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mercoledì 7 ottobre 2009

Per fortuna che la Corte c'è!

Alle 18,06 la Corte Costituzionale ha reso pubblico il suo verdetto: il lodo Alfano è illegittimo.
La legge voluta fortemente dal premier Silvio Berlusconi per garantire l'immunità processuale alle Alte cariche ed approvata in soli 25 giorni (un vero record!) nel luglio 2008, così proteggendosi dai giudizi pendenti a suo carico, e che ha visto la promulgazione lampo da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è INCOSTITUZIONALE.
L'illegittimità che pure uno studente di giurisprudenza alle prime armi avrebbe facilmente riconosciuto ma che almeno tre delle quattro Alte cariche (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato e Presidente del Consiglio) nonché l'autore, Angelino Alfano, ministro di Grazia e Giustizia, evidentemente IGNORAVANO, è stata dichiarata solennemente dalla Suprema Corte.
Il grave strappo alla nostra Carta fondamentale viene così rammendato da una sentenza storica della Corte, costretta a riunirsi e a decidere in un clima incandescente, sotto la palese minaccia del Ministro per le Riforme Istituzionali, Umberto Bossi, di mobilitare il popolo in caso di bocciatura della legge.
"Noi potremmo entrare in funzione trascinando il popolo. Il popolo ce lo abbiamo, sono i vecchi Galli'', ha dichiarato mentre i giudici costituzionali erano riuniti in camera di consiglio.
Che dire? Per fortuna che la Suprema Corte c'è!

domenica 4 ottobre 2009

Scudo fiscale: la Casta tutta sorregge Silvio Berlusconi

Il modo con cui gli ambienti del Quirinale si sono affrettati a giustificare l’immediata promulgazione del decreto legge che contiene le norme sullo scudo fiscale tradisce il grave imbarazzo di spiegare all’opinione pubblica il perché di un passaggio istituzionale così impopolare.
A fronte dei mille gravi rilievi di un provvedimento che, nonostante le migliori intenzioni, oggettivamente favorisce gli interessi della criminalità organizzata mentre fa a pugni con la nostra Costituzione, la risposta che discende dal Colle appare perlomeno insufficiente.
Basterebbe ascoltare l’intervista rilasciata dal magistrato Roberto Scarpinato, della DIA di Palermo, ai microfoni di RaiNews24, per farsene un’idea.
Sconcertano sia i cosiddetti motivi tecnici che avrebbero indotto il Capo dello Stato a non avere esitazioni nell’apporre la propria firma, sia l’argomentazione da questi espressa informalmente ad alcuni cittadini nel corso della visita di Stato in Basilicata, secondo cui, anche astenendosene in questa occasione, egli sarebbe stato comunque costretto a farlo successivamente, qualora le Camere avessero di nuovo licenziato lo stesso testo.
Ragionamento perlomeno bizzarro: è vero che il capo dello Stato non ha un diritto di veto sulle decisioni del Parlamento ma, per l’art. 74 della nostra Costituzione, "può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata".
Ritenere invece che, nel processo di formazione delle leggi, il Presidente della Repubblica sia solo un passacarte, questo sì è lesivo della sua dignità e delle sue prerogative.
Perciò, ha ancora una volta ragioni da vendere Antonio Di Pietro nel sostenere che, di fronte ad un provvedimento che sana comportamenti gravemente illeciti garantendo a coloro che se ne sono macchiati l’immunità e l’anonimato, Giorgio Napolitano avrebbe dovuto rinviare il testo di legge alle Camere, separando quindi la propria responsabilità formale da quella, politica, del Governo.
Così non è stato ma, in fondo, da questo presidente non ci si poteva attendere nulla di diverso. L’amara esperienza maturata dall’anno scorso con l’immediata promulgazione del lodo Alfano e, quest’anno, con il varo del pacchetto sicurezza, non lasciava adito a dubbi.
E’ convinzione da tempo maturata da alcuni osservatori che l’ex comunista Napolitano, nonostante il partito di Repubblica ne incensi quotidianamente l’opera, si collochi sul gradino più basso di un’ipotetica classifica degli inquilini del Quirinale. Il pur contestato Giovanni Leone, su cui si concentrarono a suo tempo sospetti e critiche anche ingenerose, fu almeno un fine giurista.

Ma, adesso, è tutta la Casta dei politici di Pdl, Lega, Udc e Pd ad essere messa sotto accusa.
La legge sullo scudo fiscale ha mostrato, inoppugnabilmente, l’assoluta inconsistenza dell’opposizione espressa dal Partito democratico: il decreto è passato con 270 sì contro 250 no.
Solo venti voti hanno, cioè, separato una maggioranza che sulla carta disponeva di ben altri numeri da una minoranza in cui si sono registrati addirittura 29 defezioni!
E non era una delle tante votazioni di commissione: il governo di centrodestra aveva posto la fiducia e, con l’eventuale bocciatura dello scudo fiscale, si sarebbe potuta sancire la fine dell’era berlusconiana e l’inizio di una stagione nuova per l’Italia.
Così non è stato, per colpa dei deputati di opposizione, 22 dei quali assenti tra le fila del Partito democratico.
Di fronte ad un passaggio istituzionale tanto delicato, che poteva rivelarsi storico, a nessuno doveva essere consentito di sottrarsi al solenne rito del voto; neppure per ordinari motivi di salute.
Infatti, l’unico motivo plausibile per cui chi rappresenta gli elettori può godere di una sin troppo sterminata serie di privilegi è forse proprio perché le sue sono specialissime funzioni, da esercitarsi anche in frangenti particolari.
E’ paradossale che mentre l’ineffabile ministro Brunetta escogita per i lavoratori italiani in malattia un istituto molto simile agli arresti domiciliari, i parlamentari si prendano il lusso di astenersi da una votazione importantissima, per la quale il Governo ha imposto persino il voto di fiducia, per motivi risibili: a causa di una banale febbriciattola o, peggio, per sottoporsi ad accertamenti clinici di routine o, peggio di peggio, per recarsi ad una conferenza.
Poche illusioni, è la Casta tutta a sorreggere il governo di Silvio Berlusconi.

martedì 12 maggio 2009

Gli ozi di Casoria e l'affondo di Fassino

Abbiamo esitato molto prima di commentare l’ultima peripezia mediatica del Cavaliere, consci di correre il rischio di scivolare facilmente sulle bucce di banana della trivialità, dei luoghi comuni e dell’ennesimo attacco ad una leadership quanto mai rappresentativa della crisi d’identità che attraversa il Paese.
L’occasione era troppo ghiotta per non fiondarci a commentare la vita pubblico-privata tutt’altro che piatta del premier. Ma era necessario attendere che i panni sporchi della famiglia Berlusconi venissero lavati sulle varie ribalte mediatiche (e con quale foga!) dagli stessi protagonisti, prima di spingerci ad una qualche riflessione.
E’ un fatto che, con la discesa in campo di Berlusconi nel suo salotto preferito, quello di Bruno Vespa, i suoi presunti vizi privati sono diventati d’improvviso pubbliche virtù.
Sì, perché Berlusconi ha rivendicato la lealtà e la trasparenza dei suoi comportamenti che, chissà per quale scherzo del destino, lo hanno portato a festeggiare nell’hinterland napoletano il diciottesimo compleanno di una aspirante velina o parlamentare che dir si voglia, o meglio che Silvio voglia.
Infatti, l'esuberante pulzella ha il privilegio di poterlo chiamare insospettabilmente "papi Silvio". Non solo, ci ha fatto pure sapere che gli è stata molto vicina quando, qualche settimana fa, al Cavaliere è morta la sorella; e di trascorrere assieme a lui vari momenti difficili perché capita sempre più spesso che lui si senta incompreso da tutti, persino dalle televisioni di cui è proprietario.
L’urlo straziato di Veronica Lario, la Didone abbandonata dei giorni nostri, ha finito per consegnarci via etere un nuovo capolavoro dell’epica moderna che solo i posteri sapranno apprezzare fino in fondo, invidiandoci di essere stati contemporanei di cotanto mito.
Ecco a Voi, a reti unificate, la Berlusconeide, con il prode Bondi, nei panni di un appannato Sancho Panza, mentre l’ineffabile Ghedini è nei suoi panni propri, un personaggio che non stupendosi più di niente, ci lascia senza parole ma che proprio per questa sua capacità di volare basso, ma proprio basso, si è guadagnata l’eterna riconoscenza del suo cliente-padrone.
Da dieci giorni a questa parte non si parla d’altro.
Alzi la mano chi non ha visto la manina smaltata della giovane Noemi mostrare come un trofeo il collier di papi? Apprendiamo dal Corriere.it che vale seimila euro: un bel pensierino, non c’è che dire.
Ghedini però ci tiene a rassicurare i telespettatori di Anno Zero rivelando che il Cavaliere, di nascita un generoso, viaggia sempre con una munifica provvista di ori per omaggiare le fortunate.
A questo punto, chi è tanto snob da pensare che le candidature del Pdl per le prossime elezioni debbano essere necessariamente decise a Palazzo Grazioli e non nella nuova capitale dell’impero, l’augusta Casoria?
In fondo la Storia non ci insegna che il grande Annibale, dopo aver attraversato mezza penisola, invece di puntare dritto su Roma, indugiò alquanto a Capua? Casoria non è molto distante…
Fortunatamente gli Italiani hanno scoperto il complotto ordito contro l’indifeso Berlusconi, tant’è che gli ultimi sondaggi gli confermano una popolarità imbarazzante... è lo stesso Cavaliere a ripeterselo incredulo.
In quest’Italia di feste di famiglia con tanto di vip inatteso e di damigelle con il vizio per la politica o per la tv, secondo i gusti di papi; in una democrazia così compiuta da permettere ad un oscuro impiegato comunale di chiamare tranquillamente il cellulare del primo ministro per caldeggiare questa o quella candidatura e magari invitarlo ad una festa per il diciottesimo compleanno della figlia, tutto è divenuto possibile.
Come è normale che gli abbia telefonato per invitarlo ad una festa pur sapendo del grave lutto subito di recente dall’illustre interlocutore e, naturalmente, della sua fittissima agenda di impegni istituzionali…
E’ certo che gli Italiani hanno creduto ad una ricostruzione dei fatti tanto surreale e bislacca da farci temere che dietro ci sia persino lo zampino da mattacchione del fervido Sancho Bondi.
Un momento!
Vi ricordate qualche settimana fa quando il Cavaliere piantò in asso la cancelliera Angela Merkel, durante una cerimonia ufficiale, in riva al Reno per rispondere al cellulare??
Le solite malelingue brontolarono… Ingrati, non lo avevamo capito ma, da vero Padre della Patria, il grande Silvio ci stava impartendo un’autentica lezione di democrazia, snobbando platealmente un premier per intrattenersi forse proprio con il padre di Noemi!
Se l’intelligenza e l’etica pubblica sono giunte così in alto, ci si può più meravigliare di niente? Assolutamente no, neppure che il democratico Piero Fassino si svegli improvvisamente dal profondo torpore in cui era, per nostra fortuna, sprofondato da tempo per dichiarare, con parole truculente, inseguendo la Lega su una pericolosa china di intolleranza xenofoba al limite della violazione dei diritti umani, che "respingere i barconi non è uno scandalo".
Perché stupirsi se la nomenklatura del Partito democratico non abbia concepito, in tanti mesi di dolce far niente, uno straccio di politica dell’immigrazione da contrapporre alle ignobili pulsioni leghiste fino al colmo di prenderle per oro colato?
Possibile che ancora non ci avete capito niente?!
Questi, sono o non sono, i peggiori anni della nostra Repubblica?

giovedì 23 aprile 2009

Il Terrore!! ... a Domenica in

Ormai spopola sulla rete.
La faccia terrorizzata della conduttrice, Lorena Bianchetti, durante la trasmissione Domenica in di fronte all’innocua battuta del mago Silvan nel corso di uno dei suoi giochi illusionistici, giochi che hanno fatto la gioia di grandi e piccini dell’Italia televisiva dagli anni Sessanta.
Quanta Italia è cresciuta strabuzzando gli occhi di fronte all’apparecchio che trasmetteva ancora in bianco e nero le sue eleganti performance? Intere generazioni!
Ma nell’Italia berlusconiana anche questo monumento dell’intrattenimento può essere imbrattatato da una giovane, inesperta giornalista, con una professionalità battezzata dalla conferenza episcopale.
Di fronte al casuale accostamento tra bacchetta magica e Berlusconi pronunciato da Silvan, tanto per attirare l’attenzione dei bambini, la conduttrice, dopo aver impazientemente vissuto interminabili attimi di terrore finchè il gioco non terminasse, lo ha scaricato brutalmente dichiarando che la sua battuta era "assolutamente personale" ed elogiando, intempestivamente, le istituzioni per il modo con cui stanno operando in Abruzzo.
Veramente un intervento prono (1), assolutamente umiliante, che ha lasciato esterrefatto il mago Silvan, convinto di essere, questa volta, lui vittima di un terribile incantesimo prodotto dalla Bianchetti.
Situazione, che fotografa meglio di qualsiasi editoriale o dibattito politico, il clima di caccia alle streghe che si respira in RAI.
Ma quello che più colpisce è proprio l’espressione di puro terrore che si stampa all’improvviso sul volto della conduttrice, appena udita l’innocente battuta del mago: "Che cos’è questa? E’ una bacchetta magica… è una bacchetta magica che poi presteremo anche a Berlusconi".
Fino a quel momento, le si leggeva in faccia un eccessivo e visibilmente poco spontaneo sorriso, d'incanto tramutatosi in panico puro!
Davvero una prova di grandissima professionalità per la Bianchetti che, ne siamo certi, farà la gioia di Silvio Berlusconi, sbugiardato paradossalmente dall’incompetenza dei suoi stessi cortigiani.
Forse per lei adesso si aprono le porte dello Zecchino d’Oro
(1) Un ringraziamento va al lettore per la ghiotta segnalazione.

martedì 14 aprile 2009

Informazione pubblica o comunicazione di regime?

Ennesimo attacco strumentale alla trasmissione televisiva Anno Zero di Michele Santoro; questa volta sferrato addirittura da quello che è attualmente il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha bollato il programma come "semplicemente indecente", seguito a ruota dal premier Berlusconi che lo ha etichettato addirittura "non da tv pubblica".
Tralasciamo l’intervento berlusconiano, che veramente non merita commento alcuno, per concentrarci sulle parole di Fini
Attacco inopportuno nelle forme, nei tempi, nel merito.
Nelle forme, perché non spetta al presidente della Camera giudicare un programma televisivo, tanto meno se egli è chiamato a rappresentare un ramo del Parlamento e non la maggioranza di governo.
Nei tempi, perché approfittare della sosta pasquale, giunta dopo una tragica settimana di morte e devastazione in Abruzzo, per attaccare uno dei più autorevoli giornalisti italiani non solo è una palese intimidazione ma, peggio, è il segnale che abbiamo una classe politica incompetente, non all’altezza delle nostre istituzioni, tanto da sconfinare continuamente in campi che non le appartengono, provocando un continuo marasma istituzionale.
Nel merito, perché chi ha avuto la possibilità di vedere integralmente la trasmissione, si è facilmente reso conto che essa è stata condotta in modo professionalmente ineccepibile, al di là di ogni possibile strumentalizzazione politica, mettendo a fuoco il senso stesso di questo dramma nella prospettiva di una possibile resurrezione.
Che Italia vogliamo lasciare ai nostri figli? E’ stato questo l’interrogativo da cui è partito il conduttore alla luce della devastazione di un terremoto che ha fatto più danni di quelli ipotizzabili a causa di una qualità costruttiva degli immobili di recente edificazione, risultata veramente scadente.
Se pure l’Onu ha trovato il modo di richiamare l’Italia ad una maggiore attenzione alle norme antisismiche, proprio sulla base degli effetti disastrosi di questo terremoto, non si capisce dove sia lo spettacolo indecente.
Le disfunzioni della Protezione civile? Queste sono evidenti: nulla c’entrano gli uomini e le donne che con grande generosità e abnegazione hanno portato i soccorsi.
E’ la macchina organizzativa che presenta ancor oggi gravi lacune: lo stesso Enzo Boschi, direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica, ha ammesso in una delle sue tante sortite che certamente, prima dell’evento sismico, si sarebbero dovute allestire aree di emergenza per piazzare le tende; aggiungendo, però, che questo compito non sarebbe spettato alla protezione civile nazionale, guidata da Guido Bertolaso, ma agli enti locali.
Ancor oggi, ad una settimana dal sisma, mentre la temperatura di notte scende in picchiata, scarseggiano le stufe nelle tende!!
E’ veramente inaccettabile che la terza carica dello Stato violi la tradizionale pausa pasquale non per portare un aiuto concreto a quelle popolazioni ma per mettere a tacere uno dei pochi giornalisti italiani che non ha perso l’orgoglio del proprio mestiere.
Purtroppo l’ennesimo episodio conferma che è la nostra stessa democrazia a trovarsi ormai in una situazione disastrata.
Il Pd, ancora una volta, si è girato a guardare dall’altra parte con dichiarazioni pilatesche espresse da vari esponenti che lasciano veramente stupiti.
Siamo in piena svolta autoritaria ma il partito edizione Franceschini pare non abbia nulla da obiettare in proposito: davvero un buon viatico per le prossime Europee...
Ma in fondo anche di questo ringraziamo Walter Veltroni che, con la sua smania di andare da solo alle elezioni politiche, fece un anno fa colare a picco il governo Prodi, regalandoci per i prossimi cinque anni questi uomini al vertice delle istituzioni.
Chissà, forse adesso starà da qualche parte a festeggiare l’anniversario di quella catastrofe elettorale!

martedì 17 febbraio 2009

Si inabissa in Sardegna il relitto del Pd

Il crollo del Pd in Sardegna? L’ennesima sconfitta annunciata!
Alzi la mano chi aveva soltanto un dubbio sull’esito disastroso per il centrosinistra delle Regionali sarde!
Onore a Renato Soru, a cui va dato comunque il merito di aver espresso una politica di passione, valori etici, coerenza con la propria identità culturale, fatta di parole essenziali di chi crede veramente in quello che dice, senza tanti giochi verbali, senza gli eterni intrighi di palazzo.
Ne esce sconfitto come governatore della Sardegna, paradossalmente ne esce rafforzata la sua leadership a livello nazionale: che poi diventi la punta di diamante di un nuovo partito di massa o dell’esausto Partito democratico, questo è un altro discorso.
Ne esce a pezzi, ancora più minuti, la figura del segretario del Partito democratico, Walter Veltroni: non riusciamo ad immaginare un uomo politico che, al pari dell’ex sindaco di Roma, sia riuscito a disseminare di tante rovine il proprio percorso al vertice del partito. Letteralmente, in questo anno e mezzo dalla sua acclamazione a leader non ne ha azzeccata una; e non è contro la cattiva sorte che se la deve prendere.
Nel pieno di una tempesta in cui egli ha condotto il Partito democratico dalle acque, increspate ma certamente non torbide, dell’Ulivo di Romano Prodi, ha mostrato una grave confusione di idee, una assoluta incoerenza nell’azione politica, una personale impassibilità al naufragio in corso, il tutto infarcito di tanta vanagloria nel giudicare addirittura buoni i miserevoli risultati raggiunti.
Una contraddizione sistematica che lo ha condotto a legittimare Silvio Berlusconi come suo interlocutore privilegiato, anche per farci insieme le riforme costituzionali, per poi rampognarlo di continuo ma in modo petulante per le sue battute da avanspettacolo.
E’ riuscito, con una sequela di scelte avventate, non solo a dare per scontata la costituzionalità della legge sull’immunità penale delle alte cariche (il famigerato lodo Alfano) ma a rilanciare sui media lo spot elettorale del presidente del Consiglio quale difensore della vita nella recente tragica vicenda della ragazza in coma.
Non ne facciamo una questione esclusivamente personale: con lui dovrebbe ricevere il benservito l’intero suo staff.
Come dimenticare, ad esempio, la senatrice Angela Finocchiaro che, non appena approvato il buco nero del federalismo fiscale, si rivolge al Cavaliere dichiarando la buona disponibilità dell'opposizione a dialogare con lui? Vede Cavaliere, come siamo stati bravi?
In Sardegna il Partito democratico ha perso di botto l’11%, nonostante potesse contare sul valore aggiunto offertogli da Renato Soru (la cui lista ha infatti preso 5 punti in più dei partiti della sua coalizione); temiamo che a livello nazionale il risultato sarebbe stato ancora peggiore: il Pd veltroniano è ormai un relitto.
Così mentre il Paese affonda, grazie ad un governo di inetti che fa finta di non rendersi conto della gravità della situazione sociale, Silvio Berlusconi può dormire sonni tranquilli: il maldestro Walter è il suo garante, almeno fino alle Europee di giugno, quando finalmente sarà costretto a passare la mano.
Sono gli Italiani adesso ad avere gli incubi.

venerdì 13 febbraio 2009

Politica schizofrenica

Sono stati giorni difficili.
Giorni in cui la politica si è impadronita di temi delicati come quello dell’etica, del senso ultimo della vita umana, per farne merce di scambio, filo conduttore dell’ennesimo spot elettorale.
Spettacolo avvilente che ancora una volta ha visto in prima fila il presidente del consiglio, tuttavia ben attorniato da un’accolita di personaggi minori che hanno provato pure a rubargli la scena.
Senza riuscirci, però; perché sotto le luci della ribalta il mattatore è restato indiscutibilmente lui.
Ha usato, come grimaldello per scardinare la Costituzione, una questione tanto delicata che le cronache ci hanno sbattuto in faccia ossessivamente in questi giorni senza pudore alcuno: un gran colpo basso; uno scempio atroce per Eugenio Scalfari. Come dargli torto?
Il fatto è che anche coloro che gridano allo scandalo, che invocano il rispetto della carta costituzionale a cui il premier deve necessariamente piegarsi senza minacciare sfracelli, tengono in piedi questo spettacolo indecoroso.
Perché se Berlusconi è quello che è, non si può poi pensare di stringere con lui patti di ferro alla chetichella, come è successo recentemente con la legge elettorale per le prossime Europee, di comune accordo approvata in un ramo del parlamento da Pd e Pdl; per non parlare poi della legge sul federalismo fiscale, vero buco nero della nostra legislazione.
Insomma, se Berlusconi è interlocutore affidabile per il partito democratico tanto da concepire insieme a lui alcune leggi di portata costituzionale (anche se formalmente non costituzionali), non si capisce perché diventi alcuni giorni dopo improvvisamente il golpista che vuole fare a pezzettini la nostra carta fondamentale.
Un po’ di coerenza: ha ragione Beppe Grillo quando afferma che l’uomo di Arcore è sempre coerente a se stesso. Dunque segue una strategia ben precisa sia quando vara il lodo Alfano, sia quando definisce sovietica la nostra Costituzione.
Dice e disdice, finendo sempre per raggiungere i propri obiettivi, non demordendo mai; al contrario, rilanciando con maggiore veemenza quando si imbatte imprevedibilmente in qualche autorevole no.
Ma il partito democratico ed il suo leader Veltroni sembra proprio che questa cosa non l’abbiano ancora capita.
Un giorno ci raccontano la favola dell’imprenditore che ha il pallino della politica con cui si può pacatamente dialogare anche dei massimi sistemi; un altro giorno ce lo rappresentano come il lupo cattivo che banchetta con la Costituzione: pura schizofrenia.

martedì 3 febbraio 2009

Un'altra legge ad personam: la SalvaVeltroni!

Proseguono le leggi ad personam del duo Veltrusconi: dopo la legge Alfano, ecco che di soppiatto dal cilindro del tandem politico meno credibile della Seconda Repubblica, esce fuori la legge SalvaVeltroni.
Sì, quella legge che decreta lo sbarramento al 4% alle prossime Europee; una cosa inopportuna e per giunta fuori luogo.
Inopportuna, perché nel disastro economico in cui siamo precipitati, venire a sapere che maggioranza e opposizione si occupano ancora di legge elettorale, è uno schiaffo a tutti coloro che in questi mesi stanno patendo i rigori di un gelido inverno di recessione.
Nel Palazzo si discute amabilmente di legge elettorale e questi strani poli, inspiegabilmente, vanno pure d’amore e d’accordo!
Decisione fuori luogo, perché non è certo a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, che si può pensare di eliminare la frammentazione elettorale, stante la necessaria presenza di rappresentanze politiche di tantissimi paesi.
L’obiettivo, neppure tanto velato, è tutto interno: ovvero quello di cancellare definitivamente qualsiasi forma di vera opposizione, tanto a destra quanto a sinistra dei due colossi d’argilla.
Soprattutto a sinistra, vista la penosa condizione in cui versa il Pd ad opera del sempre più stralunato Walter Veltroni, il quale di giorno critica goffamente il cavaliere sulle questioni più insulse e la sera, quasi clandestinamente, stringe con lui patti di ferro per far fuori il dissenso in tutte le sue forme.
Sorprende come il leader del Pd resti impassibile alla valanga di critiche che da tutte le parti ne mettono in dubbio le qualità politiche e ne hanno minato irreversibilmente il carisma; e che la politica sia scesa tanto in basso da abbandonare il Paese alle proprie difficoltà per badare esclusivamente a se stessa.
Intendiamoci: il problema non è quello di fissare o meno una soglia di sbarramento per i partiti minori. Questo è sicuramente legittimo farlo (non necessariamente opportuno!), a patto che si sia sviluppato su una questione così delicata (è in gioco il diritto alla rappresentanza politica) un ampio dibattito nella società.
Nessuno contesta, cioè, che, alla fine di un lungo percorso parlamentare, la politica decida di nuovo sulla legge elettorale: ma lo deve fare alla luce del sole, dopo un dibattito chiaro ed aperto con la pubblica opinione e, soprattutto, dopo aver dato le risposte che i cittadini invocano inutilmente in campo economico.
Tanto più che la legge elettorale varata per le politiche scorse era stata considerata unanimemente un pasticcio (la famosa porcata secondo il senatore leghista Calderoli).
Dispiace che anche Eugenio Scalfari si spinga a dire che Veltroni sarebbe riuscito nel compito di portare a casa un buon risultato: cioè la soglia di sbarramento al 4% contro la pretesa berlusconiana del 5%.
E’ semplicemente ridicolo riconoscergliene un merito, vista la pochezza dell'esito e tenuto conto che questa legge è stata concordata tra maggioranza e opposizione quasi di soppiatto, prendendo spunto dal famigerato porcellum.
Nel pieno di una crisi economica senza precedenti, un disegno di legge del genere non doveva neppure arrivare all'ordine del giorno dei lavori parlamentari; tanto più a macchina elettorale per le Europee già avviata.
Ignorare questa lampante evidenza, vuol dire proprio aver smarrito la via maestra e procedere a tentoni tra i propri dogmatismi, badando esclusivamente al tornaconto personale.
Significa soprattutto infischiarsene di quello che dice la gente, irritata all’inverosimile da una classe politica di inetti, che vive allegramente alle sue spalle ed a cui non risponde più concretamente.
A questo punto, l’unica risposta da dare al regime messo in piedi senza tanto clamore dalla strana coppia Veltroni - Berlusconi è disertare le urne: siamo tutti stanchi di firmare inutili cambiali in bianco.

domenica 2 novembre 2008

Una nuova opposizione in difesa della democrazia

Le manifestazioni di questi giorni contro la legge 133, la controriforma Gelmini che dissimula il taglio di ben 8 miliardi di euro dietro grembiulini e voti in condotta, confermano che il nostro Paese sta tracimando dall’alveo della democrazia verso una terra ignota, sconosciuta ai più, se non altro per motivi anagrafici.
Come battezzarla è questione che non ci appassiona più di tanto perché, a furia di domandarci se sia stato superato o meno il punto di non ritorno, ci stiamo dimenticando che cos’è veramente una democrazia.
Sicuramente non è democratico svuotare il Parlamento dei suoi poteri riducendolo a semplice organismo che trasforma in legge la volontà del premier e del suo direttorio.
L’abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia costringe senatori e deputati, non dimentichiamoci eletti sulla base di liste bloccate in disprezzo della sovranità popolare, a votare senza neanche poter alzare lo sguardo sul capo del governo che assume le sue decisioni lontano da occhi indiscreti, forse da una delle sue infinite dimore.
Così un tema così cruciale per la società italiana come quello della scuola e dell’università, per definizione trasversale ai gruppi ed alle categorie di appartenenza, viene lasciato esclusivamente alle forbici del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, senza che semplicemente se ne possa discutere, imponendo la tirannia del voto di maggioranza e dando in pasto ai mass media l’immagine edulcorata di una finta maestrina che, con l’inflessibilità della principiante proiettata di punto in bianco sulla poltrona più alta del ministero della pubblica istruzione, di fronte alla protesta montante in ogni angolo della penisola riesce solamente a dire: Io non li capisco.
Nello stesso modo, da problema squisitamente politico l’indignazione sociale contro i tagli di spesa, che oggi colpiscono l’istruzione ma che domani colpiranno altri settori della vita sociale, viene convenientemente trasformata dal governo in questione di ordine pubblico, usando toni minacciosi ed ultimativi che nessuna tardiva smentita può servire a cancellare.
Tanto più che vengono pronunciati dal premier in persona, cioè da colui che si è fatto confezionare su misura l’immunità delle alte cariche e che nel contempo prosegue una sua personalissima tenzone contro quella parte di magistratura così orgogliosa della propria indipendenza ed autonomia.
Lacunoso e parziale è stata poi il resoconto fatto dal sottosegretario all’Interno venerdì alla Camera sugli scontri di Piazza Navona, nel cuore politico dello Stato, a due passi dal Senato, in una zona perennemente presidiata dalle forze dell’ordine.
Scontri che hanno visto tra i protagonisti elementi di destra che, dopo essersi schierati in falangi con spranghe, cinghie e tirapugni, spuntati fuori chissà come e perché da un camion giunto lì indisturbato, hanno seminato il terrore prendendo di mira manifestanti in erba, sotto gli occhi increduli di docenti e genitori che invano invocavano il pronto intervento delle forze dell’ordine.
Invece di dare dettagliate e puntuali spiegazioni sul perché di taluni comportamenti omissivi della polizia nel corso della mattinata che, nei fatti, hanno permesso agli aggressori di agire a lungo indisturbati, nonché della insolita e strana familiarità che alcuni elementi del cosiddetto Blocco studentesco, formazione della destra neofascista, mostravano con alcuni celerini, fino al punto da essere chiamati per nome, la relazione presentata alla Camera si preoccupa solo di precisare che gli scontri sarebbero stati provocati dai collettivi di sinistra e che la polizia avrebbe agito con prudenza ed equilibrio.
A parte il fatto che nessuna spiegazione convincente viene data su come tanto armamentario sia potuto penetrare fino al cuore della manifestazione mentre gli "studenti di sinistra" reagivano tirando contro le falangi tutto ciò che potevano, sedie, bottiglie e tavolini, sconcerta che il ministero dell’Interno, sulla base di una ricostruzione palesemente frammentaria ed incompleta, anticipi una lettura politica dei fatti, addossando arbitrariamente ai gruppi studenteschi di opposizione la responsabilità di quanto accaduto.
Così lasciando intendere che i ragazzi di destra sarebbero state le vittime di quegli episodi, nonostante l’evidenza di foto e filmati in rete dimostri che questi erano arrivati in piazza con pessime intenzioni, visto l’arsenale di armi improprie tirate giù dal camion.
Inquieta, cioè, che invece di fare effettiva chiarezza e diradare eventuali dubbi sull’operato delle forze dell’ordine, il governo si preoccupi prioritariamente di scagionare gli estremisti armati accreditando integralmente la loro versione di comodo che contrasta radicalmente anche soltanto con la cronologia degli accadimenti, poiché numerose testimonianze fanno risalire le prime aggressioni di tali gruppi di facinorosi ai danni degli studenti medi alle ore 11 circa, cioè almeno un’ora prima dell’impatto diretto tra le opposte fazioni, che la polizia comunque non ha impedito.
L'inviato Curzio Maltese, testimone di alcuni episodi, ad un certo punto così racconta ai lettori di Repubblica: "E’ quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un’azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. «Lei dove va?». Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: «Non li abbiamo notati»".

Data la straordinarietà della situazione che il Paese sta vivendo da mesi e che di giorno in giorno si va approfondendo, è arrivato il momento per l’opposizione di recuperare un minimo di coerenza interna, rinunciando ai propri privilegi di casta per intraprendere una lotta sincera in difesa dei cittadini, facendo proprie molte delle battaglie che la società civile, i ragazzi di Beppe Grillo in testa, da anni segnala invano alla politica.
Il premier lo ha fatto capire chiaramente: i numeri ci consentono di governare anche contro l’opinione pubblica; per cinque anni non è più questione di maggioranze silenziose o rumorose; l’opposizione è avvertita.
Perché se in modo inquietante il Piano di rinascita democratica è tornato così attuale, come ammette senza remore il suo ideatore, l’ancora temibile Licio Gelli, addirittura in procinto di calcare la scena mediatica con un proprio programma televisivo, non è pensabile continuare con un leader del Pd che finora ha saputo costruire solo un’opposizione di facciata, aizzandosi contro il dissenso interno e provocando grande malumore tra gli alleati, senza tuttavia riuscire ad evitare il muro contro muro con il centrodestra e la feroce continua derisione di Silvio Berlusconi.
Massimo D’Alema lo invita pubblicamente, in un’intervista a Repubblica, a rompere gli indugi ed a darsi una mossa per rifondare l’opposizione sulla base di un nuovo progetto comune.
Sommessamente, però, ci chiediamo: si può essere un leader per tutte le stagioni?
Walter Veltroni aveva fatto una scommessa durante il governo Prodi, puntando tutto il suo prestigio personale sul dialogo con Berlusconi.
L’ha persa clamorosamente: la sconfitta elettorale, il lodo Alfano, la legge 133 ce lo dicono in modo inoppugnabile.
Ne prenda atto e passi il testimone. Ormai non è più questione neppure di buona volontà: avete visto come si è risolta la grande manifestazione del 25 ottobre? Un buco nell’acqua.
Immaginare di continuare così fino alle Europee del 2009 sarebbe veramente da irresponsabili, non solo per il Partito democratico ma per l’Italia tutta.

giovedì 23 ottobre 2008

Che tempo che fa: previsioni politiche per il 25 ottobre

Walter Veltroni non finirà mai di sorprenderci.
Messo alle corde da sondaggi, fronda interna, sinistra extraparlamentare, dipietristi e da tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti di una democrazia che versa purtroppo in stato comatoso, domenica scorsa è riuscito a mettere a segno uno di quei colpi che definire politicamente scorretto è quasi eufemistico.
Nel talk show di RaiTre, Che tempo che fa, una volta tanto mostrandosi meno contratto del solito (forse perché calcava una ribalta amica), all’improvviso col sorriso sulle labbra ha comunicato urbi et orbi che l’alleanza con l’Italia dei Valori è finita, perché, rivolgendosi a Fabio Fazio, "Prenda il tema che abbiamo appena affrontato, cioè la capacità del nostro paese di integrare. Chieda a Di Pietro opinioni su questo e troverà delle cose molto lontane dall’alfabeto della cultura democratica del centrosinistra".
Sconfessa quindi con la massima disinvoltura l’unica alleanza che aveva stretto in vista delle elezioni del 13-14 aprile, dopo aver concorso alla caduta del governo Prodi e successivamente abbandonato qualsiasi ipotesi d’intesa elettorale con la sinistra di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Una scelta sconsiderata che, allora, costò alla Sinistra italiana la sconfitta elettorale più sonora dai tempi della Resistenza e che, ripetuta adesso contro Di Pietro, boicotta la sola efficace opposizione al governo autoritario di Silvio Berlusconi.
E’ assurdo, che in un momento difficile come questo, si chiuda la porta in faccia proprio all’unico politico che in questi mesi abbia cercato di difendere la democrazia materiale opponendosi ai continui strappi costituzionali del governo di centrodestra, nonostante si conoscano da sempre le sue chiusure ideologiche (ma Follini e Casini, per caso, sono più illuminati?).
Invece di riconoscergliene merito Veltroni lo congeda bruscamente, guarda caso, a meno di una settimana dalla manifestazione del 25 ottobre in cui i partecipanti sono, a questo punto, avvisati.
Perché vengono chiamati da Veltroni a sfilare non tanto per protestare contro un pessimo governo ma per manifestare il loro appoggio incondizionato alla sua leadership traballante.
Bene fa Di Pietro a rispondergli per le rime, dandogli del collaborazionista, ed a non tirarsi indietro prendendo parte a pieno titolo alla manifestazione di sabato prossimo.
Le cronache dimostreranno quale maggior credito susciti nell’opinione pubblica di sinistra l’ex magistrato di Mani Pulite nella sua lotta coraggiosa al malaffare che continua anche adesso stando in Parlamento, rispetto all’ex rampollo del vecchio Partito Comunista Italiano che, dopo aver dichiarato candidamente, tempo addietro, di non essere mai stato comunista, adesso si appresta a stringere una pericolosa alleanza elettorale con l’Udc di Totò Cuffaro.
Simbolicamente, nello studio virtuale di Fabio Fazio, evidentemente il luogo meno indicato per consumare una rottura politica così traumatica e foriera di cattivi presagi, Walter Veltroni, ha definitivamente messo sotto le scarpe la questione morale, vecchio cavallo di battaglia di un grande Italiano come Enrico Berlinguer.
Preferire l’Udc di Totò Cuffaro all’Italia dei Valori è la conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che per l’ex sindaco di Roma, quello che conta è trovare a tutti i costi l’accordo con il Cavaliere, al cui raggiungimento è legato indissolubilmente il suo destino politico.
Ecco perchè la giornata del 25 ottobre segnerà, a dispetto delle intenzioni dell’impareggiabile Walter, un punto di svolta nella politica italiana: ci dirà se Veltroni è ancora in grado di fare il capo dell’opposizione e se Di Pietro è in grado di eroderne una cospicua fetta di consensi.
Di sicuro, chi sfilerà al Circo Massimo si troverà, suo malgrado, a dover dirimere una lite tra due separati in casa, piuttosto che testimoniare pubblicamente il suo netto dissenso al disegno reazionario di un governo che sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del malcontento sociale.
Un manifestazione concepita a tavolino oltre tre mesi fa da un leader politico in caduta libera e che adesso si trova, paradossalmente, proiettato dagli eventi a capeggiare la protesta studentesca, magari soltanto per ottenere il lasciapassare che gli consenta di varcare i cancelli di Palazzo Chigi e costringere l’uomo di Arcore ad accettarlo come suo interlocutore privilegiato.
D’altra parte che le ragioni di studenti, docenti e famiglie nei confronti della controriforma Gelmini non possano essere rappresentate coerentemente da chi manda i propri figli a studiare in America è tanto evidente da non valere la pena neppure di spenderci una sola parola in più.
Si capisce a questo punto come sarà difficile cogliere il reale significato di questa giornata di mobilitazione che si preannuncia carica di aspettative da parte del popolo insofferente ai diktat berlusconiani ma che rischia, proprio per questo, di trasformarsi, in una terribile delusione quanto a conseguenze.
Perché una cosa è certa: l’eventuale rilancio della leadership di Walter Veltroni grazie al bagno di folla del Circo Massimo finirebbe proprio per riproporre quel progetto di larghe intese e, paradossalmente, rafforzerebbe, proprio il suo avversario putativo: Silvio Berlusconi.
A meno che tra i due finti litiganti, Antonio Di Pietro non colga, in questa occasione, un buon successo personale; nel qual caso, le cose all’interno dell’opposizione andrebbero completamente riviste.

domenica 19 ottobre 2008

Il governo annaspa, l'opposizione affonda...

Settimana importante quella appena trascorsa sia dal punto di vista economico che politico. Il tonfo di mercoledì dei mercati finanziari ha tolto le ultime speranze a quanti speravano di uscire nel giro di qualche mese dalla grave crisi mondiale; al contrario, dal mondo della finanza questa si sposterà inesorabilmente ed in modo duraturo nell’economia reale.
Non è una buona notizia ma era ampiamente prevedibile perché da oltre un anno la finanza internazionale è in subbuglio e, quale importante sensore del mondo produttivo, essa non fa che anticiparne, magari enfatizzandoli, i mutamenti in atto; mai contraddicendoli.
Nel giro di qualche settimana abbiamo scoperto che il modello di sviluppo economico internazionale (la locomotiva Usa traina, gli altri paesi seguono), è venuto meno: da questa crisi uscirà un nuovo modello non più incentrato sugli Stati Uniti.
Già si può iniziare a parlare di multilateralismo anche in campo economico: del resto che l’economia americana non tirasse più era chiaro da tempo, benché i media lo abbiano a lungo tenuto nascosto.
Cattive notizie, dunque, per i veterocapitalisti che ricorrono allo Stato quando si trovano in difficoltà ma lo lo additano a problema quando i loro profitti e le loro rendite si gonfiano a dismisura: ingrati!
L’oligarchia materiale che si fa beffe della democrazia formale già sta pensando come continuare a far credere alle magnifiche sorti del mercato, nonostante i fatti di queste settimane ne siano una secca smentita.
Ma tant’è, fatto digerire il conto salatissimo dei propri errori, gli oligarchi vogliono impunemente continuare ad ammaestrarci: via, quindi, al nuovo totem dello Stato snello.
Questo Stato così pronto a salvare le banche va però ridimensionato, secondo gli oligarchi, quando si tratta di sottrarre all’indigenza milioni di famiglie, in difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo e, addirittura, delle bollette di acqua, luce, ecc.
Nei supermercati si registra la contrazione dei consumi anche su generi di prima necessità mentre crollano gli affari dei negozi di quartiere, soppiantati dagli hard discount dove il ceto medio entra ormai anche per riempire i carrelli della spesa settimanale.
Tuttavia, nei provvedimenti del governo Berlusconi non c’è traccia di interventi a favore delle famiglie: per salvare le banche la linea di credito è aperta a tempo indeterminato e per importi illimitati (tanto per cominciare, 40 miliardi di euro?) attingendo a mani basse dalla finanza pubblica.
Ma per le persone in carne e ossa resta in vigore un documento di programmazione economica messo a punto all’inizio dell’estate da Tremonti che è stato costruito su ipotesi ormai del tutto irrealistiche: crescita del Pil allo 0,5 % (mentre Confindustria adesso prevede un arretramento della stessa misura, ovvero piena recessione), tasso d’inflazione programmata dell’1,7% (viaggiamo adesso a più del doppio, con prospettive pessimistiche per il 2009), con pareggio di bilancio nel 2011 (figuriamoci!).
In altre parole, se le banche, a causa di una cattiva gestione e degli eventi internazionali, vanno in crisi devono essere salvate aprendo a tempo indeterminato il rubinetto del Tesoro ma se gli italiani non arrivano alla fine del mese, magari a causa della rata del mutuo a tasso variabile (tipo di tasso suggerito, se non imposto, a suo tempo proprio dalle banche), che si arrangino pure!
Ecco cos’è un pregiudizio ideologico: salvare le famiglie forse salverebbe le banche e l'economia, evitando la recessione; ma non importa, meglio salvare direttamente le banche ricapitalizzandole, lasciando le famiglie al loro destino.
E’ in fondo proprio la domanda che Michele Santoro, l’altra sera sul parterre di Anno Zero, ha posto ripetutamente ma inutilmente ai suoi ospiti.
Possibile che non ci si renda conto che una politica deflazionista come quella che ha messo in piedi il governo, con pesanti tagli agli organici di scuola, università, pubblico impiego, non solo non servirà a centrare i parametri di Maastricht (letteralmente saltati a causa del piano di salvataggio bancario) ma rischia concretamente di far avvitare ancora di più la crisi su se stessa, facendo precipitare il nostro Paese nella più cupa depressione economica?
Come mai i media non fanno proprio tale inquietante interrogativo né tanto meno lo rilanciano? Purtroppo, si limitano a registrare i timori di una crisi senza precedenti ma non stanno disturbando più di tanto la compagine governativa che, a dispetto dei sondaggi, sembra veramente malmessa: Gelmini, Maroni, Scajola, La Russa, Tremonti, Carfagna, Alfano, Sacconi meritano tutti una netta insufficienza.
La presunta star Brunetta, per porsi come castigamatti e mantenere una sicura visibilità mediatica, solleva spesso inutili polveroni che alimentano conflittualità e che di certo non favoriscono un clima disteso e collaborativo nel pubblico impiego.
Così come appariva fuori registro nei salotti televisivi quando ripeteva ossessivamente alcune parole pur di coprire la voce del malcapitato interlocutore ed impedirgli così di replicare con un minimo di efficacia, il ministro della pubblica amministrazione non si smentisce neppure quando giudica folle il piano europeo contro l’inquinamento elaborato da Bruxelles.
Ancora, un improvvisato ministro della pubblica istruzione, che fa finta di non capire le ragioni della protesta che venerdì ha riempito le tante piazze d’Italia, finisce per dare in questo modo ragione proprio ai suoi detrattori.
Un ministro dell’interno che, invece di solidarizzare pubblicamente con lo scrittore Roberto Saviano per i rischi che sta correndo, non trova di meglio che invidiargli la ribalta mediatica preferendogli chi combatte la criminalità nel silenzio: una gaffe così gratuita ed odiosa che, come al solito, è stato costretto a tornare sui suoi passi, dichiarando di essere stato frainteso (!).
Il cahier de doléances potrebbe continuare a lungo ma preferiamo chiuderlo qui ricordando le incredibili esternazioni del premier Berlusconi che è in grande difficoltà come statista persino quando parla della tempesta borsistica: basti pensare a quando, a mercati finanziari aperti ed in preda al panico, ha paventato l’eventualità di una loro temporanea chiusura.
A salvare la faccia al governo ci pensano tuttavia i telegiornali del duopolio con la loro informazione al cloroformio: l’altro ieri è dovuta intervenire l’Authority delle Comunicazioni, numeri alla mano, per fotografare il disastro di un’informazione che sa parlare solo del Palazzo, ignorando completamente i suoi utenti, gli Italiani.
Ma per fortuna per Berlusconi l’opposizione parlamentare dorme sonni profondi: neanche in grado, come invece ha fatto la bravissima giornalista Milena Gabanelli, di leggere le carte del caso Alitalia. Rivelando, piuttosto, disarmante confusione di idee e mancanza di prospettiva quando ripete ossessivamente la propria disponibilità al dialogo con il Governo senza neppure curarsi di precisare su che cosa, con quali strumenti, con quali obiettivi.
Con il Partito democratico, siamo tornati all’anno zero della politica; ecco come si esprime il suo leader in merito al piano di salvataggio delle banche (la battuta è tratta dall’intervista di Massimo Giannini di domenica corsa su la Repubblica che, nel frangente, gli ha appena servito un assist sull’eventualità che il governo voglia allungare le mani sulle banche con il pretesto della crisi):
"Allarghiamo il discorso. Io credo che la cosa peggiore che si possa fare è rimbalzare dal liberismo allo statalismo. Io resto convinto che una società democratica viva se esiste un libero mercato. In una condizione in cui lo Stato si riservi il suo ruolo, quello di fare le regole e di farle rispettare. Lo Stato non è giocatore, è arbitro. Per questo può anche scendere in campo, per aiutare pro-tempore un’azienda di credito in crisi. Ma non può alterare l’intero campionato. Non mi basta l’intervento del Tesoro con le azioni privilegiate, se poi in assemblea ha diritto di veto sulla governance e sulle scelte strategiche della banca. Io non voglio che il governo gestisca le banche. Non voglio che un ministro, di destra o di centrosinistra, si trasformi in un nuovo Cuccia. La politica che gestisce la finanza l’abbiamo già vissuta: le banche pubbliche, i boiardi, ed è stato un disastro che non dobbiamo ripetere".
Ci sta dicendo che i contribuenti devono metterci i quattrini per salvare le banche ma che essi non hanno diritto a chiedere conto ai manager della loro gestione. Il paragone sportivo è poi completamente sbagliato: se lo Stato, come dice l’impareggiabile Walter, detta solo le regole e le fa rispettare, va da sé che non dovrebbe metterci i soldi, altrimenti che razza di arbitro è?
Che poi la politica oggi non stia dentro le banche, come il leader democratico fa credere, non è neppure una leggenda metropolitana, è semplicemente falso.
Qualcuno gli spiegherà, per cortesia, che cosa sono e come funzionano le fondazioni bancarie?
Possibile che non è a conoscenza del sistema di governance del Monte dei Paschi di Siena, tanto per fare un esempio in area amica?
Insomma quello che il premier britannico Gordon Brown sta facendo in Inghilterra, facendo dimissionare i manager bancari malaccorti e non precludendosi la possibilità di avere suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione, non incontra evidentemente i favori dell’antistatalista Veltroni.
Voi capite in che mani è finita l’opposizione?

Ps: Il giornalista Michele Concina, dai microfoni di Prima Pagina, ha concluso la sua ottima settimana di conduzione, riconoscendo che oggi l’opposizione è così debole che la critica all’operato del governo la fanno piuttosto i dissidenti del centrodestra; ed ha chiosato "come se il centrodestra rappresentasse il 100% della politica italiana".

venerdì 10 ottobre 2008

Veltroni implora ma Berlusconi se ne frega...

Non è un mistero che il Pd, sin dalla sua nascita, consideri strategica la collaborazione con il centrodestra per varare le cosiddette riforme istituzionali; ma, con la sconfitta patita nelle elezioni del 13-14 aprile, la predilezione all’inciucio si è fatta via via più netta, anche su questioni di ordinaria amministrazione, ad esempio per talune scelte di politica economica.
A luglio dicemmo che il Cavaliere non aveva al momento alcun interesse ad assecondare l’istinto accomodante della leadership democratica. Avrebbe aspettato probabilmente la vigilia di un durissimo inverno per aprire agli uomini di Se po' ffà.
Nel frattempo abbiamo assistito al disfacimento completo dell’opposizione parlamentare con un Veltroni più intento ad attaccare Di Pietro che il Cavaliere, dal momento che i sondaggi danno il partito democratico in caduta libera, forse addirittura sotto il 28%.
Ultimamente, vedendosi la terra mancare sotto i piedi proprio a causa di una linea politica praticamente inesistente, infarcita soltanto di vuote parole come responsabilità, dialogo, pacatezza, giustizialismo, moderazione, semplificazione della politica ed altre amenità del genere, Veltroni si è all’improvviso risolto a parlare di emergenza democratica, dittatura strisciante, diritto dell’opposizione a fare l’opposizione (finalmente!) e di attaccare in prima persona il Cavaliere.
Ma se si vanno a recuperare le cronache di questi giorni, il suo è stato un attacco tardivo e sconsiderato, una sorta di finto proclama: infatti, che senso abbia adesso dichiarare ai quattro venti di voler stoppare la candidatura di Berlusconi al Quirinale tra cinque anni (!), qualcuno glielo dovrebbe domandare.
Persino il suo mentore, Eugenio Scalfari, preferisce non commentare simili sciocchezze, probabilmente stufo di dovere correre settimanalmente in suo soccorso.
La sortita di Veltroni fa il paio, come avemmo a suo tempo già modo di sottolineare, con quell’altra pronunciata al forum dei circoli lombardi del Pd qualche mese fa quando fece intendere che, insieme a quelle del 2013, già pensava alle elezioni del 2018…
Non a caso il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, vista la china pericolosa che ha imboccato il suo capo, lo maramaldeggia di continuo, arrivando a dargli del ridicolo e dell’inadeguato.
E’ in tale stato di irrisolutezza che l’ex sindaco di Roma dovrebbe capeggiare la manifestazione del 25 ottobre, da lui indetta in solitudine addirittura tre mesi fa, dopo la figuraccia patita per aver disertato senza un motivo plausibile la manifestazione del 10 luglio a Piazza Navona contro il governo.
Siamo al 10 ottobre ma lui stesso non è ancora sicuro se l’evento si terrà perché, fa capire, "se la situazione della crisi finanziaria precipitasse ulteriormente e ci si trovasse in una autentica emergenza, siamo tutte persone responsabili con la testa sulle spalle…" (1).
Addirittura il suo braccio destro Goffredo Bettini, preso in contropiede dall’ennesima veltroneria, si è affrettato a smentirlo seccamente: "la manifestazione del 25 ottobre si farà".
Comunque, neppure si sa bene su quali contenuti; ad esempio, l’impareggiabile Walter sarebbe tentato di farla diventare anche giornata contro il razzismo.
Noi gli suggeriamo, per rendere il programma ancora più allettante, di aggiungerci la lotta alla fame nel mondo, ai gas serra, al buco dell’ozono, alle guerre, all’inquinamento, alla criminalità… Magari in questo modo riuscirà finalmente a riempire una piazza.
Ma il vero capolavoro costruito in questi mesi da Se po' ffà è l’aver prolungato a dismisura la luna di miele del Cavaliere con gli Italiani: infatti, gli ultimi rilevamenti danno la popolarità del Cavaliere al 60% e oltre: purtroppo, di fronte a tanta confusione di idee, uno tosto come Berlusconi giganteggia, nonostante la sua scadente guida politica.
Sì, l’uomo di Arcore, impenitente guascone, millanta se non altro un grande ottimismo, una dote forse pericolosa dato il suo ruolo ma che di certo non lo rende indifferente alla gente: confessa le sue durature qualità persino sotto le lenzuola, a bella posta rasentando, a seconda dei gusti, il ridicolo o il patetico; ironizza con barzellette di pessimo gusto sul carovita; mostra un grande attivismo, magari solo per varare altre leggi ad personam, tagliare la spesa sociale (vedi il voto di fiducia sul decreto Gelmini che cancella migliaia di posti di lavoro nella scuola) o consegnare l’Alitalia su un piatto d’argento ad una cordata di imprenditori dopo aver lasciato i debiti in testa ai contribuenti italiani, che sembrano però non accorgersene.
Eppure un po’ di risentimento ce lo dovrebbero avere se non altro per l’inettitudine finora mostrata dal suo governo sui temi economici mentre le famiglie continuano ad impoverirsi.
Se ciò non accade è anche frutto del lavoro oscuro ma prezioso per il Cavaliere compiuto in questi mesi dal leader dell’opposizione che non perde occasione per farla apparire inutile e senza prospettive: basta pensare alla farsa del governo ombra...
Anche la pronta disponibilità del Pd a collaborare con il governo per gestire l’emergenza causata dall’improvvisa caduta delle borse mondiali, lascia veramente interdetti non fosse altro perché, non essendo stata avanzata nessuna richiesta in questa direzione da parte del governo, appare stonata rispetto alla durezza dello scontro verbale in essere tra i due poli.
Come se Veltroni avesse preso la palla al balzo della crisi finanziaria internazionale per tornare alla politica che gli è più congeniale: fare da spalla al Cavaliere, magari per permettergli qualche altra fuga in avanti.
Questo navigare a vista da parte del partito democratico risulta veramente deleterio e conferma per altri versi il suo peccato originale: l’assoluta inconsistenza ideologica.
Al punto da far apparire quella di Veltroni, più che un’assunzione di responsabilità, un’ invocazione d’aiuto rivolta al suo avversario per sottrarsi ad una imminente resa dei conti interna.
Ed è chiaro che in un sistema bipolare, se l’opposizione rinuncia ad esistere, bisogna accontentarsi di ciò che caccia il governo, per quanto indigesto possa sembrare.
Ad un anno dalle primarie che lo incoronarono leader del PD, Walter Veltroni ha così dilapidato un patrimonio di consensi, inabissando le speranze di quanti videro in lui sia un importante interlocutore del governo guidato allora da Romano Prodi che una carta vincente da calare in futuro sul tavolo della politica italiana.
Niente meglio del "Me ne frego", indirizzatogli beffardamente da Silvio Berlusconi, simboleggia l’eclisse della sua stella politica.
(1) la Repubblica: "Veltroni: pronti ad aiutare il governo" , 9/10/2008

venerdì 3 ottobre 2008

La barca affonda ma il duo Veltroni Berlusconi prosegue la sceneggiata

Situazione di estremo rischio quella che si sta manifestando con un’impressionante accelerazione di tempi ed intensità sui mercati finanziari di tutto il mondo, sotto gli occhi attoniti di una sterminata platea di risparmiatori.
Paradossalmente nessuno ha ancora dato una risposta convincente, neppure sul piano teorico, a quello che sta accadendo in questi giorni: i media si limitano a registrare il cataclisma senza sbilanciarsi più di tanto sulle cause e le responsabilità.
Di certo quando la finanza subisce un simile tracollo globale c’è da chiedersi se non sia caduto in una spirale irreversibile un intero modello di sviluppo economico: vent’anni dopo il crollo del socialismo reale targato Unione Sovietica, si scopre che il modello antagonista, il capitalismo, forse a causa della sua forma più spinta assunta nell’ultimo decennio, la globalizzazione, presenta crepe formidabili che ne mettono a rischio la sopravvivenza.
Il fatto che a soccorso dei mercati debba intervenire l’autorità pubblica è la riprova che i meccanismi di autoregolazione del mercato semplicemente non esistono o, comunque, non funzionano a dovere: il mito di Adam Smith della mano invisibile, ancora così duro a morire nonostante le autorevoli confutazioni dei grandi economisti di fine Ottocento, riceve l’ennesima bocciatura.
Dietro l’irricevibile piano Paulson che accolla sui contribuenti americani, in prima battuta, una voragine di debito da 700 miliardi di dollari (circa la metà del PIL italiano!) per salvare il sistema bancario, c’è una impressionante catena di errori ed omissioni che vede nelle autorità di vigilanza dei mercati americani e nella Fed i principali responsabili, naturalmente a braccetto con la pessima amministrazione Bush.
Si parla tanto di mutui subprime, quelli concessi alle famiglie americane con grande leggerezza e senza tante garanzie, ma ormai è chiaro che ritenerli la causa scatenante di questa crisi è quantomeno azzardato.
Perché per anni la locomotiva americana ha viaggiato con un doppio enorme deficit (quello commerciale e quello federale) senza che nessuno se ne preoccupasse più di tanto; al contrario l’ex governatore della Fed, Alan Greenspan, ha drogato a lungo la crescita economica americana, inondando il paese di un’enorme liquidità che si è andata ad infilare, piuttosto che nei settori innovativi ed ad alto valore aggiunto, in quello delle costruzioni (con la spaventosa bolla immobiliare), delle forniture militari e dell'ingegneria finanziaria con i risultati che tutti adesso possono vedere.
Senza una politica di deregulation sconsiderata, senza gli appetiti famelici di tanti top manager tacitati a suon di stock options, senza la religione del laissez-faire, tutto ciò non sarebbe potuto accadere: l’economia reale degli States è stata fatta deragliare ed ora la finanza registra d’improvviso quello che da tempo molti osservatori invano denunciavano.
Certo è che da questa situazione non se ne potrà uscire senza far pagare ai cittadini di mezzo mondo, a causa delle stretta interdipendenza planetaria dell’economia a stelle e strisce, un prezzo salatissimo: di fronte ad indecenti arricchimenti individuali, il conto della crisi verrà come al solito presentato ad intere popolazioni che si vedranno ridimensionare il loro a volte già modesto tenore di vita, decurtando redditi e servizi pubblici mentre tassazione e disoccupazione schizzeranno in alto.
Ma ancor oggi in Italia, al di là dei toni sensazionalistici dei media, non c’è veramente nessuno che si azzardi a fare una lucida analisi degli avvenimenti in corso né tanto meno che osi spingersi sul terreno comunque impervio delle previsioni: sembra quasi che molti economisti se la siano data a gambe, sparendo dal circuito mediatico proprio mentre i cittadini vorrebbero delucidazioni sul loro futuro di imprenditori, consumatori, risparmiatori, lavoratori, pensionati.
L’altra sera a Ballarò è andata in scena l’ennesima baruffa televisiva attorno a questa crisi da parte di alcuni dei nostri politici a cui gli elettori hanno affidato il compito di dare risposte per una volta chiare e tempestive.
Malgrado l’ottimo lavoro della redazione di Giovanni Floris per presentare il problema con tabelle di dati e filmati e, dunque, avviare la discussione, gli ospiti in studio hanno mostrato una disarmante impreparazione sui temi dibattuti: parlavano spesso per sentito dire, visibilmente impacciati ed insicuri nelle argomentazioni, rifugiandosi continuamente nella zuffa verbale quale unico terreno congeniale per nascondere i propri limiti culturali; l’unica persona informata sui fatti e che pertanto giganteggiava di fronte a tanta insipienza era il deputato Bruno Tabacci: nel complesso, uno spettacolo veramente deludente.
Altrettanto da bocciare, contrassegnandola con la matita blu, è la diagnosi che fa dalle colonne del suo giornale il direttore di Repubblica Ezio Mauro quando sentenzia: "Chi dice che il capitalismo crolla mentre resuscita il socialismo non ha di nuovo capito niente, perché il capitalismo assiste all'incepparsi non di sé, ma del nuovo sistema di scambio simultaneo universale che sfrutta da un decennio lo strumento di reti che avviluppa il mondo abbattendo spazio e tempo, grazie alla potenza del motore tecnologico di internet, capace di vincere la storia rendendo tutto contemporaneo, e persino la geografia, facendo ubiqua ogni cosa."
Purtroppo non si rende conto di aver preso un grosso abbaglio nell’attribuire, addirittura, la colpa di questo ciclone finanziario ad Internet ed alla grande rete telematica che avvolge il globo. Come se fosse la simultaneità degli scambi la causa di questa tempesta annunciata; al contrario, proprio essa è, generalmente, fattore di stabilizzazione dei mercati, come qualsiasi studente di economia politica al primo anno gli potrebbe spiegare.
Il dramma di questa crisi è, diversamente, l’assoluta inadeguatezza della politica a fronteggiare la globalizzazione, ultimo stadio del capitalismo. Il quale nel suo impeto primordiale di occupare tutti gli spazi economici disponibili ha finito per accumulare una mostruosa potenza divoratrice che tutto travolge al suo passaggio, persino le fragili istituzioni nazionali.
Ma come si fa a non accorgersi che la dimensione politica è stata del tutto fagocitata dai formidabili poteri economici che, sulla scena internazionale, dettano l’agenda ai singoli governi sia al di qua che al di là dell’Atlantico?
E’ forse un caso se, ritornando alle beghe di casa nostra, la bufera di Tangentopoli, segnando la fine della prima repubblica, abbia fatto emergere incontrastata la figura di un potentissimo uomo d’affari come Silvio Berlusconi che, di certo, nel fare impresa non si sente minimamente condizionato dai confini nazionali né dai tanti lacci e lacciuoli della democrazia rappresentativa?
La verità è che, ripassando la lezione di Marx e di Schumpeter, il capitalismo diventa asociale quando si impossessa con esponenziale voracità di tutte le risorse economiche: di qui la necessità di rispolverare il vero nodo mai sciolto che fa da sfondo a questa come alle precedenti crisi dell’Occidente industrializzato: Stato o Mercato?
Perché se deve prevalere il primo, quale moderno Leviatano, occorre che il Mercato venga imbrigliato in un rigoroso sistema di vincoli e di regole per evitare che faccia danno a se stesso prima ancora che ai suoi attori.
Ma garantire la sopravvivenza del mercato (con la m minuscola) è compito talmente impegnativo da richiedere lo sforzo coordinato dello Stato e di istituzioni sovranazionali.
C’è bisogno, dunque, di un nuovo ordine mondiale, basato non soltanto su un nuovo assetto geopolitico ma sul regolare funzionamento di istituzioni nazionali e sovranazionali che sul terreno dell’economia riescano a domare gli ormai pericolosi animal spirits.
E l’Europa deve fare da subito la sua parte per istituire un sistema di vigilanza della finanza a livello continentale prima che l’ondata di piena travolga le economie dei singoli paesi, le cui autorità agiscono ancora in ordine sparso. Sistema che preveda, con i necessari controlli, l’applicazione di severe sanzioni per i trasgressori.
Probabilmente, siamo ancora all’inizio della tempesta (l’ottovolante descritto dal titolo Unicredit nella giornata di ieri, dopo giorni di passione, non fa presagire nulla di buono, non solo per il primo gruppo bancario italiano ma per tutti noi) ma è bene prepararsi anche qui in Italia a settimane molto difficili, specie con una classe politica così imbelle che non trova di meglio, per voce dei suoi esponenti di punta Berlusconi e Veltroni, che dare vita all’ennesima zuffa mediatica: ennesimo round di un finto match che non incanta più nessuno.

mercoledì 30 luglio 2008

Dallo strappo costituzionale alla prospettiva di un durissimo inverno

Ormai la stampa non ne parla quasi più, ma la legge sull’immunità delle alte cariche resta il buco nero della nostra democrazia. A questo non possiamo rassegnarci, anche se è passata già una settimana.
Perché l’errore più grave è ritenere che si debba rimanere con le mani in mano, magari aspettando il prossimo strappo costituzionale.
Al contrario, occorre percorrere tutte le strade che il nostro ordinamento giuridico prevede per ripristinare l’agibilità costituzionale. In questo riteniamo che anche la via referendaria debba essere battuta pur di sanare la ferita prodotta alla nostra democrazia. Tuttavia, la consideriamo la soluzione estrema, qualora la Consulta, speriamo presto, non azzeri tutto.
Ciò perché di fronte all’incostituzionalità di una legge, neppure la volontà popolare può fare molto: l’eventuale abrogazione con il referendum non è la via maestra; anche perché, con questo clima e questa opposizione, l’esito referendario è tutt’altro che scontato.
Abbiamo un Pd che naviga a vista, avendo perso completamente la bussola.
Soffre la concorrenza di Antonio Di Pietro ma non è in grado di abbozzare alcuna reazione strategica; l’impareggiabile Walter Veltroni ha addirittura il coraggio di giustificare la sciagurata scelta elettorale dei democratici di correre da soli, cinque mesi fa, con le attuali conclusioni del congresso di Rifondazione Comunista che ha visto prevalere Paolo Ferrero: "Auguri a Ferrero, ma oggi si capisce meglio la bontà della scelta di andare liberi, della vocazione maggioritaria del Pd"(1).
Una facile via di fuga dalle proprie responsabilità ma, soprattutto, un grossolano errore di interpretazione politica, perché è chiaro che è stata proprio la scelta isolazionista del Pd che ha spinto Rifondazione comunista verso posizioni più movimentiste, lontane da intese con i democratici.
In altri termini, la sconfitta dell’ala bertinottiana facente capo a Nichi Vendola è dipesa proprio dalla politica fratricida di Veltroni che, invece di fare il gioco di sponda con il vecchio gruppo dirigente di Rifondazione, aiutandolo a consolidarne la disponibilità a future alleanze di governo, ha costretto quel partito a rinchiudersi nel proprio recinto culturale recuperando integralmente la sua identità originaria, lontano dal Palazzo e più vicino alla società.
Fra l’altro, non è detto che questo sia un male per la Sinistra italiana e forse ha ragione il neo segretario Paolo Ferrero quando all’accusa di Veltroni di essere un’estremista risponde facilmente: "E’ una critica sbagliata. Rifiuto l’immagine di una Rifondazione settaria e che si arrocca. Il punto è un nodo drammatico da sciogliere, che del resto anche il Pd ha di fronte: la grande crescita del disagio sociale. Secondo noi, o la sinistra rilancia un conflitto di classe oppure si scatena la guerra fra i poveri. E’ estremismo questo?" (2).
Fatto sta che adesso il Pd si trova tra l’incudine della difesa della legalità costituzionale dell’Italia dei Valori e il martello delle rivendicazioni sociali caldeggiate da Rifondazione Comunista; una posizione scomodissima, di grave debolezza che, per di più, non tiene al riparo il suo gruppo dirigente neppure dagli attacchi ricorrenti di Silvio Berlusconi e del Pdl.
Un vicolo cieco, purtroppo, in cui il vertice ha ficcato il Partito democratico senza sapere più come uscirne.
Paradossalmente, la ciambella di salvataggio all’annaspante Veltroni gliela può lanciare soltanto il Cavaliere che, tuttavia, non ha alcun interesse a farlo ora, preferendo per il momento temporeggiare, giocando con lui come il gatto fa con il topolino.
Per Berlusconi, l’apertura di un dialogo con Veltroni verrà facile quando, per il prevedibile aggravamento della situazione economico-sociale del nostro Paese, i cui segni saranno difficilmente occultabili a partire dal prossimo durissimo inverno, vorrà condividerne il peso delle responsabilità.
Uno scenario che, quindi anche sul piano politico, si presenta negativo per il Paese.
Prepariamoci, sin da queste calde giornate estive, a stringere prossimamente ancor di più la cinghia mentre la Casta si girerà a guardare da un’altra parte…
(1): la Repubblica 29/07/08, "Il day after di Rifondazione...", pag. 6
(2): la Repubblica 29/07/08, "Ferrero: 'Ma quale deriva ...' ", pag. 7

giovedì 24 luglio 2008

Un nuovo tristissimo 8 settembre

Con l’approvazione del lodo Alfano anche al Senato viene scritta forse la peggiore pagina di storia parlamentare dell’Italia repubblicana.
L’immunità garantita alle quattro principali cariche dello Stato (presidente della Repubblica, presidente del Senato, presidente della Camera e presidente del Consiglio) con la sospensione di tutti i processi penali nei loro confronti rappresenta uno strappo costituzionale gravissimo.
Che il presidente della Repubblica abbia promulgato un simile buco nero alla nostra carta fondamentale appellandosi ad un precedente pronunciamento della Corte Costituzionale è poi il colmo, tenuto conto che un simile strafalcione non sarebbe stato perdonato neppure ad uno studente di giurisprudenza alle prime armi.
Perché chiunque abbia sfogliato semplicemente un testo di educazione civica sa perfettamente che il principio sancito dall’art. 3 sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non può essere emendato in alcun modo, facendo parte di quel nucleo intangibile di princìpi della nostra Costituzione che non è sottoponibile a revisione per nessuna ragione, neppure attivando le solenni e gravose procedure di approvazione delle leggi costituzionali.
Che questo ferita sia stata provocata addirittura con legge ordinaria, con un semplice voto di maggioranza, la dice lunga sulla qualità della nostra classe politica, cinica ed impreparata.
Né ha importanza il fatto che la Costituzione non sia stata esplicitamente modificata, perché la legge approvata ne mina giuridicamente le fondamenta.
Ciò che più indigna non è tanto che il governo Berlusconi ci sia arrivato in soli 25 giorni, un vero record, dato che nessuno si era mai fatto illusioni sulla maggioranza uscita vincente dalle urne; ma che l’opposizione del Pd, dopo aver disertato senza pudore la manifestazione di protesta dell’8 luglio di piazza Navona, non abbia adesso di meglio da dire, per voce della senatrice Finocchiaro, che così il dialogo tra i due schieramenti diventa più difficile.
Ma vi siete resi conto che siamo giunti, a dispetto di un’Italia distratta ed indifferente e del silenzio complice dei mass media, ad un nuovo tristissimo 8 settembre?
Va a fondo la Repubblica dei padri costituenti nel più completo lassismo.
Onorevole Veltroni, cosa è più grave, il dito alzato di Bossi per il quale Lei si scalda tanto o lo scempio della nostra Costituzione perpetrato dalla Casta al gran completo, compresa la Sua opposizione di facciata?

domenica 20 luglio 2008

Berlusconismo e Veltronismo, facce di una stessa medaglia

Al traguardo delle ferie estive, la politica italiana non ne vuole sapere di riprendere un minimo di efficienza e di credibilità dopo mesi di colpevole inerzia a discutere delle urgenze giudiziarie del Cavaliere.
Né i mass media tentano di scuoterla in qualche modo: ascoltare i notiziari della Casta ormai supera l’umana resistenza.
Il solito pastone insipido a cui non ci si riesce ad abituare nonostante sia scodellato più volte al giorno da tutte le reti del duopolio.
Dal Palazzo non arriva mai uno sprazzo di luce, mai una dichiarazione di intenti che apra alla speranza di un autunno un po’ meno fosco, fosse anche un piano dei cento giorni che valga la pena di essere raccontato.
Niente di niente: siamo imballati sul lodo Alfano che potrebbe diventare, se approvato, il buco nero del nostro assetto costituzionale e risucchiare via ogni residua parvenza di democrazia e legalità.
E poi, i soliti attacchi sconsiderati alla magistratura ed al suo organo di autogoverno, colpevoli di voler fare rispettare per dovere d’ufficio la legge.
Infine, il nuovo scandalo della sanità in Abruzzo con gli arresti del governatore Ottaviano Del Turco.

Tutti adesso a strapparsi le vesti in suo favore, in primis Silvio Berlusconi che si fa garante della sicurezza della Casta attaccando per l’ennesima volta le toghe. Abbiamo un capogruppo al Senato del partito di governo che definisce cloaca il Csm, salvo poi precisare che non intendeva riferirsi né agli uomini né all’istituzione.

Ma i mass media, dopo aver dovuto riportare l’episodio, vi hanno fatto scendere subito dopo la sordina. Al contrario di come, soltanto qualche giorno fa, si sono comportati con la manifestazione dell’8 luglio, in cui si sono cimentati in dotte e sprezzanti discussioni sul turpiloquio usato in piazza Navona, con la Guzzanti, Travaglio e Grillo.
Spazzatura l’ha definita Berlusconi e pure il regista Nanni Moretti, ormai in piena crisi d’identità (i suoi ultimi film lo documentano!), si è accodato dietro il Cavaliere.

Secondo il regista di Palombella Rossa questa bellissima manifestazione avrebbe sporcato la storia dei girotondi del 2002 di cui egli fu uno dei protagonisti: affermazione che suona talmente insulsa da non meritare il minimo commento.
Purtroppo sulla scena pubblica resta ancora di incredibile attualità la questione morale, già inutilmente denunciata 25 anni fa da Enrico Berlinguer.

Gli ultimi eventi di malapolitica confermano ancora una volta che se l’Italia non riesce in fretta a estirpare questo bubbone purulento, rischia il totale dissesto non solo economico ma sociale.

Infatti, il pizzo che viene fatto pagare, nelle più disparate forme, ad ogni nuova iniziativa economica che spunti miracolosamente all’orizzonte azzera qualsiasi prospettiva di crescita per il nostro Paese.
La fotografia più fedele di questo deprecabile stato di cose ci viene offerta proprio dai nostri alleati americani che, nello sconfessato kit di documenti distribuito per il G8 tenuto in Giappone ai giornalisti americani al seguito del Presidente Bush, riportano testualmente: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio”.
Ma in Italia, salvo Di Pietro ed il popolo di piazza Navona, di questione morale nessuno vuole sentir parlare, né a destra né tra i democratici.
Al contrario, il Pd sta accelerando il passo per completare il processo di sua completa omologazione ai gusti del Cavaliere: al punto in cui siamo, non c’è da meravigliarsi se in un futuro non lontano i veltroniani possano confluire nel Pdl.
Infatti, se Berlusconi resta ancora un interlocutore autorevole per ridisegnare lo Stato va da sé che criticarne il suo governo nella gestione degli affari correnti risulta molto, molto difficile.
L’assimilazione tra Pdl e Pd, grazie alla segreteria di Veltroni, è tale che persino la rodata redazione del TG1 ha difficoltà a confezionare i famosi panini: su qualsiasi argomento, maggioranza, governo e opposizione dicono essenzialmente le stesse cose e, nonostante tanta buona volontà, la pagina politica del TG1 riesce proprio indigesta perché, più che un collage di punti di vista diversi, si presenta come una insensata liturgia.
Se però un merito va attribuito a Walter Veltroni è quello di tentare di animarla: sue le più originali uscite dell’ultim’ora. Ne segnaliamo due:
"Berlusconi c'e' ma il berlusconismo e' finito, non e' piu' in grado di dare risposte alla crisi dell'Italia" (1);
"Lo dico alla Lega, se si vuole proseguire con il federalismo bisogna evitare commistioni indebite con una riforma della giustizia che favorisce pochi cittadini"
: ovvero, l’ennesimo ultimatum, questa volta rivolto alla Lega Nord.
Non sapendo più a che santo votarsi per uscire dal vicolo cieco in cui si è ficcato, l’ex sindaco di Roma adesso punta sulla Lega: ma, soltanto una settimana fa, aveva rotto definitivamente con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Di una cosa, però, siamo convinti: se un giorno il berlusconismo finirà (che sia già finito non ne siamo tanto convinti!), si porterà via anche la sua immagine speculare, cioè il veltronismo.
Sì perché il veltronismo può esistere solo in presenza del berlusconismo.
Cosa sia il berlusconismo lo lasciamo spiegare all’impareggiabile Walter che dà, però, spesso la sensazione di parlarne più per sentito dire che con cognizione di causa: come se quello che ha combinato Berlusconi in questi mesi, a partire dalla giustizia, non lo abbia coinvolto più di tanto.
Quello che è invece il veltronismo lo diciamo noi: è l’ideologia del potere deideologizzato, cioè di un ceto politico che pretende di sovrintendere i processi di cambiamento sociale senza governarli ma semplicemente assecondandoli, lasciando campo aperto agli animal spirits dell’economia.
In nome di un malinteso senso dell’innovazione tecnologica e del progresso, essi vengono lasciati operare senza frapporre loro ostacoli, salvo quello di lasciare alla Casta la prerogativa di ratificarne le decisioni nelle sedi istituzionalmente deputate.
Il ceto politico, cioè, serve a certificare come democratiche, decisioni prese fuori dalle aule parlamentari. E’ il catering politico così lucidamente descritto dallo scrittore Antonio Tabucchi.
Il ruolo dei partiti, la loro organizzazione, il dibattito interno vengono sviliti, sacrificati sull’altare degli equilibri concordati dagli apparati dirigenti, che trovano la loro legittimazione non nel consenso delle masse ma in accordi formulati dalle consorterie di partito e nella visibilità mediatica che da ciò ne deriva.
Il politico può perdere tutte le elezioni possibili e immaginabili ma non per questo perde autorità e, dunque, autorevolezza nel partito.
Lo si capisce benissimo nel caso di Walter Veltroni: in meno di nove mesi ha perso tutte le scommesse politiche formulate ma non per questo si mette in discussione, consapevole che per mettere in crisi la sua leadership c’è bisogno di ben altro che di un dissenso interno, sia pure organizzato. Occorre un vero e proprio ribaltone nel gruppo dirigente del Pd che, per come questo è stato allestito, non può tecnicamente avvenire.
Né deve temere l’improvviso apparire di un outsider perché il partito è abbastanza destrutturato da vivere solo sotto la spinta di cordate, le cosiddette correnti, e non per l’impulso spontaneo di nuovi fermenti culturali o di istanze provenienti dalla sua base elettorale.
Stesso discorso, naturalmente, vale per il suo tradizionale rivale, Massimo D’Alema, sempre e comunque col vento in poppa, malgrado anch’egli vanti una serie di sconfitte niente affatto secondarie.
Ecco che il veltronismo, coltivando l’antiideologismo fino al punto da farne una vera e propria filosofia, è per sua natura votato alla trattativa ad oltranza con il governo delle destre alla cui politica si lega indissolubilmente: la tentazione del compromesso, l’inciucio, è sempre dietro l’angolo.
Ma Berlusconi non ha alcun interesse di intavolare subito una trattativa con l’opposizione, tanto più che è consapevole di poterselo sempre permettere dato che il veltronismo non ha altre vie d’uscita. Di qui la sua tattica del bastone e carota: un giorno sembra accomodante ma il giorno successivo, maramaldeggiando il povero Walter, dichiara che tirerà dritto.
Questo tira e molla sta logorando il segretario del Pd che appare ormai un leader bollito da un estenuante stop and go: fa l’ennesima apertura di credito al Cavaliere ma, alla conseguente bordata berlusconiana contro tutto e tutti, è costretto addirittura ad innescare la retromarcia.
Dal 13 aprile non si contano più le volte in cui ciò si è verificato: siamo al paradosso che le ultime dichiarazioni di Veltroni sono un continuo replay di cose già dette e suscitano negli osservatori politici ormai solo sbadigli.
Come il Pd, in queste condizioni, possa evitare l’implosione è davvero difficile spiegarlo.

venerdì 11 luglio 2008

L'8 luglio e il patetico ultimatum di Veltroni a Di Pietro

Casta e mass media stanno cercando in tutti i modi di azzerare il significato dell’8 luglio, giorno in cui, a due mesi dall’insediamento del governo di destra, si è avuta la prima vera risposta di sdegno della società civile contro il kit di leggi vergogna approntato in un battibaleno dalla squadra di Berlusconi.
E’ stata una giornata di passione e fervore popolare, interpretata secondo varie sensibilità e differenti stili comunicativi, ma tutti uniti nel denunciare e condannare lo strappo costituzionale che si sta consumando.
L’obiettivo di far salire verso il Palazzo un vibrato no alle leggi, anticostituzionali piuttosto che incostituzionali, di Silvio Berlusconi è stato netto e chiaro e può ritenersi ampiamente raggiunto.
Ha fatto da sfondo all’evento una piazza Navona gremita all’inverosimile fino a sera inoltrata, in un tripudio di slogan, striscioni colorati, bandiere e battimani spontanei di una folla che, nella sua eterogeneità, si è ritrovata accomunata da un bisogno alto: quello di difesa della legalità e di fedeltà alla carta costituzionale.

E’ chiaro, che lontano da ogni ipocrisia, nella giornata in cui si esprimeva un perentorio no alla politica di Berlusconi non poteva essere steso un velo, neppure pietoso, sul modo disastroso in cui è stata condotta finora l’opposizione: qui la bocciatura di Walter Veltroni e del suo gruppo dirigente è stata altrettanto inappellabile.
Non ci voleva l’intervento di Beppe Grillo o quello di Marco Travaglio, applauditissimi, a capire che se Berlusconi è il primo responsabile di questo tristissimo stato di cose, una buona parte di responsabilità la porta proprio chi, in un Parlamento praticamente divenuto bipartitico, non ha svolto e continua a non svolgere quel ruolo di critica serrata e di opposizione autentica e trasparente che un sistema elettorale nato da una legge porcata gli imporrebbe di fare.
Dalle dichiarazioni del leader del PD di critica durissima alla manifestazione organizzata dai girotondi e dall’Italia dei Valori si comprende, al di là delle apparenze, il motivo vero della sua assenza: senza le stringenti e ferree consegne di un agguerrito servizio di vigilanza ed una claque opportunamente organizzata, Walter Veltroni avrebbe rischiato scendendo in piazza di ricevere soltanto sonore bordate di fischi.
Ma un leader dell’opposizione che teme il confronto aperto con la piazza che manifesta contro il governo in carica (beninteso una piazza speciale, non di estremisti, ma di gente pacifica e perbene che si mobilita non per protestare giustamente contro il carovita o per qualche rivendicazione corporativa, ma semplicemente in difesa della Costituzione), si autocertifica quale leader senza qualità, oscuro portavoce del Palazzo.
Quanto poi al tentativo di ripararsi dietro la figura del Capo dello Stato per ridimensionare il grandissimo valore politico di una manifestazione in difesa della Costituzione, esso è malamente naufragato: ieri, tutti i principali organi di informazione non parlavano d’altro ma bastava andare in giro per le mille piazze d’Italia per sentire ancora intatta l’eco di una soddisfazione malcelata che accomuna trasversalmente settori sociali molto differenti.
D’altronde, solo in una teocrazia criticare il Capo dello Stato è da ritenersi una bestemmia; in ogni paese normale, vagliarne e persino criticarne l’operato magari accostandone la figura ai suoi predecessori, come Pertini, Scalfaro, Ciampi, può essere un esercizio addirittura necessario.
Ma la Casta pur di difendere se stessa è disposta a tutto, anche a fare dell’anziano presidente Giorgio Napolitano l’agnello sacrificale, invocando il peccato di lesa maestà: ecco cos’è la vera antipolitica, non quella di Beppe Grillo o dei girotondini!
Ed è banalmente un mezzuccio ridurre il tutto ad una questione di turpiloquio: di ciò rispondono personalmente i singoli protagonisti di quella serata, senza sfiorare neppure lontanamente la sostanza politica della protesta, civilissima e meritoria.
Prendere le distanze dalle manifestazione, concentrandosi su alcune battute di Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e Marco Travaglio, che peraltro danno sfogo a sentimenti non minoritari tra la gente, è un meschino escamotage per nascondere le gravi colpe di una classe politica, rinchiusa nei propri privilegi, sorda e distante anni luce dalla piazza.

Perché martedì in piazza Navona erano rappresentate due Italie.
Il convitato di pietra, l’Italia berlusconiana, quella che fa quello che vuole e non risponde a nessuno se non a se stessa; e la società civile che, pur nelle sue contraddizioni, è pronta e leale al richiamo dei valori costituzionali.
Quest’Italia non solo è vivamente preoccupata per la brutta piega che stanno prendendo gli eventi ma si mostra decisamente irritata con chi, dall’opposizione, non sta facendo affatto il suo dovere.
Altro spazio politico, di fronte alla straordinarietà della sfida berlusconiana, non ce n’è!
Ascoltare, quindi, lo sconfitto Veltroni lanciare una sorta di ultimatum nei confronti di Antonio Di Pietro getta tutti nello sconforto più assoluto: nessuna consapevolezza della propria inadeguatezza, non un briciolo di autocritica, non un minimo di pudore rispetto al patatrac a cui ha costretto l’Italia intera!
Il delirio di onnipotenza lo perseguita (1): "Ora di Pietro scelga e decida con chi sta: se è con Grillo e Travaglio, con la piazza che insulta lo dica, se invece decida di stare in un’area riformista prenda l’impegno conseguente e metta fine a manifestazioni come quella di piazza Navona". Ed ancora: “Sentire quella caterva di insulti a tutto e a tutti mi ha fatto molto male mentre Berlusconi ha goduto, la sceneggiatura sembrava scritta da lui. Se avessimo portato in piazza il Pd oggi saremmo un cumulo di macerie”.
Ma come si fa a dire cose simili, persino rivendicando una qualche lungimiranza, quando egli in meno di sei mesi ha portato la politica italiana a Caporetto!
Adesso taglia i ponti anche con l’alleato Di Pietro, che lo sta surclassando non per qualità del proprio progetto politico ma semplicemente perché dimostra dignità ed onestà intellettuale con i propri elettori.
Ormai l’ex sindaco di Roma è riuscito a compiere un vero capolavoro: di isolare il Pd al punto tale da fargli rompere i rapporti persino con l’alleato dell’ultim’ora!

Di questo passo, rischia di litigare anche con se stesso. Perché solo con Silvio Berlusconi gli riesce di parlare pacatamente, serenamente; con gli altri invece usa toni sempre minacciosi e ultimativi.
La dimostrazione è che, di fronte al diluvio di iniziative ad personam del governo di destra, l’impareggiabile Walter abbia pensato prima di raccogliere le famose 5 milioni di firme (ma forse qualcuno lo convincerà a soprassedere…) e poi di organizzare una giornata di protesta, fissandola tra più di tre mesi: addirittura per il 25 ottobre!
Sembra che Silvio Berlusconi sia compiaciuto di quanto non stia facendo Walter Veltroni ma, raccontano (2), “se davvero resterà segretario solo fino alle europee, allora tanto vale iniziare a cambiare interlocutore fin da ora”.
Insomma, siamo al paradosso che persino ad Arcore si lamentino di non poter più contare su un avversario credibile.
Anche il Cavaliere si è stancato di tanta mediocrità!
(1): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "Lodo, oggi il sì della Camera cambia il blocca-processi"
(2): la Repubblica, 10/07/08, pag. 6, "E Berlusconi plaude al leader del Pd [...]"

martedì 1 luglio 2008

L'estate al mare di Mr. Se pò ffà

Dispiace tirare in ballo sempre Mr. Se pò ffà, al secolo Walter Veltroni, ma ormai non passa giorno senza che ne combini una delle sue.
Il paese economicamente affonda, il decreto legge blocca processi e il lodo Schifani bis o meglio lodo Alfano fanno tracimare fuori dall’alveo della Costituzione la nostra democrazia, si usa la mano forte per fronteggiare le sacche di malcontento popolare e l’apatico leader del Partito democratico se ne viene fuori domenica scorsa, nell’intervista fattagli dal vicedirettore Massimo Giannini su la Repubblica, con la inedita frase: “Berlusconi prende in giro i cittadini e si occupa solo dei suoi affari personali”.
Incredibile! Anche Mr. Se pò ffà comincia ad accorgersene: vuol dire proprio che questa volta Silvio Berlusconi deve avere esagerato!
Perché in questi mesi l’unico che ha creduto al restyling politico del Cavaliere è stato proprio Mr. Se pò ffà che a novembre, quando Berlusconi era ormai al tappeto, è riuscito a rimetterlo in piedi legittimandolo come interlocutore credibile non solo per rifare la legge elettorale ma addirittura per il varo delle riforme istituzionali.
Purtroppo l’ex sindaco di Roma, che in questo gioco d’azzardo ha sperperato gran parte della sua credibilità, ha perso su tutti i fronti: sotto nel confronto elettorale, è stato svillaneggiato anche in sede di riforme istituzionali che, a questo punto, Berlusconi si fa da solo con legge ordinaria, infischiandosene della sua mano tesa.
Di più, è stato costretto a difendersi davanti alle telecamere, causa l’ennesimo agguato orditogli dal centrodestra, pure dall’accusa di aver ridotto, dopo tanti anni di amministrazioni di centro sinistra, praticamente alla bancarotta il Comune di Roma.
Ancora, Berlusconi lo attacca mettendo in dubbio le sue qualità di leader e dichiarando che il dialogo è chiuso e lui, pappagallescamente, alza la voce per ripetere “Il dialogo è chiuso”.
Questo suo insulso gioco di rimessa sta facendo saltare i nervi ai suoi stessi colleghi di partito, ai quali ripete la solita solfa che senza di lui ad aprile scorso si sarebbe perso ugualmente.
Omettendo però di dire che senza la sua vittoria alle primarie del PD dell’ottobre 2007, il governo Prodi, molto probabilmente, oggi sarebbe stato vivo e vegeto.
Quanto a prendere qualche iniziativa contro il tentativo del governo di far passare la versione aggiornata delle leggi vergogna ecco che gela tutti rinviando a settembre qualsiasi offensiva.
Ma la cosa più sorprendente è la motivazione che riporta; perchè nell’intervista a la Repubblica testualmente dichiara:
"Ho parlato dell'autunno perché su alcune questioni sociali, che Di Pietro non sa neanche dove stiano di casa, sarà quello il momento più critico. Detto questo non mi spaventa avere idee diverse su come fare opposizione. Io non vivo col problema che c'è uno che urla più di me, perché sono un riformista e so che per un riformista c'è sempre uno che urla più di te. Ma so anche che quelle urla poi si perdono nell'aria. E so che quelli che alla fine cambiano davvero le cose sono i riformisti. Vivere con la paura del nemico a sinistra è qualcosa di cui ci dobbiamo liberare per sempre".
In altri termini, nascondendosi con un giro di parole dietro il termine riformismo, Veltroni motiverebbe la sua snervante inerzia con la previsione che egli fa di un’accelerazione della crisi italiana subito dopo le ferie estive, giudicando qualsiasi decisione di scendere in campo adesso come prematura.
Secondo lui, meglio ora starsene in tribuna a guardare come va a finire la partita tra il governo Berlusconi e l’Italia.
Parole, le sue, che sconcertano: invece di agire subito, coinvolgendo i cittadini, per riportare l’agenda di governo sugli scottanti temi dell’emergenza economica e sociale e lontano dai bisogni giudiziari del Cavaliere, il leader del PD preferisce aspettare che la situazione precipiti per trarne un qualche profitto politico.
Disegno miope e irresponsabile: a questo punto non si sa chi sia peggio tra Berlusconi e Veltroni nel giocare sulla pelle del Paese.
Com’è possibile che Mr. Se pò ffà non rompa gli indugi quando ha appena affermato che l’Italia sta vivendo la sua più drammatica condizione dal dopoguerra?
Ecco alcune sue frasi tratte dalla stessa intervista:
"L'Italia vive la crisi più drammatica dal dopoguerra in poi. Berlusconi prende in giro i cittadini, e si occupa solo dei suoi affari personali. Ora basta, il dialogo è finito”;
“La crisi ha origini antiche. Ma oggi quello che sconcerta è il capovolgimento delle priorità. L'Italia vive la condizione più drammatica dal dopoguerra. Siamo in piena stagnazione. I consumi crollano: quelli finali sono a -2,3%, a -4% nel Mezzogiorno. Per la prima volta siamo passati dal 6,4 al 7,1% nel tasso di disoccupazione. La produttività è -0,2%, il Pil ristagna al +0,1%. Il Paese è fermo”.
Dopo aver pronunciato tali parole, come riesca a restarsene placido sotto l’ombrellone l’8 luglio quando a Roma sfileranno le tante anime dell’opposizione, da Di Pietro al popolo dei girotondi, alla sinistra rimasta fuori del Parlamento, al popolo di Beppe Grillo, ad una fetta importante della società civile, è uno dei tanti misteri che mettono a dura prova la capacità di resistenza degli elettori del PD.
Il rischio è che a mollo nell’acqua salata quel giorno ci resti soltanto lui.