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giovedì 30 ottobre 2008

Da una debole democrazia all'abisso, in nove mesi netti!

Il 25 ottobre è passato da un pezzo ma gli eventi della settimana hanno presto fatto dimenticare il rito che si è consumato stancamente al Circo Massimo.
Il raduno organizzato da Veltroni e suggellato dal suo inutile discorso ha confermato in pieno le previsioni della vigilia.
I motori della potente macchina organizzativa del partito democratico si sono accesi per dargli modo di verificare se nella cabina di pilotaggio i comandi fossero ancora efficienti, una sorta di collaudo voluto dal leader per tastare il polso del partito.
In questo senso, al di là delle dichiarazioni del sindaco di Venezia Massimo Cacciari che ha colto l’ennesima facile occasione per sbeffeggiarlo pubblicamente, la manifestazione ha espresso alcuni verdetti: nolenti o volenti, i democratici confermano Walter Veltroni come guida del partito ma chiaramente la sua resta un leadership a sovranità limitata.
Solo Repubblica è riuscita a dare dell’evento di sabato pomeriggio una rappresentazione surreale al limite della propaganda: l’articolo di Scalfari del giorno successivo è costruito come un gigantesco spot pro Veltroni.
Anche se il fondatore del quotidiano romano non può però non prendere in qualche modo le distanze dai numeri sbandierati: "... Gli organizzatori sono molto prudenti nel valutare la consistenza numerica di quella marea di folla in movimento ma ora azzardano una stima di due milioni. Alla fine arriveranno a due milioni e mezzo valutando non tanto la capienza del Circo Massimo e delle alture che gli stanno intorno quanto le strade adiacenti interamente occupate. Chi segue le dirette televisive ed ha sotto gli occhi la visione panoramica complessiva capisce che quella stima è molto vicina alla realtà."
Il semplice fatto che per valutare l’efficacia dell’evento, lo stesso suo ideatore Walter Veltroni sia costretto a sparare cifre ridicole, è la conferma che, mancando una chiara piattaforma rivendicativa, il suo unico obiettivo era quello di chiamare gente in piazza a fare numero.
Pertanto a sostegno di una manifestazione indetta tre mesi prima non si sa bene esattamente per che cosa (lo slogan Salva l'Italia! sembra satirico...) c’era la necessità, per non limitarsi al classico buco nell’acqua, di gonfiarne la consistenza numerica: se la questura ritocca drasticamente le dimensioni a duecentomila partecipanti, è altamente probabile che comunque ad ascoltare Veltroni non fossero più di cinquecentomila.
Comunque un bel numero, non c’è che dire, ma sparare cifre assurde non migliora l’umore di una protesta sociale che non trova più nel partito democratico il principale punto di riferimento: senza l’Italia dei Valori che prosegue con grande successo la raccolta di firme contro il cosiddetto lodo Alfano, i numeri della giornata sarebbero stati ben più miseri.
E’ così vero che, dopo averne avuta la riprova dai sondaggi, Veltroni è stato costretto nel giro di pochi giorni a rimangiarsi la rottura con Di Pietro, così spocchiosamente pronunciata nello studio di Fabio Fazio.
Proprio Repubblica ha mostrato, numeri alla mano, che i suoi elettori non capiscono affatto come sia possibile allearsi con il partito di Totò Cuffaro piuttosto che con quello di colui a cui va dato il merito sedici anni fa, con i suoi illustri colleghi magistrati del pool di Milano, di aver scoperchiato Tangentopoli.
La svolta di Veltroni, finalmente in campo anche contro la legge Gelmini, che taglia addirittura 8 miliardi di euro alla scuola pubblica (una cifra enorme!), minacciando la via referendaria per abrogarla appare però tardiva e imbarazzata.
Nel luglio scorso, quando Tremonti fece approvare la famigerata finanziaria da nove minuti e mezzo che prevedeva quei tagli, il governo ombra dove stava? Sotto l’ombrellone?
La verità è che adesso i nodi stanno venendo al pettine: abbiamo un governo estremista che sta mostrando il suo volto più arcigno e reazionario, mentre la società civile è costretta a trovare fuori dal Parlamento nuove forme di espressione per comporre il proprio disagio e manifestare la protesta.
Se poi pensiamo a quello che si è verificato ieri a due passi dal Senato, con un gruppo di black block lasciati dalle forze dell’ordine impunemente infiltrare il pacifico movimento studentesco a cui ha fatto seguito una vile aggressione di stampo squadrista contro ragazzi inermi, dopo le preoccupanti parole pronunciate qualche giorno fa dall’ex presidente Cossiga, si capisce come il nostro Paese stia scivolando a velocità incredibile verso una deriva sudamericana.
Sembra impossibile, ma in pochi mesi per colpa di una destra priva di senso dello Stato e dell’imbelle opposizione di una generazione di cinquantenni vissuti da sempre tra i privilegi di casta, stiamo precipitando fuori dalla democrazia: dal governo Prodi all’abisso, in nove mesi netti.
Complimenti al tandem Veltroni - Berlusconi!

giovedì 23 ottobre 2008

Che tempo che fa: previsioni politiche per il 25 ottobre

Walter Veltroni non finirà mai di sorprenderci.
Messo alle corde da sondaggi, fronda interna, sinistra extraparlamentare, dipietristi e da tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti di una democrazia che versa purtroppo in stato comatoso, domenica scorsa è riuscito a mettere a segno uno di quei colpi che definire politicamente scorretto è quasi eufemistico.
Nel talk show di RaiTre, Che tempo che fa, una volta tanto mostrandosi meno contratto del solito (forse perché calcava una ribalta amica), all’improvviso col sorriso sulle labbra ha comunicato urbi et orbi che l’alleanza con l’Italia dei Valori è finita, perché, rivolgendosi a Fabio Fazio, "Prenda il tema che abbiamo appena affrontato, cioè la capacità del nostro paese di integrare. Chieda a Di Pietro opinioni su questo e troverà delle cose molto lontane dall’alfabeto della cultura democratica del centrosinistra".
Sconfessa quindi con la massima disinvoltura l’unica alleanza che aveva stretto in vista delle elezioni del 13-14 aprile, dopo aver concorso alla caduta del governo Prodi e successivamente abbandonato qualsiasi ipotesi d’intesa elettorale con la sinistra di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Una scelta sconsiderata che, allora, costò alla Sinistra italiana la sconfitta elettorale più sonora dai tempi della Resistenza e che, ripetuta adesso contro Di Pietro, boicotta la sola efficace opposizione al governo autoritario di Silvio Berlusconi.
E’ assurdo, che in un momento difficile come questo, si chiuda la porta in faccia proprio all’unico politico che in questi mesi abbia cercato di difendere la democrazia materiale opponendosi ai continui strappi costituzionali del governo di centrodestra, nonostante si conoscano da sempre le sue chiusure ideologiche (ma Follini e Casini, per caso, sono più illuminati?).
Invece di riconoscergliene merito Veltroni lo congeda bruscamente, guarda caso, a meno di una settimana dalla manifestazione del 25 ottobre in cui i partecipanti sono, a questo punto, avvisati.
Perché vengono chiamati da Veltroni a sfilare non tanto per protestare contro un pessimo governo ma per manifestare il loro appoggio incondizionato alla sua leadership traballante.
Bene fa Di Pietro a rispondergli per le rime, dandogli del collaborazionista, ed a non tirarsi indietro prendendo parte a pieno titolo alla manifestazione di sabato prossimo.
Le cronache dimostreranno quale maggior credito susciti nell’opinione pubblica di sinistra l’ex magistrato di Mani Pulite nella sua lotta coraggiosa al malaffare che continua anche adesso stando in Parlamento, rispetto all’ex rampollo del vecchio Partito Comunista Italiano che, dopo aver dichiarato candidamente, tempo addietro, di non essere mai stato comunista, adesso si appresta a stringere una pericolosa alleanza elettorale con l’Udc di Totò Cuffaro.
Simbolicamente, nello studio virtuale di Fabio Fazio, evidentemente il luogo meno indicato per consumare una rottura politica così traumatica e foriera di cattivi presagi, Walter Veltroni, ha definitivamente messo sotto le scarpe la questione morale, vecchio cavallo di battaglia di un grande Italiano come Enrico Berlinguer.
Preferire l’Udc di Totò Cuffaro all’Italia dei Valori è la conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che per l’ex sindaco di Roma, quello che conta è trovare a tutti i costi l’accordo con il Cavaliere, al cui raggiungimento è legato indissolubilmente il suo destino politico.
Ecco perchè la giornata del 25 ottobre segnerà, a dispetto delle intenzioni dell’impareggiabile Walter, un punto di svolta nella politica italiana: ci dirà se Veltroni è ancora in grado di fare il capo dell’opposizione e se Di Pietro è in grado di eroderne una cospicua fetta di consensi.
Di sicuro, chi sfilerà al Circo Massimo si troverà, suo malgrado, a dover dirimere una lite tra due separati in casa, piuttosto che testimoniare pubblicamente il suo netto dissenso al disegno reazionario di un governo che sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del malcontento sociale.
Un manifestazione concepita a tavolino oltre tre mesi fa da un leader politico in caduta libera e che adesso si trova, paradossalmente, proiettato dagli eventi a capeggiare la protesta studentesca, magari soltanto per ottenere il lasciapassare che gli consenta di varcare i cancelli di Palazzo Chigi e costringere l’uomo di Arcore ad accettarlo come suo interlocutore privilegiato.
D’altra parte che le ragioni di studenti, docenti e famiglie nei confronti della controriforma Gelmini non possano essere rappresentate coerentemente da chi manda i propri figli a studiare in America è tanto evidente da non valere la pena neppure di spenderci una sola parola in più.
Si capisce a questo punto come sarà difficile cogliere il reale significato di questa giornata di mobilitazione che si preannuncia carica di aspettative da parte del popolo insofferente ai diktat berlusconiani ma che rischia, proprio per questo, di trasformarsi, in una terribile delusione quanto a conseguenze.
Perché una cosa è certa: l’eventuale rilancio della leadership di Walter Veltroni grazie al bagno di folla del Circo Massimo finirebbe proprio per riproporre quel progetto di larghe intese e, paradossalmente, rafforzerebbe, proprio il suo avversario putativo: Silvio Berlusconi.
A meno che tra i due finti litiganti, Antonio Di Pietro non colga, in questa occasione, un buon successo personale; nel qual caso, le cose all’interno dell’opposizione andrebbero completamente riviste.

martedì 9 settembre 2008

E l'Alemanno bloccò i Vandali al Pincio...

La lettera che il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha indirizzato sabato scorso al direttore di Repubblica con cui dichiara la propria contrarietà al proseguimento dei lavori del maxiparcheggio del Pincio è stata veramente una bella sorpresa perché, aggirando abilmente l’ostacolo dello scontro politico, preannuncia un cambio di direzione importante nel piano delle opere pubbliche della giunta capitolina e soprattutto un atto di buon senso, qualità sempre più rara nella politica italiana.
Prescindendo da battaglie ideologiche pretestuose e sorvolando adesso sulle ultime polemiche scatenate da alcune deprecabili dichiarazioni di esponenti del centrodestra in occasione della ricorrenza dell'8 settembre, restando dunque strettamente sulla questione del maxiparcheggio ai giardini Valadier, possiamo certamente affermare che Alemanno ha detto quello che qualsiasi cittadino normale in un paese normale vorrebbe sentirsi dire dai suoi amministratori quando è a rischio, con l’integrità dei monumenti, la memoria storica e l’identità culturale del proprio Paese: usiamo prudenza!
E’ proprio a questo principio di precauzione che Alemanno si ispira quando scrive:
"Questo principio ci insegna che quando s’interviene su un luogo particolarmente delicato e prezioso come il Parco del Pincio bisogna tenere presente non soltanto le condizioni tecniche del progetto, ma anche gli impatti presenti e futuri che questo intervento produrrà nel contesto circostante.
[…] Chi ci garantisce che fra 5, 10 o 20 anni assestamenti strutturali, carenze di manutenzione, cambi di destinazione d'uso non turbino in maniera irreversibile quel contesto? Neppure gli attuali accorgimenti tecnici annullano, nelle previsioni, gli "affioramenti" del parcheggio quali prese d'aria, griglie di emergenza e gallerie di accesso. Il Pincio è prima di tutto un giardino storico, un parco urbano e, come tale, è tutelato dalla Carta dei Giardini Storici (del 15 dicembre 1982) in cui si raccomanda che "ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta". Al di là di sentimenti profondi di "sacralità" di molti luoghi romani che ci spingerebbero a desiderare che sotto la terrazza del Pincio ci sia l'antico tufo di quella collina e non un vero e proprio "palazzo" sotterraneo di 7 piani in calcestruzzo, nulla ci assicura che questa ingombrante presenza non riemerga nel tempo in tutta la sua estraneità ad un contesto ambientale come quello di un parco storico".

Non si fa un grosso sforzo ad ammettere che la lettera del neosindaco di Roma è pienamente condivisibile in ogni sua parola ed andrebbe sottoscritta da chiunque abbia a cuore le sorti del Belpaese.
Adesso si tratterà di vedere se alle parole seguiranno i fatti ma, ragionevolmente, la linea di comportamento del sindaco Alemanno è ormai tracciata chiaramente e porta ad un’unica conclusione possibile: l’abbandono del progetto.
Senza pagare indennizzi alla ditta esecutrice delle opere qualora verosimilmente scatti il vincolo archeologico, data l’imponenza dei reperti storici già individuati.
Se poi, malauguratamente, non si potesse evitare la soluzione risarcitoria, vorrà dire che la responsabilità di questo ulteriore costo graverà interamente su Walter Veltroni e la sua giunta, ideatori di questo progetto sciagurato che ha costretto il suo successore a questa scelta non facile ma, nei fatti, obbligata.
Per la quale ha già ricevuto numerosi elogi ed attestati di stima innanzitutto dai romani ma anche da parte proprio di quel vituperato popolo di sinistra, così snobbato dall’attuale leadership del partito democratico.
Se la vittoria del centro destra alle amministrative di Roma servisse almeno ad abortire l’idea folle del maxi parcheggio sotto il Pincio, si potrebbe facilmente concludere che non tutti i mali vengono per nuocere…
Di sicuro non sarà stato un risultato modesto aver salvato il salotto di Roma dalla devastazione dei Vandali!
A questa encomiabile iniziativa di Gianni Alemanno, Walter Veltroni non ha trovato di meglio che rispondere nella maniera più stolida:
"Retromanno si è spaventato per due ‘buu’ fatti da due giornali di destra e per questo ha cancellato una decisione che avevamo preso per togliere tutte le auto dal Tridente".
Parole che si commentano da sole, a parte la meschina trovata di storpiare il nome del suo successore.
Parole che pure ci fanno di nuovo interrogare su come sia stato possibile per il partito democratico ritrovarsi sul groppone una classe dirigente così modesta; per giunta del tutto scollata dalla propria base popolare, nonostante pretenda ancora di restarle in sella.
Ed anche in piena crisi di nervi, a cominciare dal suo segretario.
Un Veltroni superstressato, che perde sempre più frequentemente le staffe, prendendosela con tutto e tutti, persino accusando alcuni alti dirigenti del partito di farsi pubblicità alle sue spalle, senza però che egli abbia l’onestà intellettuale di fare pubblica ammenda dei propri madornali errori.
Egli continua a ritenere di stare dalla parte della ragione, di vedere più lontano degli altri, di cercare equilibri più avanzati (ma con chi?); perciò di essere vittima di una macchinazione ai suoi danni ordita da non meglio precisati nemici interni ed esterni, rifiutandosi testardamente di fare i conti con l’impietosa realtà di una leadership in dissoluzione.
Ed anche sulla questione parcheggio sotto il Pincio toppa miseramente, non riuscendo più neppure a cogliere gli umori della propria gente, nella stragrande maggioranza visceralmente contraria a questa impensabile deturpazione.
Come in un’allegoria di Buñuel o in un lungo piano sequenza di Antonioni, sotto il Pincio il leader democratico rischia di parcheggiare inesorabilmente le proprie ambizioni politiche.

mercoledì 30 luglio 2008

Dallo strappo costituzionale alla prospettiva di un durissimo inverno

Ormai la stampa non ne parla quasi più, ma la legge sull’immunità delle alte cariche resta il buco nero della nostra democrazia. A questo non possiamo rassegnarci, anche se è passata già una settimana.
Perché l’errore più grave è ritenere che si debba rimanere con le mani in mano, magari aspettando il prossimo strappo costituzionale.
Al contrario, occorre percorrere tutte le strade che il nostro ordinamento giuridico prevede per ripristinare l’agibilità costituzionale. In questo riteniamo che anche la via referendaria debba essere battuta pur di sanare la ferita prodotta alla nostra democrazia. Tuttavia, la consideriamo la soluzione estrema, qualora la Consulta, speriamo presto, non azzeri tutto.
Ciò perché di fronte all’incostituzionalità di una legge, neppure la volontà popolare può fare molto: l’eventuale abrogazione con il referendum non è la via maestra; anche perché, con questo clima e questa opposizione, l’esito referendario è tutt’altro che scontato.
Abbiamo un Pd che naviga a vista, avendo perso completamente la bussola.
Soffre la concorrenza di Antonio Di Pietro ma non è in grado di abbozzare alcuna reazione strategica; l’impareggiabile Walter Veltroni ha addirittura il coraggio di giustificare la sciagurata scelta elettorale dei democratici di correre da soli, cinque mesi fa, con le attuali conclusioni del congresso di Rifondazione Comunista che ha visto prevalere Paolo Ferrero: "Auguri a Ferrero, ma oggi si capisce meglio la bontà della scelta di andare liberi, della vocazione maggioritaria del Pd"(1).
Una facile via di fuga dalle proprie responsabilità ma, soprattutto, un grossolano errore di interpretazione politica, perché è chiaro che è stata proprio la scelta isolazionista del Pd che ha spinto Rifondazione comunista verso posizioni più movimentiste, lontane da intese con i democratici.
In altri termini, la sconfitta dell’ala bertinottiana facente capo a Nichi Vendola è dipesa proprio dalla politica fratricida di Veltroni che, invece di fare il gioco di sponda con il vecchio gruppo dirigente di Rifondazione, aiutandolo a consolidarne la disponibilità a future alleanze di governo, ha costretto quel partito a rinchiudersi nel proprio recinto culturale recuperando integralmente la sua identità originaria, lontano dal Palazzo e più vicino alla società.
Fra l’altro, non è detto che questo sia un male per la Sinistra italiana e forse ha ragione il neo segretario Paolo Ferrero quando all’accusa di Veltroni di essere un’estremista risponde facilmente: "E’ una critica sbagliata. Rifiuto l’immagine di una Rifondazione settaria e che si arrocca. Il punto è un nodo drammatico da sciogliere, che del resto anche il Pd ha di fronte: la grande crescita del disagio sociale. Secondo noi, o la sinistra rilancia un conflitto di classe oppure si scatena la guerra fra i poveri. E’ estremismo questo?" (2).
Fatto sta che adesso il Pd si trova tra l’incudine della difesa della legalità costituzionale dell’Italia dei Valori e il martello delle rivendicazioni sociali caldeggiate da Rifondazione Comunista; una posizione scomodissima, di grave debolezza che, per di più, non tiene al riparo il suo gruppo dirigente neppure dagli attacchi ricorrenti di Silvio Berlusconi e del Pdl.
Un vicolo cieco, purtroppo, in cui il vertice ha ficcato il Partito democratico senza sapere più come uscirne.
Paradossalmente, la ciambella di salvataggio all’annaspante Veltroni gliela può lanciare soltanto il Cavaliere che, tuttavia, non ha alcun interesse a farlo ora, preferendo per il momento temporeggiare, giocando con lui come il gatto fa con il topolino.
Per Berlusconi, l’apertura di un dialogo con Veltroni verrà facile quando, per il prevedibile aggravamento della situazione economico-sociale del nostro Paese, i cui segni saranno difficilmente occultabili a partire dal prossimo durissimo inverno, vorrà condividerne il peso delle responsabilità.
Uno scenario che, quindi anche sul piano politico, si presenta negativo per il Paese.
Prepariamoci, sin da queste calde giornate estive, a stringere prossimamente ancor di più la cinghia mentre la Casta si girerà a guardare da un’altra parte…
(1): la Repubblica 29/07/08, "Il day after di Rifondazione...", pag. 6
(2): la Repubblica 29/07/08, "Ferrero: 'Ma quale deriva ...' ", pag. 7

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

sabato 21 giugno 2008

"We can" al mare...

Veltroni è costernato, la Finocchiaro si meraviglia.
Pare che nello staff dirigente del PD nessuno si aspettava che Berlusconi si avventasse lancia in resta contro la magistratura, arrivando a pronunciare frasi gravissime come "Denuncerò la magistratura che vuole sovvertire la democrazia" riferendosi alle "iniziative di pm e giudici che, infiltrandosi nel potere giudiziario, vogliono sovvertire il voto".
E’ chiaro che stanno venendo giù, un pezzo alla volta, tutti i princìpi dello stato di diritto; come sia possibile continuare in questo modo senza precipitare nell'abisso del regime resta un mistero.
Perché in uno stato di diritto a nessuno, tanto meno a chi rappresenta un organo costituzionale, verrebbe consentito di delegittimare le altre istituzioni.
Il vulnus prodotto all’ordinato funzionamento dello Stato è tale questa volta da non poter fare finta di nulla, richiamando alle proprie gravose responsabilità in prima battuta proprio i vertici della magistratura, il cui intervento si rende ora necessario non tanto a difesa delle proprie prerogative e della propria immagine (così gravemente offuscata dal reiterato attacco berlusconiano) ma a presidio della stessa Costituzione.
Sul piano politico, le intemperanze del Cavaliere fanno inabissare il sogno di Walter Veltroni che, per aver puntato sconsideratamente tutto il proprio prestigio personale sul dialogo con il nuovo Berlusconi, è costretto oggi a rimediare l’ennesima figuraccia: battuto ripetutamente sul piano elettorale (una, due, tre volte?, stiamo perdendo il conto!) ma alla frutta pure quanto a prospettiva strategica.
Protesta intransigente contro l’uomo di Arcore ma mobilitazione solo a partire dal prossimo autunno.
Ha ragione: il Paese affonda, ma pacatamente, serenamente, andiamocene al mare!
E’ ormai messo così male sul piano dell’immagine che l’ingrato Berlusconi lo strapazza con poche parole taglienti: "E' incredibile che si proponga come leader politico".
D'altra parte, lo sterile ritornello ripetuto ieri da Veltroni all’ Assemblea nazionale del Partito democratico conferma in pieno il definitivo appannamento della sua stella politica che mai in questi mesi ha veramente brillato ma che nessuno poteva prevedere potesse spegnersi tanto velocemente: "Ma nessuno deve illudersi, noi non torneremo indietro, ai tempi del clima di odio e di contrapposizione ideologica tra maggioranza e opposizione".
Qualcuno gli spieghi che non sta più in campagna elettorale e che l’ultima l’ha archiviata con una batosta più unica che rara; sconfitta talmente sonora che il Paese è precipitato in poche settimane in un’atmosfera da incubo, sicuramente peggiore di quella del 2001, nonostante i fatti di Genova.
Senza la contrapposizione ideologica tra maggioranza e opposizione, come la chiama lui con disprezzo, stiamo scivolando rapidamente fuori dalla democrazia.
E il fatto che ripeta che indietro non si torna e che andare da soli e' stata una "scelta strategica" conferma che è ormai vittima del proprio narcisismo e che se Berlusconi si concede simili uscite è proprio perché alle sue parole fa da contraltare il pensiero debole di Veltroni.
E’ Arturo Parisi che prende il coraggio a quattro mani per farglielo subito notare: fa presente che il discorso appena pronunciato da Walter "è una comprensibile difesa di quello che è stato fatto. Purtroppo, però, l'unico giudizio sul nostro operato e sulla dirigenza resta quello degli elettori a livello nazionale, a Roma e nella Sicilia".
E giù l’attacco frontale: questa assise non ha il numero legale per poter eleggere i membri della Direzione Nazionale.
Che brutta accoglienza per il film "We can" di Walter Veltroni, nonostante il notevole sforzo promozionale di Repubblica. Ma si sa, in estate pochi vanno al cinema… e qualsiasi altro film in programmazione avrebbe fatto fiasco.
Ancora una volta ha ragione lui.
Alla fine della giornata riesce ad incassare la fiducia del parlamentino del Pd con l'unica concessione di dover riconoscere, meglio tardi che mai, la sconfitta patita.
Ma tranne il temerario Parisi nessuno osa contraddirlo apertamente: la sua resta la linea politica giusta. Per fare cosa questo non si sa.
Fa bene Romano Prodi, memore del tradimento subito da Veltroni quando a gennaio sedeva a Palazzo Chigi, a tenersi alla larga da un tale pasticcio politico ed a non cedere alle sue invocazioni di aiuto.

domenica 15 giugno 2008

La strigliatina di Scalfari a Veltroni

Gran brutto periodo quello che attraversa la democrazia italiana al giro di boa del solstizio d’estate. La crisi politico-istituzionale, lungi dall’imboccare l’uscita dal tunnel con l’avvio della XVI legislatura, si sta pericolosamente avvitando su se stessa.
Il rimedio, ovvero il governo del centrodestra, si sta rivelando peggiore del male, cioè le difficoltà di governare l’Italia nel pieno della prima vera crisi economica internazionale nell’epoca della globalizzazione.
Parlare di emergenza democratica, come dicono alcuni, forse non è fuori luogo.
I primi atti del governo di centrodestra confermano le peggiori aspettative, intrisi come sono di quel brodo di coltura in cui sono nati e si sviluppano alcuni movimenti politici con tendenze reazionarie.
La militarizzazione della politica che sta avvenendo da due mesi a questa parte, dopo una campagna elettorale orchestrata ad arte sui temi della sicurezza e dell’ordine pubblico, solleticando mai del tutto sopiti istinti xenofobi tra i cittadini, sta arrivando ad un punto di svolta.
Mandare l’esercito per le strade inevitabilmente prefigura il passaggio dallo stato di diritto ad uno di tipo autoritario, dove la sovranità non risiede più nel popolo ma nella classe dirigente; la quale, piuttosto che scendere in piazza per confrontarsi a viso aperto con i cittadini (o sudditi?), si chiude a riccio, asserragliandosi in un fortino militarmente presidiato.
Quello delle mimetiche sotto casa è pure uno scivolone sul piano della comunicazione che ci avvicina pericolosamente alle atmosfere inquietanti di certa America latina.
Il solo pensare che turisti stranieri in visita nelle nostre città d’arte possano imbattersi in convogli militari in perlustrazione fa semplicemente accapponare la pelle.
L’odierno editoriale su la Repubblica di Eugenio Scalfari mette in evidenza l’accelerazione drammatica che stanno prendendo gli eventi: a partire dal modo in cui si è approcciata l’emergenza rifiuti in Campania facendone una questione prettamente di ordine pubblico, al decreto legge poi rivisto in disegno di legge sulle intercettazioni, alla questione nucleare (aggiungiamo noi), vi è il tentativo di sottrarre al controllo dell’opinione pubblica questioni di fondamentale importanza per la crescita economica e sociale del nostro Paese.
Parlare di interventi da parte dell’esecutivo velleitari o, peggio, come dice incautamente a proposito dei militari spediti per strada il capogruppo del PD Anna Finocchiaro, buoni “a compiacere la vanità del ministro della Difesa”, significa non avere minimamente compreso la gravità dello stato di salute della nostra democrazia al cui capezzale, come osserva giustamente Scalfari, non può essere lasciato solo il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Nonostante l’analisi scalfariana sia per una volta del tutto condivisibile, non possiamo non osservare che se siamo caduti così in basso molte delle responsabilità vanno attribuite proprio alle reiterate iniziative sbagliate prese dai dirigenti del Partito Democratico in questi mesi, spesso con il beneplacito proprio del fondatore di Repubblica che oggi, lui per primo, dovrebbe recitare il mea culpa.
Scelte sciagurate che da mesi denunciamo e che, a dispetto delle magnifiche sorti e progressive additate da Walter Veltroni con suggestioni hollywoodiane, hanno contribuito a portarci in poche settimane a qualcosa che appare ora eufemistico definire dittatura dolce.
Lo ha finalmente capito anche Eugenio Scalfari che, forse giudicando la misura colma, arriva a fare una bella lavata di testa al supponente Walter che da mesi insiste nel tenere aperto, o meglio, spalancato, il dialogo con Silvio Berlusconi.
Si chiede giustamente Scalfari come sia possibile affrontare con il cavaliere il tema impervio delle riforme istituzionali quando, contemporaneamente, egli sta smontando pezzo a pezzo lo Stato di diritto.
Ecco alcuni passi del suo editoriale tra i più significativi: "La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme istituzionali e costituzionali.
E' evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono complessivo dell'opposizione".
E , preoccupato, si interroga: "Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei settori più sensibili della democrazia?" .
Con il prevedibile corollario: “Il Partito democratico ha un solo strumento per impedire questa deriva: decidere che non c'è più possibilità di dialogo sulle riforme per mancanza dell'oggetto. Se lo Stato viene smantellato giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare il Pd? E' qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata."
Aspettavamo da tempo lo smarcamento dello staff di Repubblica da un’opposizione ormai prona ai bisogni del Cavaliere, che ambisce solo ad aggiungere il proprio nome sui titoli di coda del film da lui diretto.
L’incontro di qualche giorno fa alle otto di mattina a Montecitorio tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e Veltroni, forse confidando con l’alzataccia di evitare sguardi indiscreti, potrebbe benissimo essere tratto da una pellicola di un grande del nostro cinema come il compianto regista Dino Risi.
Come è chiaro, quella di Scalfari più che una netta presa di distanze si configura come una solenne bocciatura della linea politica a scartamento ridotto intrapresa un anno fa dal gruppo dirigente del Partito democratico.
Ciò dovrebbe comunque servire a Walter Veltroni (finora inossidabile alle critiche) a decidere rapidamente cosa sia adesso più opportuno fare, non solo per il bene del suo partito ma per il futuro del Paese.
Non c’è più tempo da perdere.

domenica 8 giugno 2008

Governo ombra... o opposizione solare?

Sono trascorsi circa due mesi dalla catastrofe elettorale del centrosinistra ma ancora nessuno nello staff dirigente del PD ha incominciato a fare in pubblico un approfondito esame di coscienza.
La cosa è talmente sconcertante che un minimo di riflessione sopra andrebbe fatta.
Anche perché tra gli elettori di centrosinistra sta serpeggiando la sensazione che forse per il gruppo dirigente del PD tutto stia procedendo a gonfie vele cioè secondo i piani stabiliti.
Quali? Non ci è dato sapere, non sappiamo neppure se esistano davvero: forse, il dubbio si insinua a causa delle solite malelingue.
Ma quand’anche fosse stato alimentato ad arte da qualcuno, il fatto che carsicamente riemerga d’improvviso in ogni discussione da bar (purtroppo gli unici luoghi di vera discussione politica rimasti) la dice lunga sull’assoluta impreparazione degli uomini di Walterloo a gestire sia pure la Sconfitta.
A lanciare un sasso nello stagno ci ha dovuto pensare un professore, uomo del Professore: sì, avete capito bene, il prodiano Arturo Parisi.
Di certo a lui non va proprio giù il modo in cui Veltroni sta affrontando la situazione; ecco cosa afferma nell’intervista di Claudio Tito su la Repubblica di ieri:
"E’ stata una sconfitta storica. Se ne deve prendere atto. Eppure, a distanza di due mesi questa constatazione non ha ancora trovato un luogo per essere riconosciuta".
Successivamente parla di sconfitta politica, non di una semplice sconfitta elettorale. Poi aggiunge:
"I numeri parlano da soli. La sinistra radicale è scomparsa. Ma il centro, quello che amava proporsi come la sinistra moderata, non è riuscito a proporsi come un punto di riferimento per consensi nuovi. è questa la causa del risultato modesto del PD. Se siamo riusciti a tenere, è solo perchè gli apporti da sinistra hanno compensato quelli persi al centro o verso l' astensione. Esattamente l' opposto di quello ci si proponeva".
E prosegue: "Penso a Bettini e al suo "diritto alla rivincita". La preoccupazione che il riconoscimento della sconfitta chiami in causa le corrispondenti responsabilità soggettive sembra impedirci di analizzare anche la situazione oggettiva nella quale ci siamo cacciati. La paura che si ripeta quel che è successo nel '94 con Occhetto e nel 2000 con D' Alema, quando i due leader sconfitti sentirono la necessità di far derivare dal riconoscimento della sconfitta atti conseguenti, ci costringe a discutere della sconfitta solo in corridoio e a difendere in pubblico una sconfitta evidente come se fosse una vittoria insufficiente".
Ovvero per non scegliere di dimettersi, prendendosi le proprie responsabilità, Walter è costretto a fare finta di niente.
Anche se Parisi, nell’intervista, nega a parole di chiedere le dimissioni di Veltroni; ma il suo messaggio resta chiarissimo:
"Non è in discussione Veltroni, ma certamente serve una nuova leadership collettiva. Che, però, può nascere, rinnovarsi o rafforzarsi solo all' interno di un confronto vero. Quello appunto che avevo immaginato cercasse Veltroni con l' apertura di un percorso congressuale. Non è all' insegna della continuità che Veltroni può immaginare di rafforzare la sua guida del partito. Altro che rivincere. Nella continuità non possiamo che riperdere".
Ci voleva il moderato Arturo Parisi, l'uomo di Romano Prodi non un estremista bolscevico, a dichiarare che re Walter è nudo.
Mentre gli ex DS fanno orecchie da mercante, sembrando in tutte altre faccende affaccendati.
Di fronte alle premesse di un autunno che si preannuncia davvero difficile con un governo in carica destinato a farci rimpiangere il peggiore esecutivo della prima repubblica, analizzando i suoi primi atti (immigrati, frequenze televisive, nucleare, ponte di Messina, intercettazioni telefoniche, rapporti con il Vaticano, problema rifiuti, emergenza economica, missioni militari), urge un chiarimento politico che vada fino in fondo per ricostruire al più presto non un governo ombra ma un’opposizione solare.
Perché del governo ombra gli Italiani di destra, di centro o di sinistra, non sanno veramente cosa farne: i più, quando qualcuno ne fa cenno, scuotono sarcasticamente la testa.
Ennesima dèbalcle veltroniana, suggello di una stagione politica da dimenticare.

domenica 1 giugno 2008

L'opposizione che non c'è

La brusca accelerazione impressa dal governo Berlusconi alla questione rifiuti in Campania rappresenta, come da manuale, la classica risposta che un governo di destra predilige una volta messo di fronte ai complessi problemi di una società moderna.
Nonostante siano conclamate le gravissime responsabilità di un intero ceto politico e di una classe dirigente che ha costruito per decenni le sue fortune su rapporti affaristico clientelari rinunciando alle più elementari regole di una buona amministrazione pubblica, il riflesso pavloviano del potere è quello di trasformare un ordinario problema di igiene ambientale in uno, straordinario, di ordine pubblico.
I problemi fatti incancrenire dalla nomenklatura per decenni vengono quindi scaricati di nuovo sulla popolazione, costretta a vivere da mesi in mezzo ai miasmi dell’immondizia sotto casa, senza peraltro trarne le conseguenze politiche del caso. Così il governatore della Campania Antonio Bassolino ed il sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, invece di fare pubblica ammenda delle loro colpe insieme ai tanti burocrati preposti in quindici anni all’emergenza rifiuti, caldeggiano la svolta autoritaria per porre fine alla fase di emergenza anche in palese violazione della legge e della Costituzione: se questo non è un harakiri della Casta, poco ci manca.
La discarica di Chiaiano s’ha da fare, punto e basta.
Sono queste le intenzioni di Palazzo Chigi che ha trovato, per molti simpatizzanti del PD, l’inatteso via libera dell’opposizione mentre gli accertamenti tecnici per stabilire la validità del sito sono partiti solo da pochi giorni ed il loro esito è in fieri.
Se non fosse che il premier già anticipa: “Le nostre relazioni tecniche ci danno sicurezza che il sito sia idoneo”.
Preoccupano inoltre le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a proposito dell’inchiesta giudiziaria che vede inquisiti alcuni funzionari della Protezione civile: “Non si può pensare alle leggi come ad un moloch valido in ogni circostanza, devono essere adattate per il vivere bene dei cittadini”.
Come a dire che rispettare le leggi è un lusso che, con l’attuale stato di eccezionalità, non ci possiamo permettere.
Quale strappo costituzionale si stia consumando in questo modo è lampante.
Per giunta, dalle conseguenze incalcolabili dato che, se una democrazia deraglia, per un banale problema di nettezza urbana, dal binario delle garanzie costituzionali, si produce comunque un vulnus allo stato di diritto difficilmente rimarginabile, rappresentando, anche con gli esiti migliori, un pericoloso precedente.
Perché in futuro in mille altre occasioni, invocando lo stato di eccezionalità, un esecutivo potrebbe neutralizzare parti della Costituzione.
Così le declamate regole del gioco, alla cui revisione dichiara di tenere così tanto Walter Veltroni, vengono parzialmente e temporaneamente sospese senza che dal loft democratico si obietti alcunché; anzi, rinunciando in anticipo a qualsiasi forma di mediazione con la popolazione.
Sono mesi che parecchi osservatori mettono in guardia contro questo modo di fare politica che, scambiando le buone maniere con la confusione dei ruoli, sta repentinamente rendendo sterile la nostra democrazia.
Un organismo vivente è sano e si sviluppa in modo equilibrato se dispone di un robusto sistema immunitario: in una democrazia questo dovrebbe essere incarnato dall’opposizione.
Così purtroppo non è con l’attuale leadership del Partito Democratico.
Che, in tempi di pace e senza l’impellenza destabilizzante di una cataclisma naturale (per fortuna!), si rinunci ad esigere il pieno rispetto dei principi costituzionali sacrificandolo prioritariamente alla difesa corporativa dei propri uomini d’apparato (perché mai non sono stati dimissionati?), è qualcosa di veramente abnorme.
A meno che non ce la volessimo prendere semplicemente con il calendario ed il caldo estivo.
Mai la festività repubblicana del 2 giugno era stata celebrata in un’atmosfera tanto cupa e sconfortante.

domenica 25 maggio 2008

Quando la politica vola troppo alto

Alcuni passaggi del discorso di Veltroni al forum dei circoli lombardi del Partito Democratico rivelano, più di quanto non sia stato letto e discusso in questi mesi, che il giovane Walter si trova a svolgere un ruolo, quello di capo partito, che gli comincia a stare stretto perché troppo al di sotto delle sue possibilità. Sì, avete letto bene, al di sotto.
A conferma di ciò basta sfilare alcune perle da lui pronunciate nell’incontro tenuto ieri a Milano.
"L'Unione è un'alleanza che non basta perchè può far vincere le elezioni ma il problema è che bisogna vincerle anche la volta dopo. Noi pensiamo solo ad un'alleanza dove al centro c'è il programma e per questo guardiamo a tutti, compresa una parte della sinistra Arcobaleno".
"Quando però alle manifestazioni sento slogan come '10-100-1000 Nassiriya' penso che siamo agli antipodi di ciò che bisogna fare"
.
"Noi volevamo cambiare le regole se avessimo vinto ma le vogliamo cambiare anche adesso che siamo all'opposizione. Tra cinque anni governeremo noi e dobbiamo avere un Paese che consenta un'azione riformista".
"Il governo Prodi ha fatto bene, ma la sua maggioranza ha fatto male e questo ha creato una situazione difficile".
Sono affermazioni veramente illuminanti; esaminiamole con attenzione.
Per quanto riguarda l’insufficiente tenuta politica dell’Unione, la preoccupazione di Veltroni sarebbe dovuta al fatto che egli non si accontenterebbe di un solo quinquennio di governo, dando già ora per certa la sconfitta alla successiva tornata elettorale (calendario alla mano, sta parlando del 2018!). Quindi, lascia intendere, meglio cominciare a perderle subito andando da soli anche alle Politiche del 2013 (quando cioè si dovrebbe tornare a votare dopo i 5 anni dell’attuale governo Berlusconi IV, il cui intero mandato, a questo punto, dà per scontato).
Un ragionamento esemplare: da adesso in poi appelleremo Walter Veltroni semplicemente The Genius!
Ma questo è solo un assaggio, perché per farci apprezzare fino in fondo le sue grandi capacità di fine politico arriva subito dopo una stoccata: sì ad aperture alla Sinistra Arcobaleno ma… sbattiamole subito la porta in faccia attribuendole l’indecente '10-100-1000 Nassiriya' .
Ricordate?
Era lo slogan a suo tempo evocato dal centrodestra per addossarne la paternità alla sinistra pacifista, grazie al quale molti esponenti di Alleanza Nazionale o di Forza Italia si sono sottratti per mesi nei talk show televisivi alle loro responsabilità sullo sciagurato intervento militare italiano nell’assurda guerra irachena.
Attribuire alla Sinistra Arcobaleno parole mai dette dai suoi esponenti politici, pronunciate in piazza da qualche scalmanato, per di più di dubbia appartenenza politica, è un ben misero e squallido espediente che denota la sua grande onestà intellettuale e l’enorme statura politica.
A corto di argomentazioni e non sapendo guardare al di là del proprio naso, Veltroni getta discredito sulla Sinistra mettendole in bocca cose che non stanno né in cielo né in terra, rispolverando metodi di lotta politica che si pensava fossero definitivamente seppelliti da tempo immemorabile anche in Russia.
La sua certezza di vincere tra cinque anni ci lascia poi di stucco: aveva commesso l’errore, sia pure solo psicologico, di non prevedere ad una manciata di giorni dal 13 aprile quale disastro elettorale lo attendesse ma ora, finalmente, sente la vittoria vicina. Tra cinque anni.
Che dire? The Genius è più bravo di Nostradamus!
E poi, quale migliore auspicio per Berlusconi apprendere dal leader dell’opposizione che il suo governo durerà per l’intera legislatura?
Non pago degli attestati di illimitata stima ricevuti dal centrodestra, l’impareggiabile Walter lascia alla riflessione domenicale dei circoli forse la sua più acuta intuizione: il governo Prodi ha fatto bene ma la sua maggioranza ha fatto male.
Se nel PD ci fosse qualcuno ancora restio a firmargli una cambiale in bianco, adesso dopo questa sua ultima folgorazione, ne siamo certi, si sarà definitivamente votato alla sua causa.
E’ la profondità di pensiero che sconvolge.
Perché The Genius introduce nel dibattito politico un livello di astrattezza tale da sembrare, per noi comuni mortali, aria fritta: un governo può far bene ma la sua coalizione, per le stesse ragioni, fa male.
E’ una riflessione così sottile e penetrante da farci venire il mal di testa.
Comprendiamo solo adesso pienamente quale rinuncia sia stato imposta al cinema italiano nel non poter più contare a tempo pieno, per i sopravvenuti impegni politici di vertice, sul puntuale pungolo delle sue sagaci recensioni.
Ma siamo fiduciosi che gli sia al più presto consentito, grazie all’avvicendamento con qualche collega di partito, purtroppo certamente meno dotato di lui, di tornare alle sue mai archiviate carte di critico cinematografico.

giovedì 8 maggio 2008

L'ultimo schiaffo a Prodi

Martedì sera a Ballarò abbiamo appreso dalla viva voce di Pierluigi Bersani, già ministro dello sviluppo economico nel governo Prodi, due importanti novità:
1) se il PD non si fosse presentato alle elezioni da solo ma insieme alle altre forze costituenti la maggioranza del governo uscente, lui stesso non sa se avrebbe votato per l’Unione;
2) “senza un minimo di chiarezza programmatica”, ritiene inevitabile abbandonare l’alleanza con la sinistra nelle amministrazioni locali per non subire i no alla costruzione di rigassificatori, ecc.
Conclusione: il gruppo dirigente del Partito Democratico invece di lasciare, come il buon senso suggerirebbe dopo l’irripetibile e disastroso risultato elettorale, addirittura raddoppia minacciando di uscire pure a livello locale dalla tradizionale alleanza di tutte le sinistre.
Il cataclisma amministrativo che ne deriverebbe un po’ ovunque nella penisola e soprattutto nelle cosiddette regioni rosse è di tutta evidenza.
Ma può un passaggio politico così impervio essere annunciato en passant in un salotto televisivo senza prima essere deliberato dai vertici del partito e suggellato da un chiaro pronunciamento della propria base elettorale?
Dopo le altrettanto gravi parole di Franceschini di alzare la soglia di sbarramento alle Europee del 2009 (a parole, blaterando di un bipartitismo che a Bruxelles è semplicemente improponibile; nei fatti per far fuori anche lì tutte le minoranze), si ritorna inevitabilmente al quesito posto da questo blog soltanto due settimane fa.
Com’è possibile che la classe dirigente del Partito Democratico, che dal 14 aprile dovrebbe stare in ritiro spirituale per recitare umilmente e sommessamente il mea culpa (avendo consegnato con tre anni di anticipo il Paese alle destre e condannato Romano Prodi all’oblio!), non ha ancora fatto il classico passo indietro?
In forza di quale delega resta al comando del PD senza rispondere della propria dissennata condotta politica?
Perché qui non è più questione di strategia elettorale, è in atto un vero e proprio ribaltamento di linea politica o meglio un processo di mutagenesi ideologica.
Il PD nella versione di Bersani, Franceschini e di tutto l’attuale gruppo dirigente si colloca molto più a destra della vecchia rimpianta balena bianca: il pensiero politico di Moro, Zaccagnini e dello stesso De Mita è stato molto più avanzato sulle questioni economiche e sociali di quanto non dimostrino gli attuali capi democratici.
Non sorprende quindi che qualcuno nelle elezioni di Roma abbia potuto vedere in Alemanno (erroneamente ma comprensibilmente!) un’espressione politica più a sinistra dell’attuale gruppo dirigente del PD che proprio nella capitale esibiva la massima rappresentazione del suo sistema di potere.
L’ultima puntata di Report di Milena Gabanelli “I re di Roma” è assai rivelatrice, dimostrando che la sconfitta di Roma, piuttosto che una inattesa battuta d’arresto, è la conseguenza inevitabile di un grave fallimento politico, maturato nel corso degli ultimi 15 anni di giunte Rutelli-Veltroni.
Un’ultima notazione: le lodi che Bersani ha intessuto a Romano Prodi nello studio di Giovanni Floris sono state, al di là delle facili apparenze, un piccolo capolavoro di ipocrisia e di spregiudicatezza politica, implicitamente (e neanche troppo!) sottolineando la sua presa di distanza dall’esperienza di governo del Professore.
Ma di quel governo egli non è stato forse fino all’ultimo uno dei più influenti suggeritori e, mediaticamente, sicuramente il massimo esponente?

martedì 29 aprile 2008

La Quercia caduta

Scrive il direttore di la Repubblica Ezio Mauro nel commento di oggi sul voto per il Campidoglio:
Un voto, bisogna dirlo con chiarezza e subito, del tutto ideologico, che viene in gran parte dalla sinistra radicale, così convinta dalla tesi autoassolutoria che vede nel Pd la colpa della sua scomparsa dal Parlamento, da far pagare al Pd la battaglia di Roma, lavorando contro Rutelli. Per questi cannibali fratricidi, grillisti e antagonisti, Rutelli era il bersaglio ideale, come anche per qualche estremista del Pd: troppo cattolico, importatore della Binetti, amico dei vescovi, come se la scommessa fondativa e perenne del Pd non fosse quella di tenere insieme, a sinistra, cattolici ed ex comunisti. Un ideologismo a senso unico: che serve ad azzoppare la sinistra, facendola perdere, mentre non scatta per bloccare l'uomo di An in marcia verso il Campidoglio. Anzi.

È da qui, oggi, che deve partire Veltroni. Guardando in faccia questo problema grande come una casa, la sindrome minoritaria della sinistra. Con il vantaggio che Roma dimostra - sommando il fuoco amico su Rutelli e le astensioni - come con la sinistra radicale e il suo ideologismo suicida non si possano ipotizzare alleanze, se non per perdere.”


Lo avevamo previsto sin da ieri: l’analisi politica elaborata dallo staff di Repubblica è scientemente miope e assolutamente infondata.
Non è forse vero che senza il contributo determinante di Veltroni, la Sinistra non sarebbe scomparsa dal Parlamento?
Non è forse Veltroni (naturalmente si intende il gruppo dirigente che si rifa a lui) che ha reso la parola Sinistra, attraverso un linciaggio mediatico unico al mondo grazie alla collaborazione non disinteressata del Cavaliere, del tutto fuori moda, senza alcun appeal?
L’aver tagliato le radici culturali, le proprie più autentiche e appassionate origini popolari, ha significato segare l’albero in cui da un secolo era stata costruita l’alternativa democratica ai poteri forti: costruire il PD non doveva necessariamente significare abbattere la Quercia.
Com’è possibile ancora non rendersene conto?
Le mille candidature sbagliate, in forza di una legge elettorale pessima (o adesso non lo è più?!), hanno rivelato l’esistenza all'interno del Partito Democratico di un direttorio isolato, che ha perso completamente il contatto con la realtà e con la propria base elettorale: un ceto politico radical per convenienza e chic per modello culturale di riferimento, che non nasconde di condividere gli stessi valori ideali del centrodestra.

La Sconfitta era nell’ordine delle cose: strapazzare il governo Prodi, quando fino a prova contraria i DS ne sono stati l’anima ispiratrice, calunniandolo di ogni nefandezza dopo la caduta; gridare ai quattro venti che con la Sinistra non sarebbe stato più possibile costruire nulla insieme (ma il governo Prodi non è caduto per colpa dei Mastella, dei Dini, ecc.?); appiattirsi su una proposta politica praticamente identica a quella di Berlusconi non poteva che portare dritti dritti a questo risultato disastroso.
Quanto al fatto che con la Sinistra, per Ezio Mauro, non si possano ipotizzare alleanze se non per perdere, si tratta di un’affermazione del tutto insensata, smentita inoppugnabilmente dai fatti.
Il Partito Democratico, andando in campagna elettorale da solo e contro i propri tradizionali alleati, ha fallito su tutti i fronti.

Quel che è peggio, lo ha fatto in maniera così netta, senza alibi o scusanti, da non permettere neanche di sperare a medio termine in una rivincita: il buon Walter, consiglio spassionato, farebbe meglio a rendersene conto prima di essere paracadutato dai suoi stessi compagni di cordata.
Del resto se si tagliano i ponti con spocchiosa presunzione con una larga fetta della società civile, dei movimenti, dell’ambientalismo, del pacifismo, del grillismo, favorendo in modo decisivo il loro allontanamento dal Parlamento, come poi si può pretendere che questi stessi settori dell’opinione pubblica firmino una cambiale in bianco a favore del gruppo dirigente del PD, reo di averne organizzato l’ostracismo (come le parole di Ezio Mauro confermano per l'ennesima volta)?
Come si vede l’analisi politica del direttore di la Republica è un coacervo di pregiudizi, di abbagli, di contraddizioni.
Ma, a questo punto, sarebbe non solo ingeneroso ma tecnicamente assai scorretto, prendersela con Francesco Rutelli che, nell’occasione, è apparso più che altro una vittima sacrificale predestinata.

Il suo grande errore è stato, purtroppo, quello di non aver capito in tempo, accettando la candidatura a sindaco della Capitale, quale polpetta avvelenata l’amico Veltroni gli stava rifilando.

Lo ha capito forse prima delle elezioni politiche del 13 aprile, ne siamo convinti, ma era ormai troppo tardi per tirarsene fuori.

lunedì 28 aprile 2008

Grazie Roma, che mandi a casa una pessima emozione...

Con la sconfitta di Francesco Rutelli a Roma, Bulldozer Veltroni demolisce definitivamente il centrosinistra.
L’opera di guastatore dell’Unione cominciata con la nascita del Partito Democratico è adesso completata: pure la ciliegina sulla torta!
Consegnare la Capitale al centrodestra era un’impresa praticamente disperata, dato che soltanto due anni fa egli aveva trionfato con una percentuale formidabile.
Grazie alla sua spregiudicata concezione della politica che non trova sconveniente mettere in lista, in un partito che dovrebbe rappresentare prioritariamente la classe lavoratrice, fior di imprenditori, anche questo risultato è stato raggiunto.
Se fosse un partito serio, il PD dovrebbe convocare a stretto giro di posta i suoi stati generali per decidere lo scioglimento: non bastano tre milioni e mezzo di voti tributati sei mesi fa a Veltroni, per dare un futuro ad un partito transgenico che ha perduto il senso della sua missione e con esso la sua straordinaria anima popolare.
Ma vedrete che non succederà niente e i vari Fassino, Cofferati, Bettini (…e Scalfari!) difenderanno imperturbabili le magnifiche sorti e progressive del sogno veltroniano.
Grazie Roma, che mandi a casa una pessima emozione…

lunedì 14 aprile 2008

Il peggiore risultato elettorale dai tempi della Resistenza

Probabilmente la sinistra italiana non avrà alcun rappresentante nel prossimo parlamento.
E’ una notizia che lascia senza parole.
Si può dire tutto il peggio possibile della classe dirigente di quei partiti che erano confluiti nel cartello elettorale “la Sinistra l’Arcobaleno” ma, di certo, non meritavano un risultato tanto disastroso, unico nella storia dell’Italia repubblicana.
Allontanato lo spettro del governo delle larghe intese, un’offesa per l’intelligenza degli Italiani e una grave lesione della nostra Costituzione, è giusto che Berlusconi, Bossi & c. possano governare indisturbati.
Ne vedremo delle belle…
Il segretario del PD Walter Veltroni ostenta soddisfazione ma ha dimostrato di non essere all’altezza del compito che tre milioni e mezzo di simpatizzanti gli hanno conferito nelle primarie, flirtando fino in fondo con Berlusconi dopo averlo rimesso in campo dal fuorigioco in cui era caduto nel novembre scorso.
Ha detto politicamente per mesi le stesse cose di Berlusconi cercando di attirare il consenso degli elettori semplicemente mostrandosi davanti alle telecamere più serio, più moderno, più preparato ma senza indicare alcun progetto politico alternativo.
Che cosa raccoglie? Forse un 1-2% in più della somma dei voti di DS e Margherita ma al prezzo della débacle di tutti i partiti di sinistra, grazie ad una campagna mediatica completamente bipolarizzata.
Davvero una grande pensata quella di presentarsi alle elezioni da solo!
E adesso teniamoci inceneritori, nucleare, ponte di Messina, precarietà del lavoro, leggi vergogna, monopolio televisivo, militari impegnati a fianco degli States in ogni angolo del Pianeta e… chi più ne ha più ne metta!
Il fronte antiberlusconiano è da rifondare con tutta la sua classe dirigente.
Un solo grido: tutti a casa!

domenica 6 aprile 2008

Per il dopo voto, si preannuncia la vera spallata

Ad ormai una settimana dalle elezioni il quadro politico italiano resta sconfortante.
La campagna elettorale affonda sotto sterili slogan e promesse al vento mentre tutto attorno stanno crollando, l’una dietro l’altra, le poche impalcature ancora in piedi dello stato sociale.
L’inflazione (finalmente se n’è accorta anche l’Istat!), è alle stelle: oltre al preoccupante livello raggiunto, 3,3% annuo, questo è il peggior dato degli ultimi dieci anni. Per ritrovare un tasso superiore occorre risalire addirittura al settembre 1996, con il 3,4%.
L’emergenza rifiuti in Campania (e non solo lì) è tutt’altro che superata, l’Alitalia è al collasso, adesso perde colpi anche il settore agroalimentare, investito da una pesantissima quanto improvvisa crisi che trova come capri espiatori la mozzarella di bufala e il vino (due indiscussi simboli del made in Italy) a causa della contaminazione da diossina e dell’adulterazione scellerata operata da alcune aziende vinicole miscelando sostanze tossiche.
Dal servizio di Report di qualche settimana fa, sappiamo con certezza che a pochi metri di distanza da discariche a cielo aperto in cui vengono illegalmente sversate e criminalmente bruciate montagne di rifiuti, si coltiva, senza nessun controllo sanitario, frutta e verdura destinate alle tavole degli italiani; mentre gli allevamenti di ovini situati nei paraggi subiscono un’ecatombe per aver brucato erba contaminata.
Ma il cahier de doléances non finisce qui...
Il disastro delle ferrovie italiane è quotidianamente confermato dagli sventurati che hanno ancora l’ardire di recarsi al lavoro utilizzando il treno.
Per capire in quali acque navighi la Telecom basta scorrere il listino di borsa o, più stoicamente, tentare il percorso ad ostacoli del 187, dove è già un successo riuscire a parlare con un operatore in carne ed ossa; che poi i singoli operatori diano, di volta in volta, risposte diverse ad una stessa reiterata richiesta è un particolare tutto sommato secondario.
Se la mission aziendale di Telecom è finire a Waterloo, i suoi manager possono già ritenersi soddisfatti.
Quanto alle società multiutilities, tra Enel, Eni e aziende locali, il cittadino consumatore è stritolato nella morsa dei prezzi in continua ascesa: poco importa se dipenda dal petrolio, dalla forza dell’euro, dalla rete distributiva o dai meccanismi di mercato poco trasparenti.. la corsa al rialzo non ha freni.
Per lo sviluppo di fonti alternative di energia (vedi fotovoltaico), qualche passo in avanti è stato fatto dal governo Prodi ma l’Italia resta ancora molto indietro rispetto ai maggiori paesi europei.
Sul fronte giustizia nessuna novità importante per i cittadini che si misurano quotidianamente con l’inefficienza cronica degli uffici giudiziari; la lotta alla criminalità organizzata langue, malgrado l’arresto di qualche nome di spicco.
Circa la situazione dell’ordine pubblico basta vedere cosa succede puntualmente ogni domenica quando è in programma qualche sfida calcistica di rilievo; intanto, restano impuniti i reati da macelleria messicana perpetrati da alcuni elementi delle forze dell'ordine durante il G8 di Genova del 2001.
Quanto alle cosiddette leggi vergogna, malgrado i roboanti proclami del centrosinistra e due anni di governo Prodi, restano ancora tutte in vigore.
Se poi volessimo approfondire i problemi irrisolti di scuola, università, ricerca scientifica, riforma della pubblica amministrazione, assetto istituzionale del Paese, riforma degli ordini professionali, ecc., già saremmo costretti ad issare bandiera bianca.
Si può concludere, senza nessun disfattismo, che non c’è settore della vita nazionale dove le cose vadano per il verso giusto grazie ad una politica illuminata.
La realtà è che i nostri politici non si stracciano le vesti né si sbracciano per intervenire a fondo sulle mille emergenze del nostro Paese. Al contrario, in una logica del tutto autoreferenziale, sono intenti a consolidare il loro status di privilegiati a dispetto dei cittadini che reclamano risposte concrete ai loro spinosi problemi. E' pur vero che molti di loro sono di una incompetenza disarmante.
Dello stato di malessere sociale in cui ci hanno ridotti non risponde più nessuno; per i leader dei due schieramenti diventa ininfluente persino il risultato elettorale.
Domenica scorsa, così si è pronunciato Walter Veltroni, leader del Partito Democratico, replicando a chi gli chiedeva che intenzioni avesse in caso di sconfitta elettorale: "Ho preso un impegno per fare un grande partito, il Pd, e continuerò ad assolvere l'impegno preso il 14 ottobre con tre milioni e mezzo di persone, lo farò fino a quando non potrà essere superato da una scadenza analoga, fino ad allora ho il dovere etico di continuare a guidare il Pd".
Dal canto suo, Silvio Berlusconi gigioneggia e coglie l’occasione di un incontro con la Coldiretti per mettere in piedi lo sketch della mozzarella: ne addenta un morso, porta la mano al cuore fingendo di accusare un malore, si flette all’indietro come avvelenato dalla diossina, poi se la mangia tutta d’un fiato mostrando sommo piacere.
Insomma, anche la brutta storia delle contaminazione alimentare diventa il pretesto per uno show di cattivo gusto.
Su un’altra ribalta, malgrado abbia fatto di tutto per arrivare alla rivincita elettorale, il Cavaliere dichiara di abbracciare malvolentieri la croce del governo anche perché certo di avere poi contro tutte le istituzioni: "Sappiamo di andare verso una situazione difficile, con tutte le istituzioni contro, la Corte, il Csm e la stragrande maggioranza dei giornali. E poi sappiamo che il premier non ha alcun potere. Ha solo l'autorità e il diritto di formulare l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri".
Come sia stato possibile che alcuni mesi fa Veltroni, con Prodi ancora ben in sella a Palazzo Chigi, abbia dato credito ad un tale personaggio per progettare le riforme istituzionali, resta un mistero.
Per fortuna, mancano solo sette giorni alla fine di questo spettacolo indegno, con i due maggiori protagonisti che fingono di tirarsi fendenti ma sotto sotto aspirano alle oligarchiche larghe intese, ovvero a dare l'ultima spallata alla nostra democrazia rappresentativa.

domenica 30 marzo 2008

La campagna promozionale di PD - PDL: è partito il "Fuori Tutto!"

Il Financial Times, come abbiamo visto nella corrispondenza da Roma di sabato 22 marzo, ha ridicolizzato la campagna elettorale italiana.
In particolare ha preso di mira Walter Veltroni e Silvio Berlusconi che hanno cercato al momento della formazione delle liste (folcloristica, potrebbero dire gli inglesi), di modellare il prossimo Parlamento a propria immagine e somiglianza.
Che il prestigioso quotidiano economico dica qualcosa che è sulla bocca di tutti, qui in Italia, non ci meraviglia: non a caso Beppe Grillo ha preannunciato da giorni di poter dare un nome e cognome ai prossimi senatori e deputati molto prima che si aprano le urne per votare.
Ciò che stupisce è che mentre di solito il Financial Times viene citato dalla stampa di casa nostra ad ogni stormir di fronda con l’enfasi dell’Enciclopedia Britannica, in questo caso l’editoriale è passato del tutto inosservato.
Eppure questa volta sarebbe stato assai opportuno raccontare come dall’estero si guardi alla politica italiana in un momento così delicato.
Ma i media, bipolarizzati tra Partito Democratico e Popolo delle Libertà, hanno deciso di tacere, a dimostrazione di quanto abbiano a cuore i princìpi di trasparenza e di completezza dell’informazione e, quindi, in quale considerazione tengano i cittadini e la società civile.
Il giudizio caustico del Financial Times ha avuto, guarda caso, una qualche eco proprio su Il Messaggero di Roma, che fa capo al gruppo Caltagirone; e, come si sa, l’UDC di Pierferdinando Casini, marito di Azzurra Caltagirone, si è recentemente smarcato dall’asse Veltrusconi e gareggia per conto suo.
Sta di fatto che i due colossi dai piedi d’argilla, dopo aver mandato a picco una legislatura con tre anni di anticipo, stanno affondando anche questa campagna elettorale, riempiendola di vuoti slogan e di proposte per il dopo voto così estemporanee e insulse da rasentare il ridicolo: come quella di aumentare le pensioni minime di 400 euro all’anno per gli ultrasessantacinquenni.
Certo, meglio di niente, si è tentati di dire.
Ma tale aumento come verrebbe finanziato? Con il famigerato tesoretto o tagliando risorse da qualche altra parte? E perché non ci si è pensato prima, magari durante quella che doveva essere la fase due del governo Prodi? Infine, perché tale idea non è stata riportata nero su bianco e con tutti i riferimenti del caso nel programma elettorale del Partito Democratico?
Insomma, è una proposta che Veltroni ha buttato lì, tanto per fare clamore e smuovere le acque stagnanti di questa plumbea corsa al voto.
Il classico coniglio tirato fuori dal cilindro, secondo uno stile da televendita che, paradossalmente, ha reso celebre proprio il suo avversario di Arcore.
Se questo deve essere il livello del confronto tra i due partiti, suggeriamo a Veltroni di rendere più allettante la sua offerta promozionale aggiungendo per ogni pensionato magari un servizio di piatti da sei in fine porcellana ed un set di valigie da viaggio in similpelle con serratura di sicurezza.
Berlusconi, da par suo, per ottenere una maggioranza sicura al Senato, potrebbe rispondere promettendo ai suoi elettori di età superiore ai 25 anni un abbonamento gratuito per un anno al digitale terrestre con tutte le partite in diretta della squadra del cuore…
Ormai è chiaro: invece di rispondere al grido di Beppe Grillo Fuori tutti!, PD e PDL si danno al Fuori Tutto! cercando di accalappiare gli elettori con promesse elettorali sottocosto.
Che squallore!

lunedì 24 marzo 2008

Dopo il voto, c'è sempre la Casta

Nel giorno di Pasquetta, è possibile tirare una linea e fare un primo bilancio della campagna elettorale, ormai a tre settimane dal voto.
Alcuni osservatori che vanno per la maggiore l’hanno definita la miglior campagna elettorale della seconda repubblica ma questo dimostra, una volta di più, come il mondo dell’informazione sia agli antipodi del mondo reale.
Sì, perché mai come in quest’occasione la campagna elettorale si trascina, a voler essere generosi, nella più completa indifferenza: pochi comizi, poca gente in piazza, molti nervi scoperti quando qualcuno la mette in politica, anche se sta semplicemente sorseggiando un caffé al tavolino di un bar.
Molti leader, in viaggio per lo Stivale, vengono accolti da sparuti gruppi di curiosi, con qualche luogotenente locale che cerca alla men peggio di organizzare la claque.
Ormai le riunioni politiche si fanno in luoghi chiusi perché in piazza la desolazione che li accompagna sarebbe veramente insopportabile.
E’ la campagna elettorale dove solo i segretari di partito battono il Paese provincia per provincia: i candidati prescelti se ne stanno al calduccio, in attesa che il leader passi dal loro collegio per organizzare su due piedi un incontro pubblico in cui lo affiancheranno silenziosi per poi tornarsene disciplinati dietro le quinte.
Beppe Grillo ha detto che prima del voto pubblicherà i nomi degli eletti delle prossime elezioni: ha perfettamente ragione, dato che tra collegi blindati e candidature decise a tavolino, il prossimo Parlamento ha una fisionomia già ampiamente nota.
Non è difficile pronosticare che sugli scranni parlamentari siederanno gli amici degli amici degli amici e, mentre il giudice Clementina Forleo è lasciato solo a subire una vera tempesta disciplinare per lo zelo dimostrato nell’inchiesta Antonveneta, molti furbetti del quartierino varcheranno i portoni di Montecitorio e Palazzo Madama per infliggerci un sonoro schiaffo immorale.
Ormai la campagna elettorale resta appannaggio degli schermi televisivi dove, tra Berlusconi e Veltroni, siamo alle comiche: l’uno che dice di avere in tasca la cordata di imprenditori che salverà l’Alitalia; l’altro che gli rinfaccia di bluffare, forse memore del pessimo stato in cui gli ultimi capitani coraggiosi hanno lasciato la Telecom.
Entrambi si accusano vicendevolmente di ripetere le stesse cose ma poi, con sfumature diverse, concordano sul voto utile.
Per interrompere le prove tecniche di Veltrusconi, è dovuto intervenire addirittura il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricordando ai due che non esiste il voto inutile.
Ma è possibile che l’Italia si meriti uno spettacolo così scialbo?
Possibile che la classe politica non sappia alzare il livello del confronto dialettico al di sopra del goffo duello tra i leader di PD e PDL e non sappia vedere nella campagna elettorale un’ultima occasione per entrare in sintonia con il cupo umore del Paese?
Perché non è solo questione di una pessima legge elettorale: quella a cui assistiamo ormai quotidianamente è proprio una grave crisi di identità della Casta, la sua anticipata rinuncia a qualsiasi serio progetto di cambiamento della società italiana.
Insomma, quando non combinano direttamente guai, spesso i nostri politici non hanno la minima idea di come affrontare i problemi del Paese e si limitano a gestire male l'ordinaria amministrazione.
In questo senso il caso Alitalia è molto simile all’emergenza rifiuti a Napoli: entrambe le questioni dimostrano l’impreparazione, l’insipienza, l’ottusità della nostra classe dirigente, al di là della casacca indossata.
Problemi fatti incancrenire per anni senza mai il coraggio, o forse l’orgoglio, di venirne a capo sciogliendone finalmente i fili aggrovigliati: si decide di non decidere per non ostacolare i corposi, illegittimi, interessi di pochi; molto spesso illeciti.
Ma che razza di democrazia è quella che si piega alle pressioni oligarchiche e resta del tutto indifferente ai problemi della generalità dei cittadini?
Siamo stanchi di persone che aspirano solo ai privilegi della politica ma non vogliono sopportarne gli inevitabili, pesanti oneri.
Chi è in corsa per cariche pubbliche deve dimostrare di possedere non solo probità morale ma anche adeguate competenze professionali.
Ma nelle condizioni di disfacimento interiore in cui è da tempo caduta, la Casta non è emendabile.
Un esempio su tutti: appena Veltroni ha provato a sollevare la questione dei mostruosi stipendi di deputati e senatori è stato duramente attaccato proprio dai suoi colleghi parlamentari che, forse accusandolo di uno sgarro, gli hanno subito rinfacciato la lauta pensione di cui già gode.
Segno evidente che solo energie nuove, non compromesse con la vecchia nomenclatura, possono effettivamente recidere quei legami incestuosi che hanno reso irrespirabile l’aria nei palazzi della politica.
Il paradosso è che, contro il comune buon senso e a dispetto delle pungenti, circostanziate critiche di Beppe Grillo e dei suoi tanti sostenitori, il prossimo Parlamento deciso a tavolino dalle segreterie di partito è sul nascere un'istituzione oligarchica, incapace per vizio originale di dare le risposte che una democrazia costituzionale affida al suo massimo organo legislativo.

lunedì 10 marzo 2008

Tra programmi stracciati e possibili scalate...

La campagna elettorale è arrivata al punto di svolta: con la definizione delle liste elettorali, che il porcellum affida totalmente alle segreterie di partito, si è scatenato un fuoco di polemiche sui nomi dei candidati prescelti.
E’ un gioco al massacro che non risparmia nessuno e di cui tutti sono nello stesso tempo vittime e carnefici.
Veltroni ci ha messo del suo con la pessima idea di chiuderle con una settimana di anticipo; il risultato è stato quello di farsi fagocitare per sette giorni nel tritacarne mediatico delle critiche di ogni provenienza, anche la più dubbia, e di dover poi restare fermo sulla difensiva.
Ancora una volta, lo staff democratico ha toppato clamorosamente; ma ormai non è più una notizia.
Anche sul fronte opposto non se la passano un granché bene: dopo il no dell’ex presidente della Confindustria Antonio D’Amato, si cercano rincalzi dell’ultima ora ma sempre nelle file degli imprenditori.
Ormai Confindustria nel duello mediatico PD-PDL la fa da padrona e già questo la dice lunga sullo stato confusionale in cui versano i due colossi politici.
Tentare di chiarirsi le idee leggendo i loro programmi elettorali è da masochisti: molto meglio commentare le loro ultime scorribande televisive.
Il fatto che al Palalido di Milano il Cavaliere abbia stracciato simbolicamente il programma del PD può far storcere il naso ai benpensanti ma sostanzialmente fotografa la disillusione che regna sovrana nell’elettorato, dove serpeggia tanta voglia di astensionismo.
Veltroni, con maggior fair play, non farà altrettanto con quello di Berlusconi semplicemente perché è una fatica sprecata: infatti, chi ci bada a questi specchietti per le allodole?
In questa finta sfida non sono i programmi che contano: la competizione si basa sulla diversità di temperamento dei due leader e sul loro appeal mediatico; il resto è noia.
Qualunque risultato esca nel derby PD-PDL, il governo prossimo venturo farà più o meno le stesse cose: taglierà ancora una volta la spesa pubblica, distribuirà a pioggia qualche euro, varerà grandi inutili opere pubbliche, lascerà le leggi vergogna al loro posto, occulterà il disegno di legge sul conflitto di interessi in qualche soffitta polverosa di Montecitorio.
E’ forse un caso che il programma del Partito Democratico parli di legge antitrust in modo puramente accademico? A pag. 27, il punto 5 dell’ottava azione di governo (sulle dodici elencate) dice testualmente: “Infine i conflitti di interesse vanno rimossi nella nuova logica dell’intervento pubblico: li elimina uno stato che fa meno gestione diretta, concentrandosi su leggi antitrust”.
Ma l’ingrato Berlusconi, invece di ringraziare Veltroni per la mano leggera promessa in materia, lo sbeffeggia pubblicamente riducendone in pezzetti svolazzanti i suoi propositi da premier!
Comunque, da grande comunicatore quale è, il suo è stato solo un coup de théâtre: tranquilli, il governo Veltrusconi sta venendo fuori alla grande.
E se Beppe Grillo e i suoi sostenitori non alzeranno ancora una volta la voce, c'è il rischio che tra poco la strana coppia potrebbe festeggiare la fusione di Mediaset con Telecom Italia, in disprezzo del buon senso e degli interessi strategici del Paese, prima ancora che di una seria normativa antitrust. Al momento è soltanto un'illazione ma la classe politica, piuttosto che accapigliarsi sulle guasconate del Cavaliere, farebbe molto meglio a preoccuparsi di cose assai più serie come, appunto, l'assetto societario della nostra compagnia di bandiera nel settore delle telecomunicazioni.
Infatti la società telefonica, con un altro 12% perso tra venerdì scorso ed oggi, è scesa ai minimi del valore di Borsa fin quasi dai tempi della sua privatizzazione ed è diventata, quindi, un'ottima preda.
Vi ricordate la stagione dei capitani coraggiosi? Nel frattempo, memore di quelle gesta eroiche (la scalata Telecom ad opera della razza padana fu definita una rapina in pieno giorno dal Financial Times), il PD schiera in lista il figlio di uno di loro, Matteo Colanino.
Ma forse il piatto forte i piccoli azionisti Telecom lo devono ancora assaggiare: dopo i capitani, sono in arrivo i cavalieri?

lunedì 3 marzo 2008

PD - PDL, l'alleanza impossibile dei due partiti "transgenici"

Nell’ultimo Bestiario, la rubrica che tiene da anni su L’Espresso, il giornalista Giampaolo Pansa scrive: “La verità a me sembra una sola. Chiunque vinca le elezioni, sarà obbligato a proporre alla parte sconfitta di fare un governo insieme, per non essere travolti tutti dal disastro.” E conclude: “In altre parole, tanto il Popolo della Libertà che il Partito Democratico non dovranno temere di veder nascere un Berlusvalter o un Walteroni, affidato ad un premier fuori dalla mischia. E vada al diavolo chi strillerà al super-inciucio!”
A parte il fatto che il nome più indicato per un esecutivo del genere dovrebbe essere Veltrusconi, siamo veramente al paradosso: mancano circa quaranta giorni alle elezioni politiche ed un’altra firma di rilievo del giornalismo italiano si unisce al coro di chi, sotto la cenere della campagna elettorale, soffia sul fuoco di un governissimo tra PD e PDL.
Come a dire: Italiani, per due mesi la Casta giocherà a “Chi è il più bello del reame?” ma, una volta scrutinate le schede elettorali, tornerà compatta nell’addossare per intero sulle spalle dei cittadini la grave crisi economica.
Sì, perché a conforto dell’ipotesi di un governo di larghe intese Pansa ed altri osservatori adducono la grave situazione in cui è precipitata la nostra economia.
Insomma, con le prossime elezioni si sperperano centinaia di milioni di euro soltanto per testare l’appeal dei due neopartiti, ma già adesso si ritiene che, per dare avvio il prima possibile ad un’altra stagione di politica economica lacrime e sangue (ma quand’è finita la precedente?), l’esito del voto sarà ininfluente nel decidere la nuova compagine di governo.

Come a dire: finora noi politici abbiamo scherzato spendendo alla faccia di Voi cittadini ingenti risorse economiche per questa finta competizione elettorale ma, da adesso in poi, ci impegniamo a trovare un accordo trasversale per farvi tirare la cinghia ancora di più.
E’ un ragionamento aberrante che si fonda sull’idea che la nostra è una democrazia virtuale, dove la Casta gioca a wrestling simulando lo scontro tra i due "partiti frankenstein", PD e PDL.
Scontro soltanto fittizio, perché alla fine dello spettacolo, i due colossi politici il cui codice genetico è stato manipolato dai rispettivi leader per gonfiarne l'elettorato a dismisura, torneranno d’amore e d’accordo salutando con un inchino il pubblico pagante.
Bravo Pansa! Invocando un governo di salvezza nazionale per gestire la crisi economica, ci sta dicendo brutalmente che la sovranità non risiede più nel popolo ma nei partiti; cioè, la nostra Costituzione è carta straccia e vale molto meno della legge porcata di Calderoli.
Di più, per meglio confezionare il pacco agli Italiani, Giampaolo Pansa suggerisce che a presiedere il nuovo governo non debba essere né Berlusconi né Veltroni: probabilmente teme che qualche cittadino finisca per arrabbiarsi di brutto di fronte a questo ennesima costosa presa in giro.
Meglio un premier fuori dalla mischia, purchè garante dell’ammucchiata prossima ventura.
Conclusione sconfortante: non basta il premio di maggioranza, non basta la spinta transgenica del bipartitismo, non bastano le liste bloccate di pugno dai segretari di partito; per governare l’Italia in crisi economica ci vuole il partito unico!
E’ un po’ come affermare che in Italia un governo politico, espressione di una maggioranza elettorale, ci possa essere solo quando non ci sia granché da fare, magari per l’ordinaria amministrazione; ma nei momenti importanti, devono essere i poteri forti a prendere in mano le redini della situazione, meglio se sotto le mentite spoglie del governo di salvezza nazionale.
Purtroppo non è bastato a ridare smalto alla politica italiana la nascita dei due nuovi partiti con tecniche simili a quelle usate in ingegneria genetica.
Addirittura Pansa ed altri opinionisti à la page ritengono che sia adesso scoccata l’ora dell’inseminazione artificiale tra PD e PDL per far nascere il primo governo ogm della storia d'Italia!

Ma i progressi tecnologici della politica non possono nascondere un’amara verità: in un sistema elettorale a vocazione maggioritaria (cioè, dove è previsto un premio di maggioranza), il governo di PD e PDL sarebbe il governo dei poteri forti e il suo varo rappresenterebbe una grave violazione della sovranità popolare sancita dall’art. 1 della Costituzione.
Ciò in considerazione del fatto che il premio di maggioranza viene attribuito proprio per dare maggior peso parlamentare ed autonomia di governo al partito vincente, non certo per consentirgli una più comoda spartizione di poltrone con il partito sfidante che, a ben vedere, risulterebbe così solo per finta perdente.
Diversamente, il sistema maggioritario sarebbe incostituzionale perché discriminerebbe in modo grave le formazioni politiche minori le cui capacità di rappresentanza elettorale e di influenza politica verrebbero di fatto azzerate.

Auspicare una soluzione del genere è quindi voce dal sen sfuggita; comunque, l’ennesima conferma del legame di ferro che unisce politica di palazzo, carta stampata e circuito radiotelevisivo: mondi solo all’apparenza separati.
Si dà il caso che, fuori dalla campana di vetro in cui essi si sono comodamente sistemati, la gente comune è costretta, per restare a galla, a compiere sforzi non più a lungo sopportabili.
Perciò un eventuale governo transgenico PD-PDL non solo violerebbe la sovranità popolare ma, essendo sprovvisto per peccato originale di un chiaro e condiviso modello culturale di riferimento, non sarebbe minimamente in grado di affrontare e risolvere con il consenso sociale necessario gli intricati problemi di un’economia in declino.

A meno che esso non si occupi soltanto di approvare con la massima rapidità possibile una nuova legge elettorale e ci traghetti di nuovo alle urne, da celebrarsi immediatamente dopo con le nuove regole.
Ma il rischio che poi la situazione sfugga di mano e che l'Italia precipiti in un nuovo otto settembre è così alto da non prendere minimamente in considerazione un simile scenario.

martedì 26 febbraio 2008

Campagna elettorale all'insegna della demagogia

Lo scontro tra PD e PDL in questa seconda settimana di campagna elettorale ci regala un’unica certezza: nel dopo elezioni, in caso di un quasi pareggio tra i due colossi politici, si andrebbe al governo di larghe intese.
Lo stesso Berlusconi, il meno interessato ad una soluzione del genere dato il vantaggio di cui è ancora accreditato dai sondaggi, lo lascia intendere senza tanti giri di parole.
La cosa non sorprende, come si è avuto già occasione di dire, però dovrebbe far arrabbiare i milioni di cittadini mandati alle urne già sapendo che con questa legge elettorale incostituzionale nella migliore delle ipotesi perdurerà lo stallo politico.
Che il bipolarismo italiano sia ridotto ad un cumulo di macerie è ormai un dato di fatto, a conferma dell’esistenza di una classe politica inetta che ci costringe a queste inutili elezioni, incurante dello sperpero di denaro pubblico che ciò comporta.
La cosiddetta semplificazione politica tanto caldeggiata sia da Berlusconi che da Veltroni finisce per negare quello che dovrebbe essere l’essenza stessa (l’unico pregio!) del principio maggioritario: una parte politica governa, l’altra fa opposizione. Se invece va a finire che governano tutte e due a braccetto vuol dire che la classe politica regna incontrastata su una società civile che ne subisce rassegnata lo strapotere.
Come a dire che dopo il ciclone dell’indignazione civile del 2007 (che i media tentano di esorcizzare chiamandola antipolitica), la Casta non solo non lascia ma tenta persino il raddoppio.
Beppe Grillo, alla vigilia del Monnezza Day a Napoli ha fotografato da par suo lo stato dei rapporti tra PD e PDL con una battuta sferzante: “Si inventano due formazioni: con lo stesso programma, si scopiazzano. Una presa per i fondelli…”.
Se poi consideriamo che la legge sulla par condicio è stata regolamentata per questa campagna elettorale in modo che lo spazio televisivo sia di fatto monopolizzato dai due maggiori partiti mentre agli altri restano le briciole, si capisce come si stia inscenando l’ennesima farsa sulla pelle dei cittadini e di ciò che resta della nostra democrazia rappresentativa.
Veltroni rinfaccia a Berlusconi di aver voluto trascinare il Paese alle urne prima di modificare il porcellum; ma non è stato forse il leader del PD, con Romano Prodi in carica, a ridare smalto alla politica del Cavaliere quando questi era ormai fuori gioco?
Quale governo, a parte la tragicomica vicenda Mastella, avrebbe potuto restare in piedi quando il leader della principale forza di maggioranza, invece di rinserrare i ranghi della coalizione, si mette a flirtare su una questione delicata come la legge elettorale proprio con il capo dell’opposizione, già al tappeto?
Del resto che dietro ci fosse una precisa strategia demolitrice del governo Prodi e non una serie ininterrotta di errori lo dimostra il fatto che, ancora tre giorni fa, Veltroni ha insistito sulla sua intenzione di fare un governo molto diverso da quello del Professore attirandosi volutamente gli strali degli altri partiti della ex Unione.
Se qualcuno voleva la firma autentica in calce alla crisi del governo Prodi adesso l’ha avuta.
La stessa spregiudicatezza Veltroni la rivela a proposito della legge sul conflitto di interessi; a Modena, alla Festa dell’Unità, così si esprime: “Regole del gioco ci vogliono ma non possiamo continuare a discutere di questo”.
Affermazione che fa il paio con quanto detto qualche tempo da Piero Fassino secondo il quale un’eventuale legge su questa materia non crea posti di lavoro.
Tutto ciò accade mentre il governo dimissionario, di cui ancora l’impareggiabile Walter fa parte suo malgrado, invece di occuparsi del disbrigo degli affari correnti ipoteca la politica estera del prossimo esecutivo assumendo una decisione di enorme rilevanza come il riconoscimento del Kosovo, sul merito e la legittimità della quale fortissime riserve sono state espresse da più parti.
Come sia possibile che da un lato si discrediti il governo dimissionario dall’altro lo si spinga a prendere decisioni che vanno ben oltre l’ordinaria amministrazione è un altro di quei giri di Valter a cui ci stiamo purtroppo abituando.
Dispiace dover dare ragione in parte all’escluso Ciriaco De Mita quando dice che “La crisi con il PD è nata quando si è fatto un partito immagine che come obbiettivo ha la trasposizione in Italia del modello americano” e quando ammonisce: “Il Pd non ha futuro. Diventa un guscio di raccolta di cose indistinte. Qualsiasi contenitore vinca, sarà la stessa cosa. L’evoluzione del sistema politico passa riscoprendo le radici”.
Ecco perché il partito contenitore assomiglia tanto a quelle trasmissioni di intrattenimento della domenica pomeriggio che non hanno altro scopo di far trascorrere, al minimo costo possibile per la rete televisiva, qualche ora di sbadigli agli italiani in poltrona, in un vorticoso intrecciarsi di suoni, colori e chiacchiere senza né capo né coda, di cui poi non resta traccia alcuna: stabilire tra Rai e Mediaset chi proponga le cose peggiori è vana impresa ma ciò finisce per convincere entrambi a non cambiare rotta, rinunciando deliberatamente ad una tv di qualità.
Analogamente il Partito Democratico può proporsi all’elettorato senza compiere neppure lo sforzo di una chiara analisi politica, sicuro che il suo diretto concorrente alle urne non sia migliore. E’ così che, imperturbabile, Walter Veltroni trae dal cilindro della propria confusione ideologica un nuovo slogan: quello dell’ambientalismo del fare.
Il PD come partito dei termovalizzatori, dei rigassificatori, dell’alta velocità e del nucleare (ad essere precisi, per l'atomo non è ancora così ma vedrete che è questione di poco tempo!) è il partito che rinuncia al principio di precauzione e di responsabilità verso le generazioni future in nome di una malintesa idea di progresso e di sviluppo economico senza limiti che affida totalmente il nostro futuro ad un certo tipo di scienza e tecnologia, facendo finta che esse siano neutre e autonome e non sotto il dominio quasi assoluto dell’economia e della finanza.
Di fronte alle gravi emergenze ambientali, la risposta veltroniana è più che mai liberista: l’uomo non deve fare un passo indietro per recuperare l’equilibrio perduto con la natura; al contrario, deve accelerare la ricerca e lo sfruttamento delle risorse ambientali assecondando gli appetiti tecnologici per sperare di giungere ad un diverso equilibrio, in un mondo violato nei suoi equilibri fondamentali e ricostruito ad immagine e somiglianza del nuovo totem, l’apparato scientifico e tecnologico dominante.
Il discorso pronunciato a Spello, animato dalla convinzione fideistica sulle “magnifiche sorti e progressive” tranquillizza i poteri forti, che possono progettare indisturbati nuovi scempi ambientali facendoli passare come "grandi opere pubbliche di cui l’Italia ha bisogno": che poi in discussione ci sia la TAV in Val di Susa piuttosto che il Ponte di Messina, non fa una grossa differenza.
Ecco perché Silvio Berlusconi ha facile gioco quando dichiara che Veltroni sta copiando il suo programma; così come ha ragioni da vendere De Mita quando afferma che la nascita dei due partiti contenitore segna la fine della democrazia liberale e la deriva verso una democrazia populista.
La difesa dei diritti dell’individuo e della collettività lascia, cioè, il passo all’assolutismo del potere politico che, una volta legittimato in qualche modo dal voto popolare (con l’indebolimento degli altri poteri costituzionali e grazie ad una sequela di leggi vergogna: da quella elettorale a quella sulle televisioni), è in grado di imporre dall’alto qualsiasi decisione.
Ed il voto popolare si cerca di conquistarlo comunicando attraverso emozioni, suscitando suggestioni, come se si stesse lavorando su un set cinematografico.
Quale scenario migliore di una collina di olivi per dire sì agli inceneritori?
Le prime battute di questa campagna elettorale rivelano sul nascere il carattere autoritario di questo bipolarismo ideologicamente convergente dove il ruolo chiave non è più esercitato da chi progetta la proposta politica ma da colui che la sa meglio comunicare alle masse, non fosse altro perché essa è sostanzialmente identica ed è stata elaborata lontano dalle aule parlamentari.
E’ il trionfo assoluto della demagogia.