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giovedì 25 ottobre 2012

Il boom di Napolitano & Monti: debito pubblico al 126,1%!

I giornali praticamente rimuovono la notizia ma i dati certificati da Eurostat sono impietosi: la cura Monti, con il beneplacito di Napolitano, ha portato il rapporto Debito pubblico/Prodotto interno lordo in Italia alla quota straordinaria del 126,1%, come risulta nel rapporto pubblicato ieri. 
La sciagurata serie di ripetute manovre lacrime e sangue, s'intende per lavoratori e pensionati, che il governo dei bocconiani testardamente insiste a proseguire, ha portato paradossalmente l'Italia sull'orlo della catastrofe economica e finanziaria.
L'ultima perla, il disegno di legge di Stabilità (la Finanziaria di una volta!) è così demenzialmente iniquo, spostando il carico fiscale dall'imposizione diretta a quella indiretta proprio nel corso di una recessione pesantissima, con l'effetto inevitabile di danneggiare ancora una volta le fasce più deboli della popolazione, che viene da pensare che questi tecnici oltre che seguire pedissequamente i diktat tedeschi abbiano inforcato i paraocchi ideologici del liberismo più becero e, con la scusa della crisi, vogliano portare a compimento, per conto dell'élite tenocratica, una loro personalissima lotta di classe.
Del resto, la tanto decantata fiducia che Mario Monti avrebbe fatto riconquistare all'Italia sulla scena europea, grazie alla sua 'serietà' e a quel suo personalissimo aplomb cibernetico significa nella sostanza adottare brutalmente le ricette economiche dei tedeschi e dei paesi nordici che impongono ai paesi mediterranei enormi quanto inutili sacrifici. E' stato lo stesso premier ad ammetterlo: «Per evitare la catastrofe, abbiamo dovuto compiere un’operazione brutale».
La sua grande reponsabilità però è stata di rivolgere tanta brutalità non a 360 gradi ma di puntare ad alzo zero soltanto sui ceti popolari.
Inoltre, da un leader di statura europea ci si sarebbe aspettati una maggiore capacità di interdizione nei confronti dell'egoismo miope e veteronazionalista dei paesi del Nord Europa e soprattutto una maggiore capacità di proposta.
Di più, di fare fronte comune con gli altri paesi mediterranei, che continuano a pagare il conto più alto per gli errori madornali commessi da Angela Merkel, ossessionata da antiche paure inflazionistiche e divenuta sacerdotessa del sacro rigore economico quasi lo considerasse una moderna forma di penitenza da imporre agli incorreggibili e gaudenti popoli latini. 
Invece, niente di tutto questo: la cessione di sovranità nazionale che in questi mesi si è andata consumando ai danni dell'Italia, a partire dall'approvazione del Fiscal Compact e dell'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, dimostra inequivocabilmente che la serietà montiana in campo europeo si traduce inevitabilmente nella supina sottomissione italiana agli interessi dei paesi forti dell'UE.
L'illusione del governo di Monti, Fornero e Passera (a proposito, l'immobilismo del Ministro dello Sviluppo Economico è là a certificare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la totale inadeguatezza dei tecnici al compito che Napolitano gli aveva affidato) sta quindi desolatamente svanendo, lasciandoci nell'emergenza ma ormai pure tra le macerie!
Ha ragione Beppe Grillo quando sferza i siciliani alla vigilia delle Regionali: meglio un sogno perduto che un suicidio assistito!

sabato 13 ottobre 2012

Per la scuola, il governo Monti decide la soluzione finale

Quand'anche ci fossero in circolazione ancora degli inguaribili ottimisti che continuassero a  nutrire piena fiducia nel premier Monti negando la natura classista, illiberale e antidemocratica del suo governo,  il varo da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge di stabilità che lunedì prossimo verrà presentato alla Camera per l'avvio dell'iter di approvazione dovrebbe avere finalmente scosso le loro granitiche certezze.
Infatti, molte delle misure in esso previste sono autentica macelleria sociale, di quella a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, benché il ministro Fabrizio Barca, giovedì sera nel salotto televisivo di Piazza Pulita, si sia affrettato a negarlo in termini perentori, ribadendo in più occasioni che si tratta di un semplice intervento di manutenzione di bilancio, non di una manovra finanziaria, dunque a saldo zero.
Purtroppo per lui, sono proprio le misure in questione che lo smentiscono; ne elenchiamo le principali:
  • l'aumento dell'IVA di un punto percentuale per le aliquote del 10 e del 21% (quest'ultima già aumentata dal settembre 2011) che passano quindi rispettivamente all'11 e al 22% dal 1° luglio 2013;
  • dal 1°/1/2013 il passaggio dell'aliquota IVA dal 4% al 10% per le prestazioni di assistenza ad anziani, disabili, tossicodipendenti, malati di Aids, handicappati e minori in condizioni di disagio e disadattamento (da luglio ulteriore ritocco all'11%);
  • l'abolizione della clausola di salvaguardia sul trattamento fiscale del TFR, con automatico sensibile incremento del prelievo fiscale sulle liquidazioni dei lavoratori dipendenti;
  • la stabilizzazione  delle accise (nel senso di renderle definitive) sui carburanti, che nel corso degli anni erano state inasprite "in via temporanea"; 
  • la riduzione delle detrazioni fiscali in forma addirittura retroattiva (cioè già per l'anno 2012, con effetti già a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi) in palese violazione dei princìpi dello Statuto del contribuente;
  • l'inasprimento delle misure fiscali per le imprese e per i contribuenti che possiedono redditi agrari o dominicali;
  • la riduzione di un punto dell'aliquota IRPEF sui primi due scaglioni di reddito (attuali 23 e 27%) che tuttavia vanno a beneficio dell'intera platea dei contribuenti (ad esempio, anche di coloro che guadagnano oltre 1 milione di euro all'anno), ad eccezione dei cosiddetti incapienti (cioè di coloro che sono così poveri, reddito annuo non superiore agli 8.000 euro, che già adesso usufruiscono della esenzione in quanto rientranti nella cosiddetta no tax area).
Il coprifuoco decretato poi con l'operazione cieli bui (sic!) con cui si si rinvia ad un successivo decreto la fissazione di "standard tecnici delle  fonti di illuminazione e misure di moderazione del loro utilizzo..."   è un'oliva fradicia nell'ennesimo calice amaro che l'esecutivo bocconiano ha preparato agli Italiani. Inutile dire che cosa possa significare per la sicurezza e l'ordine pubblico delle periferie degradate delle nostre città il loro generalizzato oscuramento per legge.
Eppure l'impareggiabile ministro Barca è riuscito di nuovo a sorprendere sostenendo, in modo serioso, che così finalmente noi tutti potremo apprezzare la bellezza del cielo stellato.

Ma c'è un'ultima,  più potente, polpetta avvelenata fattaci servire dai tecnici: 1 miliardo di euro di ulteriori tagli nella sanità, l'ultima puntata della sfortunata serie intitolata: Chi si ammala è perduto!  
E la nuova violenta sforbiciata sul bilancio della scuola.
Non sono bastati gli otto miliardi già tagliati con la legge 133/2008, la famigerata legge Gelmini, che ha ridotto l'istruzione pubblica alla fatiscenza, con tagli operati indiscriminatamente sugli indirizzi di studio e sui quadri orario e la forte riduzione per gli studenti del tempo-scuola e delle attività di laboratorio in aggiunta al depennamento-accorpamento di molteplici discipline di studio.
Neppure sono bastati vent'anni di tagli (è dalla Finanziaria da 100 miliardi di lire del 1992 di Giuliano Amato che si sta raschiando il fondo), i continui e snervanti interventi legislativi, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la cancellazione della indennità di vacanza contrattuale.
Adesso si impone agli insegnanti addirittura un incremento del 33% del tempo di lavoro a parità di retribuzione, da sempre tra le più misere d'Europa.
Il tutto allo scopo di mandare a casa, senza neanche avere il coraggio di dirglielo in faccia, almeno trentamila di loro mentre si mette in piedi l'ennesima messinscena di un maxiconcorso, ennesimo coniglio tirato fuori dal cilindro dopo le recentissime figuracce del concorso per dirigenti scolastici e di quello per l'accesso al tirocinio formativo, con le famigerate prove preselettive letteralmente disseminate di errori.
Per fortuna che si tratta del governo dei professori!
Ma questo ultimo assalto al bilancio della pubblica istruzione da parte del ministro Francesco Profumo è qualcosa di più: è un'autentica provocazione, un insulto ad una categoria di lavoratori che costituisce, se non altro per livello di studi, titoli professionali e vocazione educativa, un'infrastruttura strategica per il Paese: in una parola, il suo sistema operativo
Si preannuncia così un'ecatombe programmata di giovani talenti a cui si prospetta o un futuro di precarietà o l'esilio all'estero: altro che riconoscimento del merito o il tentativo di bloccare la fuga dei cervelli!

D'altronde, la soluzione finale concepita per la scuola, con il suo progressivo e accelerato decadimento, fa parte di un più ampio disegno  strategico del governo dei banchieri teso ad annientare la classe media  in quanto espressione dell'ossatura economica, del dinamismo, dell'intelligenza del Paese.
Dunque, da mettere a tacere perché ostacola l'attuazione su larga scala delle ricette tecnocratiche e ultraliberiste del governo Monti, di matrice atlantica, e ne denuncia da tempo l'estraneità, non semplicemente l'insofferenza, alle regole della democrazia.
E' un caso che uno dei principali sponsor di un paventato governo Monti bis è proprio l'attuale ad della Fiat Sergio Marchionne? Queste le sue parole di ieri : "Spero che Monti stia in carica per sempre." 
A proposito, in tempi di Primarie, l'inutilmente indaffarato PD si riserva semplicemente il diritto di criticare il governo Monti, come ripete pavidamente Bersani, o decide finalmente di staccargli la spina?
Su questo dilemma si gioca la sua residua credibilità, in vista delle elezioni di primavera.

mercoledì 12 settembre 2012

Professori allo sbaraglio: le "perle" di Monti e Passera

Con tutti gli indicatori economici in picchiata, il governo Monti sta penosamente annaspando e ormai si affida al governatore della BCE, Mario Draghi, per restare a galla.
Dopo dieci mesi di totale latitanza sul fronte dell'economia reale, senza uno straccio di politica industriale e di idea per il futuro del paese che non sia l'ormai logoro riflesso ideologico del liberismo più oltranzista come si sono rivelati essere la riforma delle pensioni e l'abolizione de facto dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il professorone della Bocconi affida alla politica monetaria di Draghi la difesa di un esecutivo allo sbando.
La linea del Piave è diventata la seguente: per SuperMario senza la sua politica lacrime e sangue, l'Italia oggi sarebbe stata considerata dai partners europei poco seria e ciò non avrebbe consentito a Mario Draghi di imporre al board della BCE quasi all'unanimità (col solo voto contrario del membro tedesco) l'impegno ad una politica monetaria più espansiva in soccorso di quei paesi, come l'Italia e la Spagna, che pur in gravi difficoltà, stanno facendo i famigerati compiti a casa, benché a costo di enormi sacrifici.
In questo modo Monti cerca di sottrarsi alla marcatura ormai asfissiante di quanti, su vari fronti, gli contestano l'assoluta inconsistenza dei risultati raggiunti che, rispetto alla data del suo insediamento nel novembre scorso, sono tutti in netto peggioramento.
Il meno 2,6% del PIL comunicato due giorni fa dall'Istat  è un dato così drammatico (per giunta arrivato al quinto anno di crisi economico-finanziaria!), da racchiudere in sè tutti gli altri dati negativi:  rapporto debito/pil, inflazione, disoccupazione, deficit pubblico, ecc.
Non potendo quindi che presentare un carniere vuoto, Monti cerca di brillare di luce riflessa, ammonendoci: senza di me, Draghi non avrebbe potuto convincere i tedeschi ad allentare i cordoni della borsa.
Come in effetti, se andiamo a vedere, neppure il più brillante Mario Draghi è riuscito a fare.
La politica di sostegno, per quantità illimitate, dei titoli di stato da uno a tre anni sul mercato secondario (e non, come sarebbe stato più efficace, su quello delle nuove emissioni) dei paesi europei in difficoltà, è infatti condizionata al proseguimento di una politica fiscale di estremo rigore cioè diligentemente restrittiva.
Come le due cose si possano combinare in modo felice, permettendo all'Italia di venir fuori dalle sabbie mobili della profonda recessione in cui è precipitata, resta un mistero.
Tant'è che la forte caduta dello spread BTP-Bund tedeschi ad un livello che resta comunque molto elevato nel medio periodo (oggi, dopo l'atteso e importante pronunciamento favorevole della Corte costituzionale tedesca sul Fondo salvastati ESM, è inchiodato sopra la pericolosa quota 340), non esclude la possibilità che il governo italiano debba comunque chiedere entro fine anno aiuto alla troika BCE - Fondo Monetario Internazionale - Commissione Europea, concordando nuove condizioni capestro ed ulteriori pesanti misure di finanza pubblica. Per il Financial Times, non ha scampo.
L'altro giorno, Mr. Monti ha avuto finalmente la schiettezza di ammettere che la sua politica economica ha aggravato la recessione ma in vista di "un risanamento a lungo termine. Quando a questo governo è stato chiesto di trattare un caso non semplice, ci siamo posti il tema se comportarci con una visione di lungo periodo o se cercare di fare un surfing sulle onde della tempesta finanziaria. Penso che le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione congiunturale, è ovvio. Ma è solo così che si può avere qualche speranza un pochino più in là di vedere risanata in maniera durevole la situazione".
Come sia possibile realizzare il risanamento a lungo termine provocando subito una durissima recessione è cosa che neppure spulciando imponenti trattati di economia è facile capire, essendo palesemente contraddittoria. 
Non a caso nessun economista si è cimentato nell'impresa impossibile e meno che mai ha cercato di addentrarsi nel Monti pensiero.
La cosa deve essere suonata così male nelle redazioni dei giornali che i quotidiani tradizionalmente fiancheggiatori del premier, Corriere e Repubblica, hanno bucato la notizia, preferendo trattare dell'incontro tra governo e sindacati.
Durante il quale Corrado Passera, Superministro economico, ha dichiarato che l'incremento dei salari è possibile a condizione che ci sia un aumento di produttività.
Ma come? I consumi interni sono fermi, le aziende non producono più perché hanno i magazzini pieni (classica crisi da mancanza di domanda) e qual è la ricetta avanzata dal ministro dello Sviluppo economico? Aumentare la produttività!
Cioè, a parità di stock di capitale e di livello di produzione (insensato sarebbe aumentarla di questi tempi!), ridurre la forza lavoro, aumentando così la disoccupazione.
Splendido!
Per seppellire la castroneria di Monti, i media hanno finito, senza accorgersene, per sottolineare una dichiarazione ancora più stravagante del suo emerito collega.
Li vogliamo definire professori allo sbaraglio?

lunedì 23 luglio 2012

9 mesi dopo, lo spread è a 530: la cura Monti è stata letale


E' brutto doverne parlare proprio adesso che la grande malata Italia sta agonizzando.
Ma per carità di patria, qualcuno che siede a Palazzo Chigi da circa 9 mesi dovrebbe ammettere pubblicamente che ha completamente sbagliato la terapia.
E insieme a lui gli ineffabili ministri, i cosiddetti tecnici, che hanno condiviso le scelte nefaste fatte da Mario Monti, bocconiano di ferro ma economista di latta.
Se è vero come è vero che tutte le manovre lacrime e sangue di questi mesi hanno avuto il solo effetto di accelerare ancora di più la crisi ed avvicinarci a folle velocità alla bancarotta. 
Senza voler rinfacciare al grande economista del nostro Stivale l'aver spremuto come limoni i lavoratori e i pensionati italiani, la qualcosa sarebbe troppo penosa e lunga, basta prendere a simbolo di questo fallimento la lunga battaglia contro l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori portata avanti in tandem con la simpatica  professoressa Elsa Fornero.
Secondo questi cervelloni, sembrava che introdurre il licenziamento facile, magari proprio quello per rappresaglia da padrone del vapore, avrebbe reso d'improvviso l'economia italiana un paradiso.
Ci avevavo fatto capire che si sarebbe spalancata per noi tutti una nuova Età dell'Oro.
Non solo!
Se poi Monti avesse fatto approvare  la controriforma del mercato del lavoro prima del vertice di Bruxelles di fine giugno, per l'Italia sarebbe stata l'apoteosi. Vi ricordate i titoli a caratteri cubitali su SuperMario?
Oggi, da Mosca, che cosa ci fa sapere il nostro condottiero?
"La situazione è difficile, bisogna puntare sull'economia reale".
Eppure l'economia reale il nostro primo ministro l'ha proprio martoriata in questi mesi per puntare, come un qualsiasi ragioniere, ossessivamente al pareggio dei conti.
E i tre cavalieri dell'Apocalisse, Alfano - Bersani - Casini, che cosa hanno da dire a questo punto, oltre a scagliarsi contro i pm palermitani che indagano sulla trattativa Stato - mafia?
Visto che condividono con Re Giorgio la responsabilità di aver voluto il bocconiano a Palazzo Chigi!

venerdì 13 luglio 2012

Mario Monti è al capolinea ma Alfano-Bersani-Casini fanno finta di niente

Con lo spread ormai da giorni stabile sopra i 460 punti, una recessione durissima (si stima un -3% per il Pil  2012) e l'ennesimo declassamento comunicato dalle agenzie di rating (oggi è stata la volta di Moody's che valuta i titoli italiani due gradini sopra la spazzatura), il governo di Mario Monti è tecnicamente in default.
Le sue ricette ultraliberiste, la sua politica fiscale miope e ideologicamente antipopolare, l'aggressione portata avanti allo stato sociale senza salvare neppure i settori di spesa più qualificanti per garantire una prospettiva di crescita (come beni culturali, scuola, ricerca, sanità, giustizia), la mancanza di una illuminata politica industriale a favore della green economy, dell'innovazione tecnologica e per sanare il digital divide con gli altri paesi europei e, al contrario l'insistenza ossessiva su antiquati modelli di sviluppo economico basati sul binomio cemento-ferro delle inutili grandi opere pubbliche (è dovuto intervenire l'altro giorno il neo governatore di Bankitalia Ignazio Visco per ricordare a Monti che piuttosto sarebbe quanto mai necessario una politica di manutenzione e cura del territorio, fatta di piccoli preziosi interventi disseminati per tutta la penisola), hanno portato in soli nove mesi a questo esito drammatico.
Paradossalmente, questa politica economica suicida si poteva pure tollerare se, almeno, grazie alle sue entrature in Europa e nel mondo della finanza internazionale, la figura di Mario Monti avesse potuto almeno calmierare in qualche modo i mercati, riportando a più miti consigli non solo Angela Merkel ma le agenzie di rating.
Nemesi storica: proprio colui che era stato proiettato come salvatore della patria e dell'euro a Palazzo Chigi nel novembre scorso, più che per meriti propri  per disgrazie e colpe altrui (governo Berlusconi) sotto l'incalzare dei mercati in piena bufera, oggi che vola in America a rassicurarli, viene accolto ruvidamente da quegli stessi ambienti che solo pochi mesi fa lo incensavano.
Peggio, punito con un doppio gelido downgrade.
In fondo, a pensarci bene, per una volta il preside della Bocconi aveva colto nel segno quando qualche settimana fa si era lasciato sfuggire che i cosiddetti poteri forti avevano voltato le spalle al suo esecutivo.
Intanto, quello che resta dei cavalieri dell'Apocalisse, il trio Alfano-Bersani-Casini (con Bossi ormai messosi fuori gioco da solo), veri responsabili di questo tracollo finanziario-economico-politico-morale dell'Italia, che si erano affidati alle cure di Mario Monti per la loro stessa sopravvivenza politica, assistono impietriti a questa lenta e dolorosa agonia senza essere neppure in grado di abbozzare una qualche risposta alternativa, senza sapere veramente dove sbattere la testa: l'ennesima plateale conferma di incompetenza, cinismo, che segue al poco invidiabile primato di campioni di parassitismo.
Purtroppo viviamo un'estate difficilissima (peggio di quella del 2011) a cui, verosimilmente, seguirà un prolungato autunno-inverno,  con gli effetti devastanti della crisi economica che si riverberanno anche sul fronte politico istituzionale.
E che si protrarranno almeno fino alle prossime elezioni politiche, fissate per la primavera 2013.
Ma il Paese è in grado di resistere così a lungo?
E' da settimane che ce lo domandiamo mentre l'ineffabile Bersani alias Schettino, assieme ai suoi due bravi compagni di sventura, fissando la nave che incamera acqua, ripete inebetito: "Con Monti fino al 2013".

domenica 8 luglio 2012

Ancora e solo macelleria sociale dietro la spending review

La "spending review" di Mario Monti mostra tutta l'inadeguatezza del governo dei tecnocrati a gestire un passaggio così delicato per l'economia italiana.
Il decreto legge emanato a notte fonda dal consiglio dei ministri è molto al di sotto delle attese quanto a qualità dell'intervento: tra bisturi e mannaia, decisamente i tecnici hanno rinunciato al camice del chirurgo per quello più insanguinato del macellaio.
E' chiaro che ci si attendeva una sforbiciata dal lato della spesa ma, da una compagine tecnica con il rincalzo di gente come Giuliano Amato, l'economista Francesco Giavazzi e il commissario liquidatore Enrico Bondi, ci si sarebbe aspettati un lavoro se non altro fatto a regola d'arte.
E invece il quadro che ne emerge è quanto mai confuso e incoerente, con un affastellamento di provvedimenti che mirano, senza tanti giri di parole, a tagliare ancora una volta la spesa sociale in tre settori cruciali (sanità, giustizia e pubblica amministrazione), rinunciando in partenza a qualsiasi tentativo di riorganizzazione degli stessi, vero banco di prova per misurare le qualità manageriali dei professori.
Clamoroso è lo svarione nella sanità dove invece di procedere ad un recupero di efficienza nella gestione delle aziende sanitarie si opta per tagli lineari indiscriminati che penalizzano nella stessa misura sia le regioni più virtuose che quelle colpevolmente in grossa difficoltà finanziaria, con l'unico risultato di ridurre complessivamente 18'000 posti letto, ennesimo taglio ai livelli di prestazione ed assistenza ai cittadini.
Surreale il commento che ne ha fatto l'ex ministro Mario Baldassarri del Fli, ora presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, dai microfoni di RaiNews 24: per lui i piccoli ospedali vanno tutti chiusi, salvando solo i pronto soccorso; tutto il resto trasformato in posti letto residenziali per anziani.
Se questo è il modo di approcciare il problema della sanità, vero ineludibile nodo del contratto sociale, siamo a cavallo...
Ma quello che denota la matrice rigorosamente di destra di questo taglio della spesa è:
- non aver rinunciato, contro ogni buon senso, all'acquisto degli aerei militari da attacco F35 da 12 miliardi di euro che, particolare non trascurabile di questi tempi, comportano per giunta il drenaggio di immani risorse verso l'estero, inguaiando ancora di più la nostra già asfittica economia nazionale: una decisione contro gli Italiani ma anche contro l'Italia;
- non aver voluto neppure prendere in considerazione  il taglio delle pensioni d'oro (per intenderci quelle sopra i 5'000-6'000 euro netti mensili) che produrrebbe, secondo alcune stime, risparmi immediati per 2,5 miliardi per quelle pubbliche e circa 15 miliardi per quelle private.
E' una manovra, l'ennesima firmata da Mario Monti, così odiosamente di classe che pure il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, non l'ultimo dei bolscevichi, l'ha definita crudamente "macelleria sociale" .
Ed ha costretto il premier Monti ad una brusca reazione, perdendo di colpo tutta la sua decantata sobrietà, accusandolo oggi con queste parole di tenere lo spread alto (venerdì ha chiuso a 460 punti): "Dichiarazioni di questo tipo, come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito ma anche delle imprese, e quindi invito a non fare danno alle imprese".
Eh no, caro Monti, non  puoi addossare agli altri la responsabilità di una politica fallimentare perché gravemente recessiva (le previsioni danno al termine del 2012  per l'Italia un gravissimo ed isolato  -2% del Pil) e smaccatamente antipopolare.
Né puoi farti scudo dello spread che non scende per non pagare dazio di otto interminabili mesi durante i quali hai contribuito sistematicamente all'odierno disastro: se lo spread resta così alto è proprio a causa delle tue politiche di grande banchiere ma pessimo economista.
Eccone le tre principali ragioni:
1. i risultati estremamente deludenti raccolti in Europa nell'ultimo week end di giugno (al di là delle sparate dei due principali quotidiani nazionali che osannavano SuperMario, sfruttando in modo meschino il successo mediatico del bravo azzurro Mario Balotelli): il tuo scudo anti spread resta solo sulla carta e di buone intenzioni è lastricata la strada verso l'inferno;
2. una politica economica antiquata, prekeynesiana, che sta facendo letteralmente collassare l'economia nazionale;
3. una grave instabilità nella maggioranza politica che ormai sta facendo cuocere l'esecutivo a fuoco lento, con il Partito Democratico e il suo segretario Pierluigi Bersani che restano a sostenere inopinatamente il governo tecnico senza rendersi conto di stare così segando il ramo in cui sono appollaiati, con un elettorato ormai in libera uscita.
Anche il modo in cui il Pd ha bocciato la mozione di sfiducia al ministro Elsa Fornero è demenziale: basta sentire le parole disarmanti usate da Bersani in due dichiarazioni distinte a Sky TG24 per capire che l'unico servizio che politici simili possono ancora rendere al Paese è andarsene a casa il prima possibile.
Del resto Monti lo ha fatto intendere proprio nella dichiarazione di oggi che una delle ragioni dello spread alle stelle è di essere alla vigilia di una campagna elettorale che durerà un intero anno: "per quanto riguarda l'Italia c'è anche l'incertezza su quello che succederà nella politica italiana dopo le elezioni del 2013".
A questo punto, rinnoviamo la domanda già fatta inutilmente nelle scorse settimane:



mercoledì 27 giugno 2012

Il governo Monti e la vittoria di Pirlo

Mentre cresce, insieme allo spread,  l'attesa per l'incontro-scontro di domani tra Italia e Germania che si gioca, per uno strano scherzo del destino, contemporaneamente sia a Varsavia, dove è in programma la partita di calcio tra le due nazionali, che a Bruxelles dove si svolge il Consiglio europeo, le cronache parlamentari preannunciano l'approvazione entro stasera della riforma del mercato del lavoro griffata EF (Elsa Fornero).
Intanto è già archiviata la bocciatura dell'emendamento presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto che intendeva fissare un tetto limite di 6'000 euro netti mensili per le pensioni calcolate con il metodo retributivo (10'000 euro in caso di cumulo).
Una cifra più che generosa a cui generali, docenti universitari, dirigenti pubblici e gli stessi tecnici del governo Monti sembra non abbiano intenzione di adeguarsi tanto facilmente; tant'è che il governo ha espresso parere contrario rinviando tutto alle calende greche, ad un fumoso e futuribile decreto sviluppo
Così Crosetto si è sentito rispondere dai banchi del governo: smuoviamo un campo troppo vasto. Rinviamo e il Governo si impegna a sostenerlo...
E' così passata la paura a gente come Fornero, lo stesso Monti, Catricalà, Cancellieri, che già adesso percepiscono vitalizi vicini e in molti casi superiori al fatidico tetto.
Come racconta Salvatore Cannavò su il Fatto Quotidiano, l'ammiraglio Gabriele Di Paola, attuale ministro della Difesa, percepisce 22'000 euro al mese, la ministra Cancellieri 7'000, Monti come docente universitario, poverino!, ne percepisce solo 5'400 anche se così vedrebbe avvicinarsi questa spada di Damocle.
Invece, tirano un vero e proprio sospiro di sollievo Giuliano Amato dall'alto dei suoi 21'000 euro netti, Lamberto Dini con 22'000 euro ed anche lo stesso Mario Draghi che si accontenta di poco più di 8'500 euro netti al mese.
Insomma 6'000 euro netti al mese fanno qualcosa come 110.000 euro di reddito lordo annuo, ma un ministro come Elsa Fornero già ora percepisce un vitalizio attorno ai 230.000 euro, il sottosegretario Catricalà, quello della proposta malandrina sulla composizione del Csm a maggioranza partitica, dichiarava nel 2010 un reddito lordo di 740'000 euro, il Ragioniere generale dello Stato emolumenti complessivi per 520.000 euro nel 2011.
Ma lor signori possono dormire sonni tranquilli: seppure in un domani assai lontano l'emendamento dovesse passare, di sicuro non avrebbe effetto retroattivo, come invece, guarda un po', è capitato sia ai pensionati che agli esodati della Fornero, quelli che da un momento all'altro si sono ritrovati in mezzo alla strada, ovvero senza stipendio e senza pensione.
E mentre nel tritacarne della spending review azionata dal tandem Pietro Giarda ed Enrico Bondi, precipitano persino i buoni pasto degli statali e forse addirittura le loro tredicesime, i diritti acquisiti degli alti dirigenti e dei tecnici non sono neppure in discussione.
Curioso paradosso: quando si tratta di tagliare sui costi della politica, sugli stipendi e le pensioni d'oro, i tecnici ti spiegano che non ne vale la pena perché sono in ballo risparmi minimi.
Ugualmente quando qualcuno si azzarda a proporre un'imposta che colpisca i grandi patrimoni: i tecnici, sempre loro, ti ammaestrano che il gettito fiscale sarebbe trascurabile.
Ma al tempo stesso, prendere di mira le mostruose pensioni della Casta per ricondurle ad una dimensione più umana, significa smuovere un campo troppo vasto.
Questi professoroni ne sanno proprio una più del diavolo! Quando le cifre li smentiscono, fingono di ignorarle.
Così gli esodati non diventeranno mai un campo troppo vasto.
L'Inps comunica che sono 390'000, Fornero ribatte che sono solo 65'000, gli altri si arrangino: che mangino brioches! Perché "il diritto al lavoro va guadagnato..."
Ma in fondo per i media queste sono sottigliezze.
Per loro, l'unica cosa che conta in queste ore è il cucchiaio di Andrea Pirlo: se poi domani sera vinciamo a pallone contro la Germania, magari proprio grazie ad un'altra sua prodezza, possiamo pure infischiarcene delle conclusioni del vertice europeo con Angela Merkel.
Niente Eurobond? Poco male: che ci licenzino tutti (l'importante è che non vengano toccati stipendi,  pensioni d'oro ma neppure le ferie della Casta, come ha rivendicato l'onorevole Cicchitto)!
Insomma, con l'alto patrocinio di Giorgio Napolitano, sembra che agli Italiani a questo punto interessi solo la vittoria di Pirlo.


domenica 6 maggio 2012

Il governo dei tecnici è alla frutta, i politici al dessert!

Che fine ingloriosa sta facendo il governo dei bocconiani, dei professori, dei tecnici!
Dopo la manovra classista del 5 dicembre scorso con cui ha fatto capire già al suo battesimo da che parte stava, togliendo di nuovo ai poveri per non far versare un centesimo in più ai ricchi, ha iniziato un 2012 a dir poco disastroso, varando provvedimenti di fasulle liberalizzazioni e semplificazioni,  strombazzate come in grado (chissà come!) di far crescere il Pil del 10%, manco fossimo la Cina!
Ma la realtà, anche se i media complici continuano a volerla dipingere diversamente, è veramente impietosa: la politica del banchiere Mr. Mario Monti è quanto di peggio si potesse immaginare nel novembre scorso per risollevarci.
Il perché è sotto gli occhi di tutti: ha un insopportabile impatto recessivo.
Dall'emergenza finanziaria ereditata dall'esecutivo di Silvio Berlusconi, i professoroni hanno così trascinato il Paese in una gravissima situazione economica, non riuscendo comunque ad abbassare in modo decisivo le tensioni sul mercato dei titoli di stato e del credito alle imprese.
Lo spread non crolla (venerdì ha chiuso a 385) ma il tessuto delle imprese italiane sì: complimenti!
Le obsolete ricette monetariste del trio Monti-Passera-Fornero falliscono ad una velocità impressionante mentre il disagio sociale  tocca vertici mai visti prima.
Di politica industriale e di politica a sostegno della domanda, neanche a parlarne.
Anzi, ci vogliono far credere che la crisi economica in corso sia una crisi dell'offerta mentre anche uno studente al primo anno di economia è in grado di riconoscerla come crisi di domanda: per cui gli stessi interventi ipotizzati sul mercato del lavoro non servono ad un emerito nulla, meno che mai nel breve periodo.
Nel lungo periodo (quando per Keynes siamo tutti morti...) i professoroni, che fanno evidentemente a pugni con la macroeconomia, avranno finito di smantellare il tessuto di piccole e medie aziende che da sempre rappresenta la spina dorsale del Pil italiano per fare del nostro paese un far west per le multinazionali.
In altre parole la seconda economia manifatturiera d'Europa sotto la loro guida rischia di scivolare a livello di quelle dei paesi in via di sviluppo.
Una autentica e colossale bestemmia!
Anche il famoso sondaggio on line con cui la Presidenza del Consiglio chiede agli Italiani di avanzare suggerimenti per la lotta agli sprechi nella spesa pubblica, per non parlare dell'incredibile nomina di una nuova terna di maxiesperti, Enrico Bondi, Giuliano Amato (proprio un outsider...!) e Francesco Giavazzi, dimostra ogni giorno di più il vuoto di idee, di cultura amministrativa, politica e industriale, proprio dei tanto osannati tecnici.
Qualche giorno fa è passato su Rai 5, il film documentario "In me non c'è che futuro" sulla vita di un grande intellettuale e manager italiano: Adriano Olivetti.
Al cospetto delle sue intuizioni, delle sue mille realizzazioni sul piano economico, sociale, industriale, urbanistico, architettonico, editoriale, delle profonde innovazioni che egli seppe apportare nel campo delle relazioni industriali, gente come Monti, Passera, Fornero, Marchionne spariscono, più piccoli dei lillipuziani.
Quindi  nessun salto di qualità rispetto al governo di nani e ballerine capitanato da Silvio Berlusconi.
Ma intanto, di fronte alla catastrofe incombente, cosa fa la politica?
Il tripartito PD-PDL-UDC sta a guardare indifferente, tanto che gli elettori hanno perso la speranza che la soluzione ai problemi italiani passi per questa classe di politici che, quando non dediti al vizio, sono specialisti nell'ignavia.
Ormai in qualunque occasione pubblica si presentano, vengono sistematicamente accolti da bordate di fischi: epica la figuraccia di Pierluigi Bersani il 1° maggio nella commemorazione della strage di Portella della Ginestra.
Ormai sono politici indoor, animali da talk show televisivo.
Ma sorte migliore non viene riservata ai suoi compagni di ventura Angiolino Alfano e Pierferdinando Casini; quest'ultimo ci tiene a precisare pubblicamente di andare a trovare regolarmente Totò Cuffaro in carcere, costringendo un esponente del PDL in commissione antimafia, Raffaele Lauro, a rivolgergli contro una dura reprimenda: «Casini, come persona e come cristiano, ha il diritto di rivendicare il suo dovere morale di visitare Cuffaro in carcere. Come leader politico, farebbe bene ad essere più attento e riservato, affinchè un dovere morale non diventi, di fatto, al di là delle buone intenzioni, e di fronte all'opinione pubblica, una sconfessione della strategia di guerra alla mafia ed un avallo ad acquiescenze, a collusioni e a connivenze di qualsiasi genere con la criminalità organizzata».
E Bersani che ad ogni piè sospinto attacca Beppe Grillo accusandolo di qualsiasi nefandezza non ha nulla da eccepire al degno alleato Casini.
La cosa che veramente lascia senza fiato è l'assoluta insipienza e la totale mancanza di una sia pur minima deontologia professionale di questi personaggi che pure paghiamo profumatamente a botte di 15.000 euro netti al mese, fringe benefits esclusi, non si sa per fare cosa.
Sentite che cosa riesce a dire l'onorevole Pierluigi Bersani di Beppe Grillo: "Basta con questi populismi che fan finta di partire da sinistra e poi come sempre nella Storia d'Italia ti spuntano a destra!"
E l'altrettanto onorevole suo compagno di partito, già segretario del PD, Dario Franceschini: ''Quando si vota si sceglie sempre la persona a cui affidare il destino della propria comunita' del proprio Paese. Io vorrei che qualcuno, tentato dal movimento 'Cinque stelle', provasse a immaginare Grillo al posto di Monti a guidare il Paese, ad andare al G20 a discutere con Hollande, con Obama o con la Merkel''.
Ma ci rendiamo conto, di fronte alla situazione d'emergenza in cui l'Italia versa per opera di una Casta di parassiti incompetenti (quella che ad esempio ci ha fatto entrare dieci anni fa nell'Euro ad occhi chiusi senza alcuna precauzione come quella di negoziare con i paesi economicamente più forti le regole equilibrate e condivise di una politica monetaria comune), quale pochezza intellettuale essi ostentano, che razza di argomentazioni d'accatto riescono a formulare contro le circostanziate denunce di Beppe Grillo e dei suoi ragazzi?
Di una cosa siamo certi: che la sempre troppo importunata massaia di Voghera  sarebbe in grado al loro posto di dire qualcosa di più sensato e di elevarsi almeno di una spanna dai discorsi terra terra, infarciti di luoghi comuni, di Franceschini e Bersani. Il quale non vede l'ora di appropriarsi questa sera della vittoria di François Hollande alle presidenziali francesi.
Ma ci vuole proprio una bella faccia tosta!  

domenica 25 marzo 2012

Vittime di licenziamenti facili? Niente paura, rivolgetevi al Quirinale: ci penserà papà Giorgio!

Italiani state calmi! Stop agli scioperi ed alle manifestazioni spontanee!
Vogliono abrogare di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introducendo la fattispecie capestro dei cosiddetti licenziamenti economici senza reintegro?
Non vi preoccupate, c'è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che veglia su di voi.
Infatti, venerdì scorso, il primo cittadino ha escluso che della manomissione del suddetto articolo possa scaturire una valanga di licenziamenti.
Questo presidente non finisce di stupirci.
Noi che lo conoscevamo così grigio e notarile da firmare senza battere ciglio le tante leggi ad personam sottopostegli continuamente dal governo di Silvio Berlusconi, negli ultimi mesi ha fatto sfoggio di inusuale intraprendenza, prima varando su due piedi un esecutivo a sua immagine e somiglianza, una sorta di gabinetto di guerra guidato dal bocconiano Mario Monti.
Poi costruendo un percorso di sicurezza dentro il quale  il professorone possa agire indisturbato mettendo mano alle sue riforme senza guardare in faccia a nessuno, meglio ancora se sono gli ultimi della classe.
E va bene che il governo tecnico ha dovuto innestare più volte la retromarcia quando si è imbattuto in notai, farmacisti, tassisti, banchieri.
Passi pure che la montagna della patrimoniale sulle rendite finanziarie ha partorito il topolino del misero bollo dell'1 per mille, pure con il tetto di 1'200 euro a doverosa tutela dei grandi patrimoni.
Ma quando si tratta di colpire lavoratori e pensionati con i licenziamenti facili e le pensioni divenute impossibili (per importo ed età di godimento), qui il presidente Giorgio Napolitano è irremovibile, pronto a scendere lui stesso in campo in soccorso del suo esecutivo.
Anche a costo di contraddire su fronti diversi ed in un colpo solo Susanna Camusso, leader della CGIL, e la Conferenza Episcopale. 
Così, tanto per ricordarci che è il presidente di tutti gli Italiani, ci rassicura dicendo che non crede che le modifiche all'articolo 18 causeranno grossi sconvolgimenti.
Il messaggio è chiaro: al primo licenziamento facile, rivolgiamoci senza esitazioni al Quirinale, dove ciascun Italiano troverà assistenza legale e, nelle more della definizione della vertenza giudiziaria, un piatto caldo ed un ottimo riparo.
E se poi il giudice decidesse, in ottemperanza alle nuove disposizioni, che il lavoratore licenziato debba ricevere soltanto un indennizzo, voi pensate che Papà Giorgio non si adopererà di persona, mettendoci almeno lo stesso zelo con cui appoggia le decisioni irrevocabili di Mario Monti e della Fornero, a farci trovare un altro posto di lavoro?
C'è qualche estremista in giro che davvero voglia mettere in dubbio le sue parole?

mercoledì 21 marzo 2012

La pastasciutta della Fornero è servita: arrivederci, articolo 18!

L'operazione dell'abrogazione di fatto dell'articolo 18 è l'obiettivo non dichiarato del governo di Mr. Monti sin dal suo insediamento, naturalmente insieme alla riforma delle pensioni che ha imposto ai lavoratori italiani le condizioni più severe d'Europa.
Dopo il flop di liberalizzazioni e semplificazioni  ampiamente prevedibile poiché serviva soltanto ad alzare una cortina fumogena sulla vera strategia dei tecnici di far pagare la crisi ai soliti noti, lavoratori e pensionati, ecco che il governo Monti sta tentando il colpaccio con una operazione tutta politica e di chiara intimidazione sociale.
La portata di una riforma del mercato del lavoro che sostituisce per il dipendente il reintegro nel posto di lavoro con un modesto indennizzo economico (che ammonterà soltanto dalle 15 alle 27 mensilità)  infatti avrà, come si è più volte detto, uno scarso impatto quanto a cifre in gioco (con oltre 7 milioni di occupati  in aziende private con personale sopra le15 unità, soltanto 300-500 vertenze si aprono all'anno invocando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori).
La posta in gioco è squisitamente politica e dagli effetti socialmente pesanti: in questo modo nessun lavoratore, pur con un contratto a tempo indeterminato, è più garantito di poter restare anche un solo giorno in più sul proprio posto di lavoro.
Basterà che egli faccia uno sciopero di troppo o che, come rappresentante sindacale o responsabile della sicurezza, pretenda il rispetto delle norme previste dai contratti o dal Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e il suo destino sarà segnato: con un semplice inesistente addebito disciplinare sarà possibile cacciarlo via senza tanti complimenti.
Perché secondo quei geni del governo tecnico, l'imprenditore che voglia licenziare qualcuno lo potrà fare senza nessuna difficoltà, basta che abbia la semplice accortezza di non esplicitare il suo retropensiero, cioè i motivi discriminatori alla base del suo provvedimento.
Ad esempio, come titolare di un'impresa di 20 dipendenti potrei puntare a candidarmi alle prossime elezioni amministrative, chiedendo paternalisticamente il voto ai miei dipendenti e alle loro famiglie.
Se qualcuno si rifiutasse di farlo o, peggio, a spoglio avvenuto, mi rendessi conto che molti di loro non mi hanno dato retta, potrei, diciamo così, vendicarmi, procedere al licenziamento individuale delle sospette teste calde, contestando inesistenti addebiti disciplinari.
E anche se il giudice dovesse dar loro ragione me la caverei con un risarcimento minimo ma la soddisfazione, in tempi duri come questi, di averli trascinati, con tutta la famiglia, in mezzo ad una strada.
Una mostruosità giuridica che in un colpo solo fa strame di buona parte del diritto del lavoro e della nostra stessa Costituzione.
E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche in questa occasione interpretando in modo completamente improprio il suo ruolo di arbitro, è intervenuto a gamba tesa mentre era ancora in corso il confronto del governo con le parti sociali dichiarando che le misure finora prese "sono dure ma ineludibili" imponendo di fatto a CGIL e Partito Democratico di inghiottire il rospo dei licenziamenti facili.
Ci si chiede se sia costituzionalmente corretto, dopo aver messo già in piedi un esecutivo che risponde soltanto a lui, che il primo cittadino della repubblica possa scendere nella battaglia politica in modo tanto pervasivo: errare è umano ma perseverare...
Infine la Fornero, pardon il ministro Fornero, quello delle lacrime di coccodrillo versate appena dopo aver annunciato a milioni di pensionati indigenti il mancato adeguamento all'inflazione dei loro miseri vitalizi, ha mostrato in queste settimane tutto il suo disprezzo per i lavoratori italiani con una serie di uscite astiose  che ne denunciano i limiti culturali e l'inadeguatezza caratteriale.
Oggettivamente un ministro del lavoro, in tempi così tragici per tanti italiani, non si può permettere di dire a un gruppo di giovani precarie, in occasione dell'8 marzo, che "l'Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l'anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro».
Né, a margine di uno degli incontri con i sindacati, affermare che "È chiaro che se uno comincia a dire no, perché noi dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire voi diteci di sì. No, non si fa così".
Adesso ci aspettiamo da quello che resta del Partito Democratico una netta dissociazione dall'accelerazione impressa dalla premiata ditta Monti&Fornero&Passera all'abrogazione dell'articolo 18: il Paese (non solo la sinistra) si attende, a questo punto, un colpo di reni.
Ma già il nipotino di Gianni Letta, vicesegretario del PD, recentemente sorto agli onori della cronaca parlamentare per il pizzino fatto recapitare al banco del governo, si affretta a dire che il suo partito comunque voterà la riforma.
E' chiaro che, ostaggio di Napolitano e dei centristi, il Partito Democratico si sta giocando in queste ore la sua residua credibilità, proprio mentre sta scoprendo di essere caduto in una trappola mortale, se non  nel farlo nascere,  nel continuare ad appoggiare il governo Monti, quello che sta togliendo ai poveri per dare ancora di più ai ricchi.
Ma se crolla il Pd insieme alle sue contraddizioni, anche la strada del governo dei bocconiani paradossalmente è segnata.
E c'è qualcuno ad Arcore che già si sta sfregando le mani.

domenica 11 marzo 2012

I 100 giorni del governo Monti: un grande avvenire dietro le spalle

Il governo degli pseudotecnici, quello che toglie ai poveri pur di non disturbare i ricchi, è arrivato al traguardo dei primi 100 giorni e già molti si interrogano su che cosa ne sarà in futuro, magari dopo le elezioni del 2013. 
Prima di guardare in avanti varrà forse la pena di girarsi indietro per capire che cosa ha combinato finora.
Sicuramente è riuscito a togliere parecchie castagne dal fuoco a Silvio Berlusconi che, tra una manovra di mezza estate, la lettera della BCE, gli scandali privati, le varie inchieste giudiziarie sulle mille e una cricca, gli attacchi finanziari ai suoi gioielli di famiglia, era giunto alla fine di ottobre in completo stallo e in grosso debito di credibilità internazionale, nel pieno di una tempesta finanziaria che aveva portato il rendimento dei titoli di stato italiani oltre la soglia psicologica del 7%, ad un passo del default con il famigerato spread sui bund tedeschi decennali stabilmente sopra i 500 punti.
Soprattutto è stato capace di varare una manovra lacrime e sangue che rappresenta il fiore all'occhiello per una destra tecnocratica e filoeuropea: in Europa nessun altro governo è riuscito a fare di più, tanto che l'Italia può oggi vantare (si fa per dire!) le regole previdenziali più severe del vecchio continente e gli stipendi tra i più bassi (al 23°posto tra 30 paesi OCSE).
Dopo questa partenza bruciante, trascorse le vacanze di fine anno, la guida del governo è stata assai più incerta e contraddittoria: sia la manovra delle liberalizzazioni che il decreto sulle semplificazioni, strombazzati come passaggi epocali, si sono rivelati ben poca cosa, confermando l'assoluta inadeguatezza dell'esecutivo guidato da Mario Monti non solo di proporre una necessaria redistribuzione del reddito, condizione necessaria per riavviare il motore dello sviluppo, ma semplicemente di modulare gli ulteriori sacrifici imposti ai cittadini in proporzione alla loro condizione economica.
Niente da fare, pagano sempre i soliti noti, lavoratori e pensionati, mentre pure le categorie che a chiacchiere erano state prese di mira come tassisti, notai, liberi professionisti, farmacisti, hanno potuto tirare il proverbiale respiro di sollievo.
Di imposta patrimoniale non è rimasta quasi traccia: la nuova Ici, cioè l'Imu, colpisce tutti, con un vero e proprio shock per i piccoli proprietari e le imprese agricole.
La cosiddetta minipatrimoniale sulle attività finanziarie è poi una autentica beffa: non il quotidiano dei bolscevichi, ma Il Sole 24 ore qualche giorno fa ha titolato che la stangata non è per tutti ma nel 2012 risparmia proprio i grandi patrimoni, dato che il bollo dell'1 per mille prevede un tetto di 1.200 euro. Con una imbarazzante curiosità:  a beneficiarne saranno pure i coniugi Monti...
Delle tre parole d'ordine rigore-equità-crescita, resta solo soletto il rigore, ma a questo punto trattasi di pura vessazione sociale.
E se lo spread è sceso fino a quota 300 lo si deve in massima parte alla gigantesca immissione di liquidità effettuata dalla BCE di Mario Draghi che in due tranches, il 22 dicembre e il 28 febbraio scorsi, ha immesso qualcosa come 1000 miliardi di euro nel sistema bancario europeo: per intenderci metà del debito pubblico italiano.
Con questi soldi presi in prestito al tasso simbolico dell'1% per tre anni, le banche hanno potuto acquistare i titoli di stato che ancora garantiscono un rendimento medio attorno al 4%: ecco spiegato il miracolo della discesa dello spread!
Nel frattempo, contrariamente ad ogni previsione  azzardata al momento delle sue dimissioni, adesso Berlusconi non solo non è fuori gioco ma è politicamente più forte, avendo recuperato in questi mesi  molte frecce al suo arco.
Come avrebbe potuto sperare di meglio quel freddo sabato di novembre quando salì al Quirinale per dimettersi tra i fischi e le scene di giubilo della folla, di ritrovarsi tre mesi dopo senza aver dovuto caricarsi personalmente della responsabilità di misure impopolari, lasciando che a farlo fossero i tecnici?
E adesso  pure con l'inopinata prescrizione sul processo Mills e, ciliegina sulla torta, con l'annullamento della condanna di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa al suo fido scudiero Marcello Dell'Utri!
E' proprio tutto un altro clima ora, tant'è che lui e il suo delfino, quello con o senza quid (a voi la scelta!), possono sparare ancora una volta ad alzo zero contro i magistrati: eppur non chiamandoli pecorelle, nessuno si scompone più di tanto, meno ancora dentro il partito di Bersani.
Infatti, senza il Partito Democratico e il suo emerito segretario, tutto questo sarebbe stato materialmente impossibile.
Se non è restato un sogno del Cavaliere, è anche grazie al partito in cui militava il tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, quello che ha fatto fuori 13 ma forse 25 milioni di euro: sì quello che al ristorante dietro il Pantheon spendeva 100 euro a testa per l'antipasto e 180 euro per un piatto di spaghettini al caviale, tutto in conto al partito, senza che nessuno si sia mai accorto di nulla. E che intervistato da Servizio Pubblico di Michele Santoro si domanda incredulo: "Dove sono finiti i 181 dei 214 milioni di euro che ho amministrato. 181 li abbiamo usati tutti per pagare il personale e per pagare i telefonini??".
Ma è anche grazie al segretario Pierluigi Bersani che, intervistato da Repubblica venerdì scorso, rivendica la riforma delle pensioni con queste parole"Quando mi fermano al supermercato- perché io vado al supermercato - le persone si lamentano per la riforma della previdenza. Dicono 'Segretario, noi andremo in pensione quattro anni dopo'. Io, nel rispondere ci metto la mia di faccia, e credo di dare così un contributo alla discesa dello spread".
E sulla TAV  è ancora una volta ultimativo: "Il se non è più in discussione. Non c'è più spazio per posizioni ambigue che con la scusa del dialogo possano mettere in forse l'opera. Si può invece discutere il come".
Per il democratico Bersani l'opera va fatta, il dialogo su questo punto è inutile.
Che poi la sollecitazione non solo provenga dalle popolazioni della Val di Susa (e oltre!) ma da più di trecento docenti universitari, ricercatori e professionisti è cosa che proprio non lo riguarda.
In fondo un'opera pubblica da oltre 20 miliardi di euro, pronta forse nel 2030, mentre il Paese è alla canna del gas, che vuoi che sia?
Fra l'altro come non essere ottimisti vista e considerata l'attenzione certosina che i suoi colleghi di partito, vedi i casi Lusi, Penati e compagnia gaudente, hanno per il denaro pubblico?
Lasciateci però ancora credere che di fronte ai cittadini non ci si possa intestardire su un megaprogetto senza prima essersi rimboccati le maniche (vi ricordate la mitica camicia di Bersani nel manifesto elettorale?) e essersi confrontati a viso aperto con loro.
Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel suo odierno editoriale freme alla sola idea che si possa aprire un confronto pubblico sul tema e si domanda ironicamente se ci sia forse una "Repubblica referendaria" da creare o un "Palazzo d'Inverno da invadere".
Ma la risposta è molto più semplice: c'è una intera classe dirigente, di destra e di sinistra, incompetente, corrotta e infingarda, da mandare a casa.
A stretto giro di urne. 

martedì 14 febbraio 2012

Se Atene piange, Roma non ride

Repubblica di domenica scorsa ci ha rivelato che, alla vigilia del viaggio americano, il premier Mario Monti in un faccia a faccia con il segretario generale della CGIL Susanna Camusso avrebbe raggiunto un accordo per una sospensione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i precari e per una interpretazione ufficiale meno rigida del principio di giusta causa da parte dei tribunali del lavoro.
Questo incontro, che si sarebbe svolto secondo il quotidiano di Piazza Indipendenza in "territorio neutrale" e che sarebbe dovuto restare segreto, getta un'ulteriore ombra sul funzionamento della nostra democrazia, dove sempre più spesso le decisioni che contano vengono prese fuori dalle sedi istituzionali, in vertici a quattr'occhi,  possibilmente lontano da sguardi indiscreti.
Anche se, come in questo caso, i protagonisti prontamente smentiscono con una inusuale nota diramata congiuntamente da Palazzo Chigi e dalla Cgil;  ma il vicedirettore Massimo Giannini conferma la veridicità della notizia.
Insomma i palazzi della politica sempre più spesso si limitano a registrare quanto viene deciso altrove rivestendo  un ruolo di pura (sia pure elegante) tappezzeria, di fatto retrocessi a semplici organismi burocratici che intervengono successivamente per apporre i crismi necessari all'emanazione dei provvedimenti legislativi.
E' un fenomeno noto da tempo e sicuramente inquietante che contribuisce alla crescente e ormai generale disaffezione per la politica, in un'Italia dei poteri forti, delle lobbies, delle logge segrete, delle varie P2 - P3- P4.
Ancora più preoccupante in tempi come i nostri in cui il cosiddetto governo dei tecnici, uscito dal cilindro del presidente Napolitano, si regge su una alleanza inedita tra PD e PDL che in un sistema bipolare, a vent'anni dall'ingresso nel maggioritario, suona come una autentica bestemmia.
Precisazione necessaria soprattutto per rispondere a quanti, tra  politici e opinionisti, approssimandosi un'intesa ritenuta imminente tra  Bersani e Berlusconi sulla nuova legge elettorale, continuano a declamare le presunte virtù del sistema maggioritario che permetterebbe ai cittadini di scegliersi il premier: purtroppo questa tesi è smentita inoppugnabilmente proprio dalla nomina dell'outsider Mario Monti a capo del governo.
Questi leader politici sono così poco credibili e a mal partito (è proprio il caso di dirlo), che risulterebbe comico, se non fosse per altri versi tragico, sentirli difendere la politica del preside della Bocconi, partendo da posizioni ideologiche apparentemente opposte: domenica sera è stato il turno di Angelino Alfano, ospite su RaiTre di Fabio Fazio.
Ma assistere alle peregrinazioni verbali, flagellate da continui anacoluti, del suo omologo Pierluigi Bersani non è più confortante.
Tuttavia, in un logoro gioco dei ruoli, ciascuno di loro nelle continue comparsate televisive ancora ha l'impudenza di ammiccare al proprio elettorato di riferimento (se mai ancora ne vanta uno).
Quando, però sono costretti, in base all'agenda politica, ad accordarsi di persona,  per non esacerbare gli animi già esasperati dei loro sparuti sostenitori, optano per soluzioni estreme, come ad esempio appuntamenti al buio, magari in un tunnel sotterraneo. 
Già è successo nel sottosuolo di Roma tra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama  per il varo del governo di Mr. Monti.
Che questo strano andazzo segni se non la fine sicuramente la sospensione della democrazia  è opinione largamente diffusa: con l'Italia non messa meglio politicamente della Grecia dove l'omologo di Monti si chiama  Luca Papademos, uomo della BCE, e ha fatto varare, davanti ad un paese in rivolta, l'ennesima insopportabile manovra di austerity.
Purtroppo, i paesi dell'Europa mediterranea stanno subendo il ricatto delle banche che, dopo aver provocato la più grossa crisi finanziaria dell'età moderna, invece di renderne conto, anche sul piano penale, ai cittadini e alle istituzioni del proprio paese, le hanno occupate con la complicità della politica, infischiandosene altamente della sovranità popolare.
Così mentre la Grecia brucia, i giornali titolano schizofrenicamente che "le borse e i mercati respirano", poiché il Parlamento di Atene, con la pistola puntata alla tempia dalla troika europea (BCE, FMI, UE), ha mandato giù l'ennesimo boccone amaro tra pesanti tagli al salario minimo, licenziamenti e ticket sulla sanità.
Nel frattempo, il governo Monti, che soltanto due mesi fa aveva  approvato la sua prima manovra antipopolare (l'ennesima del 2011), si accinge adesso con incontri alla chetichella  a varare una riforma del mercato del lavoro destinata ad affondare i colpi nella carne martoriata del lavoro dipendente.
Nessuna sorpresa: è tutto sommato normale che in una democrazia sospesa, commissariata da un ex consulente della banca d'affari americana Goldman Sachs e fresco di ritorno da un viaggio trionfale negli States, il governo sospenda l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Come abbiamo più volte ripetuto, la sospensione di tale articolo non ha alcuna spiegazione economica ma è un intervento squisitamente politico con cui suggellare, anche sul piano  simbolico, il passaggio epocale da una repubblica fondata sul lavoro a uno stato oligarchico dominato dalle banche.
In altre parole, la presunta enfatizzata 'modernità' del mercato del lavoro, per effetto del venir meno della tutela del reintegro obbligato in caso di licenziamento discriminatorio, consiste proprio nel lanciare alle multinazionali un esplicito messaggio di resa del nostro welfare al far west imposto dalla globalizzazione.
Di ciò Monti non ha fatto mistero: "per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani" ha dichiarato in una recente apparizione a RepubblicaTv.
Eppure, oltre alla inconsistenza di un qualche nesso logico, non c'è alcuna evidenza empirica che l'abolizione di tale tutela possa generare un solo posto di lavoro in più.
E anche sul piano numerico, l'applicazione dell'articolo 18 è assolutamente insignificante: secondo dati della Cgil, negli ultimi 5 anni di 31.000 cause contro i licenziamenti illegittimi solo l'1 per cento si è conclusa con il reintegro nel posto di lavoro.
Ma allora quale la ragione di tanto accanimento?
"Ce lo chiedono le multinazionali" fanno capire Monti e Fornero, confermando che nell'Italia commissariata dai tecnici contano molto di più le grandi concentrazioni finanziarie che la sovranità popolare, quand'anche, come in questo caso, la loro richiesta manchi di qualunque presupposto scientifico se non il riflesso condizionato di un capitalismo primordiale, da animal spirits.
E' accettabile che il presunto governo dei tecnici ponga mano ad un epocale arretramento del diritto del lavoro senza che la collettività venga direttamente investita della questione?
Questione che, al di là delle mere valutazioni di carattere economico, resta comunque  intrisa di profondi significati ideali, storici, di conquista sociale e di innumerevoli riferimenti costituzionali.
Infine, è ammissibile che si faccia carta straccia di due successive consultazioni referendarie che ancora nel 2000 e nel 2003 hanno sancito il rifiuto popolare a prendere in considerazione questo argomento?
Ma il solo doverci porre simili interrogativi è sintomatico del fatto che se Atene piange, Roma non ride.

PS (15 febbraio 2012 h. 14.30): Il Fatto Quotidiano del 14 febbraio, a pagina 9, conferma la ricostruzione di Massimo Giannini avendo saputo da fonte qualificatissima che all'incontro tra Mario Monti e Susanna Camusso era presente proprio il direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
In un sol colpo, doppio sbugiardamento per il premier e il numero 1 della Cgil!
A questo punto, almeno un altro paio di domande sono d'obbligo: perché la Presidenza del Consiglio e il primo sindacato italiano si espongono così tanto nel negare l'incontro? Perché Repubblica dà addirittura per fatto un accordo di massima, commettendo un'evidente scorrettezza nei confronti della Camusso in mancanza di evidenze documentali? 

giovedì 9 febbraio 2012

Gli insulti dei 'tecnici' preparano il terreno alla controriforma del mercato del lavoro

Cominciamo ad essere stanchi.
Stanchi di un governo di tecnici così tanto politici da comprendere e pronunciare solo il linguaggio del liberismo anni '80, con trent'anni di ritardo e un giudizio di condanna già espresso dalla storia.
Stanchi di pseudoprofessoroni che, nella migliore delle ipotesi, parlano come un libro stampato, senza riuscire a guardare al di là del proprio naso; e che più spesso riescono, malgrado una insopportabile puzza sotto al naso, a tenere un livello discussione più vicino alla chiacchiera da bar che alla saggezza del buon padre di famiglia.
In queste settimane abbiamo assistito ad un florilegio di esternazioni al limite dell'insulto contro il mondo del lavoro e di quello giovanile in particolare, a fronte di un vuoto pneumatico nella proposta politica che non fosse rivolta a colpire ripetutamente, nella borsa e nella vita, proprio lavoratori e pensionati.
Perché, come abbiamo più volte fatto notare, il vero volto del governo Monti è rappresentato dalla manovra lacrime e sangue del 5 dicembre scorso, con il taglio delle pensioni e dei trasferimenti agli enti locali, la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa, l'aumento di contributi, le accise, le addizionali di ogni tipo, la benzina spinta alle stelle.
La successiva manovra 'CresciItalia' è stato il classico pannicello caldo, tanto per dare un po' di colore ad un governo di teste grigie e poco smalto: è per questo che i media di regime si sono affannati a scambiare la loro piattezza in sobrietà e a gonfiarne a dismisura i meriti.
E le famose liberalizzazioni su cui la propaganda governativa ha battuto molto in queste settimane si stanno rivelando tanto fumo e pochissimo arrosto.
C'è per caso qualcuno che si ricordi, così all'impronta, uno solo di quel complesso di provvedimenti che, a detta di Monti, avrebbe dovuto innescare una rivoluzione copernicana dando fuoco alle polveri di un boom da far impallidire il miracolo economico degli anni Sessanta?
Perché su ordini professionali, notai e farmacie la montagna ha partorito un topolino; naturalmente molto più facile prendersela con i tassisti.
Ma ciò la dice lunga sul metodo di lavoro del governo tecnico, forte con i deboli ma debole con i forti.
Tanto che i grandi monopoli e i trust finanziari non solo possono esultare per lo scampato pericolo ma sono diventati i principali sponsor di una prolungata permanenza di Mr. Monti a Palazzo Chigi.
Come conseguenza, di fronte ad attese inizialmente molto forti ma che vengono puntualmente frustrate, i suoi ministri non trovano di meglio che cimentarsi verbalmente con il tiro al bersaglio, scegliendoselo tra le innumerevoli categorie deboli.
Ha iniziato il sottosegretario Michel Martone, figlio di papà doc, così sventato e narciso da dare dello sfigato a chi di certo non può vantare le sue conoscenze (nel senso di entrature).
Ha proseguito, dopo un delizioso antipasto di tocchetti di pensioni in pinzimonio di lacrime di coccodrillo, la Fornero, pardon Fornero, che nel voler "spalmare le tutele sociali a tutti" (i lavoratori), di fatto  intende semplicemente toglierle a chi già ce l'ha (non sia mai cercare di estenderle agli altri!): di qui il tormentone sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come causa di tutti i mali italiani.
Lo ha confermato ancora una volta lo stesso Mario Monti, invitato a correggere la sua precedente incredibile uscita sulla monotonia del posto fisso.
Raffazzonando una goffa retromarcia ha finito col premere sull'acceleratore proprio del 'licenziamento faidate', arrivando a considerare che l'articolo 18 (quello che impone il reintegro ad opera della magistratura del lavoratore ingiustamente licenziato, senza che il datore di lavoro se la possa cavare con un semplice modesto indennizzo) addirittura possa scoraggiare gli investimenti dall'estero.
Non bisogna aver preso il fatidico pezzo di carta, a cui Monti vorrebbe pure togliere valore legale, per rendersi conto che quest'idea non sta né in cielo né in terra: è la classica leggenda metropolitana, farcita di termini economici prêt-à-porter, giusto per  schiacciare preventivamente le formiche laboriose che un giorno potrebbero pure arrabbiarsi.
Pensare che un investitore straniero non venga in Italia non per il livello scadente delle sue infrastrutture, non per l'eccesso di burocrazia, non per una politica asfissiante e asfittica che invade tutti gli spazi della vita pubblica, non per la criminalità (versione organizzata e micro) che controlla militarmente più di metà del nostro territorio, non per la giustizia civile e penale al collasso, non per l'inefficienza della pubblica amministrazione, non per la corruzione dilagante, non per la giungla fiscale, ma esclusivamente perché non gli viene data carta bianca per il licenziamento discriminatorio, è stu-pe-fa-cen-te, soprattutto se ad asserirlo non è uno dei tanti padroni delle ferriere ma un economista, già preside della Bocconi e ora capo di governo.
A meno che non si voglia fare dell'Italia l'esercito di riserva delle imprese cinesi, legalizzando la schiavitù.
Ciliegina sulla torta in ordine di sproloquio,  il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri che, nel tentare di dare l'interpretazione autentica alle parole di Monti, è incappata nell'ennesimo errore di comunicazione del Collegio dei docenti, rincarando la dose: "Noi Italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà" .
Di nuovo parole apparentemente in libertà che tradiscono, oltre ad una totale insensibilità per la drammatica situazione di disagio sociale in cui versa il paese, un'allarmante aridità intellettuale: quanto di meno indicato per chi è stato chiamato a mettere rapidamente a frutto millantate doti taumaturgiche.
Il fatto è che questi stanno preparando ideologicamente il terreno per una controriforma del mercato del lavoro che, col pretesto di stabilizzare fasce di lavoro precario additando gli attuali lavoratori a tempo indeterminato come una élite di privilegiati, finirà per togliere diritti e tutele sociali a tutti.
Che cosa c'entri infatti la creazione di nuovi posti di lavoro e quindi le cosiddette nuove opportunità in ingresso con una selvaggia flessibilità in uscita è un mistero che questi cervelloni si guardano bene dal rivelare.

giovedì 2 febbraio 2012

Il senatore a vita Mario Monti: "Il posto fisso è monotono"

Il Presidente del Consiglio Mario Monti, senatore a vita dal novembre scorso, dichiara alle telecamere di Matrix: «I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E' bello cambiare e accettare delle sfide».
E' bello sentirlo parlare così, una predica così sobria di fronte a milioni di precari, di cassintegrati, di gente che ha perso insieme al posto di lavoro qualsiasi speranza per il futuro.
Per fortuna per lui, prima di nominarlo premier il Presidente della Repubblica ha pensato bene, per non fargli lasciare al buio il rettorato alla Bocconi e fargli sopportare lo stress della precarietà alla non più acerba età di 68 anni, di nominarlo senatore a vita.
Da quale pulpito arriva la predica, viene d'istinto commentare.
E il professorone ce l'ha pure con l'articolo 18! Sempre in quell'occasione ha affermato: «Non si può sintetizzare la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociale in si cambia l'articolo 18 o no. L'articolo 18 non è un tabù ma può essere pernicioso per lo sviluppo dell'Italia e per il lavoro dei giovani in alcuni contesti, può essere più accettabile in altri contesti».
Ci piacerebbe tanto sapere da colui che ha da poco fatto la clamorosa sparata che con le sue liberalizzazioni-semplificazioni il Pil italiano aumenterà del 10%, in quali situazioni il reintegro sul posto di lavoro dei lavoratori licenziati senza giusta causa né giustificato motivo sarebbe pernicioso.
Più che un professore, Mr. Mario Monti ci sembra un medico, o meglio un santone, con le sue pozioni magiche e i suoi atti di fede.
Il problema è che nessuno gli ha chiesto di deciderlo sopra la testa di milioni di italiani, lasciati senza voce, in base ad un suo personalissimo e religiosissimo punto di vista.
Naturalmente rispettiamo le sue opinioni ma un minimo di coerenza vorrebbe che se l'articolo 18 per lui non è un tabù, faccia il beau geste: rinunci al mandato a vita come senatore della repubblica.
La cosa, dati i suoi mille incarichi e conseguenti corrispettivi, avrebbe chiaramente soltanto un valore simbolico e conseguenze per lui economicamente risibili ma, in quanto tale, sarebbe il modo migliore per convincere gli Italiani della giustezza di quanto va predicando.

giovedì 29 dicembre 2011

Delude la conferenza stampa del premier Monti

E' ancora in corso la conferenza stampa di fine anno del premier Monti ma la sensazione è che non ci siano grandi novità o grossi annunci.
Il decreto "Cresci Italia" è tutto di là da scrivere; resta per il momento quello "Salva Italia" che Monti difende con parole deboli paventando che se la manovra non fosse stata fatta ci sarebbe stata un'esplosione recessiva.
Non nasconde che comunque essa avrà un qualche impatto negativo sul PIL ma ne difende, non si sa come, l'equità sociale.
Le misure che si preannunciano dovrebbero riguardare le liberalizzazioni e la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali.
Ma si mantiene molto sulle generali dando l'impressione che non abbia ancora ben chiaro quali siano i provvedimenti da mettere in agenda per le prossime settimane.
L'intervento risulta particolarmente deludente: non ci sono svolte all'orizzonte.
E la pretesa equità sociale che egli fa della sua manovra appena approvata lascia assai perplessi, tenuto conto che da più parti ne sono state avanzate forti critiche proprio per quell'aspetto.
Insomma, un Re Sole un po' appannato che difende il suo operato lasciando intendere: Senza di me il diluvio
E i mercati non stappano lo champagne: lo spread è inchiodato a 523 punti...

lunedì 12 dicembre 2011

Le previsioni 'azzeccatissime' di Eugenio Scalfari: FTSE MIB sotto del 3,60%!

I lettori di Repubblica si saranno sicuramente accorti che il suo fondatore, Eugenio Scalfari, sta attraversando un periodo assai fervido e fecondo, insomma una seconda giovinezza. Dando il meglio di sé proprio in coincidenza con la crisi politica italiana e la tempesta finanziaria che si è abbattuta sul nostro paese.
Oltre ad analizzare dal suo consueto osservatorio domenicale la crisi politica italiana dispensando consigli e ammonimenti a coloro che ne sono e ne restano i protagonisti, ha iniziato a tessere le lodi del governo Monti prima ancora che il professore lasciasse la sua scrivania all'università Bocconi.
Come i lettori di questo blog sanno,  già il 10 novembre la corazzata mediatica del gruppo De Benedetti aveva preso il largo invocando il suo incarico per intercessione del presidente Napolitano e sparando ad alzo zero contro chiunque, fosse pure Antonio Di Pietro, avesse voluto eccepire alcunché.
Il 27 novembre Scalfari scendeva direttamente in campo non mandandole a dire a quanti a sinistra (ma anche sul fronte opposto) restavano perplessi sull'opportunità politica di un governo tecnico senza un passaggio elettorale che ne ratificasse l'imprevisto insediamento: "Questo è lo schema del governo istituzionale e costituzionale. Chi non capisce che esso non confisca affatto la democrazia e non umilia affatto il Parlamento, al quale anzi affida piena centralità svincolandolo anche dalla sudditanza ai voleri del "premier" (com'è accaduto nell'appena trascorso decennio berlusconiano) e potenziando il suo diritto-dovere di controllare il governo e la pubblica amministrazione; chi non capisce queste lapalissiane verità è in palese malafede oppure mi permetto di dire che è un perfetto imbecille."
Parole talmente sopra le righe da costringere tre giorni fa persino il curatore della sua opera omnia in Mondadori, che sta lavorando alla stesura di un Meridiano a lui dedicato, Angelo Cannatà, a prenderne le distanze indirizzandogli una lettera aperta su Il Fatto Quotidiano: "Non va bene. L’intellettuale che ho apprezzato leggendo [...] non può aver pensato davvero che quanti usano una chiave ermeneutica diversa dalla sua, siano “perfetti imbecilli”.
Parole gettate al vento, perché non solo Scalfari non si è rimangiato la voce dal sen fuggita ma, nell'editoriale di ieri il cui titolo eloquentemente recita I due Mario l'Europa l'hanno salvata, ha cantato il Magnificat per il tandem Draghi-Monti, pronosticando già per la giornata di oggi un andamento dei mercati euforico, ergendosi addirittura a termometro degli stessi.
Infatti scrive che dopo la riunione della BCE del 7 dicembre e il successivo Consiglio dei capi di governo UE, "il mio ottimismo si è rafforzato. Lo dichiaro qui perché, oltre ad essere un giornalista, sono anche un risparmiatore, un consumatore, un elettore, sicché il mutamento delle mie aspettative potrebbe anche rappresentare un "test" di analoghi mutamenti sociali. Del resto i mercati di venerdì l'hanno già resi visibili ed è probabile che i mercati di domani emettano un giudizio ancora più esplicito per quanto riguarda lo "spread", l'andamento delle Borse e il rendimento dei debiti sovrani." 
Detto fatto! Oggi, a mezz'ora dalla chiusura, l'indice FTSE della Borsa di Milano accusa un calo del 3,39% in un contesto europeo tutto  negativo con le borse di Francoforte, Londra e Parigi che registrano pesanti ribassi, inferiori sia pur di poco a quelli di Piazza Affari; e il famigerato spread Btp-bund tornato pericolosamente sopra i 450 punti.
Eh Scalfari, come la mettiamo adesso con questo inaspettato "umore nerissimo dei mercati"? E con i media che hanno giudicato nel complesso deludente la Tregiorni europea tra Francoforte e Bruxelles?
Possibile che siano tutti imbecilli, persino i tanto osannati mercati?

Ma in fondo non ci voleva tanto a capire che il vertice europeo si era concluso, se non con un nulla di fatto, ben al di sotto delle aspettative. A parte il 'piccolo' particolare dell'Inghilterra che ha fatto le valigie da Eurolandia, peraltro rispettando i pronostici dei bookmakers, resta il fatto che la sovranità fiscale dell'Europa è di là da venire (se ne riparlerà di nuovo più concretamente nel marzo prossimo) e il tutto resta aggrappato ad un comunicato finale dei capi di governo quantomai fumoso e zeppo di bizantinismi.
Nel frattempo la tempesta finanziaria è lungi dall'essersi placata.
Si sta, come d'autunno, sugli alberi, le foglie.
L'Europa targata Merkel, con la fissazione dei conti in ordine, si avvia a condannare i propri membri ad una severa recessione, avendo in scarso peso l'indiscutibile verità che il risanamento finanziario è impossibile senza crescita economica; anzi ne rappresenta la principale controindicazione.
Eppure la Grande Depressione degli anni Trenta avrebbe dovuto insegnare qualcosa! Ma nella plumbea atmosfera dei vertici europei a guida tedesca la grande lezione di John Maynard Keynes è stata immolata sull'altare del più bieco monetarismo.
Così mentre a Francoforte Mario Draghi ha il suo bel da fare per indurre a più miti consigli i membri del direttorio della BCE; Mario Monti, per legittimarsi agli occhi dei tedeschi, impone agli Italiani una pesante stangata fatta tutta di misure antipopolari, dal fortissimo impatto recessivo.
Per giunta di scarsissimo livello intellettuale.
Proprio non ci voleva un professore della Bocconi per aumentare il prezzo dei carburanti, l'Iva, raddoppiare l'Ici, deindicizzare le pensioni, allungare bruscamente l'età  pensionabile, tagliare i trattamenti pensionistici. 
E al tempo stesso assegnare gratis le frequenze TV liberate dal digitale terrestre cancellando i sicuri lauti proventi di un'asta pubblica, rinunciare a priori ai proventi di un'imposta patrimoniale, riscudare i capitali all'estero con un ridicolo 1,5%, rinviare alle calende greche i tagli ai costi della politica.
Lo stesso Scalfari, pur avendo sponsorizzato il governo Monti ben prima della prima ora, è costretto ad ammettere che "dopo il bollino del rigore che ha recuperato la nostra credibilità nelle sedi internazionali" sul fronte dello stimolo della domanda "Monti  ci ha lasciato a bocca asciutta". Che è un po' come mettere le mani avanti di fronte al crescente e diffuso malcontento sociale.
Ma come abbiamo potuto osservare con le previsioni fasulle di Scalfari, i cosiddetti 'tecnici' sono capaci di dire e di fare tutto e l'esatto contrario, perché le questioni prima di essere tecniche e economiche sono profondamente politiche.
Ecco perché restiamo contrari al finto governo tecnico che fa rientrare dalla finestra quello che la politica ha, solo apparentemente, messo fuori dalla porta.