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domenica 19 agosto 2012

Scalfari furioso contro Zagrebelsky

Eugenio Scalfari, nel suo ultimo editoriale, arriva a prendersela addirittura con l'insigne costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, colpevole di aver invitato, con un intervento chiarissimo e oggettivamente ineccepibile su Repubblica di venerdì, il Capo dello Stato a fare un passo indietro nella guerra dichiarata alla Procura di Palermo, in seguito all'inaudito e senza precedenti conflitto di attribuzione sollevato contro i Pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, da cui derivarono le stragi del 1992-93 con l'uccisione del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta ma forse anche la precedente ecatombe di Capaci, con il chilometro di autostrada fatto saltare al passaggio del corteo di auto in cui viaggiavano Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti di scorta.
E' vero che con l'età, specie se veneranda, si perdono i freni inibitori ma Scalfari ha l'ardire di  impartire insulse lezioni di diritto costituzionale non solo ad un ex presidente della Consulta ma soprattutto ad un indiscusso valentissimo giurista, lui che si è laureato in giurisprudenza nel 1946, avendo avuto al massimo dimestichezza con lo Statuto Albertino piuttosto che con la Costituzione Repubblicana (del 1948). 
Ma è forse proprio la sua vetusta e obsoleta preparazione universitaria, accanto ad una percezione di sè tanto smisurata da sembrare caricaturale, che lo induce erroneamente a riconoscere a Giorgio Napolitano i poteri di un monarca assoluto, da ancien régime.
Il tutto condito da argomentazioni speciose in cui evoca per l'ennesima volta un clima eversivo che congiurerebbe contro il Quirinale a cui lo stesso Zagrebelsky non solo colpevolmente non si sottrarrebbe ma di cui finirebbe per essere direttamente responsabile; senza dimenticare quelle forze politiche e quei giornali (leggi: Il Fatto Quotidiano) e l'uso che fanno delle sue dichiarazioni.
Scalfari giunge a tanto: ad additare presunti nemici del Presidente inserendoli in una sua fantomatica lista di proscrizione.
Siamo veramente messi male!
E poi, prendendo spunto da una recente missiva del Colle, riesce a confondere, ipocritamente, il predicare bene con il razzolare male.
Purtroppo per lui, quello che contano sono i comportamenti.
Ed è inutile che Napolitano faccia la bella figura di esortare i pm palermitani a fare piena luce sulle inchieste in corso se poi, per occultare le telefonate con Mancino che lui stesso deve evidentemente ritenere disdicevoli, arriva a compiere un atto di inaudità gravità, cui consegue la delegittimazione ipso facto di quegli stessi organi inquirenti.
Siamo tutti stanchi di quei continui vuoti e polverosi moniti cui, nella migliore tradizione italiana, non segue alcun comportamento coerente, beninteso non solo da parte sua. 
Ma ciò che di più riprovevole tenta di fare Scalfari è di negare l'esistenza della trattativa Stato-mafia, fingendo che non ci sia mai stata, nonostante parlino, molto più della ricostruzione degli storici, l'evidenza incontrovertibile di importanti sentenze giudiziarie definitive.
Per Scalfari, ma sembrano le parole di Marcello Dell'Utri, non c'è verità da conoscere: "Qual è dunque il reato che si cerca, la verità che si vuole conoscere? Deve essere un'altra e non questa". Oppure, prosegue, attribuendone l'analisi ad Antonio Ingroia "una trattativa svoltasi in una fase in cui la mafia era ridotta al lumicino e per tenerla in vita si invocava l'aiuto dello Stato".
Qui lo scantonamento di Scalfari diventa pericoloso: ma quando mai la mafia è stata ridotta al lumicino?
Il fatto che i capimafia da dentro il carcere spingessero per l'abolizione del 41 bis non vuole assolutamente dire che il loro potere si fosse indebolito né che indebolita fosse l'organizzazione criminale che continuavano a comandare.
E' tuttavia evidente che in una struttura tanto accentrata e gerarchizzata come Cosa nostra, che  dipende in tutto e per tutto dai boss, sia pure internati nelle patrie galere, la possibilità di questi di comunicare più facilmente con l'esterno andava al più presto ristabilita, anche al prezzo di alzare il livello della sfida criminale contro lo Stato e di scatenare un volume di fuoco senza precedenti, persino contro vittime innocenti.
Possibile che Scalfari prenda un abbaglio simile con tanta sciocca sicumera?
Ed anche il riferimento che fa a Giovanni Falcone non solo è di pessimo gusto ma è per certi versi inquietante. 
Cosa sta tentando di dirci? Forse che sia meglio per i magistrati palermitani rilasciare poche interviste, non addentrarsi nella "zona grigia" del coinvolgimento della politica, per poi comunque saltare in aria  su una bomba?
Dov'è finito lo Scalfari degli anni del giornalismo d'inchiesta ora che, in preda al cupio dissolvi, sta dilapidando miseramente un patrimonio di credibilità per difendere, non si sa bene come e perché, l'uomo Napolitano ma non certo l'istituzione che egli rappresenta?

La verità è che è ancora oggi in atto una lotta senza esclusione di colpi di una parte dello Stato, quella che trattò con i mafiosi ed essa stessa è stata infiltrata o è organica alla mafia, contro la parte sana che pretende finalmente verità e giustizia.
Ciò sta avvenendo nel corso di un passaggio politico epocale in cui il vecchio assetto della Seconda repubblica è collassato su se stesso in conseguenza della grave crisi finanziaria ed economica e dell'improvviso emergere di forze e movimenti nuovi che non ne possono più di una dittatura strisciante in cui ha finito per degradare il finto bipolarismo italiano.
Se il famigerato ABC, simbolo supremo di nullità ideologica e parassitismo politico, l'impresentabile trio Alfano-Bersani-Casini, non fosse stato costretto a venire allo scoperto,  appoggiando insieme e appassionatamente il governo di Mario Monti, ponendo fine a quello stucchevole teatrino quotidiano che li vedeva finti avversari con le loro penose schermaglie di rito da dare in pasto ad un elettorato ingenuo, stanco e disattento che la sera cerca in televisione solo intrattenimento a livello di "Scherzi a parte", molto probabilmente sarebbe stato possibile evitare lo scontro aperto con la magistratura ed arrivare ad una qualche forma di normalizzazione, contando sul frastuono della disinformazione di regime.
Ma l'accelerazione impressa alle indagini degli eroici pm siciliani, anche  grazie alle rivelazioni di Spatuzza e di Massimo Ciancimino, in aggiunta alla grave crisi politico-istituzionale con il discredito generale dei vecchi partiti e ai nuovi irridenti movimenti della società civile, in primis quello capeggiato da Beppe Grillo, fa temere per chi è rimasto o addirittura è andato al potere proprio a seguito di quella sanguinosa stagione, che una drammatica e definitiva resa dei conti presto ci sarà.
Ecco perché lo scontro è trasversale ai vecchi schieramenti; ecco perché l'anomalia Silvio Berlusconi ha finito per troppo tempo per camuffare una parte della verità, cioè il vero titanico scontro tra lo Stato democratico e un irriducibile Controstato politico-mafioso, i cui esponenti vestono evidentemente diverse maglie, non solo quella del Pdl.

venerdì 17 agosto 2012

Gustavo Zagrebelsky a Giorgio Napolitano: "Perché lo fai?"

Su Repubblica di oggi viene pubblicato, sicuramente facendo dispiacere ad Eugenio Scalfari, un appassionato intervento del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky che si appella al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché torni sui suoi passi e ritiri il decreto del 16 luglio con cui ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo per la vicenda delle intercettazioni telefoniche indirette di lui con Mancino e che Re Giorgio  pretende in tutti i modi vadano distrutte prima che la pubblica opinione ne apprenda il contenuto.

Con tutta la studiata cautela e la personale riflessione di un insigne giurista, Zagrebelsky gli fa capire che non solo personalmente in questo modo si è ficcato in un vicolo cieco ma ha messo in crisi l'intero assetto costituzionale costringendo la Corte Costituzionale ad un pronunciamento che, quale esso sia, finirà per modificare la Costituzione, contro la volontà ed il silenzio dei padri Costituenti. E sottolinea:
"Per di più, su un punto cruciale che tocca in profondità la forma di governo, con irradiazioni ben al di là della questione specifica delle intercettazioni e con conseguenze imprevedibili sui settennati presidenziali a venire, che nessuno può sapere da chi saranno incarnati. Il ritegno del Costituente sulla presente questione non suggerisce analogo, prudente, atteggiamento in coloro che alla Costituzione si richiamano?".

Tuttavia quello di Zagrebelsky non è solo un accorato appello ma un rimprovero bello e buono, vada anche per l'affettuoso, rivolto al Capo dello Stato per la sua condotta avventata. Infatti esordisce così (beninteso, con la garbata omissione di un 'non'):

"È davvero difficile immaginare che il presidente della Repubblica, sollevando il conflitto costituzionale nei confronti degli uffici giudiziari palermitani, abbia previsto che la sua iniziativa avrebbe finito per assumere il significato d'un tassello, anzi del perno, di tutt'intera un'operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati che operano per portare luce su ciò che, in base a sentenze definitive, possiamo considerare la "trattativa" tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia. Sulla straordinaria importanza di queste indagini e sulla necessità che esse siano non intralciate, ma anzi incoraggiate e favorite, non c'è bisogno di dire parola, almeno per chi crede che nessuna onesta relazione sociale possa costruirsi se non a partire dalla verità dei fatti, dei nudi fatti. Tanto è grande l'esigenza di verità, quanto è scandaloso il tentativo di nasconderla."

Per favore, somministrate d'urgenza un calmante al corazziere di complemento Scalfari anche perché Zagrebelsky invita il Presidente a non lasciarsi "fuorviare dal coro dei pubblici consensi".



sabato 21 luglio 2012

Prove tecniche di dittatura

Per capire in che degrado sia precipitata la libertà di pensiero e di parola in Italia, basta guardare a come giornali, televisioni, Tg, hanno trattato la notizia sensazionale del conflitto di attribuzione che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sollevato contro la Procura di Palermo, che sta indagando sulla trattativa tra Stato e mafia nel biennio stragista 1992-1993.
L'attacco diretto che il Presidente della Repubblica ha portato ai pm siciliani non ha precedenti nella storia d'Italia; eppure, con l'eccezione di qualche voce isolata e di un solo giornale, il Fatto Quotidiano, non c'è giornalista della carta stampata o della televisione che, invece di informare e di ricostruire con oggettività la vicenda, non abbia preferito prendere, secondo una regia che sembra quasi studiata a tavolino, la difesa d'ufficio di Giorgio Napolitano.
Il modo con cui la notizia viene gestita dagli organi di informazione è veramente vergognoso: in un'unanimità di consensi, tra centrodestra e centrosinistra, non c'è nessuno che abbia ricostruito la vicenda per quello che è, nessuno che abbia osato semplicemente descrivere il comportamento eccezionale di Re Giorgio, a cui vengono ancora in queste ore tributati gli onori che un tempo si concedevano ai monarchi assoluti, di cui almeno nel mondo occidentale non dovrebbe esserci restata traccia.
Sul piano politico, l'unico che abbia alzato il dito per sottolineare che il re è nudo è Antonio Di Pietro, a cui tutti gli Italiani devono riconoscere, al di là delle simpatie personali o delle proprie convinzioni ideologiche, in questa come in altre recenti occasioni, una prova di onestà intellettuale, lealtà istituzionale e senso civico che, ad esempio, i sepolcri imbiancati del Partito Democratico non si sono neppure sognati di avere.
Tralasciamo poi, per carità di patria, la posizione del Pdl e dell'Udc, partiti in cui ad esempio personaggi come Salvatore Cuffaro,  Raffaele Cosentino,  Marcello Dell'Utri, ecc.,  hanno avuto e spesso ancora hanno un ruolo apicale, che condividono con il Pd la stessa posizione di totale sudditanza alle mosse del Colle, con l'obiettivo neppure sottaciuto di precostituirsi un formidabile e gigantesco precedente. 
Successivamente, capitando con certezza matematica l'occasione buona, potranno comodamente passare all'incasso, vedendosi restituire a vantaggio dei propri uomini un analogo favore: basta sfogliare i giornali di area berlusconiana in questi giorni per farsene un'idea.
Dicevamo prima che il quarto potere ha dato di sè una prova pessima.
Nessun telegiornale ha fatto eccezione, anche la squadra di Rai News 24, di solito così pronta a decodificare i segnali della politica ed a ricostruire con attenzione i fatti di giornata, si è limitata a fare da grancassa alle iniziative del sovrano del Quirinale.
Particolarmente in difficoltà il direttore Corradino Mineo:  solitamente mostra una certa autonomia di giudizio  ma parlando di Napolitano le sue qualità professionali d'incanto vengono obnubilate.
Da sempre trapela dalle sue parole una autentica Venerazione nei confronti dell'attuale Inquilino del Colle: ne parla con ammirazione, con timorosa cautela e con la premurosa circospezione da tributare ad un Dio in terra, i cui comportamenti sono ispirati da un'Intelligenza Superiore e i cui interventi sono sempre opportuni, pertinenti, necessari, decisivi, equilibrati, mirati, una immeritata manna per l'Italia.
La consueta vivacità intellettuale delle sue riflessioni si scioglie, definitivamente e malinconicamente, in un'adesione cieca e totale alle Gesta Sovrane.
C'è da temere che quando finalmente giungerà a compimento il Celeste Mandato, il Mineo si presenterà ai suoi telespettatori in gramaglie e annuncerà la notizia come fece qualche mese fa la conduttrice della televisione nordcoreana per annunciare la dipartita del dittatore Kim Jong II.



Nella classifica della libertà di stampa siamo al 40° posto, subito dopo la Corea del Sud: ancora uno sforzo e quella del Nord sarà alla nostra portata...

PS: chi ci vuole capire qualcosa sul conflitto tra Napolitano e Procura di Palermo è pregato di spegnere la televisione, buttare nella pattumiera i giornali (ad eccezione del Fatto Quotidiano, che guarda caso è l'unico che non riceve un euro di finanziamento pubblico) e di cliccare sul link del FattoQuotidianoTV della registrazione della diretta-streaming da Via D'Amelio del 19 luglio: è  un video di oltre 8 ore dove compaiono interventi autorevoli, anche dei magistrati del pool di Palermo. Da non perdere, dopo 6h e 7' circa, la lezione civile di Marco Travaglio: 60 minuti da antologia.

giovedì 19 luglio 2012

Via D'Amelio: vent'anni dopo

L'attacco frontale che il Presidente della Repubblica ha voluto portare alla Procura di Palermo per la vicenda delle telefonate intercorse tra lui e Nicola Mancino è la dimostrazione più  eclatante, se ancora ce ne fosse bisogno, di come la Casta, anche in uno dei momenti più difficili della storia d'Italia, non abbia alcuna intenzione di farsi giudicare, prima ancora che dalla magistratura, dai cittadini, assumendosi una buona volta il peso delle enormi responsabilità dell'attuale disastro morale-politico-sociale ed economico in cui versa il nostro Paese.
E' uno spettacolo avvilente che angustia ogni cittadino, anche quelli che meno attenzione pongono alle vicende politiche e che, quando pure vi gettano un occhio di traverso, subito se ne ritraggono disgustati.
E' sorprendente che il primo cittadino d'Italia, su una vicenda gravissima come la stagione delle stragi di mafia del 1992-93, a vent'anni di distanza da quei fatti sanguinosi che hanno gettato a livello internazionale un'ombra infamante di sospetto su tutti noi ed una seria ipoteca alla credibilità dellle nostre istituzioni, ponga in essere uno scontro durissimo proprio contro quei magistrati che, mettendo a repentaglio la propria stessa incolumità, si stanno dannando l'anima, nell'isolamento generale in cui sono stati confinati dai media di regime e dalla partitocrazia tutta, per recuperare la verità di una stagione maledetta e finalmente portare alla sbarra i mandanti e gli esecutori materiali di quella mattanza.
Il tutto, per distruggere il contenuto di recenti conversazioni telefoniche che Sua Eccellenza ha intrattenuto nei mesi scorsi con un privato cittadino indagato per falsa testimonianza ed intercettato da quegli stessi pm, Nicola Mancino (nel luglio del '92 ministro dell'Interno), che gli si era rivolto sia direttamente che per il tramite del suo consigliere giuridico, affinché intervenisse nell'inchiesta, in barba a elementari principi di correttezza  giuridica.
Volendo pure riconoscere le migliori intenzioni al Capo dello Stato nel delimitare le proprie prerogative costituzionali, è un dato di fatto che la sua condotta finisce per impattare pesantemente con una delicatissima inchiesta dagli esiti decisivi per l'essenza stessa della nostra democrazia: accertare finalmente le responsabilità e i fatti di quel drammatico biennio stragista.
Per tutti gli Italiani questa dovrebbe essere un'assoluta priorità, l'unico lavacro possibile per bonificare le nostre istituzioni e segnare un discrimine con un passato sconvolgente.
Ma non è così per il primo cittadino che subordina l'accertamento di quella tragica verità alla distruzione dei contenuti di quelle sue incaute telefonate con Mancino.
Ma cosa mai ci sarà in esse di tanto sconveniente da fargli preferire la loro immediata distruzione, con un inevitabile strascico di polemiche?
Fra l'altro rinforzando nei cittadini la generale sensazione che la politica è qualcosa di veramente abietto.
Le parole pronunciate da Antonio Di Pietro per esortare Giorgio Napolitano a desistere da questo scontro, tornando sui propri passi e divulgando spontaneamente quelle telefonate, non hanno nulla di indecente come il segretario del Pd Pierluigi Bersani sostiene, cronicamente a corto di argomenti, e volendo quasi assumere improvvidamente le vesti di garante di Napolitano: "Di Pietro sa benissimo, come sanno tutti, che a giudizio di tutti, compresi i magistrati il presidente Napolitano non ha nessuna ragione di difendere la sua persona". 
Ma come fa a dire questo, se non conosce il contenuto delle telefonate?
Indecente è che il segretario di quello che potrebbe diventare la prima forza politica italiana si acconci a una goffa difesa d'ufficio del presidente Napolitano, senza neanche rendersi conto (questo sì è molto grave!) che ponendo questa sgangherata tutela sul Presidente della Repubblica, contribuisce pure lui a metterlo in straordinaria difficoltà.
Bersani si mette a fare il Niccolò Ghedini della situazione, senza però averne né i titoli né le capacità, scimmiottando l'avvocato di Berlusconi con esiti disastrosi.
Insomma anche in questo campo, Pd e Pdl si comportano esattamente allo stesso modo: quando si tratta di difendere i compagni di cordata, usano gli stessi slogan, la stessa arroganza, lo stesso disprezzo per i cittadini.
Insomma, il richiamo della foresta, o meglio il richiamo di Casta, è più forte di tutto. Persino del buon senso.  Per loro il potere viene prima di tutto, è sopra la legge, e non si fa giudicare. Mai.
Neppure quando la loro credibilità è scesa sotto zero, neppure quando i loro comportamenti scavano un fosso incolmabile con gli elettori: basta fare un giro per la rete in queste ore per rendersene conto.
Neppure quando ricorre il ventesimo anniversario della strage di Via D'Amelio e si apprestano a commemorare, come niente fosse, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: con la faccia contrita, continueranno a recitare il copione di sempre.
Incuranti di una liturgia ormai logora e vuota, invocheranno per l'ennesima volta giustizia, ma, dietro le quinte, fanno di tutto perché a ciò non si arrivi mai.

lunedì 16 luglio 2012

Il Quirinale contro la Procura di Palermo: una brutta pagina di storia

Si apprende in queste ore che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato il decreto di incarico all'Avvocatura generale dello Stato per sollevare conflitto di attribuzione nei confronti della Procura generale di Palermo, per la nota vicenda delle telefonate intercorse e intercettate tra Napolitano stesso e Nicola Mancino, essendo state messe sotto controllo le utenze telefoniche di quest'ultimo, indagato dai pm siciliani per falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta trattativa Stato mafia.
Per i cittadini onesti di questo Paese, l'atteggiamento di Napolitano è veramente incomprensibile.
Ma come??
Di fronte alla necessità di fare chiarezza sulla stagione delle stragi mafiose del 1992-93 e sul 'papello' che i boss mafiosi avrebbero concordato con gli apparati istituzionali, che cosa fa il Capo dello Stato?
Invece di compiacersene elogiando pubblicamente l'impegno profuso dai magistrati di Palermo per venire a capo dei troppi misteri e fare luce sulle tante zone d'ombra di quella stagione eversiva e di sangue che provocò numerosissime vittime innocenti (in primis, il sacrificio umano di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle loro scorte, a cui il popolo Italiano deve eterna riconoscenza) e magari fare in modo che possano continuare a lavorare, facendo loro sentire il più possibile la vicinanza dei vertici delle istituzioni, con la massima serenità, efficacia e celerità per individuare i mandanti occulti di quell'ecatombe, che cosa fa il primo cittadino della repubblica?
Ingombrantemente, si mette di traverso all'inchiesta palermitana, non solo non svelando spontaneamente il contenuto di quelle conversazioni che pure nelle settimane scorse ha affermato stizzosamente essere irrilevanti, ma addirittura appellandosi alle sue prerogative di irresponsabilità per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, scomodando a sproposito l'art. 90 della Costituzione.
In pratica si attesta sulla linea di difesa di Eugenio Scalfari che questi aveva spudoratamente esposto in un recente editoriale che, è il caso di ricordarlo ai lettori più distratti, nei giorni scorsi è stata oggetto di pubblico ludibrio da parte di molti osservatori ed esperti costituzionalisti, per essere palesemente un coacervo di castronerie sul piano logico e di giganteschi strafalcioni giuridici.
Infatti, dando un attimo per  buone le parole di Scalfari ma solo come esercizio di scuola, ovvero ragionando per assurdo, si arriverebbe alla conclusione impossibile che, qualora la primula rossa della mafia, Matteo Messina Denaro, decidesse di telefonare al Quirinale, gli ufficiali di polizia che magari ne ascoltano da tempo le conversazioni, dovrebbero immediatamente interrompere l'intercettazione stessa, quand'anche nel corso della telefonata pronunciasse minacce contro l'inquilino del Colle o svelasse le sue complicità o ancora il suo nascondiglio per essersi risolto a porre fine alla propria latitanza.
Tutto ciò nel malinteso intento di tutelare (?) l'irresponsabilità del presidente della Repubblica.
Una tale mostruosità si commenta da sé.
Ma ciò che più delude (o indigna) è la motivazione che Napolitano adduce a tale iniziativa: "evitare si pongano, nel suo [nda: del Presidente] silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la costituzione gli attribuisce".
Insomma, la classica foglia di fico: non lo faccio per me ma per il mio successore.
E doveva cogliere proprio l'occasione sbagliata per contornare, in punta di diritto, le proprie prerogative costituzionali?
E proprio quando alle viste per l'Italia democratica c'è il traguardo di riportare alla luce, vent'anni dopo, le nefandezze e le responsabilità del biennio stragista,  da cui ha preso forma l'attuale Seconda repubblica.
Mentre l'Italia si dibatte tra mille difficoltà, una brutta pagina di storia viene scritta oggi in cima al Colle: eppure lassù non c'è Berlusconi!

mercoledì 11 luglio 2012

Scalfari: ma che domenica bestiale in difesa del Colle

L'editoriale di Eugenio Scalfari su Repubblica di domenica scorsa corredato dalla sua aggiunta di ieri in cui circostanzia  a modo suo le accuse contro la Procura di Palermo, rea a suo dire di aver intercettato illegittimamente Giorgio Napolitano e poi di non averne subito distrutto i contenuti, è stato azzerato dalle numerosissime critiche degli addetti ai lavori in conseguenza degli enormi e diffusi strafalcioni giuridici che ne minano pressoché tutte le argomentazioni.
Neppure uno studentello, magari ancora in procinto di cimentarsi nello studio delle sudatissime procedure, avrebbe commesso un tal peccato, al tempo stesso, d'ingenuità, d'ignoranza e di presunzione. 
Eppure Scalfari, noncurante di accumulare in poche righe castronerie su castronerie in un percorso minato che certamente ha finito per non rendere un buon servizio al suo amato Presidente né al giornale che lo deve ospitare in virtù di antichi meriti (decisamente prescritti), sembra animato da una sola grande preoccupazione: che le telefonate tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano vengano al più presto distrutte, rinverdendo suo malgrado i fasti dell'epopea berlusconiana.
Insomma, da buon amico del Presidente della Repubblica, Scalfari lascia pensare che neanche lui è disposto a mettere la mano sul fuoco sulla esemplarità costituzionale delle intercessioni telefoniche del Colle a favore dell'indagato Mancino.
Se qualcuno tra gli Italiani si ostinasse ancora a pensare che quella del Quirinale è una casa di vetro nella quale l'attuale inquilino agisce in perfetta trasparenza e soprattutto in coerenza con il diluvio dei suoi vacui moniti e tracimanti esternazioni, ecco che è stato prontamente smentito.
Pare che sia l'Avvocatura dello Stato che il consigliere giuridico di Napolitano, Loris D'Ambrosio, protagonista lui stesso delle suddette performances via cavo, si starebbero muovendo, la prima, chiedendo chiarimenti alla Procura palermitana, il secondo, addirittura per ottenere l'acquisizione dell'intero fascicolo.
Insomma, invece di mettere tutto nero su bianco e far emergere alla luce del sole il contenuto di quelle conversazioni proprio per fare piazza pulita di tutte le illazioni costruite sul "nulla", come ha sdegnosamente precisato il Presidente, la macchina del Quirinale starebbe virando in tutt'altra direzione. 
Quanto a Scalfari, decisamente gli esami per lui non finiscono mai.
Per risparmargli altre brutte figure, possibile che a Piazza Indipendenza non ci si attrezzi finalmente a impartirgli lezioni private, passandogli appunti di diritto costituzionale e di procedura penale?

giovedì 21 giugno 2012

Repubblica e la difesa del Colle

Le rivelazioni che stanno uscendo grazie alle indagini della procura di Palermo sul patto mafia-stato che nel 1992 avrebbe tra l'altro portato alla strage di via D'Amelio, con l'uccisione del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, sono di un'estrema gravità e qualsiasi cittadino italiano degno di questo nome avrebbe il diritto sacrosanto di pretendere, ad alta voce, la massima trasparenza a tutti i livelli istituzionali affinché sia fatta finalmente luce, con vent'anni di ritardo,  su una delle stagioni più oscure e terribili della nostra storia.
Soprattutto ci si aspetterebbe da parte degli attuali vertici istituzionali, in primis la presidenza della Repubblica, la massima collaborazione con quel manipolo di eroici magistrati che, avendolo giurato prima ancora che sopra la tomba dei colleghi alla propria stessa coscienza ed a tutti gli Italiani, si prodigano quotidianamente nell'indifferenza o nel silenzio complice della politica, combattendo una lotta impari ed a rischio del proprio estremo sacrificio, per venire a capo delle tante ombre che ancora si affollano su quelle tragiche vicende e ne occultano la verità e le gravissime responsabilità penali.
Purtroppo, nella costernazione di quanti hanno ancora a cuore questo Paese, non è così. E ad essi si risponde in modi evasivi ed arroganti.
Lo staff del presidente della Repubblica ha infatti definito come "risibili e irresponsabili illazioni" le rivelazioni del Fatto Quotidiano sulle pressioni esercitate dall'ex ministro Nicola Mancino contro i pubblici ministeri di Palermo, in prima linea nell'indagine sullo scellerato patto che, cedendo al ricatto mafioso, all'epoca avrebbe finito per barattare l'incolumità di alcuni politici per l'allentamento delle condizioni carcerarie dei boss mafiosi allora detenuti.
Meno grave ma ugualmente inquietante è che alcuni importanti quotidiani, dopo essere stati i primi ad averne dato nei giorni scorsi la notizia (sia pure a pagina 22 che, come ironizza il grandissimo Marco Travaglio, "dev'essere quella riservata agli scandali di Stato")  si affannino adesso a minimizzarne la portata, e per voce delle loro firme migliori, a mettere su una difesa del Colle così sbilenca e raffazzonata da lasciare allibiti.
Racconta, infatti, Eugenio Scalfari in un poco meditato intervento video, spendendosi a spada tratta per Giorgio Napolitano, che non sarebbe la prima volta che il Capo dello Stato interviene su un'inchiesta in corso quando la magistratura procede in ordine sparso e fa il caso del conflitto di competenza sollevato a suo tempo tra le procure di Salerno e Reggio Calabria.
Ma,  a parte le mille riserve su questo paragone, Scalfari fa finta di non sapere che sulla trattativa mafia-Stato del '92-93 non c'è alcun conflitto di competenza tra le procure di Palermo e Caltanissetta (che intanto sta indagando sulla strage di Via D'Amelio) e dunque nessuna necessità di coordinamento o normalizzazione, che dir si voglia.
Inoltre, implicitamente egli avalla l'inammissibile pratica per cui un imputato, quale è allo stato degli atti il privato cittadino Nicola Mancino,  possa chiedere riservatamente un intervento superiore sull'inchiesta in cui lui stesso è direttamente coinvolto abusando della conoscenza personale del Capo dello Stato.
Una mostruosa bestemmia logica prima ancora che giuridica.
Ed è per questo che Scalfari, mandato all'ammasso il buon senso, è costretto a spostare il focus della sua argomentazione sul governo Monti, usando le stesse argomentazioni che per anni hanno usato gli ascari di Berlusconi per sottrarlo politicamente all'assunzione di responsabilità sui suoi vizi pubblici e privati: chi attacca Napolitano per queste ragioni pretestuose (sic!), egli conclude, lo fa per indebolire il governo Monti e quindi il PD deve prendere le distanze da Antonio Di Pietro, promotore di un'indagine parlamentare sui fatti del biennio nero '92-93.
Ma è possibile che un quotidiano come Repubblica sia disposto a tale sacrificio culturale, intellettuale (e di lettori!), pur di difendere ciecamente il Quirinale, il governo dei tecnici e  quel che resta del PD?

mercoledì 9 maggio 2012

Beppe Grillo fa boom ma Napolitano non se ne accorge...

Lo strabiliante risultato del Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo è tale che dal 7 maggio scorso si può senz'altro affermare che l'Italia è entrata nella III repubblica, con il terremoto elettorale che ha squassato la vecchia politica di Lega, Pdl, Pd e Udc.
Sì proprio loro, i quattro partiti dell'apocalisse, quelli che hanno fatto precipitare l'Italia, fino a pochi anni fa la quinta potenza economica mondiale, a terra di conquista per la finanza internazionale e le multinazionali in cerca di manodopera a basso costo: insomma quelli che ci hanno portato dalle stelle alle stalle.
Certo il Pd ha resistito in queste amministrative oltre le più rosee aspettative ma, ormai, è solo questione di settimane, impiccato com'è alle sue contraddizioni, ai suoi scandali e ad una politica scriteriata di sostegno al governo Monti, esecutivo formato da sbiaditi tecnocrati di centrodestra.
Bastava vedere in tv la faccia da cane bastonato del suo segretario, Pierluigi Bersani, che lunedì sera si sforzava di mostrare la propria soddisfazione per il risultato ottenuto, per rendersi conto che anche per il Partito Democratico il conto alla rovescia è iniziato.
Il risultato del Movimento 5 Stelle è veramente stratosferico perché oltre alla dimensione del successo diffuso in tutt'Italia, con punte eccezionali nel centro-nord (basti pensare che in una città come Parma, da anni feudo del centrodestra, il suo candidato ha sfiorato il 20%, andando per giunta al ballottaggio!), quello che più pesa è che esso sia stato conseguito in condizioni assolutamente impari rispetto alla corazzata elettorale messa in campo dalla Casta.
Infatti il movimento di Grillo:
  1. non ha avuto alcuna copertura mediatica: gran parte dei giornali e tutta la televisione dell'oligopolio Rai-Mediaset-Telecom lo hanno, nella migliore delle ipotesi, ignorato;
  2. è un movimento nato nella Rete e diffusosi solamente grazie alla Rete ed alla partecipazione attiva e disinteressata di comuni cittadini, stanchi di dover sottostare ad una partitocrazia, avida, corrotta e incompetente. Ma solo metà degli Italiani ha libero accesso ad Internet e solo una famiglia su tre ha la banda larga: il digital divide è impietoso, ma non è un caso che lo sia;
  3. è stato oggetto di una campagna mediatica di aggressione, di delegittimazione e di intimidazione orchestrata dalla Casta di inaudita portata;
  4. ha potuto raggiungere con il suo messaggio soltanto una piccola parte della popolazione italiana, perché il Palazzo ha fatto in modo che le fasce sociali più deboli ne venissero rigorosamente tenute lontano;
  5. ha una base di consenso costituita prevalentemente da giovani, con una notevole rappresentanza di venticinque-quarantenni, di livello d'istruzione molto elevato: si sprecano ingegneri, informatici, matematici, ricercatori, economisti, docenti, ecc; ma anche artigiani, impiegati, piccoli imprenditori, commercianti si riconoscono trasversalmente in tante delle sue iniziative;
  6. non ha ricevuto un solo euro di finanziamento pubblico, al contrario della Casta che resta in famelica attesa di una tranche di altri 100 milioni di euro per il luglio prossimo, sui quali ha già ricevuto cospicui anticipi da parte delle banche;
  7. il voto che riceve è assolutamente un voto d'opinione, libero e senza condizionamenti di sorta;
  8. garantisce per i propri sconosciuti candidati impegno civico, competenza, determinazione, difesa dei beni comuni, restando agli antipodi di cordate, convergenze parallele, conflitti di interesse, lobby e simili;
  9. si pone in contrapposizione frontale con la vecchia politica, i poteri occulti, i grandi potentati economici;
  10.  il suo fondatore Beppe Grillo non è il padre padrone del movimento che scende in campo per difendere le sue aziende (come qualcun altro di nostra vecchia conoscenza...): al contrario, fa il portatore d'acqua per dare visibilità  a quei cittadini che ne condividono le iniziative e che vogliano diventare protagonisti di questa rivoluzione popolare, democratica e soprattutto legalitaria, nel pieno rispetto della costituzione ma senza la mediazione dei partiti. 
In condizioni diverse, di democrazia materiale e non di repubblica delle banane, il risultato raggiunto sarebbe potuto essere assolutamente superiore, forse addirittura sfiorare il 30-35%.
E' per questo che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte allo sfascio partitocratico, commette una grave scorrettezza costituzionale quando ripetutamente si scaglia contro questo pacifico movimento di cittadini con tanta voglia di partecipazione civile e di autodeterminazione, prima accusandone arbitrariamente il leader di demagogia, poi ignorandone platealmente l'affermazione elettorale.
Ma il Capo dello Stato non dovrebbe rappresentare ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione l'unità nazionale e simboleggiare con la sua figura tutti gli Italiani??

mercoledì 25 aprile 2012

La Contropolitica? "Alzi la mano chi non è mai stato in barca a fare una vacanza!"

Sono due le novità emerse in questo ultimo scorcio di aprile: lo spread che vola e l'attacco concentrico di tutta la vecchia politica e dei media nei confronti del successo elettorale che si profila per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Il famigerato spread veleggia spesso insistentemente sopra i 400 punti, sfatando inoppugnabilamente la leggenda metropolitana secondo la quale le cure del governo Monti al capezzale del Belpaese avrebbero almeno stabilizzato le condizioni del grande infermo.
Niente da fare: nonostante la maxi immissione di liquidità della BCE di questo inverno, le manovre lacrime sangue del professore, il livello di tensione sul mercato dei titoli di Stato italiani resta altissimo.
Ed uno dei motivi è proprio la politica fortemente recessiva e impopolare di Mr. Monti che, pur di garantire l'equilibrio dei conti pubblici, non ha esitato un attimo a strangolare la già asfittica economia italiana.
Ciò è avvenuto sia inguaiando il mercato nazionale con un'opera scientifica, questo sì, di demolizione della domanda interna attraverso l'aumento della pressione fiscale, che si attesta ormai sopra al 50% (a dispetto di tutte le rilevazioni ufficiali che comunque la collocano  a ridosso di questa soglia).
Sia con il taglio dei trasferimenti agli enti locali, con  la riforma previdenziale più severa d'Europa e con l'attacco allo Statuto dei lavoratori in nome di un'esasperata flessibilità in uscita stante una non meno estrema flessibilità in entrata.
Fatto sta che delle tre parole d'ordine rigore, equità, crescita ossessivamente ripetute dai tecnici in questi mesi è rimasta in piedi solo la prima, il rigore, declinato tuttavia esclusivamente sulle spalle di giovani, lavoratori e pensionati.
Effettivamente, una politica economica più ottusa e monocorde di quella approntata da Mario Monti sarebbe stata difficile da concepire anche da chiunque altro si fosse trovato al suo posto a gestire l'emergenza finanziaria.
E così la luna di miele tra gli Italiani e il governo dei banchieri (la premiata ditta Monti-Passera e Fornero) si è malinconicamente conclusa: ormai solo il 51% di loro è ancora disposto a scommettere sulle ricette del preside della Bocconi, con un calo di oltre il 10% nelle ultime settimane.
La ciliegina su questo disastro, ampiamente annunciato sin dall'insediamento dell'esecutivo, l'ha messa proprio il premier Monti che in una recente conferenza stampa ha introdotto un nuovo macabro strumento macroeconomico: lo spread tra i suicidi degli imprenditori in Grecia e in Italia.
Secondo lui, noi italiani siamo messi meglio: in Grecia ci sono stati dallo scoppio della crisi 1725 morti, in Italia la sua squadra si sta dando da fare per non raggiungere quel numero.
Quando si dice dare fiducia al paese gettando le basi per un futuro migliore...
Inoltre, con tutta probabilità e nonostante autorevoli smentite ministeriali, entro l'anno bisognerà varare una nuova manovra finanziaria: con lo spread che non è mai sceso quest'anno sotto i 270 punti (mentre l'anno scorso di questi tempi era stabile a 190) si spenderà per interessi almeno 15 miliardi in più mentre con il calo del Pil (stimato attorno al 2%) mancheranno all'appello altri 15 miliardi di entrate fiscali.
Ancora, con la firma del cosiddetto fiscal compact, il governo si è impegnato a rimborsare il 60% del debito pubblico in 20 anni, che fa altri 50 miliardi l'anno.
Totale salasso per il 2012: 15+15+50 cioè altri 80 miliardi sonanti da rastrellare entro l'autunno.
Con un inasprimento della cura Monti di tale portata, questa volta probabilmente orientata su tagli alla spesa pubblica, lo scenario che si prefigura per i prossimi mesi fa venire i brividi.
Sappiamo però già adesso con certezza che l'aver modificato qualche giorno fa a tempo di record, ancora una volta primi in Europa, la Costituzione con il vincolo del pareggio di bilancio, comporta perdere anche quello che resta della sovranità nazionale, ovvero la politica fiscale, affidata come quella monetaria dopo l'ingresso nell'Euro, totalmente alla BCE e, di conseguenza, agli umori e voleri della speculazione internazionale.
Un autentico colpo di stato messo in atto dalle istituzioni europee e dalle banche internazionali, con la complicità del governo dei tecnici, fatto passare sotto silenzio grazie alla disattenzione generale prodotta intanto dal ciclone mediatico sui diamanti e i lingotti della Lega Nord: ennesimo episodio di malapolitica che tuttavia non è assolutamente paragonabile per importanza e gravità a questo enorme strappo costituzionale.
Certamente non per attenuare le pesanti responsabilità leghiste, ieri sera a Ballarò il presidente di RCS Paolo Mieli si chiedeva retoricamente quali partiti siano oggi pronti a documentare il modo con cui hanno effettivamente speso in questi anni il finanziamento pubblico.
Quanti altri altarini potrebbero venir fuori??
Ma in questo quadro già assai fosco, si distinguono degli inguaribili ottimisti come la senatrice del PDL Ombretta Colli che non più tardi di lunedì sera, nella trasmissione L'Infedele condotta da Gad Lerner su La7, per difendere il governatore della Lombardia, il ciellino Roberto Formigoni, dai mille sospetti per le inchieste che vedono coinvolti i suoi più stretti collaboratori e per le vacanze coatte di cui è stato protagonista quest'estate sullo yacht del faccendiere Daccò, se ne è uscita leggiadramente con questa strepitosa battuta: "Alzi la mano chi non è mai stato in barca a fare una vacanza!"
Ha proprio ragione: in fondo si tratta solo di poche decine di milioni di Italiani!
Non è un autogol come si è affrettato a riprenderla Lerner, piuttosto è l'ennesimo calcio di rigore che la vecchia politica batte sistematicamente contro quelli che ritiene essere i suoi veri avversari: cioè gli elettori.
Infatti coloro che spediscono periodicamente, grazie al loro voto, i politici dentro il Palazzo soggiaciono da sempre ad una vecchia regola, ferrea ma crudele e paradossale: corteggiati allo spasimo in campagna elettorale vengono ignorati, peggio, sbeffeggiati a voti ormai accalappiati.
Solo che questa volta il gioco si è svolto sotto le luci di un talk show, in modo incautamente scoperto, non al tavolo riservato del ristorante nei pressi di Montecitorio, né al buio di un tunnel tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama o durante le segrete colazioni di lavoro dell'ABC del sottovuoto politico, o meglio della Contropolitica alias il formidabile trio Alfano, Bersani, Casini.
I quali, insieme alle loro sgangherate truppe, si stanno occupando in queste settimane concretamente solo di una cosa: demonizzare il movimento di Beppe Grillo che tutti i sondaggi indicano come futura terza forza politica alle prossime elezioni, con un consenso in forte crescita che già si aggira attorno all'8%, nonostante l'ostracismo che l'intero panorama mediatico gli riserva da sempre.
Infatti quando giornali e televisioni ne parlano è soltanto per mettere in atto una sistematica opera di delegittimazione e farlo passare di volta in volta per un delinquente, un terrorista, un imbonitore, un pericoloso sovversivo, un fascista, un demagogo.
Il massimo complimento è quando gli danno del populista, che in fondo è una parola meno brutta di quanto l'allegra brigata voglia far credere. 
La paura di dover rispondere un domani delle proprie azioni, magari perdendo di colpo gli agi di una vita dorata e vissuta al limite della provocazione sociale, li sta rendendo paranoici fino al punto di abbandonare qualsiasi cautela.
Così lo scaltro Massimo D'Alema, che ad onor del vero non ne ha mai azzeccata una, finisce per accostare il nome di Grillo a quello di Bossi e pure di Berlusconi e la sua formazione politica al berlusconismo.
Ma è un fatto che il Minimo Massimo del PD continui a mantenere con Berlusconi un rapporto schizofrenico: dalle stelle dei tempi della Bicamerale per disegnare con lui la nuova costituzione o dell'inciucio sulle reti televisive (Violante docet),  alle stalle delle accuse di affarismo, di impresentabilità politica dell'uomo di Arcore, a seconda che quest'ultimo gli abbia dato nel frattempo più o meno spago.
Ed ancora una volta,  nell'attacco a Beppe Grillo, D'Alema e Berlusconi finiscono per ritrovarsi sulla stessa barca, o meglio sullo stesso veliero...
Tuttavia, insultare Beppe Grillo senza mai rispondergli a tono, con l'esclusivo obiettivo di nascondere le proprie gravissime inadempienze e gli altrettanto indecenti privilegi, le tante malversazioni su cui la Casta ha prosperato, tentando maldestramente di equiparare le circostanziate denunce del leader genovese a quelle, pensate un po', del Gabibbo(!), significa ancora una volta non aver capito nulla di quello che sta succedendo nel Paese.
Ormai la Casta non ha più il polso della situazione e colpevolmente si rinchiude in un mondo virtuale sperando così, con la complicità di giornali ed emittenti dell'oligopolio televisivo, di esorcizzare le proprie paure allontanando lo spettro  del redde rationem.
Ma ancora una volta ha sbagliato i conti ed il precipitare della situazione economica, a cui concorrono proprio le politiche recessive del governo che sostiene, forse accelererà i tempi di un giudizio pubblico da tanti invocato.
E farà poca differenza se a votare si andrà ad ottobre  o pochi mesi più in là, nella primavera del 2013.
Quello che conta davvero è inchiodare gli autori di tale disastro morale prima ancora che finanziario ed economico  alle proprie gravissime responsabilità, costringendoli a tornare finalmente alla vita dei comuni mortali e condannandoli a restituire almeno una parte delle ricchezze pubbliche depredate nell'ultimo ventennio, a partire da Tangentopoli.
Oggi, nella ricorrenza del 25 aprile, è questo l'auspicio migliore che andrebbe rivolto agli Italiani, un impegno comune di lotta democratica ma senza quartiere alla contropolitica.
Altro che prendersela di nuovo, come ha fatto intendere oggi nel suo discorso commemorativo  il presidente Giorgio Napolitano, con la presunta antipolitica di Grillo e dei tanti Italiani che non ne possono più di pagare il conto di decenni di ruberie e di cattiva amministrazione!




domenica 25 marzo 2012

Vittime di licenziamenti facili? Niente paura, rivolgetevi al Quirinale: ci penserà papà Giorgio!

Italiani state calmi! Stop agli scioperi ed alle manifestazioni spontanee!
Vogliono abrogare di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introducendo la fattispecie capestro dei cosiddetti licenziamenti economici senza reintegro?
Non vi preoccupate, c'è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che veglia su di voi.
Infatti, venerdì scorso, il primo cittadino ha escluso che della manomissione del suddetto articolo possa scaturire una valanga di licenziamenti.
Questo presidente non finisce di stupirci.
Noi che lo conoscevamo così grigio e notarile da firmare senza battere ciglio le tante leggi ad personam sottopostegli continuamente dal governo di Silvio Berlusconi, negli ultimi mesi ha fatto sfoggio di inusuale intraprendenza, prima varando su due piedi un esecutivo a sua immagine e somiglianza, una sorta di gabinetto di guerra guidato dal bocconiano Mario Monti.
Poi costruendo un percorso di sicurezza dentro il quale  il professorone possa agire indisturbato mettendo mano alle sue riforme senza guardare in faccia a nessuno, meglio ancora se sono gli ultimi della classe.
E va bene che il governo tecnico ha dovuto innestare più volte la retromarcia quando si è imbattuto in notai, farmacisti, tassisti, banchieri.
Passi pure che la montagna della patrimoniale sulle rendite finanziarie ha partorito il topolino del misero bollo dell'1 per mille, pure con il tetto di 1'200 euro a doverosa tutela dei grandi patrimoni.
Ma quando si tratta di colpire lavoratori e pensionati con i licenziamenti facili e le pensioni divenute impossibili (per importo ed età di godimento), qui il presidente Giorgio Napolitano è irremovibile, pronto a scendere lui stesso in campo in soccorso del suo esecutivo.
Anche a costo di contraddire su fronti diversi ed in un colpo solo Susanna Camusso, leader della CGIL, e la Conferenza Episcopale. 
Così, tanto per ricordarci che è il presidente di tutti gli Italiani, ci rassicura dicendo che non crede che le modifiche all'articolo 18 causeranno grossi sconvolgimenti.
Il messaggio è chiaro: al primo licenziamento facile, rivolgiamoci senza esitazioni al Quirinale, dove ciascun Italiano troverà assistenza legale e, nelle more della definizione della vertenza giudiziaria, un piatto caldo ed un ottimo riparo.
E se poi il giudice decidesse, in ottemperanza alle nuove disposizioni, che il lavoratore licenziato debba ricevere soltanto un indennizzo, voi pensate che Papà Giorgio non si adopererà di persona, mettendoci almeno lo stesso zelo con cui appoggia le decisioni irrevocabili di Mario Monti e della Fornero, a farci trovare un altro posto di lavoro?
C'è qualche estremista in giro che davvero voglia mettere in dubbio le sue parole?

mercoledì 21 marzo 2012

La pastasciutta della Fornero è servita: arrivederci, articolo 18!

L'operazione dell'abrogazione di fatto dell'articolo 18 è l'obiettivo non dichiarato del governo di Mr. Monti sin dal suo insediamento, naturalmente insieme alla riforma delle pensioni che ha imposto ai lavoratori italiani le condizioni più severe d'Europa.
Dopo il flop di liberalizzazioni e semplificazioni  ampiamente prevedibile poiché serviva soltanto ad alzare una cortina fumogena sulla vera strategia dei tecnici di far pagare la crisi ai soliti noti, lavoratori e pensionati, ecco che il governo Monti sta tentando il colpaccio con una operazione tutta politica e di chiara intimidazione sociale.
La portata di una riforma del mercato del lavoro che sostituisce per il dipendente il reintegro nel posto di lavoro con un modesto indennizzo economico (che ammonterà soltanto dalle 15 alle 27 mensilità)  infatti avrà, come si è più volte detto, uno scarso impatto quanto a cifre in gioco (con oltre 7 milioni di occupati  in aziende private con personale sopra le15 unità, soltanto 300-500 vertenze si aprono all'anno invocando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori).
La posta in gioco è squisitamente politica e dagli effetti socialmente pesanti: in questo modo nessun lavoratore, pur con un contratto a tempo indeterminato, è più garantito di poter restare anche un solo giorno in più sul proprio posto di lavoro.
Basterà che egli faccia uno sciopero di troppo o che, come rappresentante sindacale o responsabile della sicurezza, pretenda il rispetto delle norme previste dai contratti o dal Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e il suo destino sarà segnato: con un semplice inesistente addebito disciplinare sarà possibile cacciarlo via senza tanti complimenti.
Perché secondo quei geni del governo tecnico, l'imprenditore che voglia licenziare qualcuno lo potrà fare senza nessuna difficoltà, basta che abbia la semplice accortezza di non esplicitare il suo retropensiero, cioè i motivi discriminatori alla base del suo provvedimento.
Ad esempio, come titolare di un'impresa di 20 dipendenti potrei puntare a candidarmi alle prossime elezioni amministrative, chiedendo paternalisticamente il voto ai miei dipendenti e alle loro famiglie.
Se qualcuno si rifiutasse di farlo o, peggio, a spoglio avvenuto, mi rendessi conto che molti di loro non mi hanno dato retta, potrei, diciamo così, vendicarmi, procedere al licenziamento individuale delle sospette teste calde, contestando inesistenti addebiti disciplinari.
E anche se il giudice dovesse dar loro ragione me la caverei con un risarcimento minimo ma la soddisfazione, in tempi duri come questi, di averli trascinati, con tutta la famiglia, in mezzo ad una strada.
Una mostruosità giuridica che in un colpo solo fa strame di buona parte del diritto del lavoro e della nostra stessa Costituzione.
E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anche in questa occasione interpretando in modo completamente improprio il suo ruolo di arbitro, è intervenuto a gamba tesa mentre era ancora in corso il confronto del governo con le parti sociali dichiarando che le misure finora prese "sono dure ma ineludibili" imponendo di fatto a CGIL e Partito Democratico di inghiottire il rospo dei licenziamenti facili.
Ci si chiede se sia costituzionalmente corretto, dopo aver messo già in piedi un esecutivo che risponde soltanto a lui, che il primo cittadino della repubblica possa scendere nella battaglia politica in modo tanto pervasivo: errare è umano ma perseverare...
Infine la Fornero, pardon il ministro Fornero, quello delle lacrime di coccodrillo versate appena dopo aver annunciato a milioni di pensionati indigenti il mancato adeguamento all'inflazione dei loro miseri vitalizi, ha mostrato in queste settimane tutto il suo disprezzo per i lavoratori italiani con una serie di uscite astiose  che ne denunciano i limiti culturali e l'inadeguatezza caratteriale.
Oggettivamente un ministro del lavoro, in tempi così tragici per tanti italiani, non si può permettere di dire a un gruppo di giovani precarie, in occasione dell'8 marzo, che "l'Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l'anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro».
Né, a margine di uno degli incontri con i sindacati, affermare che "È chiaro che se uno comincia a dire no, perché noi dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire voi diteci di sì. No, non si fa così".
Adesso ci aspettiamo da quello che resta del Partito Democratico una netta dissociazione dall'accelerazione impressa dalla premiata ditta Monti&Fornero&Passera all'abrogazione dell'articolo 18: il Paese (non solo la sinistra) si attende, a questo punto, un colpo di reni.
Ma già il nipotino di Gianni Letta, vicesegretario del PD, recentemente sorto agli onori della cronaca parlamentare per il pizzino fatto recapitare al banco del governo, si affretta a dire che il suo partito comunque voterà la riforma.
E' chiaro che, ostaggio di Napolitano e dei centristi, il Partito Democratico si sta giocando in queste ore la sua residua credibilità, proprio mentre sta scoprendo di essere caduto in una trappola mortale, se non  nel farlo nascere,  nel continuare ad appoggiare il governo Monti, quello che sta togliendo ai poveri per dare ancora di più ai ricchi.
Ma se crolla il Pd insieme alle sue contraddizioni, anche la strada del governo dei bocconiani paradossalmente è segnata.
E c'è qualcuno ad Arcore che già si sta sfregando le mani.

sabato 31 dicembre 2011

Previsioni del tempo: le parole ristoratrici del Colle per il 2012

Questa sera alle 20,30 gli Italiani, dopo aver armeggiato inutilmente con i suoi tasti, realizzeranno subito che non è il telecomando ad aver esaurito la batteria, è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad entrare nelle loro case, a reti unificate.
Si consumerà così il tradizionale rito del discorso di fine anno secondo la più consolidata delle liturgie televisive.
Una sorta di appendice alla Costituzione materiale del Belpaese.
Con lo studiolo quirinalizio ormai divenuto ai più familiare: la scrivania presidenziale in primo piano, la tappezzeria con gli stucchi dorati, il tricolore in compagnia dello stendardo blu stellato dell'Europa, la preziosa pendola che batte impassibile i rintocchi.
Il presidente inizierà il suo discorso facendo il bilancio del 2011, probabilmente partendo dalla coda, da quello che è successo nelle ultime settimane di fuoco sui mercati e nella politica di casa nostra.
Ci dirà che i sacrifici vanno fatti senza esitazioni, che gli Italiani si distinguono soprattutto nei momenti di difficoltà e di emergenza, che proprio in questi frangenti dimostrano quantità industriali di solidarietà e compattezza, come testimoniano i 150 anni appena trascorsi e celebrati.
E poi, l'esaltazione del genio italico, fino ad appellarsi al superiore stellone che tutti ci protegge, insieme con il rispetto e l'ammirazione che in ogni angolo del pianeta lui stesso ha potuto costatare per gli Italiani e per i tre colori.
La stessa accoglienza entusiastica che circonda i nostri soldati mandati in Afganistan a portare la democrazia, in Libano a portare la pace, fino alla fraterna amicizia con il popolo libico che i bombardamenti con gli Alleati di quest'anno non hanno minimamente scalfito.
E poi l'irrinunciabilità dell'euro e il patto tra generazioni che impone agli anziani di sacrificarsi ancora per lasciare spazio, il più tardi possibile, ai giovani (si auspica prima che questi ultimi abbiano compiuto cinquant'anni!).
L'importanza del nostro patrimonio culturale e storico (pur in malora) che tutti ci invidiano; un particolare pensiero ai terremotati d'Abruzzo (che chissà per quanti anni ancora vedranno le loro macerie coperte dall'oblìo ministeriale) e a quanti soffrono nel fisico e nello spirito perché non riescono a coniugare il pranzo con la cena, vivendo nella più totale incertezza del domani.
Il presidente Napolitano non dimenticherà nessuno né si risparmierà di lanciare i suoi proverbiali moniti alla Casta affinché nel 2012 si dia una regolata, auspicando insieme alla sobrietà (in omaggio a Mario Monti) un clima più sereno e coeso tra le forze politiche, che già annusa, per mettere in cantiere le tanto amate riforme istituzionali.
Sarà un discorso che, ne siamo certi, metterà tutti d'accordo e che ognuno tirerà, come sempre, dalla propria parte.
Il Pdl con Cicchitto si entusiasmerà per le parole di apprezzamento che il presidente ha rivolto all'incessante e salvifica opera svolta dal precedente governo Berlusconi, legittimandone il ruolo di padre della Patria.
Bersani in persona magnificherà l'appello del Colle all'equità sociale e il ristoratore "bagno di realtà" che tutto il Pd farà volentieri dopo la sbornia berlusconiana (per la seconda volta in due giorni, dopo la conferenza stampa del premier) nelle sue luminose parole che da cotanta sommità si irradiano sopra il paese.
E nonostante gli aumenti di benzina, luce, gas, autostrade e il crescendo bocconiano di tasse e balzelli di ogni fatta, padani e peninsulari potranno finalmente sedersi a tavola tirando uniti un sospiro di sollievo.
Buon 2012!

giovedì 11 marzo 2010

Quanto tempo ci metterà Napolitano a firmare il legittimo impedimento?

Che Giorgio Napolitano promulgherà la legge sul legittimo impedimento, dati i precedenti, è praticamente una certezza.
Che la legge sia incostituzionale, anche questo è di tutta evidenza.
Che il Colle non sia più in grado di fronteggiare la formidabile sfida berlusconiana se ne hanno ultimamente continue conferme.
L'unico dubbio che resta è sapere in quanto tempo il Capo dello Stato promulgherà l'ennesima legge vergogna.
Sarà una firma lampo, come ai tempi del lodo Alfano, o per il Cavaliere ci sarà da aspettare?
Il fatto che di ciò sui media non si parli per niente, fa temere il peggio.
Dietro le quinte, l'imperativo categorico è quello di distogliere l'opinione pubblica dal piccolo particolare che anche questa volta l'ultima parola, destino beffardo, spetta di nuovo al Quirinale.
Ma è vietato illudersi!

martedì 9 marzo 2010

E l'ex presidente Ciampi prese le distanze da Napolitano

Che la firma di Giorgio Napolitano sul famigerato decreto interpretativo sottopostogli da Berlusconi sia stato un gesto perlomeno avventato è un fatto ormai assodato.
L’ennesima conferma autorevole è infatti venuta dal TAR del Lazio che ha bocciato la sospensiva chiesta dal PDL per consentire la riammissione della propria lista, presentata largamente fuori tempo massimo.
La motivazione addotta dai giudici amministrativi non lascia adito a dubbi: il Governo non poteva intervenire su di una materia, la legge elettorale regionale, di competenza della regione; inoltre, nel verbale dei carabinieri presenti nell'ufficio elettorale della corte di appello di Roma è scritto che alle ore 12 erano presenti solo 4 delegati di lista e che tra questi non risultava il delegato della parte ricorrente. Discorso chiuso.
Oggi, Repubblica.it riporta la dichiarazione rilasciata al suo vicedirettore Massimo Giannini dall’ex presidente Ciampi, a cui nel titolo si fa dire: "E' il massacro delle istituzioni / ora proteggiamo il Quirinale".
Apparentemente sembrerebbe una presa di posizione di Carlo Azeglio Ciampi a difesa del suo successore.
Ma come sempre più spesso capita al quotidiano di piazza Indipendenza, il titolo è fuorviante.
Basta leggere un breve stralcio dell’articolo per rendersene conto.
Al dubbio avanzato dal giornalista se Napolitano potesse non autorizzare la presentazione del decreto legge del governo, così l'ex Capo dello Stato risponde:
"Non mi piace mai giudicare per periodi ipotetici dell'irrealtà. Allo stesso tempo, trovo sbagliato dire adesso "io avrei fatto, io avrei detto...". Ognuno decide secondo le proprie sensibilità e secondo le necessità dettate dal momento. Napolitano ha deciso così. Ora, quel che è fatto è fatto. Lo ripeto: a questo punto è stata imboccata una strada, e speriamo solo che ci porti a un risultato positivo...".
E circa le critiche che scrosciano dalla rete contro il Colle fino al possibile impeachment prospettato da Antonio Di Pietro? Ciampi sbotta:
"Ma che senso ha, adesso, sparare sul quartier generale? Al punto in cui siamo, è nell'interesse di tutti non alimentare la polemica sul Quirinale, e semmai adoperarsi per proteggere ancora di più la massima istituzione del Paese...".

Traduzione: ormai quel che è fatto è fatto, è inutile piangere sul latte versato.
Ma le parole di Ciampi, che evidentemente non ha nessuna intenzione di aprire una querelle con il suo successore, si decifrano piuttosto facilmente: lui non avrebbe firmato; ma dal momento che Napolitano lo ha fatto, è inutile se non controproducente rinfacciarglielo.
La vogliamo chiamare una autorevolissima presa di distanze?
Se non è una sconfessione questa… poco ci manca!

sabato 6 marzo 2010

Fuori dalla Costituzione del 1948

Che stessimo vacillando follemente sull’orlo del baratro lo sapevamo da tempo. Che, di fronte alla straordinaria pericolosità della sfida berlusconiana, non potessimo contare sugli uomini giusti, dentro le istituzioni ma anche nei partiti di opposizione, pure con questo, negli anni, avevamo dovuto fare i conti.
Ma che al Quirinale fosse capitata la persona sbagliata al momento sbagliato, non tutti purtroppo, ancor oggi, in pieno day after, mostrano di accorgersi.
A cominciare dal Partito democratico e dal giornale che, ormai da tempo ne ha sposato, di più, ne ha formulato, la linea politica: la Repubblica.
Che in questi anni, sotto gli auspici del suo fondatore, ha condotto la più inutile e sterile battaglia politica contro Silvio Berlusconi, esempio lampante di come sia sempre sbagliato ingaggiare un confronto di natura squisitamente politica su un piano puramente soggettivo, privo di mordente ideologico ma basato esclusivamente su rilievi personali.
E’ così potuto succedere che, dalle sue colonne, è stato aspramente criticato l’uomo politico Berlusconi (vi ricordate l’inutile tormentone estivo delle dieci insulse domande scabrose del caso Noemi?) ma si è lasciato campo libero, rendendolo indenne da qualsiasi seria critica e riflessione, al berlusconismo, il letale virus pandemico della società italiana, in grado di farla collassare in pochi anni con la farneticante e violenta politica del fare che ha fatto strame della legalità, cioè delle regole e dei principi di uno stato democratico.
Con un pericoloso corollario: si è esaltata la figura del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, soltanto perché di area Pd, quale custode illuminato della sovranità costituzionale, nonostante i gravissimi errori che ne hanno funestato sistematicamente il mandato, a cominciare dalla promulgazione fatta, nel luglio 2008, a tempo di record del lodo Alfano, primo solenne attentato alla nostra Carta.
Errore a suo tempo denunciato clamorosamente, prima ancora che fosse compiuto, da decine di insigni costituzionalisti e, poi, sancito inoppugnabilmente dalla bocciatura della Corte Costituzionale nell’ottobre scorso, nonostante le continue intimidazioni a cui venne sottoposta in quei giorni.
Già ce l’immaginiamo l’editoriale di Eugenio Scalfari di domani, il quale sicuramente si esibirà in una serie di arzigogoli verbali pur di negare l’ennesimo svarione del Presidente della Repubblica per aver controfirmato un decreto interpretativo della legge elettorale ad uso e consumo del partito del premier, mentre la questione della riammissione della sua lista alle prossime Regionali resta ancora sub judice.
Atto che ci pone evidentemente fuori dal solco democratico: si cambiano le regole del gioco mentre la partita elettorale è già in corso e la squadra del premier si è già fatta un clamoroso autogol.
Pare già di leggere come la penna più tronfia di Piazza Indipendenza difenderà domani Napolitano:
"Ringraziare dobbiamo il rigore morale e l’austera fermezza del Capo dello Stato che, solitario al tavolo di lavoro, si attardava fino a notte inoltrata, dopo una giornata di impietosa resistenza alle cupe mire del Cavaliere, per arginare la sua debordante furia demolitrice e, con abile e superbo piglio, pari solo alla sua forza d’animo ed al suo amore sconfinato verso la nostra carta fondamentale, sola stella polare del suo firmamento, poneva fine alle inusitate onde telluriche che attentavano all’integrità dell’edificio costituzionale, apponendo tosto la firma in calce al decreto invocato dalla canaglia, così evitando l’abisso e risparmiandoci più dolorose e perigliose giornate…".
Fatto sta che, ampollosità e bizantinismi a parte e vuote dissertazioni che volentieri lasciamo ai soloni ed ai politologi à la page, nella giornata di venerdì 5 marzo 2010, siamo usciti dall’alveo della democrazia costituzionale, per addentraci nelle spesse, imperscrutabili nebbie di un ignoto far west.

martedì 19 gennaio 2010

Anche il Colle interviene alle celebrazioni craxiane

Che pure il presidente della Repubblica si sia unito allo scandaloso coro di voci che tentano di riabilitare Bettino Craxi facendolo passare per padre della patria, martire della giustizia italiana, costretto all’esilio da magistrati spietati, è davvero troppo.
Perché stiamo parlando di un condannato in forma definitiva per reati sicuramente infamanti per chiunque, a maggior ragione per chi ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio per quasi quattro anni.
Pertanto il discorso che Giorgio Napolitano fa nella lettera inviata alla vedova del leader socialista, suona stonato e appare oggettivamente quanto mai inopportuno e, quel che è peggio, ambiguo.

Ma non si è sempre detto che il Presidente della Repubblica deve avere un ruolo super partes e che deve rappresentare l’intera comunità nazionale?
In che modo Giorgio Napolitano rappresenta tutti gli Italiani se scende in campo su un tema tanto controverso con un intervento politicamente deprecabile, cogliendo simbolicamente proprio la ricorrenza del decennale craxiano, per esternare valutazioni di cui, se è libero interprete come privato cittadino, dovrebbe marcare la distanza come inquilino del Quirinale?
Che parli in questa occasione come Presidente della Repubblica tende addirittura a sottolinearlo, qualora non ce ne fossimo accorti:

"Per la funzione che esercito al vertice dello Stato, mi pongo, cara Signora, dal solo punto di vista dell'interesse delle istituzioni repubblicane, che suggerisce di cogliere anche l'occasione di una ricorrenza carica - oltre che di dolorose memorie personali - di diversi e controversi significati storici, per favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano.E' stato parte di quel cammino l'esplodere della crisi del sistema dei partiti che aveva retto fino ai primi anni '90 lo svolgimento della dialettica politica e di governo nel quadro della Costituzione. E ne è stato parte il susseguirsi, in un drammatico biennio, di indagini giudiziarie e di processi, che condussero, tra l'altro, all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale dell'on. Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fino all'epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall'Italia, dell'ex Presidente del Consiglio, dopo che egli decise di lasciare il paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti."

E gli Italiani che sono stati taglieggiati dalla politica di Craxi e degli altri protagonisti di Tangentopoli e che si ritrovano ancor oggi un debito pubblico enorme, a cagione del quale sono ormai vent’anni (dalla famosa finanziaria dei 100.000 miliardi di Amato del 1992), che tirano la cinghia aspettando un’alba che non arriva mai, chi li rappresenta? Non certo Giorgio Napolitano.

Pessimo anche il richiamo che egli fa all’inchiesta condotta dal pool di Milano, facendo passare Bettino Craxi come il capro espiatorio di una macchina giudiziaria accecata che avrebbe persino violato il principio del diritto ad un processo equo e che si sarebbe accanita con lui con "una durezza senza eguali".

“Ma era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla Procura di Milano e da altre. E dall'insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto tempestivamente un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, nè una conseguente svolta rinnovatrice sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò, sempre di più, spazio, sostegno mediatico e consenso l'azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia. L'on. Craxi, dimessosi da segretario del PSI, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l'esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona. Nè si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo - nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi - ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea."

L’agiografo Eugenio Scalfari che non manca un’occasione per santificare il presidente Napolitano anche in questo ennesimo brutto incidente di percorso, cerca con un suo tronfio arzigogolo verbale di giustificare questa lettera imprudente, tutta improntata a descrivere gli aspetti positivi del leader socialista e che quasi ignora le malefatte di Tangentopoli, richiamando la "pietas".
Non si rende conto che in tal modo, parlando di un atto assunto dal Capo dello Stato, rasenta addirittura il ridicolo.
"La lettera è ampia e si può dividere in due parti: la prima si occupa della politica di Craxi nei tre anni di presidenza del Consiglio; la seconda, assai più sommaria, della fase che è stata battezzata "Tangentopoli". La diversa attenzione dedicata ai due argomenti è pienamente comprensibile: si voleva in questa lettera commemorare e privilegiare gli aspetti positivi e soltanto sfiorarne quelli negativi che però non potevano esser taciuti. Anche questo criterio adottato dal nostro Presidente è pienamente accettabile; fa parte di una "pietas" che non è soltanto una privata virtù ma un elemento costitutivo d'una democrazia dove convivono valutazioni diverse e talvolta non condivise né condivisibili, sulle quali la "pietas" soffonde una virtuosa tolleranza."
Queste ultime pompose parole di Scalfari riescono al massimo a suscitare ilarità e ci fanno capire a che punto di degrado morale è giunta la nostra classe dirigente.
Nessuna meraviglia per gli ex lettori di Repubblica se il suo fondatore, dopo aver cercato di arrampicarsi sugli specchi sostenendo che la pietas pubblica non è l’oblio, così concluda l’arringa a difesa dell’inquilino del Colle:
"Detto questo, si proceda pure alla toponomastica nei Comuni che nella loro libera capacità di decidere vogliano intestare a Craxi piazze e giardini."
Stiamo parlando di un pregiudicato latitante, un satrapo della politica che, tanto per dirne una, spendeva appena 100 milioni al mese per finanziare l’emittente televisiva della sua amica a cui faceva fra l’altro mille altri regali importanti.
Quanto al presidente Napolitano, dopo le mille deludenti sortite, attendiamo serenamente la scadenza del suo mandato.

domenica 3 gennaio 2010

Il nuovo triangolo di Tartaglia

Dall’episodio di Piazza Duomo del 13 dicembre al discorso di Capodanno del Capo dello Stato ne è veramente passata tanta di acqua sotto i ponti.

Innanzitutto, abbiamo visto la nascita del Partito dell’Amore, ultimo riuscito brand del Pdl. Così i Gasparri, i Cicchitto, i La Russa, sono d’improvviso seguaci di un’organizzazione politica che nata come partito-azienda, è diventata grazie al gesto insano dello psicolabile di Milano, una setta religiosa che predica la pace, la povertà (altrui), la tolleranza, l’amore verso il prossimo…
Che poi additi in Parlamento come propri nemici i Santoro, i Di Pietro, quel "terrorista mediatico" di Marco Travaglio è semplicemente un dettaglio, anzi una malevola allusione alle parole amorevoli, addirittura appassionate, pronunciate dall’ex piduista Fabrizio Cicchitto che intendeva, con quel felice discorso, semplicemente denunciare il clima d’odio messo su dall’opposizione a cui voleva, nonostante tutto, tendere una mano e invitare alla riflessione quanti ancora si ostinano a non riconoscere la statura (istituzionale) del premier.
Così ci tocca assistere da oltre venti giorni ad una rassegna della politica italiana intrisa di buoni sentimenti, di parole d’ordine come apertura al dialogo, toni smorzati, clima più sereno, avvio di un percorso condiviso di riforme.
La ciliegina sulla torta è stata la lettera di auguri natalizi inviata al Papa per il tramite del cardinale Tarcisio Bertone dal fervente cattolico Silvio Berlusconi che, in un passo, così lo rassicura:
"Posso confermare che i valori cristiani testimoniati dal Pontefice sono sempre presenti nell’azione del Governo da me presieduto, che adotterà tutte le misure necessarie per garantire la serenità e la pace sociale."

Che cosa pretendere di più?
Siamo governati non solo da un grande imprenditore, vittima incolpevole dell’odio comunista, ma anche da un uomo timorato di Dio, che osserva con scrupolo missionario i dieci comandamenti, per giunta benefattore degli Italiani.
Il resto, come direbbero all'unisono Marcello Dell'Utri e l'Augusto Minzolini del TG1, sono tutte minchiate.
A questo punto, come non sfruttare questa fortunata congiunzione astrale, per fare le riforme istituzionali?
Quando mai ritroveremo nella Storia un tal Uomo che possa accompagnare per mano l’umbratile Italia?
Intanto, cogliendo l’occasione di un Parlamento ancora in vacanza, si riabilita un Padre della Patria: l’esule Bettino Craxi da Hammamet.
Sì, proprio lui, stiamo parlando del filosofo della nuova Città del Sole: Tangentopoli.
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, in procinto di intitolargli una via o un parco, ne vuole celebrare in pompa magna la memoria: nel frattempo, lo equipara giustamente a Giordano Bruno e a Giuseppe Garibaldi.
Più pacatamente, come è ormai uso lessicale dei Democratici dopo il contributo decisivo della segreteria di Walter Veltroni, Piero Fassino ne esalta la figura di piccolo Davide che osò sfidare i due Golia politici, Democrazia cristiana e Partito comunista:
"Non ci sono dubbi. Craxi è stato un politico della sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi, ha intuito prima di altri quanto l’Italia avesse bisogno di una modernizzazione economica ed istituzionale, su questo sfidò due grandi forze come la Dc e il Pci ed avvertendo il rischio di non farcela, non sfuggì alla tentazione di un alleanza con i poteri forti, come la P2 di Gelli, terreno sul quale è maturata la degenerazione e la corruzione".
Un ragionamento, il suo, frutto di una analisi politica acutissima: nessuna sorpresa se, alle celebrazioni per il decennale della scomparsa del Nuovo Eroe, lo dovessimo vedere sfilare a fianco del Venerabile mentre si autoflagella ai piedi del mausoleo di Hammamet.
Ma il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, non commenta.
Sono ormai oltre due mesi che, preso troppo sul serio l’invito del presidente Napolitano ad abbassare i toni, ha persino azzerato il volume: tace.
Qualcuno vede nel suo immobilismo l’aplomb tipico di un amministratore di condominio; e continuando così ancora per qualche giorno, mentre in Puglia e Lazio il partito si dilania nel non scegliere i candidati alle prossime Regionali, ne diventerà a pieno titolo il commissario liquidatore.
Infine, Massimo D’Alema, grazie al suo proverbiale fiuto che ne fa da sempre il politico italiano più intelligente e perdente, spinge i suoi a cercare ad ogni costo l’accordo per le riforme con il grande costituzionalista Silvio Berlusconi, ricevendo l’assenso a reti unificate del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Che, tuttavia, nel messaggio di fine anno si è dimenticato di fare ammenda dell'errore compiuto nel luglio 2008 per aver promulgato su due piedi il palesemente incostituzionale lodo Alfano, poi cassato senza mezzi termini dalla Suprema Corte nello scorso ottobre.
Ma a questo punto siamo tutti sollevati di morale.
Perché agli albori del 2010, forse proprio a causa dell'esecrabile gesto di Massimo Tartaglia, il folle teppista del Duomo, si respira un clima diverso tra il presidente Giorgio Napolitano, il premier Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani (alias Massimo D'Alema).
Che si stia disegnando un nuovo triangolo nel firmamento finora plumbeo della politica italiana?

lunedì 12 ottobre 2009

Sempre più giù verso l'abisso

La settimana della sonora bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale si è conclusa nel peggiore dei modi.
Dopo gli attacchi contro tutto e tutti di Silvio Berlusconi, che ancora non riesce a smaltire la rabbia per aver perso l’immunità processuale, si profila una stagione politica gravida di pericoli.
Ormai il premier, abbassata la maschera che finora ne celava agli ingenui le reali intenzioni, è pronto a regolare una serie di conti che teneva evidentemente in sospeso.
Quirinale, Corte Costituzionale, Magistratura, Parlamento, stampa nazionale ed estera: nessuno dei poteri di una moderna democrazia viene risparmiato dalle sue ire.
Al Presidente Napolitano, a dispetto della sua eccessiva arrendevolezza al momento della promulgazione lampo della legge sull’immunità delle Alte cariche, Berlusconi, per il tramite del fido Vittorio Feltri dalle colonne de Il Giornale, gli rinfaccia di non aver saputo interagire con i giudici della Consulta, benché, è questa una indiscrezione dirompente, il testo di legge fosse stato scritto a quattro mani con i consulenti giuridici del Colle.
Se ciò venisse confermato, si dimostrerebbe come, nel tentativo di assecondare il soverchiante attivismo istituzionale del premier, Napolitano avrebbe travalicato il suo ruolo, finendo per uscire dal solco tracciato dalla nostra Costituzione.
E’ per questo che il Quirinale si è affrettato oggi a smentire seccamente tale ricostruzione che getta una luce inquietante sull’operato del Capo dello Stato, mettendone a rischio il suo ruolo super partes: una vera bomba mediatica, quella fatta deflagrare dal giornale della famiglia Berlusconi!
Inoltre, contro il potere giudiziario, sono già sulla rampa di lancio due siluri: la separazione delle carriere dei magistrati e il ripristino dell’immunità parlamentare.
A dimostrazione che il Cavaliere, nonostante i sondaggi sfavorevoli, messo alle strette se ne infischia ampiamente della pubblica opinione, già stressata per le sue intemperanze pubbliche e private.
Ormai il profluvio di invettive contro il singolo funzionario pubblico che incroci la sua strada, fosse solo per puro e semplice dovere d’ufficio, è tale che nessuna istituzione è in grado di sopportarne il peso.
Perché sono le istituzioni stesse ad essere sotto tiro.
E’ così che il Presidente della Repubblica, nonostante abbia mostrato sin troppo zelo nell’evitare ogni attrito con Berlusconi, viene comunque da questi accusato di slealtà.
Ma perché prendersela tanto per la bocciatura del lodo?
Allora avevano ragione quanti sostenevano che era l’ennesima legge ad personam per il Cavaliere!
Con la sua incontenibile ira, Berlusconi ha finito di nuovo per smentire se stesso.

Nessuna sorpresa nel constatare, però, che malgrado la bocciatura delle Corte, egli non ha la minima intenzione di dimettersi.
Irrita, piuttosto, che in queste ore la scalcinata opposizione del PD non abbia saputo dire altro, oltre esprimere una solidarietà rituale a Napolitano, che esortare Berlusconi ad andare avanti.
Dopo il poderoso aiuto sullo scudo fiscale, ecco nuovamente il PD pronto a tendergli la mano.
E la nomenklatura democratica ha pure la faccia tosta di chiedere alla sua base di andare a votare per le primarie!
Ma come, voi del PD non vi presentate in Parlamento a sfiduciare Berlusconi, adesso asserite pure che non deve dimettersi, e chiedete a noi cittadini di votarvi?
Possibile che non vi rendiate conto della distanza siderale che ormai vi separa dai vostri stessi elettori?

mercoledì 7 ottobre 2009

Per fortuna che la Corte c'è!

Alle 18,06 la Corte Costituzionale ha reso pubblico il suo verdetto: il lodo Alfano è illegittimo.
La legge voluta fortemente dal premier Silvio Berlusconi per garantire l'immunità processuale alle Alte cariche ed approvata in soli 25 giorni (un vero record!) nel luglio 2008, così proteggendosi dai giudizi pendenti a suo carico, e che ha visto la promulgazione lampo da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è INCOSTITUZIONALE.
L'illegittimità che pure uno studente di giurisprudenza alle prime armi avrebbe facilmente riconosciuto ma che almeno tre delle quattro Alte cariche (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato e Presidente del Consiglio) nonché l'autore, Angelino Alfano, ministro di Grazia e Giustizia, evidentemente IGNORAVANO, è stata dichiarata solennemente dalla Suprema Corte.
Il grave strappo alla nostra Carta fondamentale viene così rammendato da una sentenza storica della Corte, costretta a riunirsi e a decidere in un clima incandescente, sotto la palese minaccia del Ministro per le Riforme Istituzionali, Umberto Bossi, di mobilitare il popolo in caso di bocciatura della legge.
"Noi potremmo entrare in funzione trascinando il popolo. Il popolo ce lo abbiamo, sono i vecchi Galli'', ha dichiarato mentre i giudici costituzionali erano riuniti in camera di consiglio.
Che dire? Per fortuna che la Suprema Corte c'è!

domenica 4 ottobre 2009

Scudo fiscale: la Casta tutta sorregge Silvio Berlusconi

Il modo con cui gli ambienti del Quirinale si sono affrettati a giustificare l’immediata promulgazione del decreto legge che contiene le norme sullo scudo fiscale tradisce il grave imbarazzo di spiegare all’opinione pubblica il perché di un passaggio istituzionale così impopolare.
A fronte dei mille gravi rilievi di un provvedimento che, nonostante le migliori intenzioni, oggettivamente favorisce gli interessi della criminalità organizzata mentre fa a pugni con la nostra Costituzione, la risposta che discende dal Colle appare perlomeno insufficiente.
Basterebbe ascoltare l’intervista rilasciata dal magistrato Roberto Scarpinato, della DIA di Palermo, ai microfoni di RaiNews24, per farsene un’idea.
Sconcertano sia i cosiddetti motivi tecnici che avrebbero indotto il Capo dello Stato a non avere esitazioni nell’apporre la propria firma, sia l’argomentazione da questi espressa informalmente ad alcuni cittadini nel corso della visita di Stato in Basilicata, secondo cui, anche astenendosene in questa occasione, egli sarebbe stato comunque costretto a farlo successivamente, qualora le Camere avessero di nuovo licenziato lo stesso testo.
Ragionamento perlomeno bizzarro: è vero che il capo dello Stato non ha un diritto di veto sulle decisioni del Parlamento ma, per l’art. 74 della nostra Costituzione, "può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata".
Ritenere invece che, nel processo di formazione delle leggi, il Presidente della Repubblica sia solo un passacarte, questo sì è lesivo della sua dignità e delle sue prerogative.
Perciò, ha ancora una volta ragioni da vendere Antonio Di Pietro nel sostenere che, di fronte ad un provvedimento che sana comportamenti gravemente illeciti garantendo a coloro che se ne sono macchiati l’immunità e l’anonimato, Giorgio Napolitano avrebbe dovuto rinviare il testo di legge alle Camere, separando quindi la propria responsabilità formale da quella, politica, del Governo.
Così non è stato ma, in fondo, da questo presidente non ci si poteva attendere nulla di diverso. L’amara esperienza maturata dall’anno scorso con l’immediata promulgazione del lodo Alfano e, quest’anno, con il varo del pacchetto sicurezza, non lasciava adito a dubbi.
E’ convinzione da tempo maturata da alcuni osservatori che l’ex comunista Napolitano, nonostante il partito di Repubblica ne incensi quotidianamente l’opera, si collochi sul gradino più basso di un’ipotetica classifica degli inquilini del Quirinale. Il pur contestato Giovanni Leone, su cui si concentrarono a suo tempo sospetti e critiche anche ingenerose, fu almeno un fine giurista.

Ma, adesso, è tutta la Casta dei politici di Pdl, Lega, Udc e Pd ad essere messa sotto accusa.
La legge sullo scudo fiscale ha mostrato, inoppugnabilmente, l’assoluta inconsistenza dell’opposizione espressa dal Partito democratico: il decreto è passato con 270 sì contro 250 no.
Solo venti voti hanno, cioè, separato una maggioranza che sulla carta disponeva di ben altri numeri da una minoranza in cui si sono registrati addirittura 29 defezioni!
E non era una delle tante votazioni di commissione: il governo di centrodestra aveva posto la fiducia e, con l’eventuale bocciatura dello scudo fiscale, si sarebbe potuta sancire la fine dell’era berlusconiana e l’inizio di una stagione nuova per l’Italia.
Così non è stato, per colpa dei deputati di opposizione, 22 dei quali assenti tra le fila del Partito democratico.
Di fronte ad un passaggio istituzionale tanto delicato, che poteva rivelarsi storico, a nessuno doveva essere consentito di sottrarsi al solenne rito del voto; neppure per ordinari motivi di salute.
Infatti, l’unico motivo plausibile per cui chi rappresenta gli elettori può godere di una sin troppo sterminata serie di privilegi è forse proprio perché le sue sono specialissime funzioni, da esercitarsi anche in frangenti particolari.
E’ paradossale che mentre l’ineffabile ministro Brunetta escogita per i lavoratori italiani in malattia un istituto molto simile agli arresti domiciliari, i parlamentari si prendano il lusso di astenersi da una votazione importantissima, per la quale il Governo ha imposto persino il voto di fiducia, per motivi risibili: a causa di una banale febbriciattola o, peggio, per sottoporsi ad accertamenti clinici di routine o, peggio di peggio, per recarsi ad una conferenza.
Poche illusioni, è la Casta tutta a sorreggere il governo di Silvio Berlusconi.