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venerdì 13 febbraio 2009

Politica schizofrenica

Sono stati giorni difficili.
Giorni in cui la politica si è impadronita di temi delicati come quello dell’etica, del senso ultimo della vita umana, per farne merce di scambio, filo conduttore dell’ennesimo spot elettorale.
Spettacolo avvilente che ancora una volta ha visto in prima fila il presidente del consiglio, tuttavia ben attorniato da un’accolita di personaggi minori che hanno provato pure a rubargli la scena.
Senza riuscirci, però; perché sotto le luci della ribalta il mattatore è restato indiscutibilmente lui.
Ha usato, come grimaldello per scardinare la Costituzione, una questione tanto delicata che le cronache ci hanno sbattuto in faccia ossessivamente in questi giorni senza pudore alcuno: un gran colpo basso; uno scempio atroce per Eugenio Scalfari. Come dargli torto?
Il fatto è che anche coloro che gridano allo scandalo, che invocano il rispetto della carta costituzionale a cui il premier deve necessariamente piegarsi senza minacciare sfracelli, tengono in piedi questo spettacolo indecoroso.
Perché se Berlusconi è quello che è, non si può poi pensare di stringere con lui patti di ferro alla chetichella, come è successo recentemente con la legge elettorale per le prossime Europee, di comune accordo approvata in un ramo del parlamento da Pd e Pdl; per non parlare poi della legge sul federalismo fiscale, vero buco nero della nostra legislazione.
Insomma, se Berlusconi è interlocutore affidabile per il partito democratico tanto da concepire insieme a lui alcune leggi di portata costituzionale (anche se formalmente non costituzionali), non si capisce perché diventi alcuni giorni dopo improvvisamente il golpista che vuole fare a pezzettini la nostra carta fondamentale.
Un po’ di coerenza: ha ragione Beppe Grillo quando afferma che l’uomo di Arcore è sempre coerente a se stesso. Dunque segue una strategia ben precisa sia quando vara il lodo Alfano, sia quando definisce sovietica la nostra Costituzione.
Dice e disdice, finendo sempre per raggiungere i propri obiettivi, non demordendo mai; al contrario, rilanciando con maggiore veemenza quando si imbatte imprevedibilmente in qualche autorevole no.
Ma il partito democratico ed il suo leader Veltroni sembra proprio che questa cosa non l’abbiano ancora capita.
Un giorno ci raccontano la favola dell’imprenditore che ha il pallino della politica con cui si può pacatamente dialogare anche dei massimi sistemi; un altro giorno ce lo rappresentano come il lupo cattivo che banchetta con la Costituzione: pura schizofrenia.

martedì 3 febbraio 2009

Un'altra legge ad personam: la SalvaVeltroni!

Proseguono le leggi ad personam del duo Veltrusconi: dopo la legge Alfano, ecco che di soppiatto dal cilindro del tandem politico meno credibile della Seconda Repubblica, esce fuori la legge SalvaVeltroni.
Sì, quella legge che decreta lo sbarramento al 4% alle prossime Europee; una cosa inopportuna e per giunta fuori luogo.
Inopportuna, perché nel disastro economico in cui siamo precipitati, venire a sapere che maggioranza e opposizione si occupano ancora di legge elettorale, è uno schiaffo a tutti coloro che in questi mesi stanno patendo i rigori di un gelido inverno di recessione.
Nel Palazzo si discute amabilmente di legge elettorale e questi strani poli, inspiegabilmente, vanno pure d’amore e d’accordo!
Decisione fuori luogo, perché non è certo a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, che si può pensare di eliminare la frammentazione elettorale, stante la necessaria presenza di rappresentanze politiche di tantissimi paesi.
L’obiettivo, neppure tanto velato, è tutto interno: ovvero quello di cancellare definitivamente qualsiasi forma di vera opposizione, tanto a destra quanto a sinistra dei due colossi d’argilla.
Soprattutto a sinistra, vista la penosa condizione in cui versa il Pd ad opera del sempre più stralunato Walter Veltroni, il quale di giorno critica goffamente il cavaliere sulle questioni più insulse e la sera, quasi clandestinamente, stringe con lui patti di ferro per far fuori il dissenso in tutte le sue forme.
Sorprende come il leader del Pd resti impassibile alla valanga di critiche che da tutte le parti ne mettono in dubbio le qualità politiche e ne hanno minato irreversibilmente il carisma; e che la politica sia scesa tanto in basso da abbandonare il Paese alle proprie difficoltà per badare esclusivamente a se stessa.
Intendiamoci: il problema non è quello di fissare o meno una soglia di sbarramento per i partiti minori. Questo è sicuramente legittimo farlo (non necessariamente opportuno!), a patto che si sia sviluppato su una questione così delicata (è in gioco il diritto alla rappresentanza politica) un ampio dibattito nella società.
Nessuno contesta, cioè, che, alla fine di un lungo percorso parlamentare, la politica decida di nuovo sulla legge elettorale: ma lo deve fare alla luce del sole, dopo un dibattito chiaro ed aperto con la pubblica opinione e, soprattutto, dopo aver dato le risposte che i cittadini invocano inutilmente in campo economico.
Tanto più che la legge elettorale varata per le politiche scorse era stata considerata unanimemente un pasticcio (la famosa porcata secondo il senatore leghista Calderoli).
Dispiace che anche Eugenio Scalfari si spinga a dire che Veltroni sarebbe riuscito nel compito di portare a casa un buon risultato: cioè la soglia di sbarramento al 4% contro la pretesa berlusconiana del 5%.
E’ semplicemente ridicolo riconoscergliene un merito, vista la pochezza dell'esito e tenuto conto che questa legge è stata concordata tra maggioranza e opposizione quasi di soppiatto, prendendo spunto dal famigerato porcellum.
Nel pieno di una crisi economica senza precedenti, un disegno di legge del genere non doveva neppure arrivare all'ordine del giorno dei lavori parlamentari; tanto più a macchina elettorale per le Europee già avviata.
Ignorare questa lampante evidenza, vuol dire proprio aver smarrito la via maestra e procedere a tentoni tra i propri dogmatismi, badando esclusivamente al tornaconto personale.
Significa soprattutto infischiarsene di quello che dice la gente, irritata all’inverosimile da una classe politica di inetti, che vive allegramente alle sue spalle ed a cui non risponde più concretamente.
A questo punto, l’unica risposta da dare al regime messo in piedi senza tanto clamore dalla strana coppia Veltroni - Berlusconi è disertare le urne: siamo tutti stanchi di firmare inutili cambiali in bianco.

domenica 25 gennaio 2009

Sempre più giù, il Pd scivola pure sul federalismo

"Questa è una decisione giusta di una forza responsabile, ma questo atteggiamento potrà modificarsi nella futura lettura se non saranno chiariti alcuni nodi" (1). Queste le parole del segretario del Pd, Walter Veltroni, dopo l’approvazione da parte del Senato del federalismo fiscale, provvedimento che ora passerà alla Camera.
L’astensione del Pd in aula è stato il fatto politico di maggiore rilevanza in questo passaggio parlamentare che ridisegna il sistema di finanza pubblica degli enti locali; ma in commissione il Pd aveva approvato insieme al centrodestra tutti i principali articoli della riforma.
Insomma, ancora una volta l’opposizione si allinea al centrodestra nel votare una legge che rompe il patto di solidarietà tra le diverse italie per sancire un federalismo al buio le cui conseguenze sia sul piano dei costi che dell’erogazione dei servizi ai cittadini sono tutte da definire.
Cioè, il Partito democratico ha votato un provvedimento di grande portata senza rendersi conto né se esso produrrà dei risparmi fiscali per il contribuente (sembrerebbe esattamente il contrario) né se creerà disparità di trattamento tra abitanti di parti diverse della penisola nelle prestazioni erogate dagli enti locali.
Eugenio Scalfari, nell'odierno domenicale, solleva a riguardo gravissime perplessità: "Voglio sperare che i piemontesi, i lombardi, i veneti del Partito democratico non dimentichino la storia del nostro paese e il contenuto che i loro avi dettero alla sua unità."
Culturalmente parlando, Veltroni firma l’ennesima débâcle della sinistra italiana senza neppure accertarsi di quali potrebbero essere gli effetti perversi di questa riforma, nonostante mezzo partito avrebbe preferito votare contro.
Se l’ opposizione di questo finto bipolarismo non si preoccupa delle possibili conseguenze della rottura del patto di solidarietà tra gli Italiani, vuol dire proprio che ha subito una mutazione genetica, tale da non avere più nulla a che vedere né con la tradizione socialista e comunista né con il cattolicesimo sociale.
Insomma dalle ceneri delle due matrici culturali più importanti della storia d’Italia è uscito fuori un partito che rinnega entrambe senza peraltro proporre alcun modello politico alternativo.
Fa cascare le braccia la risposta che Veltroni dà all’ex Udc Follini, ora dentro il Pd, che aveva bollato come irresponsabile l’astensione decisa nel voto finale al Senato: "Il nostro profilo riformista consiste anche in questo. Noi siamo un’opposizione responsabile" (2).
No, la verità è che l’oligarchia all’interno del Pd sta conducendo una battaglia di resistenza politica che non ha nulla a che vedere con i bisogni dell’elettorato che si arroga di rappresentare.
E' un fatto che in tanti mesi, senza avere impegni particolari, la leadership democratica non sia riuscita a formulare neppure uno straccio di proposta di riforma su un qualsivoglia campo della vita pubblica.
Un’inerzia paurosa, il vertice democratico resta alla finestra confidando nella crisi economica ed in attesa che il centrodestra vari un qualche provvedimento per avere la possibilità o di criticarlo in modo sgangherato (giusto per farsi un po’ di pubblicità) o di accodarcisi dietro in nome di un malinteso senso di responsabilità: "Il Pd ha sbriciolato il cliché berlusconiano dell’opposizione riottosa e incapace di riforme" (3) , conclude non a caso la capogruppo Anna Finocchiaro.
Si capisce a questo punto perché il Partito democratico stia letteralmente precipitando nei sondaggi (23%?) e per quale motivo stia spingendo per una nuova legge elettorale per le Europee con soglia di sbarramento al 4-5% in modo da fare fuori quello che resta di autentica opposizione nel panorama politico italiano.
Il messaggio è chiaro: anche se ci considerate dei buoni a nulla, siete comunque costretti a votarci!
(1) (2) (3): Corriere della Sera del 23/01/09, pagg. 5-6

giovedì 15 gennaio 2009

Un governo senza opposizione: il frutto avvelenato del bipolarismo all'italiana

Nel salotto televisivo di Ballarò, dove sfila la politica prêt à porter, per intenderci quella che dopo due ore di trasmissione regala al telespettatore solo sbadigli grazie ad un paludoso chiacchiericcio in cui affondano tutti, in primis i temi della puntata, martedì sera era di scena il leader del Partito democratico, Walter Veltroni.
Sparita la surreale spocchia di qualche mese fa, quando si inorgogliva elencando le sconfitte patite come fossero sue grandi invenzioni, sembrava un cane bastonato: con la solita litania del 25 ottobre ha rivendicato con scarsa convinzione il grande successo dell’adunata del Circo Massimo ma, è stato subito chiaro che, oltre all’entusiasmo, era a corto di argomenti per giustificare una leadership ormai giunta al capolinea.
Il simpatico Maurizio Crozza, nella sua arguta copertina, è riuscito a rinfacciargli in poche battute quello che nessuno tra gli intervenuti ha saputo fare.
Lo stesso pacatissimo Ferruccio De Bortoli (con tutt’altra nonchalance rispetto alla furia esibita nello stesso salotto nell’autunno 2007 allorché incalzava minaccioso l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti), pur orchestrandogli a lungo una sviolinata quasi imbarazzante, dall’alto del suo atteggiamento protettivo, è stato comunque costretto a rivelargli, udite udite, che in Italia sembra non esserci un’opposizione.
Ma invece di andare a parare su problemi concreti, quelli quotidiani degli Italiani, la trasmissione si è andata inopinatamente ad infilare nel vicolo cieco delle alleanze del Pd, in particolare quella con l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro.
Sul punto, tutti a fargli notare che quell’accordo elettorale è stato un grave errore, quasi Di Pietro, che della questione morale ha fatto una bandiera, fosse divenuto all'improvviso una cattiva compagnia.
Forse perché, di fronte ai tanti scandali che hanno visto coinvolti amministratori del Pd, parlare di questione morale a Veltroni è un po' come parlare di corda in casa dell’impiccato.
Sul punto, non a caso si è difeso dai rilievi del direttore di Panorama Belpietro, affermando che il Pd è meno peggio del Pdl: bella prova di orgoglio!
Purtroppo, il quadro politico italiano resta disperante: con un governo veramente modesto che, al massimo, sa gridare all’untore nei confronti degli immigrati ma, normalmente, non sa veramente dove sbattere la testa.
Diciamolo chiaramente: dopo sette messi di legislatura, la svolta economica del grande imprenditore si è rivelata un grande bluff.
La vicenda Cai – Alitalia oltre il danno (6 miliardi di euro??) aggiunge la beffa perché non salva neppure l’italianità della compagnia, ormai nell’orbita di Air France come titolano trionfalisticamente i giornali transalpini; è stata un ottimo affare solo per Colanino & c., finanziato obtorto collo dai contribuenti italiani.
La social card si è rivelata un mezzo boomerang per il grande creativo Giulio Tremonti e per i tanti malcapitati (sembra 200mila!) che si sono ritrovati alla cassa del supermercato dovendo lasciare lì i generi alimentari riposti nel carrello perché la tessera, nonostante tutti i requisiti di legge, non è mai stata caricata: neppure di quella miseria!
La crisi delle imprese si aggrava di giorno in giorno; l’occupazione crolla, gli stipendi non bastano più a coprire spesso neanche metà mese: ce n’è abbastanza per dipingere un quadro economico estremamente grave con un governo del tutto incapace di fronteggiarlo.
Sulla politica estera, poi, è meglio stendere un velo pietoso: il sostegno alla scelta del governo israeliano di bombardare Gaza è stato così cieco ed incondizionato da parte del ministro Frattini e di tutto il centrodestra che abbiamo dilapidato in poche settimane un inestimabile patrimonio di credibilità, frutto di un costante e attento lavoro diplomatico di oltre quarant’anni, che ci rendeva interlocutori privilegiati nel conflitto arabo-israeliano.
In un paese normale, a questo punto, l’opposizione alzerebbe la voce; in Italia, no, con un’oligarchia dentro il Partito democratico che pretende di capeggiare il grande malcontento popolare ma che, concretamente, è silenziosa e complice.
E’ questo il cosiddetto bipolarismo italiano, quello tanto vagheggiato da Walter Veltroni che, pur di realizzarlo a tambur battente, non ha esitato un attimo a sacrificare l’innovativa esperienza di governo di Romano Prodi.
L’unica cosa che ci ha regalato il bipolarismo Pd - Pdl è un frutto avvelenato: Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi che minaccia di fare scempio della Costituzione e del principio di divisione dei poteri ed un’opposizione penosamente in disarmo, che non si dà una mossa perché i suoi oligarchi sono convinti di restare conunque a galla.
Si può stare peggio di così?

domenica 21 dicembre 2008

Se le sorti dell'opposizione passano per il conclave del Pd

E finalmente il giorno della resa dei conti arrivò.
Il tanto strombazzato chiarimento tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema partorì il topolino.
E’ sempre stato così dalla fondazione: la grande montagna del Partito democratico, franando adesso rovinosamente, riesce a malapena ad articolare una minuscola dichiarazione d’intenti: “Sì al rinnovamento, no ai capibastone ”.
Conclusione scontata, quasi liturgica, quella pronunciata da Walter Veltroni nella sua due giorni, prima alla direzione del partito poi alla prima assemblea dei giovani democratici.
Parole giuste, non c’è che dire, ma che non riescono ad infondere quella speranza di cambiamento che da più parti si invoca.
Non si tratta di stabilire se l’amalgama sia più o meno riuscito, lasciamo risolvere questo bizantinismo ai politici di professione.
Il fatto è che la casta dei democratici legge l’emergenza politica in cui ci troviamo (un pessimo governo lasciato libero di fare quello che vuole, persino di annunciare di voler ridisegnare la Costituzione ad immagine e somiglianza del suo premier, senza che l’opposizione dia la sensazione neppure di reagire, semplicemente di esistere) con la lente deformata della sua inattaccabile condizione di privilegio.
E’ un linguaggio paludato quello di Veltroni e D’alema che dista anni luce dalle parole che i cittadini vorrebbero sentire: diranno pure cose sensate ed in gran parte condivisibili ma lontane e fredde.
Solo per fare un paragone, il linguaggio di Renato Soru, presidente Pd della Sardegna, sarà meno elegante, meno costruito secondo i dettami del politichese ma non per questo meno efficace; al contrario, è dotato di una forza ideale e di innovazione sociale decisamente maggiore.
Anche se la parola innovazione non viene abusata dal suo vocabolario: la sua è la politica del fare, rispetto alla politica del parlare.
Si può essere più o meno d’accordo con quello che dice e che propone: fatto sta che parla di cose concrete, non di correnti, non di capibastone, non di innovazione prêt à porter.
E a molti la politica fatta solo di parole, fossero anche le più eleganti e forbite, ha ormai stancato.
Siamo alla pausa di Natale ma la casta anche quest’anno ribadisce il suo peccato originale: quello della sua scarsa credibilità, anche quando mostra le migliori intenzioni.
Neppure l’animosa, vibrante replica di Veltroni ha solo scalfito questa triste realtà.


martedì 9 dicembre 2008

Il Partito democratico va sempre più giù

Ennesima settimana di crisi della politica.
La casta sta affondando ma ha perso anche quel residuo amor proprio, servisse soltanto per risalire la crisi di consensi che la investe aggrappandosi, come un naufrago in un mare in tempesta, alle cime della crisi economica e così dimostrare agli Italiani che ancora serve a qualcosa.
Il governo del centrodestra naviga a vista, tagliando a destra ed a manca la spesa pubblica fino a quando qualcuno da Oltretevere non alza la voce e gli fa rimangiare di colpo il taglio alle scuole cattoliche con tante scuse.
La sua politica deflazionista accelera la crisi e non restituisce in termini di provvidenze sociali neppure una parte di quello che toglie dal bilancio dello Stato: la social card è uno strumento del tutto inadeguato per lenire le sofferenze delle tante famiglie in rosso già alla terza settimana.
Sono bastati pochi giorni dal suo strombazzato varo per capire che, anche sul piano economico, il governo è nudo.
D’altra parte, premere ancora sull’acceleratore dell'ordine pubblico, della sicurezza e della paura dell'immigrazione a due settimane da Natale, con lo shopping che langue, più che una buona idea apparirebbe agli occhi dei più una provocazione.
La riforma della giustizia? Da sempre l’obiettivo dichiarato del Cavaliere, dopo la legge incostituzionale sulle alte cariche, non è poi così impellente almeno fino a quando la Suprema Corte non si sarà pronunciata contro. Diciamo così, il governo sta aspettando Natale…
E l’opposizione? Quale opposizione?
L’intervista di Veltroni a Repubblica della settimana scorsa dimostra che il vertice del Partito democratico ha perso il polso della situazione, non riuscendo neppure a capire cosa stia succedendo in casa propria, figuriamoci ad immedesimarsi nei guai che affliggono gli Italiani: l'odierno sondaggio Ipr per Repubblica.it lo dà in caduta libera di oltre 5 punti percentuali.
Più precisamente, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro svetta al 7,8% mentre il Partito democratico accusa un crollo sulle Politiche di primavera del 5,7%!
Morale: quando l’opposizione la si pratica quotidianamente, la gente se ne accorge e premia i politici volenterosi; al contrario, quando ci si tira i piatti da pranzo, come fanno Walter Veltroni e Massimo D’Alema, semplicemente per decidere quale sia il modo migliore di non fare opposizione, ecco che anche lì il verdetto popolare cade giù duro come una tegola.
L’impareggiabile coppia Veltroni - D’Alema è riuscita a superarsi facendo addirittura guadagnare al Pdl altri due punti percentuali rispetto alla primavera scorsa, nonostante l’azione di governo sia stata in questi mesi decisamente mediocre: complimenti!
L’altra sera, nel salotto di Fabio Fazio, c’era il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che rivendicava la sua coerenza nelle scelte fatte come governatore Pd della Sardegna; scelte che lo hanno costretto alle dimissioni quando si è visto mancare l’appoggio proprio degli esponenti regionali del suo partito.
Il suo parlare schietto, senza fronzoli, che richiama valori antichi ma di grande modernità, come l’impegno personale per la sua terra, l’ottimismo della volontà e del sacrificio contro i compromessi al ribasso, una idea alta della politica, hanno finito per sfiorare corde nell’animo di molti simpatizzanti del Pd che la politica di questi anni dei vari Fassino, Veltroni, D’Alema, Bettini, Rutelli aveva fatto completamente dimenticare.
Il richiamo all’ambiente, al rispetto che dobbiamo alle future generazioni per non lasciare loro un mondo invivibile, alla cultura del lavoro e del risparmio contro gli irresponsabili inviti all’ottimismo dei consumi, ha messo in luce un uomo politico che dimostra una sincera avversione per i riti della casta e che è in sorprendente, quasi inconsapevole, sintonia con ampi settori della società civile.
Ci domandiamo: nella crisi abissale in cui versa il Pd, crisi di identità, di strategia ma soprattutto di etica (come confermano le numerose inchieste in corso sulla sinistra d'affari), cosa impedisce alla leadership democratica di lasciare subito il testimone a uomini nuovi come Renato Soru?

giovedì 4 dicembre 2008

Se un leader sfodera un ottimismo fuori luogo

Interessantissima l’intervista a Walter Veltroni, leader del Partito democratico, che Massimo Giannini propone oggi ai lettori di Repubblica. Ne riproponiamo forse lo stralcio più significativo, quando, alla domanda se sarebbe disposto a farsi da parte nell’impossibilità di sanare le fratture interne al partito, così risponde:
"Considero gli interessi generali più importanti di quelli personali. Ho sempre lavorato per il bene di questa "creatura", un partito riformista di massa, una forza del 34% che in Italia non è mai esistita se non nella breve parentesi del primo governo Prodi, tra '96 e '98. In meno di un anno i risultati sono stati straordinari. La Summer School è stata un successo. La nostra tv sta andando benissimo. Il Circo Massimo è stato un trionfo. Abbiamo vinto le elezioni in Trentino e in Alto Adige. Abbiamo gioito per la vittoria di Obama, perché qui qualcuno aveva intuito che era uno straordinario seme di futuro. Siamo risaliti di 4 punti nei sondaggi mentre Berlusconi ha cominciato a cadere. Insomma, tutto stava andando per il meglio. Ho chiesto ai segretari regionali due giorni fa: cosa diavolo è successo in pochi giorni?".
Veltroni si lusinga immaginandosi una situazione politica inesistente, sfoggiando un ottimismo fuori luogo, esaltando successi surreali che agli occhi dei suoi simpatizzanti appariranno soltanto aria fritta.
Il riferimento alla vittoria di Barack Obama è poi un capolavoro di comicità, quasi che l’avesse rubata a Maurizio Crozza.
Quando la realtà supera la satira.

mercoledì 3 dicembre 2008

Aspettando il prossimo chiarimento dentro il Pd

Ennesima figuraccia della politica nostrana.
Un’altra settimana è trascorsa all’insegna di una crisi economica senza precedenti ma la casta si azzuffa ancora una volta sulla televisione.
Questa volta è il turno di Sky, la pay tv del miliardario australiano Rupert Murdoch. Sembra impossibile che l’opposizione capeggiata da Veltroni non trovi nulla di meglio che gridare allo scandalo per l’ennesimo conflitto di interessi in cui è incappato il Cavaliere; a questo punto, verrebbe da dire, suo malgrado.
I fatti sono noti: l’innalzamento dell’Iva sul canone della pay tv dal 10% (aliquota agevolata) all’aliquota ordinaria del 20% è per certi versi un atto dovuto.
Il senso di un’agevolazione del genere è riconducibile ai tempi dell’avvio di una nuova tecnologia digitale su satellite che, a metà degli anni novanta, poteva considerarsi talmente innovativa e pionieristica che meritava sicuramente un occhio di riguardo da parte del fisco per far decollare il settore.
Oggi non è più così: Sky non può più essere considerata un’azienda start up, vantando quasi 5 milioni di abbonati!
Non si capisce perché bisogna pagare l’iva al 20% su un’infinità di prodotti anche di prima necessità e si debba continuare a pagare i canoni della pay tv con l’imposta al 10%.
In un paese normale, un’opposizione con un minimo di sale nella zucca, non si straccerebbe le vesti al limite dell'isteria di fronte ad un provvedimento che, potrà pure essere giudicato inopportuno (tanto più perché varato da un governo diretto da un magnate della televisione), ma non appare particolarmente disdicevole né iniquo; al contrario, oggi veniamo a sapere da un portavoce che era negli auspici della Commissione europea.
Che poi si rinvanghi la solfa del conflitto di interessi, la questione è diventata puro esercizio retorico: c’è la sensazione che venga periodicamente sollevata da Veltroni & c. soltanto per dire qualcosa di sinistra, senza però nessuna convinzione.
Diciamolo chiaramente: qualsiasi provvedimento economico che il governo di centrodestra ha già preso o prenderà in futuro è sempre sotto conflitto di interessi.
In quale settore di attività economica l’impero berlusconiano non è arrivato in forze? Stentiamo a trovarne uno.
Per cui sollevare sterilmente la questione, senza aver mai compiuto in passato alcun passo per una legge che lo risolva in qualche modo, diventa uno spettacolo miserevole e meschino.
Com’è possibile che il sacro furore del conflitto d’interessi non sia stato rivolto quest’estate contro la legge sulle alte cariche? Lì, oltre la palese violazione costituzionale, proprio il conflitto di interessi si stagliava enorme come un grattacielo... Ma Veltroni ebbe a dire che il lodo Alfano non era incostituzionale!
Questa opposizione ha dovuto aspettare la questione Sky per dissotterrare l’ascia del conflitto di interessi. Su altri argomenti, molto più scottanti per le tasche degli Italiani, resta afasica come sempre.
Ad esempio, come mai nessuno ha eccepito nulla sul fatto che il governo ha deciso di congelare al 4% le rate dei mutui prima casa a tasso variabile lasciando quelli a tasso fisso al 6-7 anche 8%? Forse che in tempi di recessione le ragioni di chi ha deciso tempo addietro di cautelarsi con il tasso fisso per evitare successivi rialzi dei tassi di mercato valgono di meno di quelle di chi, optando per il tasso variabile, ha scelto il minor costo immediato (i mutui a tasso variabile scontavano alla stipula un tasso di interesse anche di due punti più basso del corrispondente mutuo a tasso fisso) accollandosi esplicitamente il rischio di futuri aumenti delle rate?
Ma dalla cosiddetta opposizione su questo problema che coinvolge milioni di famiglie non è venuta una sola parola.
Così come sulla cosiddetta social card, che è uno strumento di sostegno ai consumi estremamente modesto sia per importo che per platea di destinatari, dall’opposizione le riserve sono state poche e avanzate senza animosità.
Su un altro versante dell’economia, la Telecom taglia migliaia di posti di lavoro e nessuno eccepisce nulla.
Insomma, stiamo assistendo da troppo tempo al brutto spettacolo di un’opposizione che gioca di rimessa attendendo il governo in difesa per fargli gol in contropiede.
Ma una tattica del genere ha un senso se la squadra che la pratica ha un vantaggio anche solo psicologico sull’avversario, non se sta perdendo alla grande!
Da un’opposizione minimamente decente ci si aspetterebbe un piano dei cento giorni per la crisi economica inquadrato in un progetto politico di più ampio respiro che getti le fondamenta di un ciclo economico virtuoso, basato su incentivi all’innovazione tecnologica a zero impatto ambientale.
Invece ci ritroviamo un Partito democratico che non sa neppure decidere se, a sei mesi dalle Europee, si schiererà al Parlamento europeo con il gruppo socialista o con quello democristiano!!
Capiamo adesso perché l’uomo di Arcore può fare e disfare tutto quello che gli passa per la testa.
Se il futuro dei Democratici passa per l’avvicendamento nel giugno 2009 tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema mentre il partito resta fino a quella data ingessato, in attesa dell'ennesimo chiarimento definitivo che non arriva mai, è chiaro che il governo Berlusconi, nonostante tutto, può continuare a dormire sonni tranquilli.

martedì 18 novembre 2008

E non se ne vogliono andare...

Sono mesi che lo ripetiamo. Ma dopo l’ennesima settimana di bufera, il destino del Partito democratico sembra segnato insieme alla sua leadership, in perenne difficoltà anche su questioni apparentemente di ordinaria amministrazione, quale può essere la nomina del presidente di una commissione parlamentare.
Stretto tra l’incudine del governo di centrodestra ed il martello dell’Italia dei Valori, Walter Veltroni sembra l’unico vero vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Purtroppo i vasi di ferro stanno anche dentro il suo partito, per cui quella da lui ingaggiata è una lotta impari: l’assalto alla sua leadership è frutto di una strategia convergente della maggioranza berlusconiana, disposta persino a contendere all’avversario scampoli di potere che per prassi costituzionale andrebbero lasciati all’opposizione giusto per ribadire la propria soverchiante superiorità, e di settori influenti del suo stesso partito, che agendo dietro le quinte ed in tutta calma, stanno preparandogli da settimane il benservito.
E’ in atto una specie di tiro al piccione in cui si cimentano indistintamente un po’ tutti. E’ in questo clima torbido che si possono concepire le teppistiche parole rivolte a Walter Veltroni dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, e che confermano una volta di più lo scadimento della nostra vita politica.
Non si capisce a cosa ancora si debba assistere prima che la casta si renda finalmente conto di quale abisso la separi ormai dalla società civile e quanto discredito si porti dietro.
La querelle sulla nomina del presidente della commissione di vigilanza Rai, Riccardo Villari, non solo è emblematica di tale involuzione ma ne rappresenta in modo paradossale un limite quasi invalicabile.
Un senatore del Pd viene eletto con i voti della maggioranza di governo, tanto per fare un dispetto a Veltroni e per sottolineare l’assoluta indisponibilità alla candidatura dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Nome sul quale Veltroni, suo malgrado, non è disposto a cedere, pena l’essere travolto dal martello pneumatico Antonio di Pietro.
L’epilogo è noto: in questo braccio di ferro il leader del Pd ha finito nuovamente per soccombere, maramaldeggiato finanche dal suo senatore che, da bravo ex democristiano, non solo non è intenzionato a dimettersi, come gli è stato poco pacatamente intimato, ma adesso vuole pure ritagliarsi il ruolo di uomo-cerniera, lasciando intendere che, sospinto sulla ribalta chissà come, non rinuncerà tanto facilmente al suo momento di celebrità.
L’ennesima Caporetto per Walter Veltroni che si trova così nella scomodissima posizione di dover spiegare ai propri sostenitori, al di là di tutte le liturgie e i giochi della politica, come sia possibile che Villari abbia le carte in regola per diventare addirittura senatore del partito democratico (visto che il suo nome è passato certamente al vaglio di Veltroni prima di essere inserito nella lista bloccata per le politiche della primavera scorsa) ma non abbastanza da insediarsi alla presidenza di una commissione parlamentare.
In ogni caso, il gran rifiuto di Villari, dimostra inequivocabilmente che dentro il Pd ognuno va ormai per conto suo e che il segretario ha completamente perso il controllo della situazione.
Insomma, il centrodestra, trovando una insperata sponda proprio all’interno dei democratici, è riuscito a piazzare l’ennesima botta vincente mettendo un’altra volta fuori gioco il suo avversario che, a questo punto, non sa veramente contro chi combattere, sempre più in minoranza anche tra i suoi.
Ma se Sparta piange, Atene non ride: se qualcuno tira in ballo i dalemiani come ideatori dell'ennesimo sgambetto a Veltroni, gli va ricordato che in questo gioco al massacro nessuno ci guadagna all’interno del Pd, neppure l’odiato amico Massimo D’Alema.
Certo non è bello vedere il suo braccio destro, Nicola Latorre, fare l'occulto suggeritore, in un dibattito televisivo sull’argomento, di Italo Bocchino del Pdl mentre questo interloquisce con un esponente dell’Italia dei Valori, come ha svelato incredibilmente la trasmissione di Antonio Ricci Striscia la Notizia.
Sembrano proprio tornati i tempi della doppia scalata illecita Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpi, quando i due poli a chiacchiere se ne davano di santa ragione ma nei fatti erano sorprendentemente concilianti.
Una insopportabile cappa di inciucio che ancor oggi non si riesce a diradare e che continua a celare la prima vera emergenza nazionale: l'irrisolta questione morale.
E’ evidente che la soluzione alla crisi dei Democratici non passa per l’avvicendamento al vertice tra Veltroni e D’Alema: entrambi appartengono ad una stagione politica ormai irrimediabilmente chiusa e rivelatasi fallimentare per la sinistra italiana.
Fanno finta di non capirlo ma è chiaro che il loro vuoto antagonismo sta diventando un problema per il Paese.
E’ l’Italia che ci rimette: con una sinistra fuori dal Parlamento, un’opposizione tenuta in piedi dal solo volenteroso Di Pietro, un pessimo governo messo nelle condizioni di fare tutto quello che vuole (tranne quello che di questi tempi sarebbe necessario per ridare fiato all’economia), gli Italiani rischiano di passarsela sempre peggio.
Finiranno per rimpiangere Prodi… se già non hanno cominciato!

domenica 2 novembre 2008

Una nuova opposizione in difesa della democrazia

Le manifestazioni di questi giorni contro la legge 133, la controriforma Gelmini che dissimula il taglio di ben 8 miliardi di euro dietro grembiulini e voti in condotta, confermano che il nostro Paese sta tracimando dall’alveo della democrazia verso una terra ignota, sconosciuta ai più, se non altro per motivi anagrafici.
Come battezzarla è questione che non ci appassiona più di tanto perché, a furia di domandarci se sia stato superato o meno il punto di non ritorno, ci stiamo dimenticando che cos’è veramente una democrazia.
Sicuramente non è democratico svuotare il Parlamento dei suoi poteri riducendolo a semplice organismo che trasforma in legge la volontà del premier e del suo direttorio.
L’abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia costringe senatori e deputati, non dimentichiamoci eletti sulla base di liste bloccate in disprezzo della sovranità popolare, a votare senza neanche poter alzare lo sguardo sul capo del governo che assume le sue decisioni lontano da occhi indiscreti, forse da una delle sue infinite dimore.
Così un tema così cruciale per la società italiana come quello della scuola e dell’università, per definizione trasversale ai gruppi ed alle categorie di appartenenza, viene lasciato esclusivamente alle forbici del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, senza che semplicemente se ne possa discutere, imponendo la tirannia del voto di maggioranza e dando in pasto ai mass media l’immagine edulcorata di una finta maestrina che, con l’inflessibilità della principiante proiettata di punto in bianco sulla poltrona più alta del ministero della pubblica istruzione, di fronte alla protesta montante in ogni angolo della penisola riesce solamente a dire: Io non li capisco.
Nello stesso modo, da problema squisitamente politico l’indignazione sociale contro i tagli di spesa, che oggi colpiscono l’istruzione ma che domani colpiranno altri settori della vita sociale, viene convenientemente trasformata dal governo in questione di ordine pubblico, usando toni minacciosi ed ultimativi che nessuna tardiva smentita può servire a cancellare.
Tanto più che vengono pronunciati dal premier in persona, cioè da colui che si è fatto confezionare su misura l’immunità delle alte cariche e che nel contempo prosegue una sua personalissima tenzone contro quella parte di magistratura così orgogliosa della propria indipendenza ed autonomia.
Lacunoso e parziale è stata poi il resoconto fatto dal sottosegretario all’Interno venerdì alla Camera sugli scontri di Piazza Navona, nel cuore politico dello Stato, a due passi dal Senato, in una zona perennemente presidiata dalle forze dell’ordine.
Scontri che hanno visto tra i protagonisti elementi di destra che, dopo essersi schierati in falangi con spranghe, cinghie e tirapugni, spuntati fuori chissà come e perché da un camion giunto lì indisturbato, hanno seminato il terrore prendendo di mira manifestanti in erba, sotto gli occhi increduli di docenti e genitori che invano invocavano il pronto intervento delle forze dell’ordine.
Invece di dare dettagliate e puntuali spiegazioni sul perché di taluni comportamenti omissivi della polizia nel corso della mattinata che, nei fatti, hanno permesso agli aggressori di agire a lungo indisturbati, nonché della insolita e strana familiarità che alcuni elementi del cosiddetto Blocco studentesco, formazione della destra neofascista, mostravano con alcuni celerini, fino al punto da essere chiamati per nome, la relazione presentata alla Camera si preoccupa solo di precisare che gli scontri sarebbero stati provocati dai collettivi di sinistra e che la polizia avrebbe agito con prudenza ed equilibrio.
A parte il fatto che nessuna spiegazione convincente viene data su come tanto armamentario sia potuto penetrare fino al cuore della manifestazione mentre gli "studenti di sinistra" reagivano tirando contro le falangi tutto ciò che potevano, sedie, bottiglie e tavolini, sconcerta che il ministero dell’Interno, sulla base di una ricostruzione palesemente frammentaria ed incompleta, anticipi una lettura politica dei fatti, addossando arbitrariamente ai gruppi studenteschi di opposizione la responsabilità di quanto accaduto.
Così lasciando intendere che i ragazzi di destra sarebbero state le vittime di quegli episodi, nonostante l’evidenza di foto e filmati in rete dimostri che questi erano arrivati in piazza con pessime intenzioni, visto l’arsenale di armi improprie tirate giù dal camion.
Inquieta, cioè, che invece di fare effettiva chiarezza e diradare eventuali dubbi sull’operato delle forze dell’ordine, il governo si preoccupi prioritariamente di scagionare gli estremisti armati accreditando integralmente la loro versione di comodo che contrasta radicalmente anche soltanto con la cronologia degli accadimenti, poiché numerose testimonianze fanno risalire le prime aggressioni di tali gruppi di facinorosi ai danni degli studenti medi alle ore 11 circa, cioè almeno un’ora prima dell’impatto diretto tra le opposte fazioni, che la polizia comunque non ha impedito.
L'inviato Curzio Maltese, testimone di alcuni episodi, ad un certo punto così racconta ai lettori di Repubblica: "E’ quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un’azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. «Lei dove va?». Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: «Non li abbiamo notati»".

Data la straordinarietà della situazione che il Paese sta vivendo da mesi e che di giorno in giorno si va approfondendo, è arrivato il momento per l’opposizione di recuperare un minimo di coerenza interna, rinunciando ai propri privilegi di casta per intraprendere una lotta sincera in difesa dei cittadini, facendo proprie molte delle battaglie che la società civile, i ragazzi di Beppe Grillo in testa, da anni segnala invano alla politica.
Il premier lo ha fatto capire chiaramente: i numeri ci consentono di governare anche contro l’opinione pubblica; per cinque anni non è più questione di maggioranze silenziose o rumorose; l’opposizione è avvertita.
Perché se in modo inquietante il Piano di rinascita democratica è tornato così attuale, come ammette senza remore il suo ideatore, l’ancora temibile Licio Gelli, addirittura in procinto di calcare la scena mediatica con un proprio programma televisivo, non è pensabile continuare con un leader del Pd che finora ha saputo costruire solo un’opposizione di facciata, aizzandosi contro il dissenso interno e provocando grande malumore tra gli alleati, senza tuttavia riuscire ad evitare il muro contro muro con il centrodestra e la feroce continua derisione di Silvio Berlusconi.
Massimo D’Alema lo invita pubblicamente, in un’intervista a Repubblica, a rompere gli indugi ed a darsi una mossa per rifondare l’opposizione sulla base di un nuovo progetto comune.
Sommessamente, però, ci chiediamo: si può essere un leader per tutte le stagioni?
Walter Veltroni aveva fatto una scommessa durante il governo Prodi, puntando tutto il suo prestigio personale sul dialogo con Berlusconi.
L’ha persa clamorosamente: la sconfitta elettorale, il lodo Alfano, la legge 133 ce lo dicono in modo inoppugnabile.
Ne prenda atto e passi il testimone. Ormai non è più questione neppure di buona volontà: avete visto come si è risolta la grande manifestazione del 25 ottobre? Un buco nell’acqua.
Immaginare di continuare così fino alle Europee del 2009 sarebbe veramente da irresponsabili, non solo per il Partito democratico ma per l’Italia tutta.

giovedì 30 ottobre 2008

Da una debole democrazia all'abisso, in nove mesi netti!

Il 25 ottobre è passato da un pezzo ma gli eventi della settimana hanno presto fatto dimenticare il rito che si è consumato stancamente al Circo Massimo.
Il raduno organizzato da Veltroni e suggellato dal suo inutile discorso ha confermato in pieno le previsioni della vigilia.
I motori della potente macchina organizzativa del partito democratico si sono accesi per dargli modo di verificare se nella cabina di pilotaggio i comandi fossero ancora efficienti, una sorta di collaudo voluto dal leader per tastare il polso del partito.
In questo senso, al di là delle dichiarazioni del sindaco di Venezia Massimo Cacciari che ha colto l’ennesima facile occasione per sbeffeggiarlo pubblicamente, la manifestazione ha espresso alcuni verdetti: nolenti o volenti, i democratici confermano Walter Veltroni come guida del partito ma chiaramente la sua resta un leadership a sovranità limitata.
Solo Repubblica è riuscita a dare dell’evento di sabato pomeriggio una rappresentazione surreale al limite della propaganda: l’articolo di Scalfari del giorno successivo è costruito come un gigantesco spot pro Veltroni.
Anche se il fondatore del quotidiano romano non può però non prendere in qualche modo le distanze dai numeri sbandierati: "... Gli organizzatori sono molto prudenti nel valutare la consistenza numerica di quella marea di folla in movimento ma ora azzardano una stima di due milioni. Alla fine arriveranno a due milioni e mezzo valutando non tanto la capienza del Circo Massimo e delle alture che gli stanno intorno quanto le strade adiacenti interamente occupate. Chi segue le dirette televisive ed ha sotto gli occhi la visione panoramica complessiva capisce che quella stima è molto vicina alla realtà."
Il semplice fatto che per valutare l’efficacia dell’evento, lo stesso suo ideatore Walter Veltroni sia costretto a sparare cifre ridicole, è la conferma che, mancando una chiara piattaforma rivendicativa, il suo unico obiettivo era quello di chiamare gente in piazza a fare numero.
Pertanto a sostegno di una manifestazione indetta tre mesi prima non si sa bene esattamente per che cosa (lo slogan Salva l'Italia! sembra satirico...) c’era la necessità, per non limitarsi al classico buco nell’acqua, di gonfiarne la consistenza numerica: se la questura ritocca drasticamente le dimensioni a duecentomila partecipanti, è altamente probabile che comunque ad ascoltare Veltroni non fossero più di cinquecentomila.
Comunque un bel numero, non c’è che dire, ma sparare cifre assurde non migliora l’umore di una protesta sociale che non trova più nel partito democratico il principale punto di riferimento: senza l’Italia dei Valori che prosegue con grande successo la raccolta di firme contro il cosiddetto lodo Alfano, i numeri della giornata sarebbero stati ben più miseri.
E’ così vero che, dopo averne avuta la riprova dai sondaggi, Veltroni è stato costretto nel giro di pochi giorni a rimangiarsi la rottura con Di Pietro, così spocchiosamente pronunciata nello studio di Fabio Fazio.
Proprio Repubblica ha mostrato, numeri alla mano, che i suoi elettori non capiscono affatto come sia possibile allearsi con il partito di Totò Cuffaro piuttosto che con quello di colui a cui va dato il merito sedici anni fa, con i suoi illustri colleghi magistrati del pool di Milano, di aver scoperchiato Tangentopoli.
La svolta di Veltroni, finalmente in campo anche contro la legge Gelmini, che taglia addirittura 8 miliardi di euro alla scuola pubblica (una cifra enorme!), minacciando la via referendaria per abrogarla appare però tardiva e imbarazzata.
Nel luglio scorso, quando Tremonti fece approvare la famigerata finanziaria da nove minuti e mezzo che prevedeva quei tagli, il governo ombra dove stava? Sotto l’ombrellone?
La verità è che adesso i nodi stanno venendo al pettine: abbiamo un governo estremista che sta mostrando il suo volto più arcigno e reazionario, mentre la società civile è costretta a trovare fuori dal Parlamento nuove forme di espressione per comporre il proprio disagio e manifestare la protesta.
Se poi pensiamo a quello che si è verificato ieri a due passi dal Senato, con un gruppo di black block lasciati dalle forze dell’ordine impunemente infiltrare il pacifico movimento studentesco a cui ha fatto seguito una vile aggressione di stampo squadrista contro ragazzi inermi, dopo le preoccupanti parole pronunciate qualche giorno fa dall’ex presidente Cossiga, si capisce come il nostro Paese stia scivolando a velocità incredibile verso una deriva sudamericana.
Sembra impossibile, ma in pochi mesi per colpa di una destra priva di senso dello Stato e dell’imbelle opposizione di una generazione di cinquantenni vissuti da sempre tra i privilegi di casta, stiamo precipitando fuori dalla democrazia: dal governo Prodi all’abisso, in nove mesi netti.
Complimenti al tandem Veltroni - Berlusconi!

giovedì 23 ottobre 2008

Che tempo che fa: previsioni politiche per il 25 ottobre

Walter Veltroni non finirà mai di sorprenderci.
Messo alle corde da sondaggi, fronda interna, sinistra extraparlamentare, dipietristi e da tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti di una democrazia che versa purtroppo in stato comatoso, domenica scorsa è riuscito a mettere a segno uno di quei colpi che definire politicamente scorretto è quasi eufemistico.
Nel talk show di RaiTre, Che tempo che fa, una volta tanto mostrandosi meno contratto del solito (forse perché calcava una ribalta amica), all’improvviso col sorriso sulle labbra ha comunicato urbi et orbi che l’alleanza con l’Italia dei Valori è finita, perché, rivolgendosi a Fabio Fazio, "Prenda il tema che abbiamo appena affrontato, cioè la capacità del nostro paese di integrare. Chieda a Di Pietro opinioni su questo e troverà delle cose molto lontane dall’alfabeto della cultura democratica del centrosinistra".
Sconfessa quindi con la massima disinvoltura l’unica alleanza che aveva stretto in vista delle elezioni del 13-14 aprile, dopo aver concorso alla caduta del governo Prodi e successivamente abbandonato qualsiasi ipotesi d’intesa elettorale con la sinistra di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Una scelta sconsiderata che, allora, costò alla Sinistra italiana la sconfitta elettorale più sonora dai tempi della Resistenza e che, ripetuta adesso contro Di Pietro, boicotta la sola efficace opposizione al governo autoritario di Silvio Berlusconi.
E’ assurdo, che in un momento difficile come questo, si chiuda la porta in faccia proprio all’unico politico che in questi mesi abbia cercato di difendere la democrazia materiale opponendosi ai continui strappi costituzionali del governo di centrodestra, nonostante si conoscano da sempre le sue chiusure ideologiche (ma Follini e Casini, per caso, sono più illuminati?).
Invece di riconoscergliene merito Veltroni lo congeda bruscamente, guarda caso, a meno di una settimana dalla manifestazione del 25 ottobre in cui i partecipanti sono, a questo punto, avvisati.
Perché vengono chiamati da Veltroni a sfilare non tanto per protestare contro un pessimo governo ma per manifestare il loro appoggio incondizionato alla sua leadership traballante.
Bene fa Di Pietro a rispondergli per le rime, dandogli del collaborazionista, ed a non tirarsi indietro prendendo parte a pieno titolo alla manifestazione di sabato prossimo.
Le cronache dimostreranno quale maggior credito susciti nell’opinione pubblica di sinistra l’ex magistrato di Mani Pulite nella sua lotta coraggiosa al malaffare che continua anche adesso stando in Parlamento, rispetto all’ex rampollo del vecchio Partito Comunista Italiano che, dopo aver dichiarato candidamente, tempo addietro, di non essere mai stato comunista, adesso si appresta a stringere una pericolosa alleanza elettorale con l’Udc di Totò Cuffaro.
Simbolicamente, nello studio virtuale di Fabio Fazio, evidentemente il luogo meno indicato per consumare una rottura politica così traumatica e foriera di cattivi presagi, Walter Veltroni, ha definitivamente messo sotto le scarpe la questione morale, vecchio cavallo di battaglia di un grande Italiano come Enrico Berlinguer.
Preferire l’Udc di Totò Cuffaro all’Italia dei Valori è la conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che per l’ex sindaco di Roma, quello che conta è trovare a tutti i costi l’accordo con il Cavaliere, al cui raggiungimento è legato indissolubilmente il suo destino politico.
Ecco perchè la giornata del 25 ottobre segnerà, a dispetto delle intenzioni dell’impareggiabile Walter, un punto di svolta nella politica italiana: ci dirà se Veltroni è ancora in grado di fare il capo dell’opposizione e se Di Pietro è in grado di eroderne una cospicua fetta di consensi.
Di sicuro, chi sfilerà al Circo Massimo si troverà, suo malgrado, a dover dirimere una lite tra due separati in casa, piuttosto che testimoniare pubblicamente il suo netto dissenso al disegno reazionario di un governo che sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del malcontento sociale.
Un manifestazione concepita a tavolino oltre tre mesi fa da un leader politico in caduta libera e che adesso si trova, paradossalmente, proiettato dagli eventi a capeggiare la protesta studentesca, magari soltanto per ottenere il lasciapassare che gli consenta di varcare i cancelli di Palazzo Chigi e costringere l’uomo di Arcore ad accettarlo come suo interlocutore privilegiato.
D’altra parte che le ragioni di studenti, docenti e famiglie nei confronti della controriforma Gelmini non possano essere rappresentate coerentemente da chi manda i propri figli a studiare in America è tanto evidente da non valere la pena neppure di spenderci una sola parola in più.
Si capisce a questo punto come sarà difficile cogliere il reale significato di questa giornata di mobilitazione che si preannuncia carica di aspettative da parte del popolo insofferente ai diktat berlusconiani ma che rischia, proprio per questo, di trasformarsi, in una terribile delusione quanto a conseguenze.
Perché una cosa è certa: l’eventuale rilancio della leadership di Walter Veltroni grazie al bagno di folla del Circo Massimo finirebbe proprio per riproporre quel progetto di larghe intese e, paradossalmente, rafforzerebbe, proprio il suo avversario putativo: Silvio Berlusconi.
A meno che tra i due finti litiganti, Antonio Di Pietro non colga, in questa occasione, un buon successo personale; nel qual caso, le cose all’interno dell’opposizione andrebbero completamente riviste.

domenica 19 ottobre 2008

Il governo annaspa, l'opposizione affonda...

Settimana importante quella appena trascorsa sia dal punto di vista economico che politico. Il tonfo di mercoledì dei mercati finanziari ha tolto le ultime speranze a quanti speravano di uscire nel giro di qualche mese dalla grave crisi mondiale; al contrario, dal mondo della finanza questa si sposterà inesorabilmente ed in modo duraturo nell’economia reale.
Non è una buona notizia ma era ampiamente prevedibile perché da oltre un anno la finanza internazionale è in subbuglio e, quale importante sensore del mondo produttivo, essa non fa che anticiparne, magari enfatizzandoli, i mutamenti in atto; mai contraddicendoli.
Nel giro di qualche settimana abbiamo scoperto che il modello di sviluppo economico internazionale (la locomotiva Usa traina, gli altri paesi seguono), è venuto meno: da questa crisi uscirà un nuovo modello non più incentrato sugli Stati Uniti.
Già si può iniziare a parlare di multilateralismo anche in campo economico: del resto che l’economia americana non tirasse più era chiaro da tempo, benché i media lo abbiano a lungo tenuto nascosto.
Cattive notizie, dunque, per i veterocapitalisti che ricorrono allo Stato quando si trovano in difficoltà ma lo lo additano a problema quando i loro profitti e le loro rendite si gonfiano a dismisura: ingrati!
L’oligarchia materiale che si fa beffe della democrazia formale già sta pensando come continuare a far credere alle magnifiche sorti del mercato, nonostante i fatti di queste settimane ne siano una secca smentita.
Ma tant’è, fatto digerire il conto salatissimo dei propri errori, gli oligarchi vogliono impunemente continuare ad ammaestrarci: via, quindi, al nuovo totem dello Stato snello.
Questo Stato così pronto a salvare le banche va però ridimensionato, secondo gli oligarchi, quando si tratta di sottrarre all’indigenza milioni di famiglie, in difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo e, addirittura, delle bollette di acqua, luce, ecc.
Nei supermercati si registra la contrazione dei consumi anche su generi di prima necessità mentre crollano gli affari dei negozi di quartiere, soppiantati dagli hard discount dove il ceto medio entra ormai anche per riempire i carrelli della spesa settimanale.
Tuttavia, nei provvedimenti del governo Berlusconi non c’è traccia di interventi a favore delle famiglie: per salvare le banche la linea di credito è aperta a tempo indeterminato e per importi illimitati (tanto per cominciare, 40 miliardi di euro?) attingendo a mani basse dalla finanza pubblica.
Ma per le persone in carne e ossa resta in vigore un documento di programmazione economica messo a punto all’inizio dell’estate da Tremonti che è stato costruito su ipotesi ormai del tutto irrealistiche: crescita del Pil allo 0,5 % (mentre Confindustria adesso prevede un arretramento della stessa misura, ovvero piena recessione), tasso d’inflazione programmata dell’1,7% (viaggiamo adesso a più del doppio, con prospettive pessimistiche per il 2009), con pareggio di bilancio nel 2011 (figuriamoci!).
In altre parole, se le banche, a causa di una cattiva gestione e degli eventi internazionali, vanno in crisi devono essere salvate aprendo a tempo indeterminato il rubinetto del Tesoro ma se gli italiani non arrivano alla fine del mese, magari a causa della rata del mutuo a tasso variabile (tipo di tasso suggerito, se non imposto, a suo tempo proprio dalle banche), che si arrangino pure!
Ecco cos’è un pregiudizio ideologico: salvare le famiglie forse salverebbe le banche e l'economia, evitando la recessione; ma non importa, meglio salvare direttamente le banche ricapitalizzandole, lasciando le famiglie al loro destino.
E’ in fondo proprio la domanda che Michele Santoro, l’altra sera sul parterre di Anno Zero, ha posto ripetutamente ma inutilmente ai suoi ospiti.
Possibile che non ci si renda conto che una politica deflazionista come quella che ha messo in piedi il governo, con pesanti tagli agli organici di scuola, università, pubblico impiego, non solo non servirà a centrare i parametri di Maastricht (letteralmente saltati a causa del piano di salvataggio bancario) ma rischia concretamente di far avvitare ancora di più la crisi su se stessa, facendo precipitare il nostro Paese nella più cupa depressione economica?
Come mai i media non fanno proprio tale inquietante interrogativo né tanto meno lo rilanciano? Purtroppo, si limitano a registrare i timori di una crisi senza precedenti ma non stanno disturbando più di tanto la compagine governativa che, a dispetto dei sondaggi, sembra veramente malmessa: Gelmini, Maroni, Scajola, La Russa, Tremonti, Carfagna, Alfano, Sacconi meritano tutti una netta insufficienza.
La presunta star Brunetta, per porsi come castigamatti e mantenere una sicura visibilità mediatica, solleva spesso inutili polveroni che alimentano conflittualità e che di certo non favoriscono un clima disteso e collaborativo nel pubblico impiego.
Così come appariva fuori registro nei salotti televisivi quando ripeteva ossessivamente alcune parole pur di coprire la voce del malcapitato interlocutore ed impedirgli così di replicare con un minimo di efficacia, il ministro della pubblica amministrazione non si smentisce neppure quando giudica folle il piano europeo contro l’inquinamento elaborato da Bruxelles.
Ancora, un improvvisato ministro della pubblica istruzione, che fa finta di non capire le ragioni della protesta che venerdì ha riempito le tante piazze d’Italia, finisce per dare in questo modo ragione proprio ai suoi detrattori.
Un ministro dell’interno che, invece di solidarizzare pubblicamente con lo scrittore Roberto Saviano per i rischi che sta correndo, non trova di meglio che invidiargli la ribalta mediatica preferendogli chi combatte la criminalità nel silenzio: una gaffe così gratuita ed odiosa che, come al solito, è stato costretto a tornare sui suoi passi, dichiarando di essere stato frainteso (!).
Il cahier de doléances potrebbe continuare a lungo ma preferiamo chiuderlo qui ricordando le incredibili esternazioni del premier Berlusconi che è in grande difficoltà come statista persino quando parla della tempesta borsistica: basti pensare a quando, a mercati finanziari aperti ed in preda al panico, ha paventato l’eventualità di una loro temporanea chiusura.
A salvare la faccia al governo ci pensano tuttavia i telegiornali del duopolio con la loro informazione al cloroformio: l’altro ieri è dovuta intervenire l’Authority delle Comunicazioni, numeri alla mano, per fotografare il disastro di un’informazione che sa parlare solo del Palazzo, ignorando completamente i suoi utenti, gli Italiani.
Ma per fortuna per Berlusconi l’opposizione parlamentare dorme sonni profondi: neanche in grado, come invece ha fatto la bravissima giornalista Milena Gabanelli, di leggere le carte del caso Alitalia. Rivelando, piuttosto, disarmante confusione di idee e mancanza di prospettiva quando ripete ossessivamente la propria disponibilità al dialogo con il Governo senza neppure curarsi di precisare su che cosa, con quali strumenti, con quali obiettivi.
Con il Partito democratico, siamo tornati all’anno zero della politica; ecco come si esprime il suo leader in merito al piano di salvataggio delle banche (la battuta è tratta dall’intervista di Massimo Giannini di domenica corsa su la Repubblica che, nel frangente, gli ha appena servito un assist sull’eventualità che il governo voglia allungare le mani sulle banche con il pretesto della crisi):
"Allarghiamo il discorso. Io credo che la cosa peggiore che si possa fare è rimbalzare dal liberismo allo statalismo. Io resto convinto che una società democratica viva se esiste un libero mercato. In una condizione in cui lo Stato si riservi il suo ruolo, quello di fare le regole e di farle rispettare. Lo Stato non è giocatore, è arbitro. Per questo può anche scendere in campo, per aiutare pro-tempore un’azienda di credito in crisi. Ma non può alterare l’intero campionato. Non mi basta l’intervento del Tesoro con le azioni privilegiate, se poi in assemblea ha diritto di veto sulla governance e sulle scelte strategiche della banca. Io non voglio che il governo gestisca le banche. Non voglio che un ministro, di destra o di centrosinistra, si trasformi in un nuovo Cuccia. La politica che gestisce la finanza l’abbiamo già vissuta: le banche pubbliche, i boiardi, ed è stato un disastro che non dobbiamo ripetere".
Ci sta dicendo che i contribuenti devono metterci i quattrini per salvare le banche ma che essi non hanno diritto a chiedere conto ai manager della loro gestione. Il paragone sportivo è poi completamente sbagliato: se lo Stato, come dice l’impareggiabile Walter, detta solo le regole e le fa rispettare, va da sé che non dovrebbe metterci i soldi, altrimenti che razza di arbitro è?
Che poi la politica oggi non stia dentro le banche, come il leader democratico fa credere, non è neppure una leggenda metropolitana, è semplicemente falso.
Qualcuno gli spiegherà, per cortesia, che cosa sono e come funzionano le fondazioni bancarie?
Possibile che non è a conoscenza del sistema di governance del Monte dei Paschi di Siena, tanto per fare un esempio in area amica?
Insomma quello che il premier britannico Gordon Brown sta facendo in Inghilterra, facendo dimissionare i manager bancari malaccorti e non precludendosi la possibilità di avere suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione, non incontra evidentemente i favori dell’antistatalista Veltroni.
Voi capite in che mani è finita l’opposizione?

Ps: Il giornalista Michele Concina, dai microfoni di Prima Pagina, ha concluso la sua ottima settimana di conduzione, riconoscendo che oggi l’opposizione è così debole che la critica all’operato del governo la fanno piuttosto i dissidenti del centrodestra; ed ha chiosato "come se il centrodestra rappresentasse il 100% della politica italiana".

venerdì 10 ottobre 2008

Veltroni implora ma Berlusconi se ne frega...

Non è un mistero che il Pd, sin dalla sua nascita, consideri strategica la collaborazione con il centrodestra per varare le cosiddette riforme istituzionali; ma, con la sconfitta patita nelle elezioni del 13-14 aprile, la predilezione all’inciucio si è fatta via via più netta, anche su questioni di ordinaria amministrazione, ad esempio per talune scelte di politica economica.
A luglio dicemmo che il Cavaliere non aveva al momento alcun interesse ad assecondare l’istinto accomodante della leadership democratica. Avrebbe aspettato probabilmente la vigilia di un durissimo inverno per aprire agli uomini di Se po' ffà.
Nel frattempo abbiamo assistito al disfacimento completo dell’opposizione parlamentare con un Veltroni più intento ad attaccare Di Pietro che il Cavaliere, dal momento che i sondaggi danno il partito democratico in caduta libera, forse addirittura sotto il 28%.
Ultimamente, vedendosi la terra mancare sotto i piedi proprio a causa di una linea politica praticamente inesistente, infarcita soltanto di vuote parole come responsabilità, dialogo, pacatezza, giustizialismo, moderazione, semplificazione della politica ed altre amenità del genere, Veltroni si è all’improvviso risolto a parlare di emergenza democratica, dittatura strisciante, diritto dell’opposizione a fare l’opposizione (finalmente!) e di attaccare in prima persona il Cavaliere.
Ma se si vanno a recuperare le cronache di questi giorni, il suo è stato un attacco tardivo e sconsiderato, una sorta di finto proclama: infatti, che senso abbia adesso dichiarare ai quattro venti di voler stoppare la candidatura di Berlusconi al Quirinale tra cinque anni (!), qualcuno glielo dovrebbe domandare.
Persino il suo mentore, Eugenio Scalfari, preferisce non commentare simili sciocchezze, probabilmente stufo di dovere correre settimanalmente in suo soccorso.
La sortita di Veltroni fa il paio, come avemmo a suo tempo già modo di sottolineare, con quell’altra pronunciata al forum dei circoli lombardi del Pd qualche mese fa quando fece intendere che, insieme a quelle del 2013, già pensava alle elezioni del 2018…
Non a caso il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, vista la china pericolosa che ha imboccato il suo capo, lo maramaldeggia di continuo, arrivando a dargli del ridicolo e dell’inadeguato.
E’ in tale stato di irrisolutezza che l’ex sindaco di Roma dovrebbe capeggiare la manifestazione del 25 ottobre, da lui indetta in solitudine addirittura tre mesi fa, dopo la figuraccia patita per aver disertato senza un motivo plausibile la manifestazione del 10 luglio a Piazza Navona contro il governo.
Siamo al 10 ottobre ma lui stesso non è ancora sicuro se l’evento si terrà perché, fa capire, "se la situazione della crisi finanziaria precipitasse ulteriormente e ci si trovasse in una autentica emergenza, siamo tutte persone responsabili con la testa sulle spalle…" (1).
Addirittura il suo braccio destro Goffredo Bettini, preso in contropiede dall’ennesima veltroneria, si è affrettato a smentirlo seccamente: "la manifestazione del 25 ottobre si farà".
Comunque, neppure si sa bene su quali contenuti; ad esempio, l’impareggiabile Walter sarebbe tentato di farla diventare anche giornata contro il razzismo.
Noi gli suggeriamo, per rendere il programma ancora più allettante, di aggiungerci la lotta alla fame nel mondo, ai gas serra, al buco dell’ozono, alle guerre, all’inquinamento, alla criminalità… Magari in questo modo riuscirà finalmente a riempire una piazza.
Ma il vero capolavoro costruito in questi mesi da Se po' ffà è l’aver prolungato a dismisura la luna di miele del Cavaliere con gli Italiani: infatti, gli ultimi rilevamenti danno la popolarità del Cavaliere al 60% e oltre: purtroppo, di fronte a tanta confusione di idee, uno tosto come Berlusconi giganteggia, nonostante la sua scadente guida politica.
Sì, l’uomo di Arcore, impenitente guascone, millanta se non altro un grande ottimismo, una dote forse pericolosa dato il suo ruolo ma che di certo non lo rende indifferente alla gente: confessa le sue durature qualità persino sotto le lenzuola, a bella posta rasentando, a seconda dei gusti, il ridicolo o il patetico; ironizza con barzellette di pessimo gusto sul carovita; mostra un grande attivismo, magari solo per varare altre leggi ad personam, tagliare la spesa sociale (vedi il voto di fiducia sul decreto Gelmini che cancella migliaia di posti di lavoro nella scuola) o consegnare l’Alitalia su un piatto d’argento ad una cordata di imprenditori dopo aver lasciato i debiti in testa ai contribuenti italiani, che sembrano però non accorgersene.
Eppure un po’ di risentimento ce lo dovrebbero avere se non altro per l’inettitudine finora mostrata dal suo governo sui temi economici mentre le famiglie continuano ad impoverirsi.
Se ciò non accade è anche frutto del lavoro oscuro ma prezioso per il Cavaliere compiuto in questi mesi dal leader dell’opposizione che non perde occasione per farla apparire inutile e senza prospettive: basta pensare alla farsa del governo ombra...
Anche la pronta disponibilità del Pd a collaborare con il governo per gestire l’emergenza causata dall’improvvisa caduta delle borse mondiali, lascia veramente interdetti non fosse altro perché, non essendo stata avanzata nessuna richiesta in questa direzione da parte del governo, appare stonata rispetto alla durezza dello scontro verbale in essere tra i due poli.
Come se Veltroni avesse preso la palla al balzo della crisi finanziaria internazionale per tornare alla politica che gli è più congeniale: fare da spalla al Cavaliere, magari per permettergli qualche altra fuga in avanti.
Questo navigare a vista da parte del partito democratico risulta veramente deleterio e conferma per altri versi il suo peccato originale: l’assoluta inconsistenza ideologica.
Al punto da far apparire quella di Veltroni, più che un’assunzione di responsabilità, un’ invocazione d’aiuto rivolta al suo avversario per sottrarsi ad una imminente resa dei conti interna.
Ed è chiaro che in un sistema bipolare, se l’opposizione rinuncia ad esistere, bisogna accontentarsi di ciò che caccia il governo, per quanto indigesto possa sembrare.
Ad un anno dalle primarie che lo incoronarono leader del PD, Walter Veltroni ha così dilapidato un patrimonio di consensi, inabissando le speranze di quanti videro in lui sia un importante interlocutore del governo guidato allora da Romano Prodi che una carta vincente da calare in futuro sul tavolo della politica italiana.
Niente meglio del "Me ne frego", indirizzatogli beffardamente da Silvio Berlusconi, simboleggia l’eclisse della sua stella politica.
(1) la Repubblica: "Veltroni: pronti ad aiutare il governo" , 9/10/2008

venerdì 3 ottobre 2008

La barca affonda ma il duo Veltroni Berlusconi prosegue la sceneggiata

Situazione di estremo rischio quella che si sta manifestando con un’impressionante accelerazione di tempi ed intensità sui mercati finanziari di tutto il mondo, sotto gli occhi attoniti di una sterminata platea di risparmiatori.
Paradossalmente nessuno ha ancora dato una risposta convincente, neppure sul piano teorico, a quello che sta accadendo in questi giorni: i media si limitano a registrare il cataclisma senza sbilanciarsi più di tanto sulle cause e le responsabilità.
Di certo quando la finanza subisce un simile tracollo globale c’è da chiedersi se non sia caduto in una spirale irreversibile un intero modello di sviluppo economico: vent’anni dopo il crollo del socialismo reale targato Unione Sovietica, si scopre che il modello antagonista, il capitalismo, forse a causa della sua forma più spinta assunta nell’ultimo decennio, la globalizzazione, presenta crepe formidabili che ne mettono a rischio la sopravvivenza.
Il fatto che a soccorso dei mercati debba intervenire l’autorità pubblica è la riprova che i meccanismi di autoregolazione del mercato semplicemente non esistono o, comunque, non funzionano a dovere: il mito di Adam Smith della mano invisibile, ancora così duro a morire nonostante le autorevoli confutazioni dei grandi economisti di fine Ottocento, riceve l’ennesima bocciatura.
Dietro l’irricevibile piano Paulson che accolla sui contribuenti americani, in prima battuta, una voragine di debito da 700 miliardi di dollari (circa la metà del PIL italiano!) per salvare il sistema bancario, c’è una impressionante catena di errori ed omissioni che vede nelle autorità di vigilanza dei mercati americani e nella Fed i principali responsabili, naturalmente a braccetto con la pessima amministrazione Bush.
Si parla tanto di mutui subprime, quelli concessi alle famiglie americane con grande leggerezza e senza tante garanzie, ma ormai è chiaro che ritenerli la causa scatenante di questa crisi è quantomeno azzardato.
Perché per anni la locomotiva americana ha viaggiato con un doppio enorme deficit (quello commerciale e quello federale) senza che nessuno se ne preoccupasse più di tanto; al contrario l’ex governatore della Fed, Alan Greenspan, ha drogato a lungo la crescita economica americana, inondando il paese di un’enorme liquidità che si è andata ad infilare, piuttosto che nei settori innovativi ed ad alto valore aggiunto, in quello delle costruzioni (con la spaventosa bolla immobiliare), delle forniture militari e dell'ingegneria finanziaria con i risultati che tutti adesso possono vedere.
Senza una politica di deregulation sconsiderata, senza gli appetiti famelici di tanti top manager tacitati a suon di stock options, senza la religione del laissez-faire, tutto ciò non sarebbe potuto accadere: l’economia reale degli States è stata fatta deragliare ed ora la finanza registra d’improvviso quello che da tempo molti osservatori invano denunciavano.
Certo è che da questa situazione non se ne potrà uscire senza far pagare ai cittadini di mezzo mondo, a causa delle stretta interdipendenza planetaria dell’economia a stelle e strisce, un prezzo salatissimo: di fronte ad indecenti arricchimenti individuali, il conto della crisi verrà come al solito presentato ad intere popolazioni che si vedranno ridimensionare il loro a volte già modesto tenore di vita, decurtando redditi e servizi pubblici mentre tassazione e disoccupazione schizzeranno in alto.
Ma ancor oggi in Italia, al di là dei toni sensazionalistici dei media, non c’è veramente nessuno che si azzardi a fare una lucida analisi degli avvenimenti in corso né tanto meno che osi spingersi sul terreno comunque impervio delle previsioni: sembra quasi che molti economisti se la siano data a gambe, sparendo dal circuito mediatico proprio mentre i cittadini vorrebbero delucidazioni sul loro futuro di imprenditori, consumatori, risparmiatori, lavoratori, pensionati.
L’altra sera a Ballarò è andata in scena l’ennesima baruffa televisiva attorno a questa crisi da parte di alcuni dei nostri politici a cui gli elettori hanno affidato il compito di dare risposte per una volta chiare e tempestive.
Malgrado l’ottimo lavoro della redazione di Giovanni Floris per presentare il problema con tabelle di dati e filmati e, dunque, avviare la discussione, gli ospiti in studio hanno mostrato una disarmante impreparazione sui temi dibattuti: parlavano spesso per sentito dire, visibilmente impacciati ed insicuri nelle argomentazioni, rifugiandosi continuamente nella zuffa verbale quale unico terreno congeniale per nascondere i propri limiti culturali; l’unica persona informata sui fatti e che pertanto giganteggiava di fronte a tanta insipienza era il deputato Bruno Tabacci: nel complesso, uno spettacolo veramente deludente.
Altrettanto da bocciare, contrassegnandola con la matita blu, è la diagnosi che fa dalle colonne del suo giornale il direttore di Repubblica Ezio Mauro quando sentenzia: "Chi dice che il capitalismo crolla mentre resuscita il socialismo non ha di nuovo capito niente, perché il capitalismo assiste all'incepparsi non di sé, ma del nuovo sistema di scambio simultaneo universale che sfrutta da un decennio lo strumento di reti che avviluppa il mondo abbattendo spazio e tempo, grazie alla potenza del motore tecnologico di internet, capace di vincere la storia rendendo tutto contemporaneo, e persino la geografia, facendo ubiqua ogni cosa."
Purtroppo non si rende conto di aver preso un grosso abbaglio nell’attribuire, addirittura, la colpa di questo ciclone finanziario ad Internet ed alla grande rete telematica che avvolge il globo. Come se fosse la simultaneità degli scambi la causa di questa tempesta annunciata; al contrario, proprio essa è, generalmente, fattore di stabilizzazione dei mercati, come qualsiasi studente di economia politica al primo anno gli potrebbe spiegare.
Il dramma di questa crisi è, diversamente, l’assoluta inadeguatezza della politica a fronteggiare la globalizzazione, ultimo stadio del capitalismo. Il quale nel suo impeto primordiale di occupare tutti gli spazi economici disponibili ha finito per accumulare una mostruosa potenza divoratrice che tutto travolge al suo passaggio, persino le fragili istituzioni nazionali.
Ma come si fa a non accorgersi che la dimensione politica è stata del tutto fagocitata dai formidabili poteri economici che, sulla scena internazionale, dettano l’agenda ai singoli governi sia al di qua che al di là dell’Atlantico?
E’ forse un caso se, ritornando alle beghe di casa nostra, la bufera di Tangentopoli, segnando la fine della prima repubblica, abbia fatto emergere incontrastata la figura di un potentissimo uomo d’affari come Silvio Berlusconi che, di certo, nel fare impresa non si sente minimamente condizionato dai confini nazionali né dai tanti lacci e lacciuoli della democrazia rappresentativa?
La verità è che, ripassando la lezione di Marx e di Schumpeter, il capitalismo diventa asociale quando si impossessa con esponenziale voracità di tutte le risorse economiche: di qui la necessità di rispolverare il vero nodo mai sciolto che fa da sfondo a questa come alle precedenti crisi dell’Occidente industrializzato: Stato o Mercato?
Perché se deve prevalere il primo, quale moderno Leviatano, occorre che il Mercato venga imbrigliato in un rigoroso sistema di vincoli e di regole per evitare che faccia danno a se stesso prima ancora che ai suoi attori.
Ma garantire la sopravvivenza del mercato (con la m minuscola) è compito talmente impegnativo da richiedere lo sforzo coordinato dello Stato e di istituzioni sovranazionali.
C’è bisogno, dunque, di un nuovo ordine mondiale, basato non soltanto su un nuovo assetto geopolitico ma sul regolare funzionamento di istituzioni nazionali e sovranazionali che sul terreno dell’economia riescano a domare gli ormai pericolosi animal spirits.
E l’Europa deve fare da subito la sua parte per istituire un sistema di vigilanza della finanza a livello continentale prima che l’ondata di piena travolga le economie dei singoli paesi, le cui autorità agiscono ancora in ordine sparso. Sistema che preveda, con i necessari controlli, l’applicazione di severe sanzioni per i trasgressori.
Probabilmente, siamo ancora all’inizio della tempesta (l’ottovolante descritto dal titolo Unicredit nella giornata di ieri, dopo giorni di passione, non fa presagire nulla di buono, non solo per il primo gruppo bancario italiano ma per tutti noi) ma è bene prepararsi anche qui in Italia a settimane molto difficili, specie con una classe politica così imbelle che non trova di meglio, per voce dei suoi esponenti di punta Berlusconi e Veltroni, che dare vita all’ennesima zuffa mediatica: ennesimo round di un finto match che non incanta più nessuno.

martedì 9 settembre 2008

E l'Alemanno bloccò i Vandali al Pincio...

La lettera che il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha indirizzato sabato scorso al direttore di Repubblica con cui dichiara la propria contrarietà al proseguimento dei lavori del maxiparcheggio del Pincio è stata veramente una bella sorpresa perché, aggirando abilmente l’ostacolo dello scontro politico, preannuncia un cambio di direzione importante nel piano delle opere pubbliche della giunta capitolina e soprattutto un atto di buon senso, qualità sempre più rara nella politica italiana.
Prescindendo da battaglie ideologiche pretestuose e sorvolando adesso sulle ultime polemiche scatenate da alcune deprecabili dichiarazioni di esponenti del centrodestra in occasione della ricorrenza dell'8 settembre, restando dunque strettamente sulla questione del maxiparcheggio ai giardini Valadier, possiamo certamente affermare che Alemanno ha detto quello che qualsiasi cittadino normale in un paese normale vorrebbe sentirsi dire dai suoi amministratori quando è a rischio, con l’integrità dei monumenti, la memoria storica e l’identità culturale del proprio Paese: usiamo prudenza!
E’ proprio a questo principio di precauzione che Alemanno si ispira quando scrive:
"Questo principio ci insegna che quando s’interviene su un luogo particolarmente delicato e prezioso come il Parco del Pincio bisogna tenere presente non soltanto le condizioni tecniche del progetto, ma anche gli impatti presenti e futuri che questo intervento produrrà nel contesto circostante.
[…] Chi ci garantisce che fra 5, 10 o 20 anni assestamenti strutturali, carenze di manutenzione, cambi di destinazione d'uso non turbino in maniera irreversibile quel contesto? Neppure gli attuali accorgimenti tecnici annullano, nelle previsioni, gli "affioramenti" del parcheggio quali prese d'aria, griglie di emergenza e gallerie di accesso. Il Pincio è prima di tutto un giardino storico, un parco urbano e, come tale, è tutelato dalla Carta dei Giardini Storici (del 15 dicembre 1982) in cui si raccomanda che "ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta". Al di là di sentimenti profondi di "sacralità" di molti luoghi romani che ci spingerebbero a desiderare che sotto la terrazza del Pincio ci sia l'antico tufo di quella collina e non un vero e proprio "palazzo" sotterraneo di 7 piani in calcestruzzo, nulla ci assicura che questa ingombrante presenza non riemerga nel tempo in tutta la sua estraneità ad un contesto ambientale come quello di un parco storico".

Non si fa un grosso sforzo ad ammettere che la lettera del neosindaco di Roma è pienamente condivisibile in ogni sua parola ed andrebbe sottoscritta da chiunque abbia a cuore le sorti del Belpaese.
Adesso si tratterà di vedere se alle parole seguiranno i fatti ma, ragionevolmente, la linea di comportamento del sindaco Alemanno è ormai tracciata chiaramente e porta ad un’unica conclusione possibile: l’abbandono del progetto.
Senza pagare indennizzi alla ditta esecutrice delle opere qualora verosimilmente scatti il vincolo archeologico, data l’imponenza dei reperti storici già individuati.
Se poi, malauguratamente, non si potesse evitare la soluzione risarcitoria, vorrà dire che la responsabilità di questo ulteriore costo graverà interamente su Walter Veltroni e la sua giunta, ideatori di questo progetto sciagurato che ha costretto il suo successore a questa scelta non facile ma, nei fatti, obbligata.
Per la quale ha già ricevuto numerosi elogi ed attestati di stima innanzitutto dai romani ma anche da parte proprio di quel vituperato popolo di sinistra, così snobbato dall’attuale leadership del partito democratico.
Se la vittoria del centro destra alle amministrative di Roma servisse almeno ad abortire l’idea folle del maxi parcheggio sotto il Pincio, si potrebbe facilmente concludere che non tutti i mali vengono per nuocere…
Di sicuro non sarà stato un risultato modesto aver salvato il salotto di Roma dalla devastazione dei Vandali!
A questa encomiabile iniziativa di Gianni Alemanno, Walter Veltroni non ha trovato di meglio che rispondere nella maniera più stolida:
"Retromanno si è spaventato per due ‘buu’ fatti da due giornali di destra e per questo ha cancellato una decisione che avevamo preso per togliere tutte le auto dal Tridente".
Parole che si commentano da sole, a parte la meschina trovata di storpiare il nome del suo successore.
Parole che pure ci fanno di nuovo interrogare su come sia stato possibile per il partito democratico ritrovarsi sul groppone una classe dirigente così modesta; per giunta del tutto scollata dalla propria base popolare, nonostante pretenda ancora di restarle in sella.
Ed anche in piena crisi di nervi, a cominciare dal suo segretario.
Un Veltroni superstressato, che perde sempre più frequentemente le staffe, prendendosela con tutto e tutti, persino accusando alcuni alti dirigenti del partito di farsi pubblicità alle sue spalle, senza però che egli abbia l’onestà intellettuale di fare pubblica ammenda dei propri madornali errori.
Egli continua a ritenere di stare dalla parte della ragione, di vedere più lontano degli altri, di cercare equilibri più avanzati (ma con chi?); perciò di essere vittima di una macchinazione ai suoi danni ordita da non meglio precisati nemici interni ed esterni, rifiutandosi testardamente di fare i conti con l’impietosa realtà di una leadership in dissoluzione.
Ed anche sulla questione parcheggio sotto il Pincio toppa miseramente, non riuscendo più neppure a cogliere gli umori della propria gente, nella stragrande maggioranza visceralmente contraria a questa impensabile deturpazione.
Come in un’allegoria di Buñuel o in un lungo piano sequenza di Antonioni, sotto il Pincio il leader democratico rischia di parcheggiare inesorabilmente le proprie ambizioni politiche.

sabato 6 settembre 2008

Salva l'Italia? No, ma almeno salva il Pincio!


Una delle più scomode eredità che la giunta Veltroni a Roma ha lasciato in dote all’amministrazione di destra diretta da Gianni Alemanno è rappresentata dal parcheggio per 700 posti auto in corso di realizzazione sotto la collina del Valadier, cioè sotto il Pincio.
Sembra assurdo ma l’ex giunta capitolina guidata da quello che sarebbe diventato il segretario del Pd ha messo in cantiere un’opera mostro di assai dubbia utilità ma dai sicuri effetti devastanti sulla monumentalità romana.
E’ scontato che Roma sia un museo a cielo aperto per cui intervenire urbanisticamente è sempre estremamente difficile, per non dire azzardato.
Ma agire sotto il Pincio, quel bellissimo giardino che si affaccia su Piazza del Popolo rasenta forse più la povertà di spirito che la demenzialità. Per di più, non per edificare un’opera d’arte, semplicemente per mettere su uno squallido parcheggio, stile centro commerciale.
E’ inutile ripetere le mille ragioni che possono essere opposte contro questo abominio; persone titolatissime, storici dell’arte, archeologici, tecnici della sovrintendenza, uomini di cultura hanno ribadito a più riprese la prepotenza sacrilega di un’opera del genere: sacrificare la memoria stratificata della civiltà umana alle attuali comodità del popolo dell’automobile.
Quando, tra qualche secolo, di questa scatoletta di metallo non sarà restata traccia, forse ci si chiederà chi fosse quel gruppo di svitati che accettò questo scambio scellerato.
D’altra parte, basta dare uno sguardo in giro sulla rete per rendersi conto di quale fuoco di polemiche da ciò sia divampato.
Ma non è questo l’aspetto che adesso ci preme sottolineare.
A noi interessa passare al setaccio le ragioni di quanti si schierano per il proseguimento dei lavori (già lo scavo è in fase avanzata) e che in questo modo si ergono di fatto in difesa della incresciosa scelta fatta a suo tempo dalla giunta Veltroni.
E’ ovvio che anche il Pincio può diventare il pretesto per farsi la guerra tra Pd e Pdl ad uso e consumo dei media, quella finta guerra che va avanti da tempo, mentre l’Italia sta implodendo sotto la pressione di una classe politica mediocre, ripiegata su se stessa, che governa a dispetto di una società civile che la osserva sempre più con insofferenza.
Due gli interventi che ci preme sottolineare in questa settimana.
Quello del giornalista Corrado Augias, pubblicato da Repubblica tre giorni fa, ricostruisce sommariamente la storica sacralità dei luoghi in questione soffermandosi un attimo sull’architetto che ne inventò la stupenda scenografia attuale: "[...]Poi venne il geniale Giuseppe Valadier (1762-1839) che fondendo miracolosamente il suo prediletto stile neoclassico alla spazialità barocca fece della piazza e della collina del Pincio uno degli scenari urbani più affascinanti d’Europa, il vero salotto di Roma".
Già queste parole sembrerebbero chiudere il discorso rendendo lampante l’assurdità di aver portato le ruspe in un posto del genere.
Ma, inopinatamente, il discorso di Augias prende ad un tratto un’altra piega; egli riconosce che "si possono dunque capire i dubbi, perfino le ostilità, anche se manifestate a volte con una certa sguaiataggine. Bisogna però aggiungere che, a lavori ultimati, tutto tornerà come prima salvo i due fornici di entrata e di uscita all’altezza della prima curva sulla rampa di destra della collina." Come vedremo, non è così!
Insomma, nonostante il suo noto aplomb anglosassone, egli fa proprio l’abusato costume italico di smentire nelle conclusioni la premessa fatta.
Augias, infatti, minimizza l’impatto ambientale: ha ragione (!), che vuoi che siano due fornici in un’epoca fornicatoria come la nostra?
Subito dopo accomuna nella sua possibile potenza devastatrice un’opera del genere ai progetti della metropolitana e dell’Auditorium di Renzo Piano, che (purtroppo per Augias) è da tempo strenuo avversario dei parcheggi multipiano realizzati nel sottosuolo cittadino.
Un piccolo particolare: l’Auditorium non è posizionato in pieno centro storico! Poi parla dei varchi aperti nelle mura aureliane per far defluire il traffico cittadino alla fine degli anni cinquanta. Anche qui , a maggior ragione, il paragone chiaramente non regge.
Ma tanto scempio storico, artistico, urbanistico, architettonico a cosa servirebbe? Ecco la risposta disarmante, superficiale di Augias: a costruire "Una rete di parcheggi sotterranei al fine di liberare la superficie dalla soffocante, caotica, presenza di auto spesso abbandonate dove capita. I posti macchina sono destinati in primis ai residenti e dovranno consentire di pedonalizzare l’intera zona".
Avete capito? Poiché l’amministrazione comunale non è stata in grado di regolare in superficie il traffico veicolare in modo coerente con l’unicità e l’irripetibilità dei luoghi (Augias ricorda il ripetuto tentativo naufragato di istituire il divieto di fermata in Via del Babuino) allora tanto vale aggredire la collina del Valadier, pur avendo appena ammesso che il Pincio rappresenta il vero salotto di Roma.
L’idea che questa deturpazione ciclopica faccia sparire le automobili dal famoso Tridente (Via di Ripetta, Via del Babuino e Via del Corso che dipartono da Piazza del Popolo) è poi poco più di un atto di fede.
A parte la considerazione che nessuno può garantire che i residenti di quella zona siano veramente disposti ad acquistare il posto auto o a prenderlo in affitto e che si riuscirà ad evitare l’ennesima speculazione ai danni del demanio pubblico, di sicuro ora c’è solo il fatto che verrà cancellata quella che il quotidiano inglese The Independent ha definito “Una Pompei segreta".
L’inaspettato assist confezionato da Augias a Veltroni ha permesso ieri al leader del Pd sul Corriere della Sera di passare al contrattacco contro i tanti detrattori del parking, voltando subito lo sguardo da un’altra parte:
Il Tridente nasce dalle grandi idee urbanistiche del Rinascimento e diventa un modello dell'idea barocca e poi neoclassica della città. È giusto che questa meraviglia sia un parcheggio di lamiere?”
Giustamente da uomo di cinema, quello che importa è ciò che sta davanti alla macchina da presa, essendo il fuori campo per lui cinematograficamente inesistente.
Poi, a corto di argomenti (il parallelo con la parigina Place Vendôme è del tutto improprio), afferra il suo cavallo di battaglia, la solita solfa del se pò ffà:
"La verità, così a me sembra, è che la vicenda del parcheggio del Pincio è diventata il sintomo di un modo di affrontare le questioni pubbliche, nel nostro Paese, che contrappone la cultura del fare, della pazienza, della concretezza alla cultura del gridare, dei veti, della disinformazione. Se si uscisse da questo scontro «ideologico» e si privilegiasse la concretezza, sarebbe evidente a chiunque che una città dove esistono 723 autovetture private ogni mille abitanti ha bisogno non solo di drastiche cure per l'aumento della mobilità collettiva su gomma e su ferro e per il disincentivo al traffico privato, ma anche di un coraggioso programma per i parcheggi. Le autovetture inquinano non solo quando camminano, ma anche quando sono ferme. E il centro storico di Roma, uno dei luoghi più belli del mondo, soffre in modo particolare questo inquinamento. Far scomparire le auto dalle strade dovrebbe essere un obiettivo condiviso da chi professa opinioni ambientaliste.”
Perfetto, le autovetture inquinano anche quando sono ferme salvo, fa intendere Veltroni, quando stanno sotto il Pincio, forse perché lì l’occhio del regista non arriva!
“Senza abitanti, il centro di Roma rischia di diventare un gigantesco mall turistico; con gli abitanti cambia la sua qualità, non solo urbana ma anche sociale. E gli abitanti devono poter avere l'opportunità di tenere la propria autovettura in un parcheggio, esattamente come succede in tutti i centri storici d'Europa. Far scomparire macchine e parcheggi all'aperto significherebbe pedonalizzare interamente una porzione molto vasta del Tridente, da Piazza di Spagna a Piazza Augusto Imperatore a Piazza del Popolo. Questa è la realtà. E non significherebbe attrarre altre auto in centro, perché il 90 per cento dei posti macchina previsti al Pincio sono destinati ai residenti."
Ma girando per Roma si nota che gli altri parcheggi (Villa Borghese, Ludovisi, Granicolo) sono sconsolatamente lontani dal tutto esaurito, con piani interamente vuoti: l’esosità delle tariffe (anche oltre i 25 euro al giorno!) costringe molti romani a preferire la sosta in doppia fila o in zona rimozione, ma almeno alla luce del sole!
Come afferma il responsabile del parcheggio Ludovisi: “E’ difficilissimo che il garage sia al completo. A maggior ragione, se proprio fuori da qui si permettono soste in zona rimozione o in doppia fila. Fino a che qualcuno non interverrà a sanzionare comportamenti incivili, è inutile fare parcheggi: i posti ci sono ma la gente non ci va. Ed è comprensibile: perché pagare 2,20 euro l’ora o 18 per un giorno intero se fuori posso parcheggiare senza sborsare una lira?”.
Che strano, nessuno ha mai pensato di mandare per la strada squadre di vigili urbani per multare gli automobilisti scorretti. Ma al maxi parcheggio del Pincio con le prese d’aria posizionati sull'affaccio ottocentesco del Valadier, questa sinistra del fare ci ha pensato eccome!
Che meraviglia passeggiare sul griglione sferragliante con i gas di scarico che risalgono dal parcheggio in quello che è uno dei luoghi architettonicamente ed urbanisticamente più preziosi e delicati al mondo!
Ci dispiace che una persona perbene ed uomo di fini letture come Corrado Augias si sia prestato a dare pubblicamente il proprio avallo ad una vera e propria nefandezza urbanistica nella Città Eterna che, al di là delle apparenze, vede ancora una volta l’esistenza di un consenso trasversale tra i cosiddetti due poli.
Sentire il sempre più sorprendente capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri blaterare di "tecniche conservative incredibili" fa veramente cascare le braccia.
A questo punto, piuttosto che sottoscrivere l’insensata petizione di Veltroni "Salviamo l’Italia" che serve soltanto a lui per evitare di affondare subito e così continuare ad annaspare alla guida del Pd chissà per quanto tempo ancora, sarebbe molto più utile riprendere la petizione per salvare il Pincio, prima che i posteri fra qualche decennio si domandino come sia stato possibile che i talebani dell’automobile ad inizio millennio abbiano potuto svuotare un preziosissimo colle romano per farne un gigantesco garage.
Chi ci osserva dall'estero intanto non esita a concludere pessimisticamente: "They are destroying a very beautiful part of Rome."