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giovedì 10 novembre 2011

E' partita la campagna di Repubblica per un governo Monti lacrime e sangue

Messa da parte la barzelletta del governo Berlusconi, è partito l'affondo della corazzata del finanziere De Benedetti, il gruppo Repubblica - l'Espresso, a favore di un governo tecnico guidato dal bocconiano Mario Monti ed eterodiretto dal direttorio Merkel Sarkozy.
Obiettivo: spremere a fondo gli Italiani con operazioni su larga scala di macelleria sociale, senza assumersene la responsabilità politica, trattandosi di un governo che non riceverà un mandato dal popolo ma la cui investitura avviene solo a furor di mercati, sotto l'incalzare della speculazione internazionale.
Si consuma così fino in fondo un furto di sovranità popolare per mano della tecnocrazia europea che in questi mesi ha trovato nel governo di centrodestra diretto dall'uomo di Arcore un bersaglio sin troppo facile da colpire.
In un sistema bipolare, stringere la tenaglia Pd-Pdl per costituire un governo che non risponde a nessuno se non alla coppia Bersani-Berlusconi e all'ineffabile Casini, vuol dire costituire un unipolarismo che ha come missione esclusiva quella di sporcarsi le mani per prendere decisioni irrevocabili sopra la testa della gente, senza che questa venga interpellata o possa eccepire alcunché.
Vuol dire darla vinta all'attacco speculativo arrivato da lontano.
Al gravissimo danno del governo Berlusconi seguirebbe quindi la memorabile beffa del governo Monti, con buona pace di chi ancora crede nella democrazia rappresentativa.
Paradossalmente questo sarebbe il trionfo della Casta, che si fa scudo della tempesta internazionale per infliggere il colpo mortale allo stato sociale e ai cittadini che ormai all'unanimità la disprezzano.
In nome di cosa il Pd di Pierluigi Bersani, l'Udc di Pierferdinando Casini e il Pdl di Silvio Berlusconi, con il beneplacito del presidente Giorgio Napolitano, possano gettare alle ortiche le proprie piattaforme programmatiche su cui avevano ricevuto il consenso nelle Politiche del 2008, senza doverne preventivamente rendere conto al corpo elettorale, è questione che attiene  al funzionamento costituzionale della nostra democrazia che neanche l'eccezionalità del momento può sovvertire.
L'attacco proditorio mosso ad Antonio di Pietro dalle colonne di Repubblica, facendo credere che i suoi sostenitori tifano per il governo tecnico e disapprovano in larga maggioranza  la posizione espressa dal leader dell'Italia dei Valori di netta opposizione ad un tale esecutivo, è la riprova dello stato miserevole in cui versa il centrosinistra che, quando pure riesce a liberarsi del fantasma del Cavaliere, si trova in balìa dei cosiddetti riformisti, alias poteri forti, sempre pronti a scatenargli contro una campagna mediatica di inaudita portata, da far impallidire per virulenza la berlusconiana macchina del fango.
Chi decreterà la fine dello stato sociale per colpa della finanza mondiale impazzita, riducendo sul lastrico milioni di persone e quasi per intero il ceto medio, deve avere una chiara investitura popolare che non può che passare per elezioni anticipate.
Nel frattempo, un altro governo di centrodestra a guida Gianni (non Enrico!) Letta o Angelino Alfano deve approvare rapidamente la legge di stabilità, concordare con l'opposizione una nuova legge elettorale e poi, di corsa, mandarci a votare tra il febbraio e il marzo 2012, presentandosi con  il proprio fallimentare bilancio dinanzi al popolo sovrano.
E' la democrazia, bellezza!
Scherzare con il fuoco, dispensando urbi et orbi il messaggio subliminale che la bancarotta finanziaria dell'Italia sia solo questione di giorni o addirittura di ore, denota grave spregiudicatezza politica e assoluta mancanza di senso dello Stato, un pessimo biglietto da visita per chi dovrà farci dimenticare il nefasto ventennio di Silvio Berlusconi.
Anche perché, disgraziatamente, questo riprovevole espediente serve a far digerire agli Italiani una medicina amarissima ma soprattutto letale. 

giovedì 22 settembre 2011

La Lega Nord di Bossi salva 'Roma ladrona'

E così la strana coppia Bossi Berlusconi ha salvato il deputato del Pdl Marco Milanese, braccio destro di Giulio Tremonti, dall'arresto.
Un'altra delle pagine nere della democrazia italiana, che ormai non si contano più.
Le nostre istituzioni sono da tempo svuotate di ogni credibilità e la sovranità, che ancora la Costituzione declama appartenere al popolo, è di fatto alla mercé di due personaggi vecchi  e malconci, diventati bersaglio del ludibrio internazionale.
Negli stessi minuti in cui  la maggioranza Pdl Lega salvava Milanese dalle patrie galere con una votazione al fotofinish (312 contro 305) lo spread tra i nostri BTP e i Bund tedeschi volava a 411 punti, a conferma di un discredito che ha varcato da tempo non solo i confini nazionali ma persino gli oceani.
Come si possa continuare così, con l'uno che delira di secessione e l'altro che grida al complotto mentre il clamore degli scandali attorno a lui diventa assordante, è cosa che supera l'umana comprensione.
Nel frattempo il Paese, abbandonato a se stesso, sta affondando inesorabilmente e la rabbia sociale ha oltrepassato il livello di guardia: prova ne siano i fischi e gli insulti che, non più tardi di ieri,  il sindacato di polizia ha riservato al ministro della difesa Ignazio La Russa, uscendo da Montecitorio.
E con lo spread che si allarga sempre di più, la falla di bilancio rischia di non essere più arginabile, nemmeno se si mettesse mano  in fretta e furia all'ennesima manovra lacrime e sangue (20 miliardi di euro?), fra l'altro già data per certa da molti osservatori.
Soltanto il Presidente della Repubblica, nel suo ruolo istituzionale, può evitare la catastrofe invitando ufficialmente Berlusconi a raggiungerlo al Quirinale per l'ultimo atto.

giovedì 15 settembre 2011

Finalmente l'opposizione ha trovato il suo leader: è Manuela Arcuri!

Finalmente l'opposizione ha trovato il leader che alle prossime politiche del 2013 potrà sfidare vittoriosamente Silvio Berlusconi per la carica di Presidente del Consiglio: è Manuela Arcuri, la show girl che, raccontano le ultime notizie, avrebbe rifiutato le avances di Silvio Berlusconi rinunciando persino alla conduzione del Festival di Sanremo.
Da quanto trapela dall'inchiesta della procura di Bari, l'attrice e modella trentaquattrenne di Latina, addirittura non avrebbe ceduto alle pressioni di Gianpi Tarantini che, secondo i pm,  «la indusse a prostituirsi in favore di Silvio Berlusconi con la promessa che lo stesso l’avrebbe favorita per la conduzione del festival di Sanremo, non riuscendo a portare a termine il suo proposito a causa del rifiuto opposto della stessa».
Di fronte ai tentennamenti dei sepolcri imbiancati del Partito democratico, Veltroni, D'Alema, Fassino, Violante, che in passato hanno flirtato a lungo con Silvio Berlusconi finendo per progettare con lui pure la riforma costituzionale (la famigerata Bicamerale del compagno Max), Manuela Arcuri ha una faccia nuova,  per di più sexy e dolce, e non ha nulla che fare con la generazione degli incanutiti ex quarantenni comunisti che tanti guai hanno procurato alla sinistra italiana. 
Ancora, è l'unica persona che, a memoria d'uomo e con la sola eccezione della Bindi, abbia opposto un secco no alle pretese del Cavaliere e che lo può distruggere proprio sul terreno in cui quelli del Pdl sembrano dannatamente ferrati: quello delle belle donne.
E tutto questo ci sarebbe stato servito involontariamente su un piatto d'argento proprio dall'entourage di  Berlusconi, poco dopo aver detto della Cancelliera tedesca Angela Merkel che è una 'culona': che cosa si può volere di più??
Con conseguenze politicamente letali per l'uomo di Arcore: se il Cavaliere dicesse che l'Arcuri non gli piace come sfidante, nessuno gli crederebbe neanche per un  istante e tutti penserebbero che fa come la volpe con l'uva.
Inoltre, la Arcuri ci farebbe risparmiare la rottamazione di Matteo Renzi, un anno e mezzo di baraonda elettorale nel Pd e il tradizionale scambio di pugni tra D'Alema e Veltroni e... soprattutto la farsa delle Primarie tra i soliti noti.
Compagna Manuela, salvaci tu:  facci 'o miracolo


martedì 13 settembre 2011

Chi è "The bad boy of Italian Politics"? Ce lo dice Playboy America!

E così scopriamo che la sexy modella Evelina Manna ammette, dopo aver fatto cadere l'ultimo velo davanti all'obiettivo di Playboy America, di essere stata la fidanzata di Silvio Berlusconi, confessando che "dopo Silvio nessun altro uomo ci sarà nella mia camera da letto".
A parte il fatto di leggere del nostro presidente del Consiglio non sul Wall Street Journal ma sulla celebre rivista internazionale per soli uomini, colpisce la definizione che ne viene data: "il ragazzaccio della politica italiana".
Non meravigliamoci poi se lo spread con il bund tedesco oggi abbia sfiorato i 400 punti e se l'attacco USA contro l'Euro, al di là delle parole preoccupate del presidente americano Barack Obama sull'Italia, trova proprio nel nostro Paese il fianco scoperto dell'Unione Europea.
Ma cosa dobbiamo ancora aspettare,  prima che si dia il benservito a quest'uomo?

mercoledì 31 agosto 2011

Il riscatto di naja e laurea e il nuovo disco di Berlusconi: "Scurdamocce 'o passato... simm 'e Arcore paisà!"

La manovra di Ferragosto, dopo quella di luglio, altro non è che il fallimento di un governo e della sua maggioranza: basterebbe accostare i fotogrammi delle conferenze stampa del 5 agosto e del 12 agosto indette in fretta a furia per placare i cosiddetti mercati dal duo Tremonti-Berlusconi , per avere la riprova mediatica di un naufragio politico e morale a cui non è più possibile porre rimedio.
In un Paese serio, sarebbe bastato semplicemente costatare alla TV l'imbarazzo e l'assoluta impreparazione mostrati dal ministro del Tesoro nel fronteggiare un disastro finanziario annunciato da tempo e che solo lui e Berlusconi avevano continuato a negare fino alla sua finale deflagrazione, per mandarli a casa a stretto giro di Quirinale.
Invece no, imperterriti, rimangono lì minacciando ed organizzando nuovi sfracelli.
Questa volta hanno preso di mira di nuovo la previdenza, in particolare i contributi versati dai lavoratori per il riscatto degli anni di laurea e del servizio militare di leva.
Il target è chiaro: i lavoratori dipendenti che hanno studiato fino alla laurea e che hanno servito lo Stato con la naja.
Ad essi lo Stato aveva parlato chiaro: poiché il servizio militare e lo studio che avete compiuto fino alla formazione universitaria hanno un'utilità sociale, qualora voi effettuiate versamenti volontari, tali contributi ve li riconosco ai fini previdenziali, ponendovi alla pari con chi, presa la maturità, ha potuto entrare subito nel mondo del lavoro e dunque maturare un'anzianità di servizio e previdenziale mediamente di 4-5-6 anni superiore alla vostra.
Così ad esempio il brillantissimo studente in medicina che inizia, suo malgrado (6 anni di laurea + 4 di specializzazione + 1 anno di leva militare), a fare il medico alla soglia dei trent'anni, avendone la possibilità economica (si tratta di tirare fuori oggi diverse decine di migliaia di euro!) si può fare riconoscere come anzianità previdenziale tutto il lungo periodo passato sui libri, in mancanza del quale oggi non potrebbe svolgere le funzioni di medico.
In modo tale che rispetto al diplomato di pari età, che ha iniziato a lavorare a 19 anni, almeno sotto il profilo dell'età previdenziale, viene in qualche modo equiparato: entrambi a 30 anni possono vantare un'anzianità previdenziale di 11 anni. Quindi per raggiungere i fatidici 40 anni di servizio, hanno ancora davanti 29 anni di lavoro.
Se tutto fila liscio, maturano il massimo contributivo a 59 anni.
Ragionamento analogo lo si può fare, naturalmente, per ingegneri, architetti, professori e così via, solo che i periodi di riscatto sono evidentemente inferiori rispetto al caso limite dei medici.
Il duo Berlusconi Tremonti e tutta l'allegra brigata di Lega e Pdl adesso dice: i vostri versamenti? Fate finta di non averli effettuati; al più ve li riconosceremo al momento in cui (chissà quando!) andrete  in pensione e questa vi verrà calcolata su tutti i contributi versati. 
Così, tu medico che hai versato mediamente 50-60mila euro di contributi in più, a 59 anni vorresti andare in pensione?
Scherzi? Sei giovanissimo, hai solo 29 anni di anzianità, dopo il vertice di Arcore sei retrocesso a pensionato baby, la pensione la puoi vedere soltanto con il cannocchiale!
Sembra assistere al recital dello chansonnier Berlusconi con il fido Apicella mentre ipnotizza la platea: "Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce 'o passato... simme 'e Arcore paisà!"
E il premier Berlusconi vuole pure stappare la bottiglia di champagne... forse perché sia dell'imposta sui grandi patrimoni che di una maggiorazione dell'aliquota fiscale sui capitali scudati non se ne è fatto nulla. 
E' chiaro: con quale faccia lo Stato avrebbe potuto chiedere un supplemento di imposta (passando magari dal 5 al 23%, aliquota minima del reddito da lavoro dipendente) a evasori fiscali, malavitosi, faccendieri che hanno portato i loro capitali di origine illecita all'estero e che li hanno fatti rientrare incentivati da un misero 5% di prelievo tributario? 
Non sia mai, molto meglio fregare i cittadini onesti, che hanno studiato, lavorano  e che continuano a farlo  a testa bassa! Pagando pure il 38% sul reddito da lavoro...
Finché ci sono loro, per l'allegra brigata di Arcore sarà sempre tempo di bunga bunga!

giovedì 11 agosto 2011

I Quattro dell'Apocalisse e l'ipermacelleria sociale

In questi giorni di tempesta, due persone sicuramente, per il bene di tutti, non andrebbero mai intervistate.
La prima è il ministro del Tesoro e dell'Economia Giulio Tremonti.
Ormai non passa giorno senza che ci vomiti addosso tutto il suo malumore con una serie di iniziative straordinarie da prendere per tagliare il bilancio pubblico (dalla famigerata imposta di bollo sui conti titoli dei risparmiatori, ovvero la classica patrimoniale per i poveri, ai ticket sanitari, al taglio delle pensioni, al taglio degli stipendi pubblici, ad un'imposta straordinaria sui redditi medio-alti, all'accorpamento delle festività con le domeniche, ai ticket sui ricoveri ospedalieri (!!!), fino all'ennesima idiozia di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione insieme all'abominio di abrogare l'art. 41 che sancisce i limiti dell'iniziativa privata nell'ambito dell'utilità sociale).
Afflitto da grane private e figuracce pubbliche, ormai è andato completamente in bambola e spara misure lacrime e sangue senza rendersi veramente conto di quello che dice, tanto da smentirsi di volta in volta.
Insieme a Umberto Bossi e Silvio Berlusconi costituisce un trio da far venire i brividi, la cui credibilità a livello europeo ormai è molto vicina a zero.
Tant'è che Sarkozy e la Merkel li consultano, si fa per dire, solo a giochi fatti.
Per nostra sfortuna, adesso non appena dicono qualcosa di ufficiale davanti ai microfoni, i mercati se la prendono di brutto.
Insomma rappresentano un ulteriore grave fattore di instabilità per le finanze italiche.
Il motivo è che per anni hanno negato l'evidenza della crisi (fino all'altro ieri!), poi d'improvviso sono partiti sparati deliberando in fretta e furia provvedimenti che vanno a colpire soltanto la povera gente, guardandosi bene dal solo sfiorare i loro privilegi e le loro ricchezze (guai a parlare di imposta sui grandi patrimoni, o di lotta all'evasione fiscale, piuttosto preferirebbero rinunciare persino al bunga bunga...).
Un'accozzaglia di misure prese tanto per fare ammuina e colpire socialmente chi in questi anni li ha avversati, ben sapendo che con questo modo di sgovernare il Paese la crisi non verrà tamponata; al contrario, avrà esiti letali forse per il 90% degli Italiani.
Ma quello che più sorprende è la loro grande e, per certi versi, sorprendente, incompetenza tecnica.
Un ministro che teorizza il pareggio di bilancio in Costituzione rinuncia a priori a tutte le politiche keynesiane cioè alla gran parte della politica fiscale.
Se un Governo, che già non dispone più della leva monetaria, sacrifica pure la politica fiscale vuol dire che sconfessa se stesso: basterebbe allora un semplice Ragioniere dello Stato e la Corte dei Conti per mandare a quel paese tutta la politica con l'annesso carrozzone!
Ecco chi odia la politica, altro che Beppe Grillo e il suo movimento...
D'altra parte, basterebbe leggere le cronache di Oltreoceano dell'appena conclusosi esasperante braccio di ferro tra il presidente americano Obama e gli oltranzisti del Tea party, per rendersi conto che inserire una norma del genere in Costituzione è da irresponsabili.
Una stima prudenziale sulle pessime performance della Borsa di Milano di questi giorni, ci fa azzardare che uno spread di 1-1,5% rispetto alle altre Borse europee, sia attribuibile proprio alla crisi di credibilità del governo italiano.

La seconda persona che in tempi come questi mai e poi mai si dovrebbe intervistare è Walter Veltroni, ex leader del PD; il quale non pago degli sfracelli già realizzati in quei panni, promette di dare ancora il meglio di sè. 
Prima addirittura caldeggia entro agosto una modifica costituzionale per sancire il pareggio di bilancio poi, nell'intervista su La Stampa di oggi, rilancia l'ipotesi di un governo istituzionale, smentendo clamorosamente il suo segretario.
E' la stessa intervistatrice, Antonella Rampino, che glielo fa notare: "Ma voi del Pd siete divisi. Lei chiede un governo istituzionale, «alla Ciampi», e Bersani le dimissioni di Berlusconi e le elezioni."
E l'impareggiabile Walter così risponde: "Mi pare che tutto il Pd oggi chieda un governo istituzionale, con passo indietro di Berlusconi. Precipitare nelle elezioni, e per giunta con il rischio di attacchi speculativi, sarebbe pericoloso per il Paese".
Così, mentre il governo di Scilipoti progetta ipermacelleria sociale, nel PD, salvo litigare e dividersi egregiamente alla Veltroni, nessuno si dà da fare per spezzare questa spirale ideologica pericolosissima a cui i cavalieri dell'Apocalisse ci stanno condannando.

domenica 17 luglio 2011

Governo Berlusconi, tira aria di 25 luglio

Quella varata dal governo e approvata d’urgenza dal Parlamento, sotto la spinta dell’insolvenza finanziaria minacciata dai mercati in giornate di borsa ad altissima tensione, non è una manovra economica come i media l’hanno erroneamente ribattezzata, è un vero pestaggio finanziario inflitto ad un’economia, da anni in grosse difficoltà.

Se una classe politica si produce in tanto scempio, dopo vent’anni di tagli alle spese e di pressione fiscale al massimo, vuol dire proprio che se ne deve andare a casa, non potendo restare un minuto di più a Palazzo Chigi.

E’ chiaro che già da domani il premier, Silvio Berlusconi, con una credibilità ormai prossima allo zero e dieci anni di promesse fasulle, dovrebbe rassegnare immediatamente le dimissioni con tutta la sua squadra di ministri incompetenti.

In primis, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti che per anni ci ha rassicurato, con grande sfoggio di saccenteria, sulla bontà dell’azione di governo e la solidità dei conti pubblici (a costo di impopolari tagli lineari di bilancio che hanno messo in gravissima crisi tutte le principali funzioni dello Stato!) e che solo adesso ammette di aver condotto l’Italia ad un passo dal baratro, come a bordo del Titanic.

Gli ultimi provvedimenti arraffano decine di miliardi euro ancora una volta dai soliti noti, lavoratori dipendenti e pensionati, già in forte debito di ossigeno, mentre la Casta dei politici non accenna a fare un benché minimo sacrificio, neppure decurtando simbolicamente i propri ricchissimi emolumenti e privilegi, e rinvia tutto alle calende greche.

Nel frattempo, in preda alle proprie fameliche pulsioni, si asserraglia in Parlamento per impedire l’arresto di uno dei suoi, il deputato PDL Alfonso Papa.

Una dimostrazione di potenza e di prepotenza da far rimpiangere i tempi di Luigi XIV.

Come se non bastasse, continuiamo a sperperare ingenti capitali per bombardare nell’indifferenza generale la Libia, combattere non si sa chi in Afghanistan, in un crescendo di danni collaterali, distruzioni e perdite umane, senza che nessuno dei tanti che siedono comodamente e lautamente tra Montecitorio e Palazzo Chigi ce ne dia uno straccio di giustificazione e, soprattutto, se ne assuma la responsabilità di fronte al Paese.

Insomma, un florilegio di strappi costituzionali, ancora più lampanti sotto il sole rovente di luglio.

Tira aria di 25 luglio ma quello che ci può riservare la peggiore politica di sempre è al massimo un altro imbarazzante 8 settembre.

mercoledì 22 giugno 2011

Bossi e Berlusconi, il patto di latta che fa colare a picco l'Italia

Quella ottenuta ieri a Montecitorio dal tandem B&B è stata una fiducia di carta, firmata da due leader spenti, avviatisi inesorabilmente sul viale del tramonto: tutto merito di quel manipolo di parlamentari responsabili come Scilipoti che sono saltati dalle file dell'opposizione a quelle della maggioranza, dal famigerato 14 dicembre.
Un bilancio fallimentare quello del governo PDL-Lega, che in tre anni abbondanti di legislatura non è riuscito a fare un bel niente, mentre i maggiori partner europei corrono. 
La questione rifiuti a Napoli è l'emblema di questa caporetto fin sul piano più congeniale a Berlusconi, quello mediatico: cumuli di immondizia tracimano da tutti i notiziari televisivi e propagano i loro fetidi miasmi nelle case degli Italiani, costretti a mille rinunce da una situazione economica ed occupazionale gravissima.
La politica dei tagli orizzontali di Tremonti sta smantellando interi settori sociali, dalla scuola alla sanità, ma ciò nonostante siamo sempre più vicini alla Grecia... e nuovi minacciosi tagli si preannunciano.
Continuare così ed assistere al teatrino quotidiano di due uomini politici bolliti ma indissolubilmente legati alla stessa lancia di salvataggio mentre la nave italica imbarca acqua da ogni parte, non solo è triste ma è puro esercizio di masochismo a cui le forze di opposizione e l'Altra Italia, quella uscita fuori da amministrative e referendum, devono riuscire a contrapporre un'alternativa credibile per traghettarci rapidamente a nuove elezioni, magari soltanto approvando una nuova legge elettorale.
Restare alla finestra a guardare per altri due anni cosa combinano quei due è, questo sì, da irresponsabili.

martedì 30 marzo 2010

Mentre il PD rantola, vola il Movimento 5 Stelle!

Tutti adesso stanno a celebrare la vittoria del centrodestra in questa tornata elettorale: 7 a 6 il risultato delle Regionali a favore del centrosinistra. Ma si partiva da un precedente 11 a 2!
Il centrosinistra regge, a fatica, solo nelle regioni un tempo chiamate rosse.
A destra, la vittoria è certamente targata Lega ed ha soprattutto un nome e cognome, Luca Zaia, ministro dell’agricoltura del governo Berlusconi che, con il suo 60% dei voti, proietta il suo partito al vertice della regione Veneto.
Il nuovo doge di Venezia si è meritato sul campo questo successo conducendo una battaglia per la valorizzazione dei prodotti tipici dell’agricoltura italiana contro gli appetiti dei colossi dell’agroindustria e rappresentando un argine alla diffusione degli ogm: insomma, un politico anomalo per il centrodestra.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, certamente la vittoria della Lega in tutto il nord diventa una spina nel fianco per Berlusconi: ne vedremo delle belle!
Il vero flop è rappresentato ancora una volta dal Partito Democratico, destinato ad implodere lentamente, diretto così com’è da una banda di incapaci.
Non sono bastati in sequenza i Fassino, i Veltroni, i D’Alema; anche il nuovo corso di Pierluigi Bersani va in rotta di collisione con il buon senso.
E per fortuna Niki Vendola, sfidando in Puglia in condizioni impossibili il satrapo D’Alema, è riuscito a metterci una pezza: altrimenti il risultato generale per i democratici sarebbe stato addirittura tragico.
La fotografia di questa ennesima débacle, che finisce per rafforzare, guarda un po’, ancora una volta proprio Silvio Berlusconi, è rappresentata dall’esito elettorale del Piemonte; dove la candidata del centrosinistra Mercedes Bresso, conducendo una politica élitaria, del tutto sorda alle invocazioni della base (disgustoso l’atteggiamento tenuto da lei contro le proteste della TAV in val di Susa), ha perduto clamorosamente, a dispetto del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che, con la candidatura di Davide Bono, supera i 90.000 voti.
Quella del movimento dei grillini è una grandissima e, lasciatecelo dire, bellissima novità nel grigiore della politica italiana. Un movimento, nato sulla rete e grazie alla rete, a cui i media nazionali non hanno dedicato il minimo spazio: figuriamoci!
Basti pensare che, nelle istruzioni al voto dei principali quotidiani nazionali (per non parlare delle televisioni!) i candidati del Movimento 5 Stelle, neppure comparivano!
Gravissima e totale disinformazione, nonostante i tanti soldi pubblici regalati all’editoria.
Adesso i giornali del centrosinistra piangono lacrime di coccodrillo, accusando Beppe Grillo di avere scippato la vittoria alla Bresso: posizione assolutamente settaria e demenziale che dimostra, una volta di più, come questo Partito Democratico e i suoi sponsor (gruppo L’Espresso – Repubblica) vivono ormai nel paranormale, totalmente estranei alla realtà, semplicemente inadatti come sono ad interpretare i bisogni della base che pure pretendono di rappresentare.
Base che si è stufata, una volta per tutte, di essere diretta da una nomenklatura senza ideali e senza passione, protesa solo a perpetuare i propri privilegi.
Lo avevamo detto, appena qualche settimana dopo il suo insediamento alla segreteria del PD: Pierluigi Bersani rischia di essere il commissario liquidatore di un partito nato senz’anima e con l’unico evidente obiettivo, non di contrastare il governo di Silvio Berlusconi (macché!), di tutelare gli interessi di un’oligarchia, vissuta da sempre alle spalle dei lavoratori.
Grazie, ragazzi del Movimento 5 Stelle che da soli siete riusciti, lottando a mani nude contro il duopolio PD–PDL, a far entrare nei palazzi della politica, da troppo tempo chiusi e polverosi, finalmente una ventata di aria fresca!
Da adesso in poi, la politica italiana non sarà più quella di prima.

lunedì 29 marzo 2010

Se i Davide della rete stendono il Golia di Arcore

Grandissima novità nel panorama mediatico italiano. Raiperunanotte, la trasmissione che ha visto convergere al palasport di Bologna tanta gente ed i giornalisti censurati dal vertice Rai, è stata un successo.
Successo di share, successo di popolo.
L’essere stati costretti a lanciare il proprio messaggio nella rete per restare comunque in onda, ha permesso di battezzare un nuovo modo di fare comunicazione che riesce a fare a meno anche del padrone delle ferriere; quand’anche, come adesso, attraverso la politica egli si sia impadronito di tutta la televisione pubblica.
Il monopolista è in ginocchio; da giovedì sera, è sotto gli occhi di tutti la grave caduta di immagine di un potente tycoon televisivo, che pure deve il suo successo proprio alla comunicazione del piccolo schermo, che spegne le telecamere della tv pubblica a coloro che hanno l’ardire di criticarlo e di chiedere conto dei suoi comportamenti.
Tentativo disperato, naufragato miseramente, ma che ha messo in evidenza quale carica di antidemocrazia, quale violenza mediatica, quale delirio di onnipotenza, si annidi nella mente di un capo del governo che si considera sopra la legge e che pensa di essere la misura di tutto e di tutti.
Persona a cui gli altri poteri, non si sa perché, dovrebbero garantire un salvacondotto in bianco per passati e futuri misfatti. In questo modo, rinunciando non solo alla funzione istituzionale svolta ma negando la propria essenza giuridica, contravvenendo a quei princìpi della carta fondamentale di cui esprimono l’impianto organizzativo.
Di questa Costituzione, il premier manifesta ogni giorno di più una profonda insofferenza: già nel modo di rapportarsi con gli altri organi dello Stato, prima ancora che nei singoli concreti atti di governo. Non passa giorno senza che venga sistematicamente giù un pezzo di stato di diritto mentre l'esecutivo resta del tutto sordo ai reali bisogni del Paese.
In due anni di cabina di regia ed oltre 37 leggi ad personam che hanno paralizzato l’attività del Parlamento, il Presidente del Consiglio non ha combinato veramente nulla di buono; anche se ha cercato, attraverso un controllo ferreo dei media, di accreditare l’immagine di uomo del fare.
Tutt’al più quello di Berlusconi è il governo del fare finta di niente, di fronte alle mille emergenze economico-sociali in cui si dibatte il paese ed alle tante riforme invano invocate dai cittadini.
L’ultima millantata è stata la riforma della scuola, che però maschera esclusivamente un selvaggio taglio di bilancio, con decine di migliaia di posti di lavoro persi ed un generale ulteriore affossamento del suo livello qualitativo, molto al di sotto degli standard europei.
Di fronte a tanto fallimento, culturale prima ancora che programmatico, Berlusconi sa che la propria sopravvivenza politica resta affidata al modo in cui i suoi bravi, sguinzagliati nei gangli della pubblica amministrazione e nei media, riusciranno a creare e soprattutto a conservare questo vuoto informativo.
Che il re sia nudo ormai lo sanno tutti, persino i suoi lacché, ma fino a quando nessuno lo grida ai quattro venti, il Cavaliere può sperare ancora di farla franca e di restare a Palazzo Chigi per continuare ad occuparsi delle proprie personalissime ed ingarbugliatissime faccende.
A meno che il piccolo Davide, questa volta nelle sembianze di Michele Santoro, ma anche di Marco Travaglio, di Antonio Di Pietro, di Beppe Grillo, decida di usare pienamente la fionda del web e di dare una sonora lezione di democrazia al Golia di Arcore.
I risultati elettorali che si snoccioleranno già a partire dai prossimi minuti potranno farci capire se la pazienza degli Italiani sia, finalmente, arrivata al limite.

giovedì 11 marzo 2010

Quanto tempo ci metterà Napolitano a firmare il legittimo impedimento?

Che Giorgio Napolitano promulgherà la legge sul legittimo impedimento, dati i precedenti, è praticamente una certezza.
Che la legge sia incostituzionale, anche questo è di tutta evidenza.
Che il Colle non sia più in grado di fronteggiare la formidabile sfida berlusconiana se ne hanno ultimamente continue conferme.
L'unico dubbio che resta è sapere in quanto tempo il Capo dello Stato promulgherà l'ennesima legge vergogna.
Sarà una firma lampo, come ai tempi del lodo Alfano, o per il Cavaliere ci sarà da aspettare?
Il fatto che di ciò sui media non si parli per niente, fa temere il peggio.
Dietro le quinte, l'imperativo categorico è quello di distogliere l'opinione pubblica dal piccolo particolare che anche questa volta l'ultima parola, destino beffardo, spetta di nuovo al Quirinale.
Ma è vietato illudersi!

sabato 6 marzo 2010

Fuori dalla Costituzione del 1948

Che stessimo vacillando follemente sull’orlo del baratro lo sapevamo da tempo. Che, di fronte alla straordinaria pericolosità della sfida berlusconiana, non potessimo contare sugli uomini giusti, dentro le istituzioni ma anche nei partiti di opposizione, pure con questo, negli anni, avevamo dovuto fare i conti.
Ma che al Quirinale fosse capitata la persona sbagliata al momento sbagliato, non tutti purtroppo, ancor oggi, in pieno day after, mostrano di accorgersi.
A cominciare dal Partito democratico e dal giornale che, ormai da tempo ne ha sposato, di più, ne ha formulato, la linea politica: la Repubblica.
Che in questi anni, sotto gli auspici del suo fondatore, ha condotto la più inutile e sterile battaglia politica contro Silvio Berlusconi, esempio lampante di come sia sempre sbagliato ingaggiare un confronto di natura squisitamente politica su un piano puramente soggettivo, privo di mordente ideologico ma basato esclusivamente su rilievi personali.
E’ così potuto succedere che, dalle sue colonne, è stato aspramente criticato l’uomo politico Berlusconi (vi ricordate l’inutile tormentone estivo delle dieci insulse domande scabrose del caso Noemi?) ma si è lasciato campo libero, rendendolo indenne da qualsiasi seria critica e riflessione, al berlusconismo, il letale virus pandemico della società italiana, in grado di farla collassare in pochi anni con la farneticante e violenta politica del fare che ha fatto strame della legalità, cioè delle regole e dei principi di uno stato democratico.
Con un pericoloso corollario: si è esaltata la figura del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, soltanto perché di area Pd, quale custode illuminato della sovranità costituzionale, nonostante i gravissimi errori che ne hanno funestato sistematicamente il mandato, a cominciare dalla promulgazione fatta, nel luglio 2008, a tempo di record del lodo Alfano, primo solenne attentato alla nostra Carta.
Errore a suo tempo denunciato clamorosamente, prima ancora che fosse compiuto, da decine di insigni costituzionalisti e, poi, sancito inoppugnabilmente dalla bocciatura della Corte Costituzionale nell’ottobre scorso, nonostante le continue intimidazioni a cui venne sottoposta in quei giorni.
Già ce l’immaginiamo l’editoriale di Eugenio Scalfari di domani, il quale sicuramente si esibirà in una serie di arzigogoli verbali pur di negare l’ennesimo svarione del Presidente della Repubblica per aver controfirmato un decreto interpretativo della legge elettorale ad uso e consumo del partito del premier, mentre la questione della riammissione della sua lista alle prossime Regionali resta ancora sub judice.
Atto che ci pone evidentemente fuori dal solco democratico: si cambiano le regole del gioco mentre la partita elettorale è già in corso e la squadra del premier si è già fatta un clamoroso autogol.
Pare già di leggere come la penna più tronfia di Piazza Indipendenza difenderà domani Napolitano:
"Ringraziare dobbiamo il rigore morale e l’austera fermezza del Capo dello Stato che, solitario al tavolo di lavoro, si attardava fino a notte inoltrata, dopo una giornata di impietosa resistenza alle cupe mire del Cavaliere, per arginare la sua debordante furia demolitrice e, con abile e superbo piglio, pari solo alla sua forza d’animo ed al suo amore sconfinato verso la nostra carta fondamentale, sola stella polare del suo firmamento, poneva fine alle inusitate onde telluriche che attentavano all’integrità dell’edificio costituzionale, apponendo tosto la firma in calce al decreto invocato dalla canaglia, così evitando l’abisso e risparmiandoci più dolorose e perigliose giornate…".
Fatto sta che, ampollosità e bizantinismi a parte e vuote dissertazioni che volentieri lasciamo ai soloni ed ai politologi à la page, nella giornata di venerdì 5 marzo 2010, siamo usciti dall’alveo della democrazia costituzionale, per addentraci nelle spesse, imperscrutabili nebbie di un ignoto far west.

giovedì 4 marzo 2010

Disastro Italia: la legge vale solo per i fessi!

Scrivere di politica in queste settimane è veramente dura. Siamo giunti, ancora una volta in pochi mesi, ad un nuovo 8 settembre: l’implosione di una classe dirigente, non degna di definirsi tale.
Quale fiducia possono, infatti, nutrire i cittadini in un partito di governo, il Pdl, che non è stato neppure in grado di presentare una lista elettorale per le prossime Regionali?
Quale considerazione si può avere di un ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che minaccia di ricorrere alla piazza contro un’eventuale bocciatura dei ricorsi per la riammissione della sua lista nel Lazio?
Parole eversive che imporrebbero, come minimo, le sue immediate dimissioni, se un simulacro di Stato di diritto ci fosse ancora.
Parole che suonano ancora più minacciose nel silenzio dei media costretti al bavaglio dell’informazione a causa della chiusura dei talk show di approfondimento politico in nome di una volutamente malintesa legge sulla par condicio.
Il governo peronista di Silvio Berlusconi, in caduta libera di consensi malgrado un’opposizione parlamentare inesistente, ha paura che i cittadini possano semplicemente informarsi e ragionare sugli ultimi scandali che hanno visto coinvolti (facciamo fatica a ricordarli tutti!): la Protezione Civile, il senatore Pdl Nicola Di Girolamo; il gruppo Telecom con la storia del riciclaggio di denaro sporco; il Presidente del Consiglio, con il suo ennesimo impedimento, che diserta l’aula del Tribunale per un Consiglio dei Ministri, inusualmente convocato di lunedì.
Ennesima berlusconata: chiamato a rispondere di un reato di corruzione, il premier non si presenta davanti ai magistrati perché nel frattempo si è autoconvocato a Palazzo Chigi per varare un provvedimento, guardate un po’, anticorruzione.
Siamo alle comiche, come qualche tempo fa ammetteva Gianfranco Fini prendendo le distanze da Silvio Berlusconi. Forse, come meglio direbbe Ennio Flaiano, in Italia la situazione è tragica ma non è seria.
Purtroppo, sta venendo giù giorno per giorno un pezzo della nostra democrazia e della Costituzione, senza che nessuno muova un dito a sua difesa. C’è solo il popolo viola che ha ancora il coraggio di indignarsi ma né i partiti né le istituzioni sembrano comprendere la gravità del momento.
Il presidente della Repubblica si dimostra preoccupato, ma se le cose sono arrivate a questo punto anche sul Colle qualcosa non deve aver funzionato per il verso giusto.
Intanto, nonostante il conclamato errore nella presentazione delle liste da parte degli uomini del Pdl a Roma, statene pur certi, verrà emanato al più presto un qualche provvedimento per sanare ciò che è platealmente insanabile.
Dopo averci martellato per un mese, tutte le sere, sui media con inutili spot che ricordavano le regole per la presentazione delle liste elettorali, veniamo a scoprire che quelle norme erano fatte solo per gli sprovveduti, ma non per il partito di Governo, che verrà ammesso alla competizione elettorale nel Lazio nonostante le abbia presentate fuori tempo massimo.
Una vergogna ma, si sa, la legge vale solo per i fessi!

domenica 14 febbraio 2010

Un quesito per Di Pietro: meglio un ripensamento o... una ripassatina?

La scelta di Antonio di Pietro di appoggiare il candidato del PD alla regione Campania il pluriinquisito Vincenzo De Luca, ha seminato sconcerto tra i suoi elettori, anzi, li ha gettati nello sconforto. La scelta appare inspiegabile soprattutto in un momento in cui il governo di Silvio Berlusconi appare in grossa difficoltà.
Sta finalmente saltando il tappo ma l’ex magistrato di Mani pulite fa finta di non accorgersene.
Ai rimproveri amichevoli che gli hanno rivolto a più riprese Beppe Grillo e Marco Travaglio, ultimo in ordine di tempo l’editoriale di oggi su il Fatto Quotidiano, risponde in modo monocorde il leader dell’Italia dei Valori dicendo di non voler consegnare la Campania al clan dei casalesi con la possibile vittoria del candidato Pdl Stefano Caldoro.
La giustificazione è risibile e non convince alla luce del fatto che gli elettori di centrosinistra che in questi anni hanno appoggiato il partito di Di Pietro gli hanno riconosciuto il merito di aver condotto un’opposizione ferma e chiara al governo delle destre, senza i tentennamenti, se non addirittura il tacito sostegno, che il Partito Democratico gli ha invece riservato.
Quindi, la sua non è stata un’opposizione sterile e se il mosaico di stato autoritario voluto da Berlusconi non è stato completato è stato grazie proprio al popolo viola che ripetutamente è sceso in piazza per denunciarne le pessime intenzioni ed i rischi conseguenti.
Per cui il dietro front di Di Pietro appare politicamente irragionevole e inopportuno anche semplicemente nei tempi.
C’è da chiedersi perché Di Pietro, dopo aver ingaggiato una lotta impari contro Silvio Berlusconi ed essere stato premiato elettoralmente per il suo coraggio e la sua coerenza, si accodi adesso a sostenere un personaggio che, anche soltanto dal punto di vista giudiziario, potrebbe far rimpiangere lo stesso Antonio Bassolino.
Se la questione morale rappresenta la vera linea di demarcazione tra Pd e Italia dei Valori e se molta gente ha rinunciato a votare per il Pd proprio per l’opacità e la scarsa lungimiranza dimostrata dalla sua classe dirigente su questo tema, non si capisce perché dilapidare un tale patrimonio di credibilità, così duramente conquistato, per appoggiare un candidato debole come l’ex sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.
Mentre lo scandalo della Protezione Civile investe addirittura il braccio destro di Berlusconi, Guido Bertolaso, gettando discredito su tutto il governo e sfiducia nei suoi più accesi sostenitori, la mossa di Di Pietro diventa inopinatamente il grande enigma di questo difficile passaggio politico; senza considerare, poi, che la gravissima crisi economica sta sfaldando a vista d’occhio il blocco sociale che aveva nel 2008 consentito a Silvio Berlusconi , dopo solo 2 anni di assenza, di ritornare con tanto di squilli di tromba a Palazzo Chigi.
Non ci vuole molto a capire, prima che i sondaggi ne registrino l’entità, che ormai la maggioranza degli Italiani è persuasa che Silvio Berlusconi, invischiato in mille vicende giudiziarie ancora aperte, talune delle quali di gravissimo allarme sociale, incapace semplicemente di dare efficienza all’azione del suo esecutivo impedendo, perlomeno, scandalose ruberie in seno alla Protezione Civile, non possa più considerarsi una risorsa per il Paese ma una zavorra di cui liberarsi prima che sia troppo tardi, magari con nuove elezioni politiche.
Ma per farlo occorrono politici capaci di resistere alle sirene del consociativismo, anzi in grado di recidere qualsiasi legame con una classe politica che, tanto nel Pd che nel Pdl, è ormai impresentabile.
Su, Tonino, non ci sarebbe nulla di sconveniente in un ripensamento: mica stiamo parlando di una ripassatina!

domenica 3 gennaio 2010

Il nuovo triangolo di Tartaglia

Dall’episodio di Piazza Duomo del 13 dicembre al discorso di Capodanno del Capo dello Stato ne è veramente passata tanta di acqua sotto i ponti.

Innanzitutto, abbiamo visto la nascita del Partito dell’Amore, ultimo riuscito brand del Pdl. Così i Gasparri, i Cicchitto, i La Russa, sono d’improvviso seguaci di un’organizzazione politica che nata come partito-azienda, è diventata grazie al gesto insano dello psicolabile di Milano, una setta religiosa che predica la pace, la povertà (altrui), la tolleranza, l’amore verso il prossimo…
Che poi additi in Parlamento come propri nemici i Santoro, i Di Pietro, quel "terrorista mediatico" di Marco Travaglio è semplicemente un dettaglio, anzi una malevola allusione alle parole amorevoli, addirittura appassionate, pronunciate dall’ex piduista Fabrizio Cicchitto che intendeva, con quel felice discorso, semplicemente denunciare il clima d’odio messo su dall’opposizione a cui voleva, nonostante tutto, tendere una mano e invitare alla riflessione quanti ancora si ostinano a non riconoscere la statura (istituzionale) del premier.
Così ci tocca assistere da oltre venti giorni ad una rassegna della politica italiana intrisa di buoni sentimenti, di parole d’ordine come apertura al dialogo, toni smorzati, clima più sereno, avvio di un percorso condiviso di riforme.
La ciliegina sulla torta è stata la lettera di auguri natalizi inviata al Papa per il tramite del cardinale Tarcisio Bertone dal fervente cattolico Silvio Berlusconi che, in un passo, così lo rassicura:
"Posso confermare che i valori cristiani testimoniati dal Pontefice sono sempre presenti nell’azione del Governo da me presieduto, che adotterà tutte le misure necessarie per garantire la serenità e la pace sociale."

Che cosa pretendere di più?
Siamo governati non solo da un grande imprenditore, vittima incolpevole dell’odio comunista, ma anche da un uomo timorato di Dio, che osserva con scrupolo missionario i dieci comandamenti, per giunta benefattore degli Italiani.
Il resto, come direbbero all'unisono Marcello Dell'Utri e l'Augusto Minzolini del TG1, sono tutte minchiate.
A questo punto, come non sfruttare questa fortunata congiunzione astrale, per fare le riforme istituzionali?
Quando mai ritroveremo nella Storia un tal Uomo che possa accompagnare per mano l’umbratile Italia?
Intanto, cogliendo l’occasione di un Parlamento ancora in vacanza, si riabilita un Padre della Patria: l’esule Bettino Craxi da Hammamet.
Sì, proprio lui, stiamo parlando del filosofo della nuova Città del Sole: Tangentopoli.
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, in procinto di intitolargli una via o un parco, ne vuole celebrare in pompa magna la memoria: nel frattempo, lo equipara giustamente a Giordano Bruno e a Giuseppe Garibaldi.
Più pacatamente, come è ormai uso lessicale dei Democratici dopo il contributo decisivo della segreteria di Walter Veltroni, Piero Fassino ne esalta la figura di piccolo Davide che osò sfidare i due Golia politici, Democrazia cristiana e Partito comunista:
"Non ci sono dubbi. Craxi è stato un politico della sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi, ha intuito prima di altri quanto l’Italia avesse bisogno di una modernizzazione economica ed istituzionale, su questo sfidò due grandi forze come la Dc e il Pci ed avvertendo il rischio di non farcela, non sfuggì alla tentazione di un alleanza con i poteri forti, come la P2 di Gelli, terreno sul quale è maturata la degenerazione e la corruzione".
Un ragionamento, il suo, frutto di una analisi politica acutissima: nessuna sorpresa se, alle celebrazioni per il decennale della scomparsa del Nuovo Eroe, lo dovessimo vedere sfilare a fianco del Venerabile mentre si autoflagella ai piedi del mausoleo di Hammamet.
Ma il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, non commenta.
Sono ormai oltre due mesi che, preso troppo sul serio l’invito del presidente Napolitano ad abbassare i toni, ha persino azzerato il volume: tace.
Qualcuno vede nel suo immobilismo l’aplomb tipico di un amministratore di condominio; e continuando così ancora per qualche giorno, mentre in Puglia e Lazio il partito si dilania nel non scegliere i candidati alle prossime Regionali, ne diventerà a pieno titolo il commissario liquidatore.
Infine, Massimo D’Alema, grazie al suo proverbiale fiuto che ne fa da sempre il politico italiano più intelligente e perdente, spinge i suoi a cercare ad ogni costo l’accordo per le riforme con il grande costituzionalista Silvio Berlusconi, ricevendo l’assenso a reti unificate del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Che, tuttavia, nel messaggio di fine anno si è dimenticato di fare ammenda dell'errore compiuto nel luglio 2008 per aver promulgato su due piedi il palesemente incostituzionale lodo Alfano, poi cassato senza mezzi termini dalla Suprema Corte nello scorso ottobre.
Ma a questo punto siamo tutti sollevati di morale.
Perché agli albori del 2010, forse proprio a causa dell'esecrabile gesto di Massimo Tartaglia, il folle teppista del Duomo, si respira un clima diverso tra il presidente Giorgio Napolitano, il premier Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani (alias Massimo D'Alema).
Che si stia disegnando un nuovo triangolo nel firmamento finora plumbeo della politica italiana?

martedì 8 dicembre 2009

Il Partito Democratico: Così è, se vi pare!

La grande manifestazione autorganizzata del No B Day del 5 dicembre ha ormai messo in chiaro alcune cose, dalle quali non si può prescindere per sondare gli scenari futuri della politica italiana.

L’onda lunga contro il governo presieduto da Silvio Berlusconi sta salendo rapidamente: il malessere sociale aumenta a vista d’occhio e sentire in televisione i suoi avvocati parlamentari architettare l'ennesimo colpo di spugna per i suoi guai giudiziari, non solo è un’offesa all’intelligenza degli italiani; prima ancora è uno schiaffo alla loro oggettiva condizione di difficoltà economica.

Il processo breve (sarebbe meglio dire nullo) è un’idea così idiota che anche il più inetto dei politici si accorgerebbe all’istante che patrocinare una legge del genere, senza garantire ai magistrati condizioni e strumenti di lavoro adeguati a realizzare in concreto un obiettivo tanto ambizioso, significherebbe legare il proprio nome ad una demenziale mascalzonata.
Pertanto, tra i suoi fidi scudieri, è iniziato il tocco per decidere chi la deve firmare...
Un umile suggerimento. Gli avvocati del premier siano ancora più drastici: che i tre gradi di giudizio si concludano non in sei anni ma in una settimana… e d’incanto, tra sette giorni, la giustizia italiana si sarà sbarazzata di tutto l’arretrato (lasciando le vittime al loro destino e i delinquenti in libertà... ma queste sono sottigliezze!).
Il migliore dei mondi possibile per il compianto Al Capone.
Infatti, se per reggere alle eccezioni di incostituzionalità sulla uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, verranno fatti rientrare nel processo nullo anche i reati di mafia e terrorismo, Spatuzza & gli altri mammasantissima saranno finalmente tacitati: e, ne siamo sicuri, alla chetichella le porte del carcere si apriranno finalmente anche per loro.

Di fronte a questo disastro politico, giudiziario, sociale, economico ed etico, che muove centinaia di migliaia di persone ad inaugurare il ponte dell’Immacolata sulle strade di Roma, non per lo shopping natalizio, ma soltanto per gridare ai quattro venti che il re è nudo, la risposta del Partito democratico è assolutamente inesistente.
Sabato a Roma si sono visti sfilare politici di primo piano del PD, come la presidente Rosy Bindi, ma il segretario Pierluigi Bersani se ne è tenuto fuori, perché rivendica lui, non ci si imbuca nelle manifestazioni degli altri.
Certamente come amministratore di condominio il suo ragionamento non fa una piega ed avrà una luminosa carriera: se ci sono schiamazzi notturni, siano gli inquilini insonni a chiamare il 113, non di certo lui che vive da un’altra parte!

E’ surreale, l’unico grande partito di opposizione in Parlamento si dichiara attualmente non interessato ad opporsi al governo del Cavaliere ed al Cavaliere in persona.
Ma lasciare 300-400mila persone abbandonate a se stesse in piazza San Giovanni e milioni di altri a masticare amaro tra le mura domestiche di sabato sera, non è un suicidio politico?
Per l’amministratore pro-tempore Bersani, così va il mondo
Siamo all'inverosimile che pure Se po’ ffà Veltroni, di fronte all'immobilismo di Bersani, un vero letargo, si sia scoperto improvvisamente movimentista.
Neppure il grande Pirandello avrebbe potuto immaginare un esito congressuale così bislacco e disperante: perchè qui la montagna del PD non ha partorito un topolino, ha optato direttamente per l’interruzione anticipata di gravidanza!
Colui che ha fatto dell’accordo strategico con Berlusconi la cifra della sua stagione politica (e che per questo, neanche un anno fa è stato dimesso dai suoi), proprio Walter Veltroni, si trova adesso a tuonare contro il neosegretario, reo di essere ancora più mozzarella di lui.

Pare ovvio che, in questo penoso stato di cose, senza avere un’alternativa politica semplicemente dignitosa e minimamente credibile, Silvio Berlusconi continuerà a fare il bello e il cattivo tempo ancora a lungo.

domenica 8 novembre 2009

E La Russa difese il crocifisso: "Possono morire!..."

La sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul divieto di esporre il crocifisso negli edifici pubblici, in particolare nelle aule scolastiche, è sotto vari aspetti ineccepibile.
Non stiamo qui a dimostrare la giustezza ed anche l’opportunità di una decisione che soltanto chi fa del basso populismo può attaccare e che i veri cristiani, viceversa, dovrebbero salutare con gioia.
Perché la corte di Strasburgo ha unicamente vietato l’esposizione dei simboli religiosi nell’esercizio di funzioni pubbliche, evidentemente in edifici non dedicati al culto.
Luoghi pubblici che, fino a prova contraria, devono rappresentare la neutralità dello Stato nei confronti delle diverse confessioni religiose.
Che cosa voglia significare il crocifisso in una aula scolastica o in un tribunale, qualcuno ce lo dovrebbe spiegare.
Ripeteva Cavour: Libera Chiesa in Libero Stato.
Il crocifisso è un simbolo di passione e di amore divino, ma anche di suprema ingiustizia che gli uomini fecero patire al Nazareno e di cui tutti noi dovremmo vergognarci, quale simbolo di un’infamia perpetrata, secondo i credenti, ai danni del Figlio di Dio.
Che i palazzi di Pilato lo espongano con burocratica indifferenza è paradossale, storicamente una bestemmia; mentre nei luoghi di culto, il crocifisso esprime tutto il suo valore salvifico e divino del messaggio cristiano.
D’altra parte, é falsa l’idea che la sua presenza nei luoghi pubblici sia un simbolo della nostra tradizione culturale: infatti la sua permanenza nelle aule scolastiche venne dichiarata, in pieno regime fascista, solo con un paio di regi decreti che né il concordato del 1929 tra Mussolini e il Vaticano, né la sua revisione ai tempi di Bettino Craxi, modificarono.
Stiamo parlando di 80 anni fa, un’inezia rispetto alla storia millenaria del cristianesimo; una ricorrenza storica irrilevante, se pensiamo a quanta acqua è poi passata sotto i ponti.
La Chiesa cattolica ha, in questa occasione, intrapreso l’ennesima battaglia di retroguardia che la vuole impegnata a difendere piuttosto una prerogativa temporale che il simbolo della propria missione spirituale.
Tanto da non farsi problemi nell’accettare l’appoggio dei mercanti del Tempio.
Che contro la sentenza europea si scaglino politici come il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il premier Silvio Berlusconi dovrebbe far sorgere più di un dubbio sulla opportunità di questa scelta.
Basta vedere come si agita La Russa, quali parole di odio, quale espressione gli si stampi in faccia, in quale truce maschera deformi i propri connotati, quando, nell’occasione meno indicata, il 4 novembre, festa delle nostre forze armate, usa la ribalta mediatica per silurare i giudici europei trasformando il crocifisso in un’arma, al pari di un elicottero da combattimento, di un carrarmato o di un fucile mitragliatore: "Possono morire!…" furoreggia di fronte allo spaurito conduttore Lamberto Sposini, incapace di contenerne la crisi.
Perché le gerarchie cattoliche non prendono le distanze da simili atteggiamenti?
Ah, a proposito: neosegretario Bersani, se ci sei batti un colpo!

mercoledì 28 ottobre 2009

Dopo Marrazzo, a chi spetta dimettersi?

La vicenda che ha visto coinvolto il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, presenta molteplici aspetti su cui riflettere.
Innanzitutto, la dissennatezza di una condotta che, senza scomodare personalissimi giudizi morali, esalta una tendenza al cupio dissolvi, quale comportamento insolitamente diffuso nella nostra classe dirigente.
Ci si chiede se i criteri con cui essa viene selezionata non vadano completamente ripensati, visto che si dà per scontato che la visibilità mediatica sia garanzia di dirittura morale, correttezza ed efficienza nell’azione amministrativa.
Non è forse un caso se molti politici sembrano oggi muoversi come personaggi in cerca di autore, disposti a tutto pur di stare sotto le luci della ribalta.
Nessuna meraviglia, quindi, se per le stesse ragioni, qualche fanciulla sia indecisa tra il fare la velina o la parlamentare a seconda delle opportunità che il papi di turno prospetta: è il paradossale ma inevitabile costo che la cattiva televisione fa pagare alla nostra gioventù meno avvertita sacrificando i suoi entusiasmi e ideali sull’altare della popolarità mediatica.
L’altro aspetto che va messo a fuoco, al di là dell’umana comprensione verso chi è precipitato in poche ore in un abisso, è come una vicenda privata sia diventata pubblica nel giro di poche ore, senza che allo sventurato protagonista sia stata risparmiata nessuna delle feroci sofferenze di un vero e proprio processo mediatico per direttissima.
Qui la barriera della privacy non è stata infranta, non c’è mai stata!
Da sabato tutta Italia è a conoscenza che il presidente Marrazzo aveva una doppia vita. Lui, vittima di un ricatto da parte di quattro carabinieri, ne diventa mediaticamente il capro espiatorio.
Non fa tanto scandalo che quattro militari della Benemerita abbiano messo su addirittura un’associazione a delinquere a fini estorsivi ai danni del governatore del Lazio, quanto le sue private frequentazioni al di sotto di ogni sospetto, la cui divulgazione urbi et orbi ne sanciscono definitivamente l’azzeramento della sua vita pubblica e privata.
Eppure, allo stato degli atti, a Piero Marrazzo non vengono mosse dai magistrati contestazioni di reato.
Chissà perché, in men che non si dica, ancor prima di fare chiarezza completa, lo hanno scaricato sia gli avversari che i suoi stessi compagni di partito.
Ci si chiede se la Casta dei politici non abbia giocato ancora una volta una torbida partita.
E’ poi veramente inqualificabile la posizione degli esponenti del Pdl che, da un lato, ne hanno chiesto a gran voce le dimissioni mentre, dall’altro, continuano a difendere la posizione assai più imbarazzante del loro premier, coinvolto in vicende giudiziarie ben più pesanti e dalle quali si è pure sottratto con numerose leggi ad personam: epocale quella dell’incostituzionale lodo Alfano.
La condanna anche in appello dell’avvocato Mills dimostra che Silvio Berlusconi, la cui posizione processuale è stata stralciata proprio grazie al lodo incostituzionale, non può continuare a fare il presidente del Consiglio senza portare pregiudizio all’istituzione che rappresenta.
Ciò che vale per fatti privati del presidente di una regione deve valere, a maggior ragione, per il capo dell'Esecutivo, quando è in corso un procedimento giudiziario nei suoi confronti con capi di imputazione di obiettiva gravità.
E persino nella vicenda Marrazzo, Silvio Berlusconi, padrone della Mondatori, lo zampino ha finito per mettercelo: ad ulteriore conferma di un conflitto di interessi talmente gigantesco da mettere in crisi qualsiasi equilibrio istituzionale.
Che il Presidente del Consiglio abbia telefonato a Piero Marrazzo soltanto qualche giorno prima (pare il 21 ottobre) che scoppiasse lo scandalo per informarlo di un video compromettente ai suoi danni ed assicurargli che il suo gruppo editoriale non avrebbe pubblicato nulla di ciò, passandogli i numeri telefonici dell’agenzia che custodiva quel materiale, è la prova del nove di come non sia mai possibile sapere, di momento in momento, se agisca in Berlusconi l’uomo di Stato o il tycoon di un potentissimo gruppo economico con infiniti tentacoli.
Infine, che dire dei quattro carabinieri?
Di loro non si sa quasi niente, tranne che i loro capi li hanno liquidati come mele marce.
Eppure al momento sono gli unici incriminati di questa fosca vicenda: a dispetto dell’essere tutori dell’ordine, hanno ricattato il governatore del Lazio distruggendone per soldi la reputazione.
Le guardie che diventano criminali: perché i media sorvolano sulla questione?
Una cosa è certa: nessuna condanna penale, fosse pure la più esemplare, potrà mai risarcire il danno immenso che essi hanno inflitto in un colpo solo ad un uomo politico, alla sua famiglia, all’immagine dei Carabinieri ed alle Istituzioni.

venerdì 16 ottobre 2009

Emergenza democratica

Quello trasmesso da Canale 5 ieri mattina non è un servizio giornalistico, magari rosa, di gossip o trash, è un’intimidazione bella e buona contro il giudice Raimondo Mesiano, autore della sentenza che ha condannato la Finivest a pagare un maxirisarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti.
Le telecamere che occupano l’etere pubblico, cioè che appartiene a noi tutti, riprendono momenti di vita privata del giudice, a passeggio, dal barbiere, seduto ai giardini pubblici, con l’aggiunta di un commento fuori campo, infarcito di giudizi ironici sul suo modo di vestire e sulle sue abitudini di privato cittadino.
Un linciaggio mediatico che, dal minaccioso "ne vedrete delle belle" pronunciato da Silvio Berlusconi contro il magistrato, arriva adesso ad organizzare un vero e proprio pedinamento ai suoi danni nell’intento ignobile e disperato di denigrarne in qualche modo la figura, umana prima ancora che professionale.
Qui, come è chiaro a chiunque, non è in gioco la privacy di un cittadino, che del suo tempo libero può fare chiaramente quello che vuole senza dover rendere conto a nessuno, ma l’attacco sferrato sul piano personale contro colui che ha pronunciato una sentenza non gradita a Silvio Berlusconi, proprietario della Fininvest.
Un fatto gravissimo, una vera porcheria: in tanti anni di scadente tv commerciale mai si era vista una cosa del genere.
A questo punto, chiamato in causa non è il Garante della Privacy, è la Procura di Roma che deve aprire immediatamente un’inchiesta; così come è l’Ordine dei giornalisti che deve agire contro il conduttore del programma nel corso del quale è stato proposto simile obbrobrio, il giornalista Claudio Brachino; il quale, a secco di qualsiasi codice deontologico, riesce solo a dire: "Non c'era alcuna malizia ma solo il senso televisivo di dare un volto a un personaggio che la gente non conosceva di persona".
Se a questo si aggiunge il furioso attacco portato dal premier Berlusconi, ancora una volta, alla trasmissione di Michele Santoro e la sua ultima uscita minacciosa: "Penso che ci saranno brutte sorprese per il bilancio della Rai. Faccio una previsione: il 50% degli italiani non pagherà più il canone", si delinea un quadro politico-istituzionale da vera emergenza nazionale.
Che la Casta dei politici ancora non si voglia rendere conto della drammatica accelerazione che stanno prendendo gli eventi, con possibili sviluppi incontrollabili, è l’ennesimo schiaffo, forse il più micidiale, alla nostra democrazia malata.

lunedì 12 ottobre 2009

Sempre più giù verso l'abisso

La settimana della sonora bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale si è conclusa nel peggiore dei modi.
Dopo gli attacchi contro tutto e tutti di Silvio Berlusconi, che ancora non riesce a smaltire la rabbia per aver perso l’immunità processuale, si profila una stagione politica gravida di pericoli.
Ormai il premier, abbassata la maschera che finora ne celava agli ingenui le reali intenzioni, è pronto a regolare una serie di conti che teneva evidentemente in sospeso.
Quirinale, Corte Costituzionale, Magistratura, Parlamento, stampa nazionale ed estera: nessuno dei poteri di una moderna democrazia viene risparmiato dalle sue ire.
Al Presidente Napolitano, a dispetto della sua eccessiva arrendevolezza al momento della promulgazione lampo della legge sull’immunità delle Alte cariche, Berlusconi, per il tramite del fido Vittorio Feltri dalle colonne de Il Giornale, gli rinfaccia di non aver saputo interagire con i giudici della Consulta, benché, è questa una indiscrezione dirompente, il testo di legge fosse stato scritto a quattro mani con i consulenti giuridici del Colle.
Se ciò venisse confermato, si dimostrerebbe come, nel tentativo di assecondare il soverchiante attivismo istituzionale del premier, Napolitano avrebbe travalicato il suo ruolo, finendo per uscire dal solco tracciato dalla nostra Costituzione.
E’ per questo che il Quirinale si è affrettato oggi a smentire seccamente tale ricostruzione che getta una luce inquietante sull’operato del Capo dello Stato, mettendone a rischio il suo ruolo super partes: una vera bomba mediatica, quella fatta deflagrare dal giornale della famiglia Berlusconi!
Inoltre, contro il potere giudiziario, sono già sulla rampa di lancio due siluri: la separazione delle carriere dei magistrati e il ripristino dell’immunità parlamentare.
A dimostrazione che il Cavaliere, nonostante i sondaggi sfavorevoli, messo alle strette se ne infischia ampiamente della pubblica opinione, già stressata per le sue intemperanze pubbliche e private.
Ormai il profluvio di invettive contro il singolo funzionario pubblico che incroci la sua strada, fosse solo per puro e semplice dovere d’ufficio, è tale che nessuna istituzione è in grado di sopportarne il peso.
Perché sono le istituzioni stesse ad essere sotto tiro.
E’ così che il Presidente della Repubblica, nonostante abbia mostrato sin troppo zelo nell’evitare ogni attrito con Berlusconi, viene comunque da questi accusato di slealtà.
Ma perché prendersela tanto per la bocciatura del lodo?
Allora avevano ragione quanti sostenevano che era l’ennesima legge ad personam per il Cavaliere!
Con la sua incontenibile ira, Berlusconi ha finito di nuovo per smentire se stesso.

Nessuna sorpresa nel constatare, però, che malgrado la bocciatura delle Corte, egli non ha la minima intenzione di dimettersi.
Irrita, piuttosto, che in queste ore la scalcinata opposizione del PD non abbia saputo dire altro, oltre esprimere una solidarietà rituale a Napolitano, che esortare Berlusconi ad andare avanti.
Dopo il poderoso aiuto sullo scudo fiscale, ecco nuovamente il PD pronto a tendergli la mano.
E la nomenklatura democratica ha pure la faccia tosta di chiedere alla sua base di andare a votare per le primarie!
Ma come, voi del PD non vi presentate in Parlamento a sfiduciare Berlusconi, adesso asserite pure che non deve dimettersi, e chiedete a noi cittadini di votarvi?
Possibile che non vi rendiate conto della distanza siderale che ormai vi separa dai vostri stessi elettori?