abbia svolto con il consueto equilibrio il suo compito in una fase certamente non facile. Così come penso che, dopo l'approvazione delle Camere, la firma del provvedimento sia stata un atto dovuto".
"Al Presidente nella nostra Costituzione viene riservato in casi come questo una sola valutazione di 'manifesta incostituzionalita' del provvedimento. E in questo caso il testo approvato teneva conto di molti dei rilievi di costituzionalita' sollevati dalla Corte in occasione della precedente bocciatura di quello che allora si chiamava lodo Schifani".
"Manteniamo questa ferma convinzione sull'operato del Presidente, senza con questo rinunciare in alcun modo al nostro giudizio negativo sul lodo Alfano, e anche all'idea che, una materia di questa delicatezza, la maggioranza avrebbe fatto bene ad affrontarla con una legge costituzionale e non con un provvedimento ordinario fatto approvare in maniera tanto frettolosa da apparire autoritaria."

Colui che è cresciuto divorando a piene mani i memorabili scritti di Vezio Crisafulli, l’opera omnia in lingua originale di Hans Kelsen e tenendo a portata di mano sul comodino il manuale di Costantino Mortati, con la sua interpretazione autentica della nostra Costituzione mette finalmente la parola fine a questo fastidioso, sterile chiacchiericcio sui poteri del Presidente della Repubblica.
Il suo pronunciamento dirada finalmente la nebbia sulla questione e svela quanto malanimo ci sia da parte di chi ha avuto l’ardire di criticare garbatamente il Presidente.
Secondo Veltroni al Presidente è riservata solo una valutazione di manifesta incostituzionalità che, nella fattispecie, non aveva motivo di esprimere in quanto il lodo Alfano, a suo dire, non è incostituzionale. Tuttavia (apprezzate la finezza del ragionamento veltroniano!), il Pdl per una materia di tale delicatezza avrebbe fatto bene ad utilizzare lo strumento della legge costituzionale.
In altri termini, per l’illustre costituzionalista Walter Veltroni va benissimo il lodo Alfano così com’è, in versione base, cioè sotto forma di legge ordinaria; tuttavia, lui ne avrebbe gradito, ma è una semplice questione di gusti, la versione più accessoriata, full optionals, quella addobbata con legge costituzionale.
Insomma, come se si parlasse di capi di abbigliamento: va benissimo la sfilata prêt à porter dello stilista Angelino Alfano primavera-estate 2008, ma la sua collezione di Alta moda sarebbe stata molto, ma molto più glamour
Teniamo a mente questa sua autorevole opinione quando, magari fra qualche anno e per le ricorrenti ubriacature della storia, lui stesso (o qualcuno del suo staff!) si accingesse a candidarsi meritatamente ad una delle alte cariche.

giovedì 24 luglio 2008

Un nuovo tristissimo 8 settembre

Con l’approvazione del lodo Alfano anche al Senato viene scritta forse la peggiore pagina di storia parlamentare dell’Italia repubblicana.
L’immunità garantita alle quattro principali cariche dello Stato (presidente della Repubblica, presidente del Senato, presidente della Camera e presidente del Consiglio) con la sospensione di tutti i processi penali nei loro confronti rappresenta uno strappo costituzionale gravissimo.
Che il presidente della Repubblica abbia promulgato un simile buco nero alla nostra carta fondamentale appellandosi ad un precedente pronunciamento della Corte Costituzionale è poi il colmo, tenuto conto che un simile strafalcione non sarebbe stato perdonato neppure ad uno studente di giurisprudenza alle prime armi.
Perché chiunque abbia sfogliato semplicemente un testo di educazione civica sa perfettamente che il principio sancito dall’art. 3 sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non può essere emendato in alcun modo, facendo parte di quel nucleo intangibile di princìpi della nostra Costituzione che non è sottoponibile a revisione per nessuna ragione, neppure attivando le solenni e gravose procedure di approvazione delle leggi costituzionali.
Che questo ferita sia stata provocata addirittura con legge ordinaria, con un semplice voto di maggioranza, la dice lunga sulla qualità della nostra classe politica, cinica ed impreparata.
Né ha importanza il fatto che la Costituzione non sia stata esplicitamente modificata, perché la legge approvata ne mina giuridicamente le fondamenta.
Ciò che più indigna non è tanto che il governo Berlusconi ci sia arrivato in soli 25 giorni, un vero record, dato che nessuno si era mai fatto illusioni sulla maggioranza uscita vincente dalle urne; ma che l’opposizione del Pd, dopo aver disertato senza pudore la manifestazione di protesta dell’8 luglio di piazza Navona, non abbia adesso di meglio da dire, per voce della senatrice Finocchiaro, che così il dialogo tra i due schieramenti diventa più difficile.
Ma vi siete resi conto che siamo giunti, a dispetto di un’Italia distratta ed indifferente e del silenzio complice dei mass media, ad un nuovo tristissimo 8 settembre?
Va a fondo la Repubblica dei padri costituenti nel più completo lassismo.
Onorevole Veltroni, cosa è più grave, il dito alzato di Bossi per il quale Lei si scalda tanto o lo scempio della nostra Costituzione perpetrato dalla Casta al gran completo, compresa la Sua opposizione di facciata?

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

venerdì 11 luglio 2008

L'8 luglio e il patetico ultimatum di Veltroni a Di Pietro

Casta e mass media stanno cercando in tutti i modi di azzerare il significato dell’8 luglio, giorno in cui, a due mesi dall’insediamento del governo di destra, si è avuta la prima vera risposta di sdegno della società civile contro il kit di leggi vergogna approntato in un battibaleno dalla squadra di Berlusconi.
E’ stata una giornata di passione e fervore popolare, interpretata secondo varie sensibilità e differenti stili comunicativi, ma tutti uniti nel denunciare e condannare lo strappo costituzionale che si sta consumando.
L’obiettivo di far salire verso il Palazzo un vibrato no alle leggi, anticostituzionali piuttosto che incostituzionali, di Silvio Berlusconi è stato netto e chiaro e può ritenersi ampiamente raggiunto.
Ha fatto da sfondo all’evento una piazza Navona gremita all’inverosimile fino a sera inoltrata, in un tripudio di slogan, striscioni colorati, bandiere e battimani spontanei di una folla che, nella sua eterogeneità, si è ritrovata accomunata da un bisogno alto: quello di difesa della legalità e di fedeltà alla carta costituzionale.

E’ chiaro, che lontano da ogni ipocrisia, nella giornata in cui si esprimeva un perentorio no alla politica di Berlusconi non poteva essere steso un velo, neppure pietoso, sul modo disastroso in cui è stata condotta finora l’opposizione: qui la bocciatura di Walter Veltroni e del suo gruppo dirigente è stata altrettanto inappellabile.
Non ci voleva l’intervento di Beppe Grillo o quello di Marco Travaglio, applauditissimi, a capire che se Berlusconi è il primo responsabile di questo tristissimo stato di cose, una buona parte di responsabilità la porta proprio chi, in un Parlamento praticamente divenuto bipartitico, non ha svolto e continua a non svolgere quel ruolo di critica serrata e di opposizione autentica e trasparente che un sistema elettorale nato da una legge porcata gli imporrebbe di fare.
Dalle dichiarazioni del leader del PD di critica durissima alla manifestazione organizzata dai girotondi e dall’Italia dei Valori si comprende, al di là delle apparenze, il motivo vero della sua assenza: senza le stringenti e ferree consegne di un agguerrito servizio di vigilanza ed una claque opportunamente organizzata, Walter Veltroni avrebbe rischiato scendendo in piazza di ricevere soltanto sonore bordate di fischi.
Ma un leader dell’opposizione che teme il confronto aperto con la piazza che manifesta contro il governo in carica (beninteso una piazza speciale, non di estremisti, ma di gente pacifica e perbene che si mobilita non per protestare giustamente contro il carovita o per qualche rivendicazione corporativa, ma semplicemente in difesa della Costituzione), si autocertifica quale leader senza qualità, oscuro portavoce del Palazzo.
Quanto poi al tentativo di ripararsi dietro la figura del Capo dello Stato per ridimensionare il grandissimo valore politico di una manifestazione in difesa della Costituzione, esso è malamente naufragato: ieri, tutti i principali organi di informazione non parlavano d’altro ma bastava andare in giro per le mille piazze d’Italia per sentire ancora intatta l’eco di una soddisfazione malcelata che accomuna trasversalmente settori sociali molto differenti.
D’altronde, solo in una teocrazia criticare il Capo dello Stato è da ritenersi una bestemmia; in ogni paese normale, vagliarne e persino criticarne l’operato magari accostandone la figura ai suoi predecessori, come Pertini, Scalfaro, Ciampi, può essere un esercizio addirittura necessario.
Ma la Casta pur di difendere se stessa è disposta a tutto, anche a fare dell’anziano presidente Giorgio Napolitano l’agnello sacrificale, invocando il peccato di lesa maestà: ecco cos’è la vera antipolitica, non quella di Beppe Grillo o dei girotondini!
Ed è banalmente un mezzuccio ridurre il tutto ad una questione di turpiloquio: di ciò rispondono personalmente i singoli protagonisti di quella serata, senza sfiorare neppure lontanamente la sostanza politica della protesta, civilissima e meritoria.
Prendere le distanze dalle manifestazione, concentrandosi su alcune battute di Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e Marco Travaglio, che peraltro danno sfogo a sentimenti non minoritari tra la gente, è un meschino escamotage per nascondere le gravi colpe di una classe politica, rinchiusa nei propri privilegi, sorda e distante anni luce dalla piazza.

Perché martedì in piazza Navona erano rappresentate due Italie.
Il convitato di pietra, l’Italia berlusconiana, quella che fa quello che vuole e non risponde a nessuno se non a se stessa; e la società civile che, pur nelle sue contraddizioni, è pronta e leale al richiamo dei valori costituzionali.
Quest’Italia non solo è vivamente preoccupata per la brutta piega che stanno prendendo gli eventi ma si mostra decisamente irritata con chi, dall’opposizione, non sta facendo affatto il suo dovere.
Altro spazio politico, di fronte alla straordinarietà della sfida berlusconiana, non ce n’è!
Ascoltare, quindi, lo sconfitto Veltroni lanciare una sorta di ultimatum nei confronti di Antonio Di Pietro getta tutti nello sconforto più assoluto: nessuna consapevolezza della propria inadeguatezza, non un briciolo di autocritica, non un minimo di pudore rispetto al patatrac a cui ha costretto l’Italia intera!
Il delirio di onnipotenza lo perseguita (1): "Ora di Pietro scelga e decida con chi sta: se è con Grillo e Travaglio, con la piazza che insulta lo dica, se invece decida di stare in un’area riformista prenda l’impegno conseguente e metta fine a manifestazioni come quella di piazza Navona". Ed ancora: “Sentire quella caterva di insulti a tutto e a tutti mi ha fatto molto male mentre Berlusconi ha goduto, la sceneggiatura sembrava scritta da lui. Se avessimo portato in piazza il Pd oggi saremmo un cumulo di macerie”.
Ma come si fa a dire cose simili, persino rivendicando una qualche lungimiranza, quando egli in meno di sei mesi ha portato la politica italiana a Caporetto!
Adesso taglia i ponti anche con l’alleato Di Pietro, che lo sta surclassando non per qualità del proprio progetto politico ma semplicemente perché dimostra dignità ed onestà intellettuale con i propri elettori.
Ormai l’ex sindaco di Roma è riuscito a compiere un vero capolavoro: di isolare il Pd al punto tale da fargli rompere i rapporti persino con l’alleato dell’ultim’ora!

Di questo passo, rischia di litigare anche con se stesso. Perché solo con Silvio Berlusconi gli riesce di parlare pacatamente, serenamente; con gli altri invece usa toni sempre minacciosi e ultimativi.
La dimostrazione è che, di fronte al diluvio di iniziative ad personam del governo di destra, l’impareggiabile Walter abbia pensato prima di raccogliere le famose 5 milioni di firme (ma forse qualcuno lo convincerà a soprassedere…) e poi di organizzare una giornata di protesta, fissandola tra più di tre mesi: addirittura per il 25 ottobre!
Sembra che Silvio Berlusconi sia compiaciuto di quanto non stia facendo Walter Veltroni ma, raccontano (2), “se davvero resterà segretario solo fino alle europee, allora tanto vale iniziare a cambiare interlocutore fin da ora”.
Insomma, siamo al paradosso che persino ad Arcore si lamentino di non poter più contare su un avversario credibile.
Anche il Cavaliere si è stancato di tanta mediocrità!
(1): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "Lodo, oggi il sì della Camera cambia il blocca-processi"
(2): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "E Berlusconi plaude al leader del Pd [...]"

domenica 6 luglio 2008

Se pò ffà e la tela di Penelope

Ed alla fine Walter Veltroni, il nostro impareggiabile Se pò ffà, tirò fuori il coniglio dal cilindro.
Stretto all’angolo da girotondini, grillini, sinistra varia ma anche da alcuni compagni democratici, ha dovuto correre ai ripari ed inventarsi qualcosa.
Lui però apprezza la vita comoda e di sfilare l’8 luglio in piazza, sotto il solleone, contro il pacchetto di leggi anticostituzionali assemblato dallo staff legale di Berlusconi non ci pensa proprio.
Troppo caldo, troppo sudore, troppe strette di mano e tutto questo, si è lasciato sfuggire, “a gratis”.
No, non se ne parla!
In autunno è più fresco, torna il campionato, c'è Domenica in, la stagione dei saldi è finita, protestare contro le leggi di Berlusconi approvate due mesi prima non servirà più a nulla ma almeno ci farà ottenere maggiore audience rispetto ad ora, con il pubblico televisivo che si riduce sensibilmente preferendo a Porta a Porta lo shopping serale tra i mille mercatini delle pulci.
Ma nel frattempo che si fa?
Sarebbe il colmo che Se po’ ffà rimanesse con le mani in mano proprio in una circostanza del genere, quando tutti gli altri scalpitano...
Attaccare a testa bassa Berlusconi? No, nessuno ci crederebbe; anche perché pacatamente, serenamente, non fa parte del nostro stile… e poi, al limite, sarebbe meglio prendersela con l’Italia dei Valori, i girotondi che pretendono di farci sfilare a gratis, la sinistra che non ha digerito l’estromissione dal Parlamento.
No, no, ci vuole qualcos’altro...
Eureka! Una bella petizione da organizzare durante le feste democratiche (!): di qui ad ottobre sono migliaia le manifestazioni organizzate dai compagni in lungo e largo per la penisola.
Sì, protesteremo contro il Governo serenamente, pacatamente, mettendo dei banchetti all’ingresso delle feste: uniremo l’utile al dilettevole, arriveremo pure a cinque milioni di firme, ma con calma, senza spingere!
Dopo i tre milioni e mezzo di voti delle primarie 2007, cinque milioni di firme: una maxi tela di Penelope, simbolo del nostro smisurato ego, che provvederemo a tessere la sera alle feste ed a dipanare il giorno successivo con nuove aperture di credito al Cavaliere, che resta pur sempre il nostro principale interlocutore.
Anzi, iniziamo subito a tendergli l’altra mano (chè la prima già ce la siamo giocata!).
Signori, ecco la Sfida (a buon intenditore poche parole!): "Se Silvio ritira l’emendamento blocca processi, si creerà un clima nuovo nel paese".
Quindi, Se po’ ffà, lasciando in pace il Cavaliere, punta dritto contro Di Pietro: “Lui pensa che dandogli del magnaccia fa un bene al paese e all’opposizione, invece è proprio questa l’opposizione che Berlusconi preferisce”.
Lui sì che se ne intende!
Ormai, Veltroni impartisce soprattutto lezioni di galateo, mostrando di credere poco alla sua linea politica.
E’ noto, però, in quale seria considerazione il Cavaliere tenga le sue parole, dal momento che Se pò ffà la sera fa la faccia dura e volteggia in aria i presunti cinque milioni di firme ed il mattino seguente, prima ancora di iniziarne la raccolta, è già disposto, da leader scaltro ma ben educato, a gettarle al macero ammiccando al Cavaliere in nome di un clima nuovo.

martedì 1 luglio 2008

L'estate al mare di Mr. Se pò ffà

Dispiace tirare in ballo sempre Mr. Se pò ffà, al secolo Walter Veltroni, ma ormai non passa giorno senza che ne combini una delle sue.
Il paese economicamente affonda, il decreto legge blocca processi e il lodo Schifani bis o meglio lodo Alfano fanno tracimare fuori dall’alveo della Costituzione la nostra democrazia, si usa la mano forte per fronteggiare le sacche di malcontento popolare e l’apatico leader del Partito democratico se ne viene fuori domenica scorsa, nell’intervista fattagli dal vicedirettore Massimo Giannini su la Repubblica, con la inedita frase: “Berlusconi prende in giro i cittadini e si occupa solo dei suoi affari personali”.
Incredibile! Anche Mr. Se pò ffà comincia ad accorgersene: vuol dire proprio che questa volta Silvio Berlusconi deve avere esagerato!
Perché in questi mesi l’unico che ha creduto al restyling politico del Cavaliere è stato proprio Mr. Se pò ffà che a novembre, quando Berlusconi era ormai al tappeto, è riuscito a rimetterlo in piedi legittimandolo come interlocutore credibile non solo per rifare la legge elettorale ma addirittura per il varo delle riforme istituzionali.
Purtroppo l’ex sindaco di Roma, che in questo gioco d’azzardo ha sperperato gran parte della sua credibilità, ha perso su tutti i fronti: sotto nel confronto elettorale, è stato svillaneggiato anche in sede di riforme istituzionali che, a questo punto, Berlusconi si fa da solo con legge ordinaria, infischiandosene della sua mano tesa.
Di più, è stato costretto a difendersi davanti alle telecamere, causa l’ennesimo agguato orditogli dal centrodestra, pure dall’accusa di aver ridotto, dopo tanti anni di amministrazioni di centro sinistra, praticamente alla bancarotta il Comune di Roma.
Ancora, Berlusconi lo attacca mettendo in dubbio le sue qualità di leader e dichiarando che il dialogo è chiuso e lui, pappagallescamente, alza la voce per ripetere “Il dialogo è chiuso”.
Questo suo insulso gioco di rimessa sta facendo saltare i nervi ai suoi stessi colleghi di partito, ai quali ripete la solita solfa che senza di lui ad aprile scorso si sarebbe perso ugualmente.
Omettendo però di dire che senza la sua vittoria alle primarie del PD dell’ottobre 2007, il governo Prodi, molto probabilmente, oggi sarebbe stato vivo e vegeto.
Quanto a prendere qualche iniziativa contro il tentativo del governo di far passare la versione aggiornata delle leggi vergogna ecco che gela tutti rinviando a settembre qualsiasi offensiva.
Ma la cosa più sorprendente è la motivazione che riporta; perchè nell’intervista a la Repubblica testualmente dichiara:
"Ho parlato dell'autunno perché su alcune questioni sociali, che Di Pietro non sa neanche dove stiano di casa, sarà quello il momento più critico. Detto questo non mi spaventa avere idee diverse su come fare opposizione. Io non vivo col problema che c'è uno che urla più di me, perché sono un riformista e so che per un riformista c'è sempre uno che urla più di te. Ma so anche che quelle urla poi si perdono nell'aria. E so che quelli che alla fine cambiano davvero le cose sono i riformisti. Vivere con la paura del nemico a sinistra è qualcosa di cui ci dobbiamo liberare per sempre".
In altri termini, nascondendosi con un giro di parole dietro il termine riformismo, Veltroni motiverebbe la sua snervante inerzia con la previsione che egli fa di un’accelerazione della crisi italiana subito dopo le ferie estive, giudicando qualsiasi decisione di scendere in campo adesso come prematura.
Secondo lui, meglio ora starsene in tribuna a guardare come va a finire la partita tra il governo Berlusconi e l’Italia.
Parole, le sue, che sconcertano: invece di agire subito, coinvolgendo i cittadini, per riportare l’agenda di governo sugli scottanti temi dell’emergenza economica e sociale e lontano dai bisogni giudiziari del Cavaliere, il leader del PD preferisce aspettare che la situazione precipiti per trarne un qualche profitto politico.
Disegno miope e irresponsabile: a questo punto non si sa chi sia peggio tra Berlusconi e Veltroni nel giocare sulla pelle del Paese.
Com’è possibile che Mr. Se pò ffà non rompa gli indugi quando ha appena affermato che l’Italia sta vivendo la sua più drammatica condizione dal dopoguerra?
Ecco alcune sue frasi tratte dalla stessa intervista:
"L'Italia vive la crisi più drammatica dal dopoguerra in poi. Berlusconi prende in giro i cittadini, e si occupa solo dei suoi affari personali. Ora basta, il dialogo è finito”;
“La crisi ha origini antiche. Ma oggi quello che sconcerta è il capovolgimento delle priorità. L'Italia vive la condizione più drammatica dal dopoguerra. Siamo in piena stagnazione. I consumi crollano: quelli finali sono a -2,3%, a -4% nel Mezzogiorno. Per la prima volta siamo passati dal 6,4 al 7,1% nel tasso di disoccupazione. La produttività è -0,2%, il Pil ristagna al +0,1%. Il Paese è fermo”.
Dopo aver pronunciato tali parole, come riesca a restarsene placido sotto l’ombrellone l’8 luglio quando a Roma sfileranno le tante anime dell’opposizione, da Di Pietro al popolo dei girotondi, alla sinistra rimasta fuori del Parlamento, al popolo di Beppe Grillo, ad una fetta importante della società civile, è uno dei tanti misteri che mettono a dura prova la capacità di resistenza degli elettori del PD.
Il rischio è che a mollo nell’acqua salata quel giorno ci resti soltanto lui.

mercoledì 25 giugno 2008

Aspettando, di nuovo, il lodo Schifani

Ennesimo, violentissimo attacco sferrato stamane dal premier Silvio Berlusconi alla magistratura. Occasione, questa volta, l’assemblea della Confesercenti a Roma.
Ha detto: “I giudici e i pm ideologizzati sono una metastasi della nostra democrazia".
Naturalmente i magistrati ideologizzati sono tutti quelli che hanno indagato o indagano ancora su di lui.
Perché il premier ritiene di essere sopra la legge per investitura popolare; la controfigura del Re Sole non per diritto dinastico ma per diritto televisivo, autenticato in cabina elettorale dagli Italiani.
Spettacolo costituzionale veramente osceno: tra frizzi, lazzi e ingiurie sempre più gravi, la nostra repubblica parlamentare sta scivolando verso una forma assoluta di monarchia televisiva.
Come al solito fiacca e minimalista la replica di Walter Veltroni, presente allo show del Cavaliere, che lo ha definito, in sostanza, “un imbarazzante comizio”.
Berlusconi parla di democrazia sotto libertà vigilata da parte dei giudici che, secondo lui, tenendolo sotto giudizio, attenterebbero al verdetto popolare.
A noi sembra, al contrario, che il limite della democrazia sia stato varcato da tempo e non per opera dei giudici, semmai per inerzia di alcuni di loro.
In una democrazia normale, che un Presidente del Consiglio in carica, in un’assise pubblica (non a spasso per Porto Rotondo!) pronunci, senza responsabilità, parole così pesanti contro un altro potere dello Stato, non dovrebbe restare senza conseguenze.
Possibile che solo il Capo dello Stato faccia sentire la sua voce?
O forse è già entrato in vigore il probabile neo lodo Schifani?

sabato 21 giugno 2008

"We can" al mare...

Veltroni è costernato, la Finocchiaro si meraviglia.
Pare che nello staff dirigente del PD nessuno si aspettava che Berlusconi si avventasse lancia in resta contro la magistratura, arrivando a pronunciare frasi gravissime come "Denuncerò la magistratura che vuole sovvertire la democrazia" riferendosi alle "iniziative di pm e giudici che, infiltrandosi nel potere giudiziario, vogliono sovvertire il voto".
E’ chiaro che stanno venendo giù, un pezzo alla volta, tutti i princìpi dello stato di diritto; come sia possibile continuare in questo modo senza precipitare nell'abisso del regime resta un mistero.
Perché in uno stato di diritto a nessuno, tanto meno a chi rappresenta un organo costituzionale, verrebbe consentito di delegittimare le altre istituzioni.
Il vulnus prodotto all’ordinato funzionamento dello Stato è tale questa volta da non poter fare finta di nulla, richiamando alle proprie gravose responsabilità in prima battuta proprio i vertici della magistratura, il cui intervento si rende ora necessario non tanto a difesa delle proprie prerogative e della propria immagine (così gravemente offuscata dal reiterato attacco berlusconiano) ma a presidio della stessa Costituzione.
Sul piano politico, le intemperanze del Cavaliere fanno inabissare il sogno di Walter Veltroni che, per aver puntato sconsideratamente tutto il proprio prestigio personale sul dialogo con il nuovo Berlusconi, è costretto oggi a rimediare l’ennesima figuraccia: battuto ripetutamente sul piano elettorale (una, due, tre volte?, stiamo perdendo il conto!) ma alla frutta pure quanto a prospettiva strategica.
Protesta intransigente contro l’uomo di Arcore ma mobilitazione solo a partire dal prossimo autunno.
Ha ragione: il Paese affonda, ma pacatamente, serenamente, andiamocene al mare!
E’ ormai messo così male sul piano dell’immagine che l’ingrato Berlusconi lo strapazza con poche parole taglienti: "E' incredibile che si proponga come leader politico".
D'altra parte, lo sterile ritornello ripetuto ieri da Veltroni all’ Assemblea nazionale del Partito democratico conferma in pieno il definitivo appannamento della sua stella politica che mai in questi mesi ha veramente brillato ma che nessuno poteva prevedere potesse spegnersi tanto velocemente: "Ma nessuno deve illudersi, noi non torneremo indietro, ai tempi del clima di odio e di contrapposizione ideologica tra maggioranza e opposizione".
Qualcuno gli spieghi che non sta più in campagna elettorale e che l’ultima l’ha archiviata con una batosta più unica che rara; sconfitta talmente sonora che il Paese è precipitato in poche settimane in un’atmosfera da incubo, sicuramente peggiore di quella del 2001, nonostante i fatti di Genova.
Senza la contrapposizione ideologica tra maggioranza e opposizione, come la chiama lui con disprezzo, stiamo scivolando rapidamente fuori dalla democrazia.
E il fatto che ripeta che indietro non si torna e che andare da soli e' stata una "scelta strategica" conferma che è ormai vittima del proprio narcisismo e che se Berlusconi si concede simili uscite è proprio perché alle sue parole fa da contraltare il pensiero debole di Veltroni.
E’ Arturo Parisi che prende il coraggio a quattro mani per farglielo subito notare: fa presente che il discorso appena pronunciato da Walter "è una comprensibile difesa di quello che è stato fatto. Purtroppo, però, l'unico giudizio sul nostro operato e sulla dirigenza resta quello degli elettori a livello nazionale, a Roma e nella Sicilia".
E giù l’attacco frontale: questa assise non ha il numero legale per poter eleggere i membri della Direzione Nazionale.
Che brutta accoglienza per il film "We can" di Walter Veltroni, nonostante il notevole sforzo promozionale di Repubblica. Ma si sa, in estate pochi vanno al cinema… e qualsiasi altro film in programmazione avrebbe fatto fiasco.
Ancora una volta ha ragione lui.
Alla fine della giornata riesce ad incassare la fiducia del parlamentino del Pd con l'unica concessione di dover riconoscere, meglio tardi che mai, la sconfitta patita.
Ma tranne il temerario Parisi nessuno osa contraddirlo apertamente: la sua resta la linea politica giusta. Per fare cosa questo non si sa.
Fa bene Romano Prodi, memore del tradimento subito da Veltroni quando a gennaio sedeva a Palazzo Chigi, a tenersi alla larga da un tale pasticcio politico ed a non cedere alle sue invocazioni di aiuto.

domenica 15 giugno 2008

La strigliatina di Scalfari a Veltroni

Gran brutto periodo quello che attraversa la democrazia italiana al giro di boa del solstizio d’estate. La crisi politico-istituzionale, lungi dall’imboccare l’uscita dal tunnel con l’avvio della XVI legislatura, si sta pericolosamente avvitando su se stessa.
Il rimedio, ovvero il governo del centrodestra, si sta rivelando peggiore del male, cioè le difficoltà di governare l’Italia nel pieno della prima vera crisi economica internazionale nell’epoca della globalizzazione.
Parlare di emergenza democratica, come dicono alcuni, forse non è fuori luogo.
I primi atti del governo di centrodestra confermano le peggiori aspettative, intrisi come sono di quel brodo di coltura in cui sono nati e si sviluppano alcuni movimenti politici con tendenze reazionarie.
La militarizzazione della politica che sta avvenendo da due mesi a questa parte, dopo una campagna elettorale orchestrata ad arte sui temi della sicurezza e dell’ordine pubblico, solleticando mai del tutto sopiti istinti xenofobi tra i cittadini, sta arrivando ad un punto di svolta.
Mandare l’esercito per le strade inevitabilmente prefigura il passaggio dallo stato di diritto ad uno di tipo autoritario, dove la sovranità non risiede più nel popolo ma nella classe dirigente; la quale, piuttosto che scendere in piazza per confrontarsi a viso aperto con i cittadini (o sudditi?), si chiude a riccio, asserragliandosi in un fortino militarmente presidiato.
Quello delle mimetiche sotto casa è pure uno scivolone sul piano della comunicazione che ci avvicina pericolosamente alle atmosfere inquietanti di certa America latina.
Il solo pensare che turisti stranieri in visita nelle nostre città d’arte possano imbattersi in convogli militari in perlustrazione fa semplicemente accapponare la pelle.
L’odierno editoriale su la Repubblica di Eugenio Scalfari mette in evidenza l’accelerazione drammatica che stanno prendendo gli eventi: a partire dal modo in cui si è approcciata l’emergenza rifiuti in Campania facendone una questione prettamente di ordine pubblico, al decreto legge poi rivisto in disegno di legge sulle intercettazioni, alla questione nucleare (aggiungiamo noi), vi è il tentativo di sottrarre al controllo dell’opinione pubblica questioni di fondamentale importanza per la crescita economica e sociale del nostro Paese.
Parlare di interventi da parte dell’esecutivo velleitari o, peggio, come dice incautamente a proposito dei militari spediti per strada il capogruppo del PD Anna Finocchiaro, buoni “a compiacere la vanità del ministro della Difesa”, significa non avere minimamente compreso la gravità dello stato di salute della nostra democrazia al cui capezzale, come osserva giustamente Scalfari, non può essere lasciato solo il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Nonostante l’analisi scalfariana sia per una volta del tutto condivisibile, non possiamo non osservare che se siamo caduti così in basso molte delle responsabilità vanno attribuite proprio alle reiterate iniziative sbagliate prese dai dirigenti del Partito Democratico in questi mesi, spesso con il beneplacito proprio del fondatore di Repubblica che oggi, lui per primo, dovrebbe recitare il mea culpa.
Scelte sciagurate che da mesi denunciamo e che, a dispetto delle magnifiche sorti e progressive additate da Walter Veltroni con suggestioni hollywoodiane, hanno contribuito a portarci in poche settimane a qualcosa che appare ora eufemistico definire dittatura dolce.
Lo ha finalmente capito anche Eugenio Scalfari che, forse giudicando la misura colma, arriva a fare una bella lavata di testa al supponente Walter che da mesi insiste nel tenere aperto, o meglio, spalancato, il dialogo con Silvio Berlusconi.
Si chiede giustamente Scalfari come sia possibile affrontare con il cavaliere il tema impervio delle riforme istituzionali quando, contemporaneamente, egli sta smontando pezzo a pezzo lo Stato di diritto.
Ecco alcuni passi del suo editoriale tra i più significativi: "La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
E' evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono complessivo dell'opposizione".
E , preoccupato, si interroga: "Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei settori più sensibili della democrazia?" .
Con il prevedibile corollario: “Il Partito democratico ha un solo strumento per impedire questa deriva: decidere che non c'è più possibilità di dialogo sulle riforme per mancanza dell'oggetto. Se lo Stato viene smantellato giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare il Pd? E' qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata."
Aspettavamo da tempo lo smarcamento dello staff di Repubblica da un’opposizione ormai prona ai bisogni del Cavaliere, che ambisce solo ad aggiungere il proprio nome sui titoli di coda del film da lui diretto.
L’incontro di qualche giorno fa alle otto di mattina a Montecitorio tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e Veltroni, forse confidando con l’alzataccia di evitare sguardi indiscreti, potrebbe benissimo essere tratto da una pellicola di un grande del nostro cinema come il compianto regista Dino Risi.
Come è chiaro, quella di Scalfari più che una netta presa di distanze si configura come una solenne bocciatura della linea politica a scartamento ridotto intrapresa un anno fa dal gruppo dirigente del Partito democratico.
Ciò dovrebbe comunque servire a Walter Veltroni (finora inossidabile alle critiche) a decidere rapidamente cosa sia adesso più opportuno fare, non solo per il bene del suo partito ma per il futuro del Paese.
Non c’è più tempo da perdere.

domenica 8 giugno 2008

Governo ombra... o opposizione solare?

Sono trascorsi circa due mesi dalla catastrofe elettorale del centrosinistra ma ancora nessuno nello staff dirigente del PD ha incominciato a fare in pubblico un approfondito esame di coscienza.
La cosa è talmente sconcertante che un minimo di riflessione sopra andrebbe fatta.
Anche perché tra gli elettori di centrosinistra sta serpeggiando la sensazione che forse per il gruppo dirigente del PD tutto stia procedendo a gonfie vele cioè secondo i piani stabiliti.
Quali? Non ci è dato sapere, non sappiamo neppure se esistano davvero: forse, il dubbio si insinua a causa delle solite malelingue.
Ma quand’anche fosse stato alimentato ad arte da qualcuno, il fatto che carsicamente riemerga d’improvviso in ogni discussione da bar (purtroppo gli unici luoghi di vera discussione politica rimasti) la dice lunga sull’assoluta impreparazione degli uomini di Walterloo a gestire sia pure la Sconfitta.
A lanciare un sasso nello stagno ci ha dovuto pensare un professore, uomo del Professore: sì, avete capito bene, il prodiano Arturo Parisi.
Di certo a lui non va proprio giù il modo in cui Veltroni sta affrontando la situazione; ecco cosa afferma nell’intervista di Claudio Tito su la Repubblica di ieri:
"E’ stata una sconfitta storica. Se ne deve prendere atto. Eppure, a distanza di due mesi questa constatazione non ha ancora trovato un luogo per essere riconosciuta".
Successivamente parla di sconfitta politica, non di una semplice sconfitta elettorale. Poi aggiunge:
"I numeri parlano da soli. La sinistra radicale è scomparsa. Ma il centro, quello che amava proporsi come la sinistra moderata, non è riuscito a proporsi come un punto di riferimento per consensi nuovi. è questa la causa del risultato modesto del PD. Se siamo riusciti a tenere, è solo perchè gli apporti da sinistra hanno compensato quelli persi al centro o verso l' astensione. Esattamente l' opposto di quello ci si proponeva".
E prosegue: "Penso a Bettini e al suo "diritto alla rivincita". La preoccupazione che il riconoscimento della sconfitta chiami in causa le corrispondenti responsabilità soggettive sembra impedirci di analizzare anche la situazione oggettiva nella quale ci siamo cacciati. La paura che si ripeta quel che è successo nel '94 con Occhetto e nel 2000 con D' Alema, quando i due leader sconfitti sentirono la necessità di far derivare dal riconoscimento della sconfitta atti conseguenti, ci costringe a discutere della sconfitta solo in corridoio e a difendere in pubblico una sconfitta evidente come se fosse una vittoria insufficiente".
Ovvero per non scegliere di dimettersi, prendendosi le proprie responsabilità, Walter è costretto a fare finta di niente.
Anche se Parisi, nell’intervista, nega a parole di chiedere le dimissioni di Veltroni; ma il suo messaggio resta chiarissimo:
"Non è in discussione Veltroni, ma certamente serve una nuova leadership collettiva. Che, però, può nascere, rinnovarsi o rafforzarsi solo all' interno di un confronto vero. Quello appunto che avevo immaginato cercasse Veltroni con l' apertura di un percorso congressuale. Non è all' insegna della continuità che Veltroni può immaginare di rafforzare la sua guida del partito. Altro che rivincere. Nella continuità non possiamo che riperdere".
Ci voleva il moderato Arturo Parisi, l'uomo di Romano Prodi non un estremista bolscevico, a dichiarare che re Walter è nudo.
Mentre gli ex DS fanno orecchie da mercante, sembrando in tutte altre faccende affaccendati.
Di fronte alle premesse di un autunno che si preannuncia davvero difficile con un governo in carica destinato a farci rimpiangere il peggiore esecutivo della prima repubblica, analizzando i suoi primi atti (immigrati, frequenze televisive, nucleare, ponte di Messina, intercettazioni telefoniche, rapporti con il Vaticano, problema rifiuti, emergenza economica, missioni militari), urge un chiarimento politico che vada fino in fondo per ricostruire al più presto non un governo ombra ma un’opposizione solare.
Perché del governo ombra gli Italiani di destra, di centro o di sinistra, non sanno veramente cosa farne: i più, quando qualcuno ne fa cenno, scuotono sarcasticamente la testa.
Ennesima dèbalcle veltroniana, suggello di una stagione politica da dimenticare.

domenica 1 giugno 2008

L'opposizione che non c'è

La brusca accelerazione impressa dal governo Berlusconi alla questione rifiuti in Campania rappresenta, come da manuale, la classica risposta che un governo di destra predilige una volta messo di fronte ai complessi problemi di una società moderna.
Nonostante siano conclamate le gravissime responsabilità di un intero ceto politico e di una classe dirigente che ha costruito per decenni le sue fortune su rapporti affaristico clientelari rinunciando alle più elementari regole di una buona amministrazione pubblica, il riflesso pavloviano del potere è quello di trasformare un ordinario problema di igiene ambientale in uno, straordinario, di ordine pubblico.
I problemi fatti incancrenire dalla nomenklatura per decenni vengono quindi scaricati di nuovo sulla popolazione, costretta a vivere da mesi in mezzo ai miasmi dell’immondizia sotto casa, senza peraltro trarne le conseguenze politiche del caso. Così il governatore della Campania Antonio Bassolino ed il sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, invece di fare pubblica ammenda delle loro colpe insieme ai tanti burocrati preposti in quindici anni all’emergenza rifiuti, caldeggiano la svolta autoritaria per porre fine alla fase di emergenza anche in palese violazione della legge e della Costituzione: se questo non è un harakiri della Casta, poco ci manca.
La discarica di Chiaiano s’ha da fare, punto e basta.
Sono queste le intenzioni di Palazzo Chigi che ha trovato, per molti simpatizzanti del PD, l’inatteso via libera dell’opposizione mentre gli accertamenti tecnici per stabilire la validità del sito sono partiti solo da pochi giorni ed il loro esito è in fieri.
Se non fosse che il premier già anticipa: “Le nostre relazioni tecniche ci danno sicurezza che il sito sia idoneo”.
Preoccupano inoltre le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a proposito dell’inchiesta giudiziaria che vede inquisiti alcuni funzionari della Protezione civile: “Non si può pensare alle leggi come ad un moloch valido in ogni circostanza, devono essere adattate per il vivere bene dei cittadini”.
Come a dire che rispettare le leggi è un lusso che, con l’attuale stato di eccezionalità, non ci possiamo permettere.
Quale strappo costituzionale si stia consumando in questo modo è lampante.
Per giunta, dalle conseguenze incalcolabili dato che, se una democrazia deraglia, per un banale problema di nettezza urbana, dal binario delle garanzie costituzionali, si produce comunque un vulnus allo stato di diritto difficilmente rimarginabile, rappresentando, anche con gli esiti migliori, un pericoloso precedente.
Perché in futuro in mille altre occasioni, invocando lo stato di eccezionalità, un esecutivo potrebbe neutralizzare parti della Costituzione.
Così le declamate regole del gioco, alla cui revisione dichiara di tenere così tanto Walter Veltroni, vengono parzialmente e temporaneamente sospese senza che dal loft democratico si obietti alcunché; anzi, rinunciando in anticipo a qualsiasi forma di mediazione con la popolazione.
Sono mesi che parecchi osservatori mettono in guardia contro questo modo di fare politica che, scambiando le buone maniere con la confusione dei ruoli, sta repentinamente rendendo sterile la nostra democrazia.
Un organismo vivente è sano e si sviluppa in modo equilibrato se dispone di un robusto sistema immunitario: in una democrazia questo dovrebbe essere incarnato dall’opposizione.
Così purtroppo non è con l’attuale leadership del Partito Democratico.
Che, in tempi di pace e senza l’impellenza destabilizzante di una cataclisma naturale (per fortuna!), si rinunci ad esigere il pieno rispetto dei principi costituzionali sacrificandolo prioritariamente alla difesa corporativa dei propri uomini d’apparato (perché mai non sono stati dimissionati?), è qualcosa di veramente abnorme.
A meno che non ce la volessimo prendere semplicemente con il calendario ed il caldo estivo.
Mai la festività repubblicana del 2 giugno era stata celebrata in un’atmosfera tanto cupa e sconfortante.

domenica 25 maggio 2008

Quando la politica vola troppo alto

Alcuni passaggi del discorso di Veltroni al forum dei circoli lombardi del Partito Democratico rivelano, più di quanto non sia stato letto e discusso in questi mesi, che il giovane Walter si trova a svolgere un ruolo, quello di capo partito, che gli comincia a stare stretto perché troppo al di sotto delle sue possibilità. Sì, avete letto bene, al di sotto.
A conferma di ciò basta sfilare alcune perle da lui pronunciate nell’incontro tenuto ieri a Milano.
"L'Unione è un'alleanza che non basta perchè può far vincere le elezioni ma il problema è che bisogna vincerle anche la volta dopo. Noi pensiamo solo ad un'alleanza dove al centro c'è il programma e per questo guardiamo a tutti, compresa una parte della sinistra Arcobaleno".
"Quando però alle manifestazioni sento slogan come '10-100-1000 Nassiriya' penso che siamo agli antipodi di ciò che bisogna fare"
.
"Noi volevamo cambiare le regole se avessimo vinto ma le vogliamo cambiare anche adesso che siamo all'opposizione. Tra cinque anni governeremo noi e dobbiamo avere un Paese che consenta un'azione riformista".
"Il governo Prodi ha fatto bene, ma la sua maggioranza ha fatto male e questo ha creato una situazione difficile".
Sono affermazioni veramente illuminanti; esaminiamole con attenzione.
Per quanto riguarda l’insufficiente tenuta politica dell’Unione, la preoccupazione di Veltroni sarebbe dovuta al fatto che egli non si accontenterebbe di un solo quinquennio di governo, dando già ora per certa la sconfitta alla successiva tornata elettorale (calendario alla mano, sta parlando del 2018!). Quindi, lascia intendere, meglio cominciare a perderle subito andando da soli anche alle Politiche del 2013 (quando cioè si dovrebbe tornare a votare dopo i 5 anni dell’attuale governo Berlusconi IV, il cui intero mandato, a questo punto, dà per scontato).
Un ragionamento esemplare: da adesso in poi appelleremo Walter Veltroni semplicemente The Genius!
Ma questo è solo un assaggio, perché per farci apprezzare fino in fondo le sue grandi capacità di fine politico arriva subito dopo una stoccata: sì ad aperture alla Sinistra Arcobaleno ma… sbattiamole subito la porta in faccia attribuendole l’indecente '10-100-1000 Nassiriya' .
Ricordate?
Era lo slogan a suo tempo evocato dal centrodestra per addossarne la paternità alla sinistra pacifista, grazie al quale molti esponenti di Alleanza Nazionale o di Forza Italia si sono sottratti per mesi nei talk show televisivi alle loro responsabilità sullo sciagurato intervento militare italiano nell’assurda guerra irachena.
Attribuire alla Sinistra Arcobaleno parole mai dette dai suoi esponenti politici, pronunciate in piazza da qualche scalmanato, per di più di dubbia appartenenza politica, è un ben misero e squallido espediente che denota la sua grande onestà intellettuale e l’enorme statura politica.
A corto di argomentazioni e non sapendo guardare al di là del proprio naso, Veltroni getta discredito sulla Sinistra mettendole in bocca cose che non stanno né in cielo né in terra, rispolverando metodi di lotta politica che si pensava fossero definitivamente seppelliti da tempo immemorabile anche in Russia.
La sua certezza di vincere tra cinque anni ci lascia poi di stucco: aveva commesso l’errore, sia pure solo psicologico, di non prevedere ad una manciata di giorni dal 13 aprile quale disastro elettorale lo attendesse ma ora, finalmente, sente la vittoria vicina. Tra cinque anni.
Che dire? The Genius è più bravo di Nostradamus!
E poi, quale migliore auspicio per Berlusconi apprendere dal leader dell’opposizione che il suo governo durerà per l’intera legislatura?
Non pago degli attestati di illimitata stima ricevuti dal centrodestra, l’impareggiabile Walter lascia alla riflessione domenicale dei circoli forse la sua più acuta intuizione: il governo Prodi ha fatto bene ma la sua maggioranza ha fatto male.
Se nel PD ci fosse qualcuno ancora restio a firmargli una cambiale in bianco, adesso dopo questa sua ultima folgorazione, ne siamo certi, si sarà definitivamente votato alla sua causa.
E’ la profondità di pensiero che sconvolge.
Perché The Genius introduce nel dibattito politico un livello di astrattezza tale da sembrare, per noi comuni mortali, aria fritta: un governo può far bene ma la sua coalizione, per le stesse ragioni, fa male.
E’ una riflessione così sottile e penetrante da farci venire il mal di testa.
Comprendiamo solo adesso pienamente quale rinuncia sia stato imposta al cinema italiano nel non poter più contare a tempo pieno, per i sopravvenuti impegni politici di vertice, sul puntuale pungolo delle sue sagaci recensioni.
Ma siamo fiduciosi che gli sia al più presto consentito, grazie all’avvicendamento con qualche collega di partito, purtroppo certamente meno dotato di lui, di tornare alle sue mai archiviate carte di critico cinematografico.

venerdì 23 maggio 2008

Partito Democratico, sicuro che se pò ffà?

E finalmente Walter Veltroni scese nell’arena televisiva: martedì sera a Ballarò è stato messo in scena l’ultimo atto di una commedia degli equivoci che va avanti ormai da circa un anno.
Un Veltroni livido e contratto ha aperto la discussione stuzzicato dalle domande del conduttore Giovanni Floris che lo guardava con circospezione quasi per accertarsi se non avesse ancora digerito la sconfitta.
Dritto sulla poltrona come se stesse su un tappeto di punte acuminate, ha subito mostrato la sua vena combattiva, asserragliato nel fortino delle sue certezze circa il fatto che la sconfitta elettorale era inevitabile e che è diventato uno sport quello di rinfacciargli la scomparsa parlamentare della Sinistra Arcobaleno.
Lui, al contrario, ritiene di essersi speso molto bene in campagna elettorale per improntare il confronto politico con Berlusconi sul dialogo contro quel clima di odio seminato sia dal Cavaliere che dallo stesso vecchio Centrosinistra (non c'è niente da fare, così la vede, non risparmiando frecciatine di disprezzo ai suoi ex alleati).
Anzi rivendica il merito di aver introdotto un elemento di innovazione europea nella vita politica italiana.
Sentite cosa riesce a raccontare:
“Io oggi ho ricevuto una lettera molto bella di un elettore di centrodestra che mi ha scritto: «Guardi, io la voglio ringraziare per quello Lei che sta facendo per il Paese, ecc.; io ho votato Berlusconi ma per la prima volta non ho avuto paura che vincesse lo schieramento avverso perché sentivo che c’era una fisiologia democratica; la prossima volta può darsi che io voti per lei»”
Addirittura, nella foga del suo ragionamento si spinge fino a dire che solo in Italia non c’è mai un governo che venga riconfermato nelle elezioni successive…
Dobbiamo temere che forse non si accontenterà di soli cinque anni di permanenza a Palazzo Chigi del Cavaliere??
In parole povere, rifarebbe esattamente tutto quello che ha fatto e se un errore, psicologico, forse gli si può imputare è quello di aver pensato, fuorviato dai suoi entusiastici bagni di folla, che il risultato elettorale poteva essere diverso.
Le sue ammissioni di colpa finiscono qui. A ben vedere, molto poco.
Purtroppo il dramma di Veltroni è di essere prigioniero di uno schema mentale superato.
Quello di ritenere che negli ultimi quindici anni la composizione fisiologica degli interessi collettivi di una società complessa come la nostra non sia avvenuta soltanto per un difetto di comunicazione: cioè, per la demonizzazione mediatica dell’avversario.
Quindi, secondo l’ex sindaco di Roma, la lunga crisi del sistema Italia si ridurrebbe ad una banale questione di galateo, a poco più di un acceso diverbio tra forze politiche.
La realtà dimostra, al contrario di quello che egli blatera, che è in atto da tempo nella società italiana un poderoso braccio di ferro tra potentati economici, non sempre alla luce del sole; la cui possibile sintesi, più che un espediente linguistico, imporrebbe non solo uno sforzo di maggiore progettualità (e non semplicemente di comunicazione!) ma il coraggio-responsabilità della classe dirigente di operare precise scelte tali da anteporre, privilegiandoli, gli interessi diffusi delle comunità presenti sul territorio a quelli, formidabili e divergenti, di ristrette élite economiche.
No, per Veltroni il trasversale volemose bene tra maggioranza e opposizione basterebbe a quadrare il cerchio.
Quanto sia inconsistente, velleitaria e supponente questa visione è di tutta evidenza.
Chi mastica un po’ di economia sa bene infatti che a fondamento teorico della scienza economica c’è il problema di allocare risorse limitate per soddisfare gli illimitati bisogni della collettività.
E’ a questo punto che entra in scena la teoria economica. Come vanno soddisfatti questi bisogni? Con quale scala di priorità? Il nodo della distribuzione del reddito è cruciale.
Le ricette degli economisti sono assai diverse tra di loro, nessuna esauriente, ma ad esse attingono i singoli laboratori politici, partiti o movimenti che siano: è dal confronto istituzionale di queste correnti di pensiero con le istanze sociali che si alimenta la democrazia rappresentativa.
La politica prêt à porter di Walter Veltroni, concentrandosi sulle forme della comunicazione piuttosto che sui contenuti di questa, nega l’esistenza di tale contrasto di interessi, stringendo l’occhiolino al dilagante analfabetismo politico: con la conseguenza, del tutto sottaciuta dal leader del PD, di lasciare carta bianca allo strapotere della classe dirigente, casta o nomenklatura che dir si voglia.
La sua è, dunque, una politica per definizione elettoralmente perdente, perché rinuncia al suo ruolo di rappresentare in modo trasparente alcuni interessi in contrapposizione ad altri, facendo finta di poterli sintetizzare tutti: ma, purtroppo per lui, scorciatoie culturali o fughe in avanti di matrice tecnocratica non se ne vedono all’orizzonte.
Ecco perché la sconfitta veltroniana non è stata solo una disarmante battuta d’arresto elettorale ma (in ciò sta la sua responsabilità più grave!) tradisce una preoccupante latitanza culturale: quali messaggi, quali suggestioni, quali idealità ha proposto alla propria base la leadership del Partito Democratico dal momento del suo insediamento?
L’unico è stato forse il fantozziano se pò ffà, slogan bersagliato pure dall'ironia di Berlusconi che, nel suo discorso di replica alla Camera prima di incassare la fiducia, ha così concluso:
«Credo che se lo vorremo davvero e tutti insieme, come direbbe pacatamente e serenamente il principale esponente dello schieramento a me avverso, se pò ffa', ce la possiamo fare».
Ma i nodi di tanta ambiguità ideologica stanno arrivando al pettine e vedono la cosiddetta opposizione in uno stato di estrema confusione di fronte ai primi azzardi del governo Berlusconi.
Qualche esempio.
L’emendamento della maggioranza che punta ad evitare la procedura di infrazione presso la Corte di Strasburgo per la legge Gasparri per salvare Rete 4 ai danni di Europa 7 se pò ffà?
350.000 euro al giorno che lo stato italiano rischia di pagare a partire dal gennaio 2006 come multa a carico dei contribuenti in conseguenza del perdurare di questo stato di cose sul fronte radio-televisivo se pò ffà??
Lasciare che il provvedimento del governo di detassazione degli straordinari per il solo settore privato diventi la solita arma propagandista in mano al Cavaliere, senza che l'opposizione faccia sentire la sua voce forte sottolinenadone la palese incostituzionalità, se pò ffà?
Ampliare il mandato operativo dei nostri soldati impegnati in Afghanistan allargando i cosiddetti caveat, come preannuncia il neo ministro degli Esteri Franco Frattini, non è una chiara violazione dell’art. 11 della nostra Costituzione?
Rilanciare la costosissima, intempestiva, pericolosa tecnologia nucleare senza che dall’opposizione si alzi un coro di poteste, è cosa buona e giusta?
Per ultimo, l’Italia si può permettere il lusso di un Partito Democratico che, dall’alto-basso del suo 33%, si comporta sulle tante scottanti questioni nell'agenda politica di questi mesi come un pugile suonato?

martedì 29 aprile 2008

La Quercia caduta

Scrive il direttore di la Repubblica Ezio Mauro nel commento di oggi sul voto per il Campidoglio:
Un voto, bisogna dirlo con chiarezza e subito, del tutto ideologico, che viene in gran parte dalla sinistra radicale, così convinta dalla tesi autoassolutoria che vede nel Pd la colpa della sua scomparsa dal Parlamento, da far pagare al Pd la battaglia di Roma, lavorando contro Rutelli. Per questi cannibali fratricidi, grillisti e antagonisti, Rutelli era il bersaglio ideale, come anche per qualche estremista del Pd: troppo cattolico, importatore della Binetti, amico dei vescovi, come se la scommessa fondativa e perenne del Pd non fosse quella di tenere insieme, a sinistra, cattolici ed ex comunisti. Un ideologismo a senso unico: che serve ad azzoppare la sinistra, facendola perdere, mentre non scatta per bloccare l'uomo di An in marcia verso il Campidoglio. Anzi.

È da qui, oggi, che deve partire Veltroni. Guardando in faccia questo problema grande come una casa, la sindrome minoritaria della sinistra. Con il vantaggio che Roma dimostra - sommando il fuoco amico su Rutelli e le astensioni - come con la sinistra radicale e il suo ideologismo suicida non si possano ipotizzare alleanze, se non per perdere.”


Lo avevamo previsto sin da ieri: l’analisi politica elaborata dallo staff di Repubblica è scientemente miope e assolutamente infondata.
Non è forse vero che senza il contributo determinante di Veltroni, la Sinistra non sarebbe scomparsa dal Parlamento?
Non è forse Veltroni (naturalmente si intende il gruppo dirigente che si rifa a lui) che ha reso la parola Sinistra, attraverso un linciaggio mediatico unico al mondo grazie alla collaborazione non disinteressata del Cavaliere, del tutto fuori moda, senza alcun appeal?
L’aver tagliato le radici culturali, le proprie più autentiche e appassionate origini popolari, ha significato segare l’albero in cui da un secolo era stata costruita l’alternativa democratica ai poteri forti: costruire il PD non doveva necessariamente significare abbattere la Quercia.
Com’è possibile ancora non rendersene conto?
Le mille candidature sbagliate, in forza di una legge elettorale pessima (o adesso non lo è più?!), hanno rivelato l’esistenza all'interno del Partito Democratico di un direttorio isolato, che ha perso completamente il contatto con la realtà e con la propria base elettorale: un ceto politico radical per convenienza e chic per modello culturale di riferimento, che non nasconde di condividere gli stessi valori ideali del centrodestra.

La Sconfitta era nell’ordine delle cose: strapazzare il governo Prodi, quando fino a prova contraria i DS ne sono stati l’anima ispiratrice, calunniandolo di ogni nefandezza dopo la caduta; gridare ai quattro venti che con la Sinistra non sarebbe stato più possibile costruire nulla insieme (ma il governo Prodi non è caduto per colpa dei Mastella, dei Dini, ecc.?); appiattirsi su una proposta politica praticamente identica a quella di Berlusconi non poteva che portare dritti dritti a questo risultato disastroso.
Quanto al fatto che con la Sinistra, per Ezio Mauro, non si possano ipotizzare alleanze se non per perdere, si tratta di un’affermazione del tutto insensata, smentita inoppugnabilmente dai fatti.
Il Partito Democratico, andando in campagna elettorale da solo e contro i propri tradizionali alleati, ha fallito su tutti i fronti.

Quel che è peggio, lo ha fatto in maniera così netta, senza alibi o scusanti, da non permettere neanche di sperare a medio termine in una rivincita: il buon Walter, consiglio spassionato, farebbe meglio a rendersene conto prima di essere paracadutato dai suoi stessi compagni di cordata.
Del resto se si tagliano i ponti con spocchiosa presunzione con una larga fetta della società civile, dei movimenti, dell’ambientalismo, del pacifismo, del grillismo, favorendo in modo decisivo il loro allontanamento dal Parlamento, come poi si può pretendere che questi stessi settori dell’opinione pubblica firmino una cambiale in bianco a favore del gruppo dirigente del PD, reo di averne organizzato l’ostracismo (come le parole di Ezio Mauro confermano per l'ennesima volta)?
Come si vede l’analisi politica del direttore di la Republica è un coacervo di pregiudizi, di abbagli, di contraddizioni.
Ma, a questo punto, sarebbe non solo ingeneroso ma tecnicamente assai scorretto, prendersela con Francesco Rutelli che, nell’occasione, è apparso più che altro una vittima sacrificale predestinata.

Il suo grande errore è stato, purtroppo, quello di non aver capito in tempo, accettando la candidatura a sindaco della Capitale, quale polpetta avvelenata l’amico Veltroni gli stava rifilando.

Lo ha capito forse prima delle elezioni politiche del 13 aprile, ne siamo convinti, ma era ormai troppo tardi per tirarsene fuori.

lunedì 28 aprile 2008

Grazie Roma, che mandi a casa una pessima emozione...

Con la sconfitta di Francesco Rutelli a Roma, Bulldozer Veltroni demolisce definitivamente il centrosinistra.
L’opera di guastatore dell’Unione cominciata con la nascita del Partito Democratico è adesso completata: pure la ciliegina sulla torta!
Consegnare la Capitale al centrodestra era un’impresa praticamente disperata, dato che soltanto due anni fa egli aveva trionfato con una percentuale formidabile.
Grazie alla sua spregiudicata concezione della politica che non trova sconveniente mettere in lista, in un partito che dovrebbe rappresentare prioritariamente la classe lavoratrice, fior di imprenditori, anche questo risultato è stato raggiunto.
Se fosse un partito serio, il PD dovrebbe convocare a stretto giro di posta i suoi stati generali per decidere lo scioglimento: non bastano tre milioni e mezzo di voti tributati sei mesi fa a Veltroni, per dare un futuro ad un partito transgenico che ha perduto il senso della sua missione e con esso la sua straordinaria anima popolare.
Ma vedrete che non succederà niente e i vari Fassino, Cofferati, Bettini (…e Scalfari!) difenderanno imperturbabili le magnifiche sorti e progressive del sogno veltroniano.
Grazie Roma, che mandi a casa una pessima emozione…

venerdì 25 aprile 2008

25 aprile al buio

Sembra che le elezioni politiche in Italia si siano celebrate mille anni fa… tanto è lo spazio emotivo che ci separa dal 13 aprile. Eppure sono trascorsi solo dieci giorni.
Il clamoroso risultato delle urne ha scintillato a malapena per una settimana; dopo, nei mass media è calato il tono dimesso della Restaurazione.
Vincitori e vinti si sono defilati in attesa dell’apertura delle Camere e del varo del Berlusconi ter. E tutt’attorno all’uomo di Arcore, non è che ci sia dati alla pazza gioia.
In parte, i toni smorzati sono dovuti al clima da par condicio in vista dei ballottaggi di domenica prossima.
Fatto sta che la politica è sparita dalle prime pagine dei giornali.
Repubblica ormai da giorni apre solo sulla vicenda Alitalia.
Il tam tam mediatico, prendendo spunto dalle difficili acque in cui è ammarata la nostra compagnia di bandiera, ha orchestrato una sorta di tormentone senza né capo né coda: si annunciano nuove nubi all’orizzonte ma nessuno che si prenda la briga di alzare un dito per salvare il salvabile.
Dalla classe dirigente di uno degli otto paesi più sviluppati al mondo ci si attenderebbe un maggiore spirito di iniziativa.
Purtroppo, come diceva Ennio Flaiano, in Italia la situazione è tragica ma non è seria.
E’ così profondo il sonno della nostra stampa, che solo la cronaca nera può ridarle smalto vomitando fiumi d’inchiostro sul problema della sicurezza nelle nostre città. E le occasioni, purtroppo, non mancano.
Di buste paga, di pensioni, di emergenza rifiuti nessuno parla più; di sicurezza sui luoghi di lavoro men che meno, nonostante la strage si faccia di giorno in giorno più drammatica.
Neppure le morti bianche commuovono più le nostre corazzate editoriali: si preferisce indugiare sull’indifferenza della gente che vede un corpo senza vita in mezzo al marciapiede e non muove un dito, anzi protesta perché ingombra il passaggio.
E l’episodio viene raccontato in modo asettico, quasi per morbosa curiosità: crescete e anestetizzatevi!
Intanto, il duello tra Rutelli e Alemanno va avanti secondo un rituale ormai logoro: i due ci fanno rimpiangere perfino la già spenta sfida tra Veltroni e Berlusconi, un’impresa non da poco!
L’altra sera il salotto di Ballarò sembrava la Corrida: uno spettacolo surreale, in cui si primeggiava per mediocrità delle argomentazioni.
Mai l’informazione televisiva era scesa tanto in basso come in questo dopo voto: con le sole brillanti eccezioni di Michele Santoro e di Milena Gabanelli, siamo veramente all’afasia più completa.
Solo Beppe Grillo, con il suo secondo V-day di oggi, è in grado di accendere una luce nel buio fitto in cui siamo precipitati.
Del resto, l'asse Veltrusconi, a dispetto della vittoria del Cavaliere, procede spedito.
Sentite quant’è moscia la reazione di Veltroni alle parole del premier in pectore che afferma che se a Roma dovesse vincere Rutelli sarebbe molto difficile per lui collaborare con il sindaco della Capitale: "Berlusconi minaccia di non collaborare con Rutelli. E' un atteggiamento istituzionalmente inaccettabile. Le istituzioni non hanno colore, esse devono servire i cittadini. La verità è che la coalizione di Berlusconi vuole un sindaco 'dipendente' e non chi, come Rutelli, può tutelare con autonomia e indipendenza una città come Roma".
Che strano: Bulldozer Veltroni, uno degli artefici della demolizione della sinistra parlamentare, quando parla del Cavaliere sembra Alice nel paese delle meraviglie… Beato lui!

venerdì 18 aprile 2008

Le gioie del giovane Walter

E’ molto istruttiva l’intervista che il segretario del PD Walter Veltroni ha rilasciato a Massimo Giannini su la Repubblica di oggi.
A dispetto delle cento e più province attraversate in lungo e largo per l’Italia durante la campagna elettorale, Veltroni sembra un generale che, rinchiuso nel proprio bunker, non sa più interpretare la realtà per quello che è, addossando la responsabilità della sconfitta agli altri.
Anzi, a veder bene tra le righe dell’intervista, egli non ha ancora realizzato di aver subito una cocente sconfitta.
Siamo al punto che i suoi colonnelli non si sentono in animo di rivelargli l’amara verità.
Basta l’esordio per far comprendere al lettore in quale cortocircuito sia caduta la sua strategia: “Io non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta. Ma attenzione. La sconfitta c'è stata nella sfida per il governo: ero il primo a sapere che questa era una missione difficilissima, che non era certo facile vincere in soli quattro mesi invertendo una tendenza negativa consolidata in due anni. Ma se guardiamo alla costruzione di una grande forza riformista, allora non si può proprio parlare di sconfitta: è stato un miracolo, perché oggi quella forza ha recuperato più di 10 punti, esiste ed è finalmente una realtà del Paese".
Se la Sinistra è da rifondare, a questo punto è da azzerare anche il gruppo dirigente del PD che non riesce minimamente a comprendere la gravità della situazione: anche il politologo Giovanni Sartori, ieri sera intervenuto a Anno Zero, ha sparato a zero sulla condotta della campagna elettorale da parte dell'ex sindaco di Roma.
Il quale è così miope da non scorgere il baratro che ha scavato con il proprio elettorato proponendo delle candidature veramente inconciliabili con la linea politica del partito: vedi quella dell'ex presidente di Federmeccanica Massimo Calearo. Sul punto, alle rimostranze di Giannini così risponde: “No, sulle candidature non abbiamo proprio nulla da rimproverarci. Finalmente competenze ed esperienze sociali, e abbiamo raddoppiato il numero delle donne e dei giovani".
E’ veramente disarmante!
Per lui la colpa di tutto è stata di Romano Prodi e del suo governo: non è un caso che alla vigilia delle elezioni questi gli abbia consegnato una lettera di dimissioni dalla presidenza del Partito Democratico.
Ma come, il Professore, dopo aver vagheggiato per anni la nascita della sua creatura politica, la abbandona all’improvviso nel momento più difficile?
Sembra Cesare colpito a tradimento che si rivolge incredulo al suo delfino dicendogli: anche tu Walter, figlio mio!
Possibile che Veltroni, per due anni il principale alleato del governo Prodi nell’opera di risanamento dei conti pubblici, abbia il coraggio ancora di affermare: "Io su Prodi continuo a distinguere. C'è un Prodi uomo di Stato, uno dei più grandi che la storia repubblicana abbia conosciuto. E c'è la vecchia maggioranza, che in questi due anni ha scontato, suo malgrado, una caduta oggettiva di consensi, dall'indulto alla prima Legge Finanziaria. Prodi, e noi con lui, abbiamo pagato una conflittualità permanente dentro una coalizione paralizzata dalla cultura dei no. Ecco perché i partiti della ex Unione hanno ottenuto risultati pessimi. Ma guarda caso, tutti tranne uno: il Pd. È questo, oggi, che mi fa dire che la nostra scelta di discontinuità è stata giusta, e che il nostro coraggio è stato premiato. Se domenica scorsa ci fossimo ripresentati agli elettori con l'assetto del 2006, oggi saremmo stati travolti da uno tsunami dal quale il centrosinistra non si sarebbe mai più ripreso" ?
Con questo livello di analisi politica non si va lontano: eppure era chiaro da tempo che Romano Prodi avesse sbattuto la porta del loft democratico abbandonando la campagna elettorale in aperta polemica con Veltroni.
Con questa sua ultima intervista, gli ultimi dubbi sono fugati: come dice Beppe Grillo, Walter Veltroni si è conquistato sul campo i titoli di possibile vicepresidente del Consiglio del governo Berlusconi!

mercoledì 16 aprile 2008

La vittoria del Cavaliere tra falsi presentimenti e titoli patetici

Alcuni quotidiani on-line di oggi, per informare i lettori sulla reazione dello sconfitto Veltroni circa la risoluzione presa da Berlusconi di eleggere sia il presidente della Camera che quello del Senato pescando nelle file del suo partito, ovvero senza lasciare nulla all’opposizione, riportano titoli così gridati:
“Veltroni attacca: brutto inizio sulle camere” o “Veltroni attacca: brutto inizio”.
Che pena… come si faccia a prendere sul serio titoli di questo genere è veramente surreale!
Ma come? Dopo mesi in cui la strana coppia ha fatto la stessa campagna elettorale, adesso il leader PD, dopo aver resuscitato Berlusconi, ci vorrebbe far credere, con il beneplacito della stampa di regime, che il Partito Democratico farà un’opposizione dura e puntigliosa…
Ma non avete visto lunedì sera come gongolava Fassino nel salotto di Vespa dall’alto del suo 33%, incurante del fatto gravissimo di aver consegnato (e chissà per quanti anni!) l’Italia su di un piatto d’argento al Cavaliere?
Certo, faceva bene a tradire un po’ di emozione: in fondo il tandem Berlusconi-Veltroni aveva raggiunto il suo primario obiettivo, cioè quello di buttare fuori dal Parlamento la Sinistra italiana.
Come ha detto magnificamente il bravissimo Maurizio Crozza ieri sera a Ballarò, quello che non è riuscito a Licio Gelli e alla Cia in cinquant'anni è riuscito a Veltroni in soli sei mesi.
Sappiamo bene dov’è andata a finire la tanto strombazzata rimonta che Eugenio Scalfari preannunciava, non più tardi di due settimane fa, scrivendo nel domenicale del 30 marzo: “Ho un presentimento: il centrosinistra vincerà sia alla Camera sia al Senato.”
D’accordo, va sicuramente rispettata la strategia politica veltroniana, cioè di segare il ramo in cui per decenni è rimasto aggrappato, anche se dal nostro punto di vista, la sua scelta non può essere in alcun modo condivisibile.
Ma per favore, risparmiateci i toni e i titoli da operetta: non siate patetici!

mercoledì 9 aprile 2008

La vittoria dei due perdenti

Gli ultimi lampi di questa moscia campagna elettorale sono quasi esclusivamente degli insulti.
Come a giustificare una battaglia politica che non affonda più i colpi su una effettiva diversità ideologica o su proposte sociali alternative ma semplicemente sulla più o meno affidabilità dell’avversario, Berlusconi e Veltroni se le suonano verbalmente di santa ragione.
Non preoccupatevi: nessuno dei due si fa veramente male, è il solito wrestling dialettico per attirare l’attenzione dell’elettore annoiato che non ne può più di sentir parlare a vanvera quelli che tra una quindicina di giorni, a Camere insediate, potrebbero varcare in solitudine il portone di Palazzo Chigi.
Ma il pensare di ravvivare in questo modo la campagna elettorale alle ultime battute è l’ennesimo errore di valutazione commesso dai duellanti.
Ecco i momenti salienti di questo improvviso cambio di marcia: prima, la questione delle schede elettorali, cavalcata per cercare di ottenere di soppiatto una maggiore visibilità del proprio simbolo rispetto agli altri; poi, la lettera inviata da Veltroni a Berlusconi per richiamarlo ad una lealtà costituzionale che, per la verità, entrambi hanno smarrito da tempo.
Sì, perché non si capisce come Veltroni possa accusare l’avversario di scarso senso istituzionale quando pervicacemente ha provato nei mesi scorsi a fare proprio con lui, fuori del Parlamento, la riforma elettorale, incurante di mandare anzitempo a casa il governo di Romano Prodi.
E’ davvero sconcertante come la strategia elettorale messa in piedi nel loft democratico sia così ondivaga e incoerente: Berlusconi un giorno lo si legittima come interlocutore affidabile e leale, il giorno dopo lo si accusa di non avere senso dello Stato.
E, nei fatti, lo si è rimesso in gioco dopo la sua inutile spallata al governo del novembre scorso.
Persino il moderatissimo Massimo Franco nella sua nota di oggi sul Corriere della Sera sbotta contro questo modo assurdo di condurre la campagna elettorale, arrivando a dire:
"Insomma, gli ultimi fuochi elettorali rischiano di produrre densi fumi tossici. Dopo settimane di propaganda noiosa, gli schieramenti cercano di ravvivare l'interesse radicalizzando l'offensiva contro gli avversari: il contrario di quanto si erano ripromessi di fare.
E, quel che è peggio, finiscono per riproporre i temi più triti del passato. Così, il Cavaliere ritorna ad attaccare una parte della magistratura. Propone addirittura per i pubblici ministeri un test periodico di sanità mentale. Può darsi che siano tensioni inevitabili. Ma la sensazione è che ad accentuarle sia l'assenza di proposte vere ed alternative per strappare l'Italia alla condanna di una crescita vicina allo zero; e forse l'esigenza di allontanare qualunque sospetto di uno scontro che prepara un'intesa postelettorale."
Che il Berlusconi politico compia continuamente passi falsi non è una sorpresa: in fondo è in campo per difendere, neppure tanto velatamente, i suoi formidabili interessi imprenditoriali. Così, ci ha abituato da tempo a una gaffe dietro l’altra con successiva, puntuale smentita.
E’ il grande comunicatore che non sa comunicare, accusando i mass media di fraintenderlo, nonostante possa disporre liberamente, grazie all’ignavia di Fassino & c., di un volume di fuoco mediatico enorme.
Che Veltroni abbia una strategia politica così fragile e contraddittoria è invece la vera novità di questa campagna elettorale: la sensazione che la vittoria alle primarie dell’ottobre scorso gli abbia dato alla testa trova purtroppo conferma nella serie interminabile di errori commessi negli ultimi mesi.
La smania di dimostrarsi più bravo di D’Alema gli ha provocato un riflesso bulimico che non lo fa più ragionare freddamente: per saccheggiare il campo avverso, finisce per dimenticare il proprio tradizionale bacino di voti, assumendo posizioni politicamente ambigue; ovvero, sostiene tutto ma anche il contrario di tutto.
Questo appena abbozzato è il ritratto di due perdenti che si contendono, paradossalmente, la vittoria elettorale; la quale, nonostante il loro ottimismo di circostanza, sarà quasi certamente incompiuta tanto da risucchiarci inesorabilmente nel buco nero del grande accordo PD - PDL.
Verrebbe da dire che al peggio non c’è mai fine.
Insomma, dopo il naufragio di Prodi, si rischia adesso il diluvio.