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venerdì 18 gennaio 2013

L'inverno televisivo: ghiacci eterni, cabaret o aria fritta, a voi la scelta!

La campagna elettorale su radio e tv va avanti con il solito tormentone di Monti, Berlusconi e Bersani che fanno la staffetta da un talk show all'altro senza praticamente soluzione di continuità.
L'uno rinfaccia le responsabilità dell'abisso in cui siamo precipitati, l'altro gli risponde per le rime sbattendogli in faccia i numeri del disastro economico degli ultimi dodici mesi, l'altro ancora riempie il suo straripante accento emiliano di frasi spezzate, con cui attacca il secondo e sembra prendere  le distanze dal primo, benché finora lo abbia sempre sostenuto ed ancora insista nel proporgli un percorso comune per il dopo elezioni.
Insomma, tutti insieme appassionatamente,  a chiacchiere rinfacciandosene di tutti i colori, nei fatti senza dire un bel niente.
L'effetto complessivo di questo continuo teatrino è di disagio, avvilimento,  irritazione: per lo spettatore, finita la disillusione, resta solo il rifiuto.
Sequestrano da settimane radio e televisione, che nel frattempo attrezza uno spot tra il serio e il faceto per intimarci  di  pagare il canone, sgomitano per essere sempre lì, in favore di telecamera, per poi non dire una sola parola sul deserto economico che ci circonda, men che meno su come uscire dal baratro in cui ci dimeniamo quotidianamente, atteggiandosi ancora a medici di una patologia che proprio loro hanno causato.
Uno spettacolo deplorevole.
Mario Monti, parla come un libro (mal)stampato, rivolgendosi non si sa bene a chi né perché. Il suo discorso è spento, distaccato, inquietante. Preannuncia ghiacci eterni, ovvero sacrifici solo per i poveracci, il suo strabico rigore lacrime e sangue, senza battere ciglio; mentre ne parla, i suoi lineamenti sembrano paralizzati. Non si sa più quando sia dottor Jekyll o mister Hyde... ma è mai stato dottor Jekyll?
Berlusconi è ormai la maschera di se stesso. Con l'asfalto sulla testa e doppio strato di cerone che letteralmente si scioglie sotto i riflettori, è diventato personaggio da commedia dell'arte: neppure lui si prende più sul serio, è tornato alla sua prima identità di simpatica canaglia. Insomma è Berluscone, ennesima maschera italiana.
Pierluigi Bersani da Bettola è invece vittima del suo modo sconclusionato di parlare: non sa mai bene quello che dice, la sua specialità è l'aria fritta. Riesce a parlare per ore, persino litigando con la poltrona su cui siede, con espressione infastidita tendente al disgusto, su cui ogni tanto tracima un sorriso istrionico: il suo pezzo forte è recitare la parte dell'eterno incompreso. Impossibile resistergli... senza fare zapping.
Che qualcosa nella sua campagna di comunicazione non funzioni se ne è accorto  pure Massimo Giannini,  vicedirettore del quotidiano la Repubblica, da sempre schierato con il PD, che di fronte al vuoto pneumatico della proposta politica bersaniana, invoca il cosiddetto colpo d'ala:  non più dire qualcosa di sinistra, semplicemente dire qualcosa.
Le parole, nella sostanza durissime, sono scelte con grande cautela, come si fa con le persone amiche, eppure non lasciano adito a dubbi:

"[...]in tutte queste settimane se c'è stato un limite nella comunicazione politica di Bersani è stato proprio questo: sull'onda del vantaggio elettorale che i sondaggi gli attribuiscono, il segretario del PD è stato un passo indietro rispetto agli scontri molto aspri e alle polemiche in prima linea che nel frattempo si moltiplicavano tra Berlusconi e Monti [...] E' chiaro che man man che andiamo  avanti con i giorni e si avvicina la scadenza del 24-25 febbraio anche Bersani deve riempire di contenuti questa campagna elettorale. E' vero che lui non fa cabaret, ma chi si presenta e si candida alla guida del Paese deve mettere elementi concreti, deve richiamare soprattutto i suoi elettori ma anche gli elettori indecisi su contenuti molto concreti. Ecco, su questo forse Bersani deve fare uno sforzo in più, di qui alle prossime tre settimane, perché finora il Partito Democratico proprio sotto il profilo dei programmi, per esempio sulle materie che riguardano il lavoro, il fisco, la scuola, è stato un pochino ambiguo per non dire a tratti evanescente... Quindi spetta al segretario mettere carne al fuoco e dare finalmente l'impressione non soltanto all'establishment, alle cancellerie, ai mercati internazionali, ma prima di tutto all'opinione pubblica italiana che il centrosinistra si candida a governare questo paese e che ha idee molto chiare su come può e deve farlo [...] Insomma il colpo d'ala ci vuole e ancora il colpo d'ala da Bersani non lo abbiamo avuto".
 
E' un de profundis...
Proprio oggi, La Stampa di Torino misura il tempo di apparizione in tv dei tre principali competitor per la poltrona di premier. Secondo la ricerca del quotidiano, nel periodo 24 dicembre-14 gennaio, un periodo costellato di festività, Berlusconi ha totalizzato oltre 63 ore di presenza sul piccolo schermo. Il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, si è fermato poco sotto, a 62 ore. Mentre l'esposizione di Pier Luigi Bersani è stata quantificata in sole 28 ore, pur sempre un'enormità rispetto alle altre forze politiche, praticamente assenti dai palinsesti, in barba alla par condicio.
Ebbene, accanto all'inesauribile vecchietto, come il giornale torinese battezza scherzosamente il Berlusconi che imperversa per l'etere insieme al Professore, a presidiare lo spazio radiotelevisivo c'è Bersani, che in quasi trenta ore di permanenza davanti alle telecamere, a detta del giornale amico, è stato un pochino ambiguo, a tratti evanescente...
Com'è possibile che si riesca a stare sulla scena mediatica per tanto tempo in questo modo?
La domanda è volutamente retorica, visto lo stato di degrado del sistema dell'informazione radiotelevisiva in Italia, dove  i giornalisti, più che il loro mestiere, fanno da spalla al politico di turno, permettendogli di parlare a ruota libera.
Se Bersani critica giustamente Berlusconi, il cabarettista, come fa a non accorgersi che lui stesso mena sistematicamente il can per l'aia?
Dovrà pur convincersi che chi di cabaret ferisce, di aria fritta perisce...

domenica 30 dicembre 2012

PD alla deriva: se l'agenda Monti è l'agenda Bersani...

Insomma, dopo 13 mesi di cieco appiattimento sul governo dei tecnici e sulla sua politica di tasse e tagli alla spesa sociale da parte del segretario piddino Pierluigi Bersani all'irresistibile grido Ragasssi,  votiam tutto ma vogliam mantenere il diritto di critica... Ragasssi!, si scopre che il beniamino dei democratici, Mario Monti,  tale per aver, in fretta e furia e senza veramente capirci un'acca varato la riforma delle pensioni per il tramite della surreale ministra Elsa Fornero (tanto da provocare il mostruoso errore tecnico degli esodati), introdotto l'Imu sulla prima casa, nonché pianificato il licenziamento indiscriminato per tutti, scende in campo capeggiando, ancora non si sa bene come, una lista elettorale dove militeranno i vari Casini, Fini, Montezemolo, per giunta con l'investitura solenne del Vaticano, in aperta competizione proprio con il Partito Democratico.
Un colpo basso che metterebbe al tappeto chiunque.
Se poi ci mettiamo pure che scendono in lizza gli arancioni di De Magistris dentro al movimento del pm antimafia Antonio Ingroia Rivoluzione Civile, insieme a quel che resta dell'Italia dei Valori di Di Pietro, ai Verdi, ai comunisti ed al movimento civico che fa capo al sociologo Marco Revelli, per non parlare dell'incombente presenza in Parlamento del Movimento 5S di Beppe Grillo, si capisce immediatamente che gli spazi a sinistra e a destra del PD si restringono pericolosamente, tanto da preannunciare una clamorosa, assolutamente imprevista e per questo ancora più bruciante sconfitta elettorale prossima ventura.
Per l'oligarchia bersaniana un'autentica Waterloo. 
Roba da far rimpiangere la famigerata gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria ma anche, come chioserebbe l'impareggiabile Walter Veltroni, la vocazione maggioritaria del PD del 2008, quando il suo inimitabile acume politico portò alla più sonora sconfitta elettorale di tutti i tempi per la sinistra italiana.
Ma adesso Bersani potrebbe dimostrare che, anche contro il calcolo delle probabilità, peggio di Walter se po' ffà!
Che non si passino più notti tranquille al quartier generale di Largo del Nazzareno e che si stia cercando febbrilmente una via d'uscita dal vicolo cieco in cui il segretario ha ficcato a spron battuto l'invincible armada dei piddini, è cosa arcinota.
Ma il tradimento del premier uscente, dopo che Bersani in queste settimane si era spinto a dire che l'Agenda Monti andrebbe proseguita anche per la prossima legislatura, è veramente difficile da mandare giù.
Perché lo stesso stratega del segretario, il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, oggi deve riconoscere nel suo tradizionale sermone che l'agenda Monti e quella Bersani coincidono: "Tra l'agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d'ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l'agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l'attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti."
Ma a questo punto una domanda è d'obbligo.
Perché mai un potenziale simpatizzante del PD che, in questi lunghi mesi di passione, ha imparato proprio dal suo segretario Bersani ad apprezzare la guida gelida di Mario Monti, dovrebbe oggi votare la sua patacca di Bettola,  quando sulla scheda elettorale gli viene proposto l'originale old british style dell'ex preside della Bocconi?
Anche ripetendosi fino allo stremo non capisco ma mi adeguo, da ultimo dei mohicani in salsa emiliana, il malcapitato non riuscirà verosimilmente tra due mesi a inserire nell'urna elettorale la scheda griffata PD.
Ecco perché Bersani oggi affronta il Professore con un tono improvvisamente duro, del tutto imprevedibile soltanto fino alla vigilia di Natale:
"Non mi aspettavo uno scenario simile, non possiamo di nuovo affidarci a leader solitari. Monti deve dirci con chi sta, quali scelte intende fare, cosa pensa sui diritti civili. Non bastano un'agenda e un simbolo".
E criticando la discesa in campo di Monti al comando di una lista di centro, gli urla: "Questa cosa del centro nasce nel chiuso di una stanza...é una cosa che parte già vecchia, superata. Ricorda riti superati".
E, con un lapsus freudiano, sbotta: "vedo il rischio  che ci si affidi ancora a criteri che hanno già portato al fallimento".
Innanzitutto, il fallimento della strategia politica del PD.
Perché era impossibile pronosticare che il partito di centro sinistra, che da un anno a questa parte brilla di luce riflessa grazie all'incendio incontrollato nel PDL, e che la matematica prima che i sondaggi danno per favorito alla prossime Politiche del 2013, abbia senza indugio levato le ancore per dirigersi a vele spianate verso destra (rinnegando senza batter ciglio la propria più schietta anima popolare e  laburista), finendo poi per entrare in rotta di collisione proprio con la corazzata Monti di cui finora ha pattugliato il mare, assicurandone una tranquilla navigazione nonostante le acque tempestose.
Roba da autentici kamikaze!



giovedì 20 dicembre 2012

La gioiosa macchina da guerra di Bersani: l'occhetto d'oro è già suo!

Dopo la decisione di Mario Monti di scendere in campo capitanando una lista o un cartello di liste che in qualche modo, più o meno dichiaratamente, si rifaranno al suo nome, a Largo del Nazzareno, quartier generale del Pd, l'atmosfera si fa di ora in ora più pesante.
Pierluigi Bersani, dopo un anno di appassionati dibattiti su quant'è di sinistra il Mario ed aver messo la mano sul fuoco sull'agenda Monti anche per i prossimi cinque anni, si ritrova di punto in bianco a mangiare la polvere di una discesa in campo che proprio proprio non si aspettava.
Perché in Italia, solo lui non si era accorto di quanto politico fosse il sedicente governo tecnico, per giunta di quanto il suo baricentro fosse spostato a destra.
C'ha dovuto pensare lo stesso professorone a ricordarglielo ed a somministrargli per via parenterale la ferale notizia: una puntura che oltre ad essere risultata dolorosissima adesso sta diventando purulenta.
Aspettiamo ormai soltanto le reti unificate che lo facciano capire persino ai sassi.
Poverino, il trionfatore delle primarie del Pd, troppo impegnato a fare lo sgambetto a Renzi, non lo aveva ancora afferrato.
Ma adesso sa che, sfilatosi Monti e presumibilmente tutta l'ala renziana, sarà già tanto se l'irresistibile Pd, spostatosi inopinatamente a destra seguendo l'ombra del bocconiano grazie a quel genio del suo segretario, riuscirà a raggranellare alle prossime elezioni un misero 25%.
Però l'occhetto d'oro alla carriera, Pierluigi da Bettola se l'è ormai guadagnato ampiamente.
Onore al merito!

sabato 13 ottobre 2012

Per la scuola, il governo Monti decide la soluzione finale

Quand'anche ci fossero in circolazione ancora degli inguaribili ottimisti che continuassero a  nutrire piena fiducia nel premier Monti negando la natura classista, illiberale e antidemocratica del suo governo,  il varo da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge di stabilità che lunedì prossimo verrà presentato alla Camera per l'avvio dell'iter di approvazione dovrebbe avere finalmente scosso le loro granitiche certezze.
Infatti, molte delle misure in esso previste sono autentica macelleria sociale, di quella a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, benché il ministro Fabrizio Barca, giovedì sera nel salotto televisivo di Piazza Pulita, si sia affrettato a negarlo in termini perentori, ribadendo in più occasioni che si tratta di un semplice intervento di manutenzione di bilancio, non di una manovra finanziaria, dunque a saldo zero.
Purtroppo per lui, sono proprio le misure in questione che lo smentiscono; ne elenchiamo le principali:
  • l'aumento dell'IVA di un punto percentuale per le aliquote del 10 e del 21% (quest'ultima già aumentata dal settembre 2011) che passano quindi rispettivamente all'11 e al 22% dal 1° luglio 2013;
  • dal 1°/1/2013 il passaggio dell'aliquota IVA dal 4% al 10% per le prestazioni di assistenza ad anziani, disabili, tossicodipendenti, malati di Aids, handicappati e minori in condizioni di disagio e disadattamento (da luglio ulteriore ritocco all'11%);
  • l'abolizione della clausola di salvaguardia sul trattamento fiscale del TFR, con automatico sensibile incremento del prelievo fiscale sulle liquidazioni dei lavoratori dipendenti;
  • la stabilizzazione  delle accise (nel senso di renderle definitive) sui carburanti, che nel corso degli anni erano state inasprite "in via temporanea"; 
  • la riduzione delle detrazioni fiscali in forma addirittura retroattiva (cioè già per l'anno 2012, con effetti già a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi) in palese violazione dei princìpi dello Statuto del contribuente;
  • l'inasprimento delle misure fiscali per le imprese e per i contribuenti che possiedono redditi agrari o dominicali;
  • la riduzione di un punto dell'aliquota IRPEF sui primi due scaglioni di reddito (attuali 23 e 27%) che tuttavia vanno a beneficio dell'intera platea dei contribuenti (ad esempio, anche di coloro che guadagnano oltre 1 milione di euro all'anno), ad eccezione dei cosiddetti incapienti (cioè di coloro che sono così poveri, reddito annuo non superiore agli 8.000 euro, che già adesso usufruiscono della esenzione in quanto rientranti nella cosiddetta no tax area).
Il coprifuoco decretato poi con l'operazione cieli bui (sic!) con cui si si rinvia ad un successivo decreto la fissazione di "standard tecnici delle  fonti di illuminazione e misure di moderazione del loro utilizzo..."   è un'oliva fradicia nell'ennesimo calice amaro che l'esecutivo bocconiano ha preparato agli Italiani. Inutile dire che cosa possa significare per la sicurezza e l'ordine pubblico delle periferie degradate delle nostre città il loro generalizzato oscuramento per legge.
Eppure l'impareggiabile ministro Barca è riuscito di nuovo a sorprendere sostenendo, in modo serioso, che così finalmente noi tutti potremo apprezzare la bellezza del cielo stellato.

Ma c'è un'ultima,  più potente, polpetta avvelenata fattaci servire dai tecnici: 1 miliardo di euro di ulteriori tagli nella sanità, l'ultima puntata della sfortunata serie intitolata: Chi si ammala è perduto!  
E la nuova violenta sforbiciata sul bilancio della scuola.
Non sono bastati gli otto miliardi già tagliati con la legge 133/2008, la famigerata legge Gelmini, che ha ridotto l'istruzione pubblica alla fatiscenza, con tagli operati indiscriminatamente sugli indirizzi di studio e sui quadri orario e la forte riduzione per gli studenti del tempo-scuola e delle attività di laboratorio in aggiunta al depennamento-accorpamento di molteplici discipline di studio.
Neppure sono bastati vent'anni di tagli (è dalla Finanziaria da 100 miliardi di lire del 1992 di Giuliano Amato che si sta raschiando il fondo), i continui e snervanti interventi legislativi, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la cancellazione della indennità di vacanza contrattuale.
Adesso si impone agli insegnanti addirittura un incremento del 33% del tempo di lavoro a parità di retribuzione, da sempre tra le più misere d'Europa.
Il tutto allo scopo di mandare a casa, senza neanche avere il coraggio di dirglielo in faccia, almeno trentamila di loro mentre si mette in piedi l'ennesima messinscena di un maxiconcorso, ennesimo coniglio tirato fuori dal cilindro dopo le recentissime figuracce del concorso per dirigenti scolastici e di quello per l'accesso al tirocinio formativo, con le famigerate prove preselettive letteralmente disseminate di errori.
Per fortuna che si tratta del governo dei professori!
Ma questo ultimo assalto al bilancio della pubblica istruzione da parte del ministro Francesco Profumo è qualcosa di più: è un'autentica provocazione, un insulto ad una categoria di lavoratori che costituisce, se non altro per livello di studi, titoli professionali e vocazione educativa, un'infrastruttura strategica per il Paese: in una parola, il suo sistema operativo
Si preannuncia così un'ecatombe programmata di giovani talenti a cui si prospetta o un futuro di precarietà o l'esilio all'estero: altro che riconoscimento del merito o il tentativo di bloccare la fuga dei cervelli!

D'altronde, la soluzione finale concepita per la scuola, con il suo progressivo e accelerato decadimento, fa parte di un più ampio disegno  strategico del governo dei banchieri teso ad annientare la classe media  in quanto espressione dell'ossatura economica, del dinamismo, dell'intelligenza del Paese.
Dunque, da mettere a tacere perché ostacola l'attuazione su larga scala delle ricette tecnocratiche e ultraliberiste del governo Monti, di matrice atlantica, e ne denuncia da tempo l'estraneità, non semplicemente l'insofferenza, alle regole della democrazia.
E' un caso che uno dei principali sponsor di un paventato governo Monti bis è proprio l'attuale ad della Fiat Sergio Marchionne? Queste le sue parole di ieri : "Spero che Monti stia in carica per sempre." 
A proposito, in tempi di Primarie, l'inutilmente indaffarato PD si riserva semplicemente il diritto di criticare il governo Monti, come ripete pavidamente Bersani, o decide finalmente di staccargli la spina?
Su questo dilemma si gioca la sua residua credibilità, in vista delle elezioni di primavera.

lunedì 3 settembre 2012

Per la Casta il nemico pubblico n. 1 è Beppe Grillo

La campagna dei media contro Beppe Grillo è furiosa, forsennata, sta raggiungendo dei vertici di vera e propria caccia all'uomo, per il momento solo mediatica; ma ormai si è superato il limite dell'istigazione a delinquere.
Lo denuncia lo stesso leader del MoVimento 5 Stelle sul suo blog ma è una constatazione così lampante che ci riesce difficile capire come mai tutti facciano finta di non accorgersene. 
Di fronte al fallimento politico e tecnico del governo Monti, con risultati economici dei primi nove mesi di governo bocconiano letteralmente disastrosi, con tutti gli indicatori economici in profondo rosso (tonalità che paradossalmente sarebbe la sola traccia di sinistra rinvenibile nell'azione di un esecutivo che ha saputo tagliare solo la spesa sociale e imporre tasse a pensionati e lavoratori, a cui la riforma dell'articolo 18 ha precarizzato pure quel poco di lavoro che resta), i giornali e le tv additano Beppe Grillo come il pericolo pubblico numero 1.
Beninteso, con l'incondizionato appoggio di alcuni intellettuali lib-lab, di Pierluigi Bersani e degli altri farisei democratici, aggrappati ai propri privilegi con le unghie, anche a costo di rinnegare le proprie origini, confermando così una storia personale disseminata di sistematiche ed inspiegabili virate a destra. 
Il perché di questa caccia all'uomo è presto detto. 

La carta stampata ce l'ha con lui perché si è fatto paladino dell'iniziativa di abolire il finanziamento pubblico all'editoria: così direttori di giornali e pennivendoli tremano nel vedersi venire a mancare la terra sotto i piedi.
Non riuscendo ad accusarlo di altro, benché redazioni intere siano sul piede di guerra per rivoltargli la vita privata come un calzino,  lo accusano di essere un demagogo o un  populista, a seconda dei momenti.
La Casta, poi, è stata addirittura smascherata da Grillo che ne denuncia da tempo, anche prima dell'intervento della magistratura, le mille nefandezze e la cronica corruzione e incompetenza, nonché un'arroganza  ed un'esibizione oltraggiosa del potere da repubblica delle banane.
L'ultima ciliegina sulla torta è quella del sindaco di un piccolo comune dell'avellinese che ha avviato contro un proprio vigile urbano un procedimento disciplinare per aver impedito alla vettura di un noto politico della prima repubblica di transitare con la scorta (ancora!) in zona pedonale, a conferma di un malcostume tanto generalizzato quanto difficile da estirpare in un paese che per molti versi resta feudale.
E' per questo che i tre dell'apocalisse, il trio Alfano-Bersani-Casini, gli vomitano addosso di tutto, spesso in modo pretestuoso e politicamente velleitario. 
La stessa accusa di Bersani che gli ha dato del fascista sarebbe becera e patetica se non fosse prima di tutto ridicola. Fra l'altro lanciata dal pulpito di chi ricevette circa  100'000 euro qualche anno fa dal patron dell'Ilva come contributo per la propria campagna elettorale.
Se la cosa fosse capitata a Grillo, i giornali lo avrebbero fatto nero!
Addirittura abbiamo ascoltato in questi giorni alla radio l'ex tesoriere della Cisl Giovanni Guerisoli che ha accusato esplicitamente Grillo di aver preteso, 13 anni fa (!), il cachet in nero per uno dei suoi spettacoli, per poi leggere l'immediata e secca smentita dall'attuale segretario generale Raffaele Bonanni che ha poi aggiunto: "Guerisoli deve aver perso un chip!".  Al punto che, per denigrare Grillo, è stato disposto ad autoaccusarsi falsamente di un reato fiscale.
Ma intanto i quotidiani in rete, in perfetto stile stalinista, avevano già emesso la sentenza di condanna nei suoi confronti, lasciandolo in pasto ad un florilegio di improperi sul web.
Non parliamo poi di Giorgio Napolitano, che alla vigilia dei ballottaggi nelle amministrative di primavera, dichiarò di non essersi accorto del successo del Movimento 5 Stelle, contravvenendo clamorosamente al suo ruolo super partes.
Quello stesso Napolitano che ora a tutti i costi pretende, in nome di una sua presunta intangibilità da novello Re Sole, che vadano distrutti i contenuti delle sue telefonate intercettate con Nicola Mancino, esponendo la Presidenza della Repubblica a pesanti rischi di condizionamento, come ha dimostrato il finto scoop di venerdì scorso del settimanale berlusconiano Panorama.

Insomma, il capro espiatorio del disastro economico e finanziario ma soprattuto politico e morale dell'Italia per la stragrande maggioranza dei media (ad eccezione, ad esempio, del Fatto Quotidiano che, guarda caso, non incassa un euro di finanziamento pubblico) è diventato Beppe Grillo.
Ma nessuno ne spiega chiaramente il motivo e dargli del demagogo, sondaggi alla mano, può alla fine rivelarsi un boomerang.
Ma ciò che la Casta non gli perdonerà mai è l'aver risvegliato le coscienze, aver sollecitato i cittadini a mobilitarsi, a scuotersi dal torpore per prendere in mano il proprio destino comune, a pensare con la propria testa, gettando alle ortiche le deleghe in bianco con cui politici e giornalisti ma, nel complesso, la classe dirigente, hanno potuto fare in questi decenni il bello e il cattivo tempo, senza mai doverne rispondere a nessuno.
Le poche volte in cui ciò è successo, è stato ad opera della magistratura che, non a caso, è  da tempo presa di mira dalla Casta: la trattativa Stato-mafia, la vicenda dell'Ilva di Taranto, sono soltanto gli ultimi episodi di una campagna più vasta di delegittimazione portata avanti su più piani, dalla politica all'economia, dall'ambito tecnico-giuridico a quello sindacale, persino a quello istituzionale.

Così, ancor prima di affacciarsi sulla scena parlamentare, il Movimento 5 Stelle si è guadagnato l'ostracismo della politica, dei giornali e delle televisioni che ne considerano addirittura eversivo il messaggio (lo è sicuramente per i propri fastosi privilegi!).
In altri tempi avrebbero accusato Beppe Grillo di eresia per poi farlo trascinare a Campo de' Fiori.
Dove c'è sempre qualcuno, male in arnese,  pronto a portare la sua fascina d'odio e di menzogna.
Probabilmente confidano in questo.

giovedì 16 agosto 2012

Incubo di Ferragosto: Veltroni prossimo presidente della Camera!

Si vocifera all'interno del Pd che già siano state spartite le principali poltrone della prossima legislatura, dando per certo già da adesso che sarà proprio il Pd il partito di maggioranza relativa.
Insomma, i principali azionisti del partito (i soliti D'Alema, Veltroni, Bindi, Franceschini,  Letta, ecc.), piuttosto che fare un passo indietro, finalmente ritirandosi a vita privata (dopo i gravi e irreparabili danni causati al Paese assieme agli omologhi del Pdl e dell'Udc), sarebbero di nuovo in pole position per accaparrarsi i posti di maggiore visibilità e prestigio.
Addirittura circolerebbe un papello, secondo la felice espressione del Foglio, tra i corridoi democratici in cui, oltre ad assicurare il pieno appoggio a Monti fino allo scadere dell'attuale legislatura e rilanciare la grosse koalition per i successivi cinque anni (l'ammucchiata 'Tutti dentro' Pd-Pdl-Udc), sarebbero state decise persino le principali cariche del nuovo esecutivo con i big del partito determinati a sfruttare fino in fondo  la loro rendita di posizione contro gli appetiti di vecchi e possibili nuovi rottamatori.
Ecco la lista degli incarichi:
Pierluigi Bersani:  a Palazzo Chigi come premier o Ministro dell'Economia
Walter Veltroni: Presidente della Camera
Massimo D'Alema: Ministro degli Esteri o Commissario Europeo
Rosy Bindi: Vicepresidente del Consiglio
Enrico Letta: Ministro allo Sviluppo Economico
Dario Franceschini: Segretario del Pd.

Un'organigramma da mettere i brividi, dove agli ex democristiani Fioroni e Carra verrebbero affidati importanti sottosegretariati per programmare in tempo la spartizione prossima ventura.
Insomma, per la nomenklatura del Pd la parola d'ordine è quella di contare sempre di più, tutto il contrario di chi spera che si siano rassegnati ad appendere la grisaglia al chiodo, dopo lo scasso degli ultimi vent'anni...
Pensate un po', i perdenti e nemici di sempre D'Alema e Veltroni, invece di lasciare, doverosamente e in punta di piedi, di fronte all'elettorato inferocito, starebbero contro ogni logica per raddoppiare.
Così, dopo l'abominio del governo Monti, ci ritroveremmo come terza carica dello Stato, Walter Se po' ffà, il kennediano de Roma, che speravamo finalmente avviato, dopo l'intervista all'attrice Stefania Sandrelli, a fare l'intrattenitore culturale...
Un incubo!

mercoledì 15 agosto 2012

La democrazia ai tempi della Casta

L'anno che si chiude con queste ferie d'agosto segna per molti versi un passaggio epocale.
Il 2011-2012 ci consegna, in fatti, il volto di una classe dirigente che, messe da parte tutte le ipocrisie e i convenevoli di facciata, usa la democrazia a fini privati, cioè come strumento di massa per affermare la propria supremazia sociale, infischiandosene al momento giusto delle regole, della legge, della stessa Costituzione.
La Casta aspira al potere non per accarezzare la propria idea, il proprio modello di società, e magari vederlo sviluppato e realizzato in concreto.
E' bene per gli elettori non farsi più soverchie illusioni! 
Una volta coagulato sulla base di poche parole d'ordine un consenso abbastanza vasto tra i cittadini tale da potersi considerare prevalente  (e su questo si concentrano tutti gli sforzi, anche facendo carte false o cercando di finanziare la propria campagna elettorale con aiuti esterni al prezzo di inquinare la propria asserita spinta ideale),  i politici di professione lo strumentalizzano  per poter improntare finalmente la propria esistenza al di sopra di ogni limite che non sia quello della propria esclusiva discrezionalità, sistematicamente violando le norme quando queste entrano in rotta di collisione con il proprio agire.
Perché, per questi personaggi, sono le norme che confliggono con i propri comportamenti, e non il contrario, come il buon senso suggerirebbe.
Ed ecco che al momento giusto non tollerano che la magistratura possa chiedere loro conto del proprio operato.
Per loro, infatti, l'obiettivo pressoché unico resta quello di essere eletti: a quel punto, la propria missione può dirsi conclusa.
Da questo momento in poi, si tratterà soltanto di esercitare le proprie prerogative, sia pure nelle forme concordate con gli altri fortunati eletti: ci si metterà d'accordo, non è un problema, quand'anche si finisse formalmente all'opposizione.
Una qualche forma di condivisione del potere comunque ci sarà, magari in forme meno appariscenti. 
Bellezza, questa è la partitocrazia!
Il discorso vale per i parlamentari nazionali,  ma, con necessarie attenuazioni, può essere esteso anche ai livelli amministrativi inferiori. Anche perché, all'interno dei partiti, c'è la necessità di avere, oltre ai classici portatori d'acqua, leader disponibili a coprire i diversi ruoli a seconda delle occasioni.
E' così che ad un parlamentare può essere chiesto il supremo sacrificio di candidarsi a sindaco, persino costringendolo a rinunciare all'attuale seggio, con la promessa di lauta ricompensa alla prima occasione buona.
La legge elettorale, il porcellum, ha poi portato all'esasperazione l'appartenenza di Casta: tra premio di maggioranza e liste bloccate dalle segreterie di partito, il legame tra politici e elettori si fa praticamente inesistente.
E non c'è programma o piattaforma politica che dir si voglia: nessun partito si sbilancia più su ciò che intende veramente fare a vittoria elettorale archiviata, la politica è quella delle mani libere.
In pasto agli elettori al massimo una dichiarazione d'intenti, come ha fatto il PD, dove si può leggere tutto e il suo contrario.
Così si spiega perché tra PD - PDL e UDC, cioè tra centrodestra - centrosinistra e centristi, non c'è differenza alcuna nella pratica politica.
Tutta la battaglia si concentra, in una campagna elettorale forsennata, sull'accesso, più o meno negoziato, alla stanza dei bottoni: ma una volta preso possesso della tastiera, si è padroni di digitarvi sopra la propria raggiunta immunità, in barba ad ogni regola.
Con due poteri dello Stato, Parlamento e Governo, ridotti così, la magistratura diventa automaticamente il nemico da abbattere, all'occorrenza ribaltando persino il tavolo dei principi della Costituzione grazie alla complicità dei media.
Ecco perché si può stare in Afganistan o in Iraq, in palese violazione dell'art. 11, senza problemi; così come si può bombardare la Libia, solo pochi mesi dopo aver firmato con tutti gli onori e crismi un trattato di non belligeranza.
Ma si può pure delegitimare l'indagine della magistratura sul biennio stragista del 1992-93, invocando inesistenti prerogative costituzionali; e al tempo stesso promulgare le leggi vergogna dell'epoca berlusconiana, tanto prima o poi vanno firmate...
Si può poi nominare un Governo con una maggioranza parlamentare trasversale che, in un sistema maggioritario bipolare, senza un passaggio elettorale, è sostanzialmente illegittimo; esecutivo che poi prende provvedimenti impopolari senza doverne neppure rispondere agli elettori, fungendo da curatore fallimentare del Paese, che in pochi mesi è stato ridotto, anche per effetto di queste misure, alla canna del gas.
Si possono annullare le ordinanze del giudice di Taranto per far riprendere la produzione dell'Ilva, infischiandosene del disastro ambientale e delle morti causate dall'impianto siderurgico fuorilegge, facendo finta di salvare posti di lavoro ma intanto condannando a morte quelli che forse implicitamente vengono considerati Italiani di serie B o C.
Eppure, prima dell'intervento della magistratura, nessuno si preoccupava di imporre all'Ilva il pieno rispetto della normativa ambientale; naturalmente, negli anni passati, l'Ilva provvedeva, piuttosto che gli impianti, a bonificare, beninteso legittimamente, gli amici-nemici Forza Italia e Pierluigi Bersani con cospicue elargizioni, sicuramente in virtù di reciproche affinità elettive.
E' forse un caso che Pierluigi Bersani e Angelino Alfano, si sono scagliati all'unisono contro la decisione del gip, chiedendo al governo di intervenire, in palese violazione della legge?
E' chiaro che la situazione politica del Paese è diventata insostenibile: che a presidiare quello che resta della nostra democrazia sia rimasta, sola e infangata, la magistratura, è  un fatto gravissimo.
E se i cittadini non riprendono in mano la sovranità e cacciano via mercanti e banchieri dalle Istituzioni, questo Paese non ha più futuro.
Ma bisogna fare in fretta, prima che la Casta abbia finito di svendere insieme ai gioielli di famiglia la nostra stessa dignità.

giovedì 19 luglio 2012

Via D'Amelio: vent'anni dopo

L'attacco frontale che il Presidente della Repubblica ha voluto portare alla Procura di Palermo per la vicenda delle telefonate intercorse tra lui e Nicola Mancino è la dimostrazione più  eclatante, se ancora ce ne fosse bisogno, di come la Casta, anche in uno dei momenti più difficili della storia d'Italia, non abbia alcuna intenzione di farsi giudicare, prima ancora che dalla magistratura, dai cittadini, assumendosi una buona volta il peso delle enormi responsabilità dell'attuale disastro morale-politico-sociale ed economico in cui versa il nostro Paese.
E' uno spettacolo avvilente che angustia ogni cittadino, anche quelli che meno attenzione pongono alle vicende politiche e che, quando pure vi gettano un occhio di traverso, subito se ne ritraggono disgustati.
E' sorprendente che il primo cittadino d'Italia, su una vicenda gravissima come la stagione delle stragi di mafia del 1992-93, a vent'anni di distanza da quei fatti sanguinosi che hanno gettato a livello internazionale un'ombra infamante di sospetto su tutti noi ed una seria ipoteca alla credibilità dellle nostre istituzioni, ponga in essere uno scontro durissimo proprio contro quei magistrati che, mettendo a repentaglio la propria stessa incolumità, si stanno dannando l'anima, nell'isolamento generale in cui sono stati confinati dai media di regime e dalla partitocrazia tutta, per recuperare la verità di una stagione maledetta e finalmente portare alla sbarra i mandanti e gli esecutori materiali di quella mattanza.
Il tutto, per distruggere il contenuto di recenti conversazioni telefoniche che Sua Eccellenza ha intrattenuto nei mesi scorsi con un privato cittadino indagato per falsa testimonianza ed intercettato da quegli stessi pm, Nicola Mancino (nel luglio del '92 ministro dell'Interno), che gli si era rivolto sia direttamente che per il tramite del suo consigliere giuridico, affinché intervenisse nell'inchiesta, in barba a elementari principi di correttezza  giuridica.
Volendo pure riconoscere le migliori intenzioni al Capo dello Stato nel delimitare le proprie prerogative costituzionali, è un dato di fatto che la sua condotta finisce per impattare pesantemente con una delicatissima inchiesta dagli esiti decisivi per l'essenza stessa della nostra democrazia: accertare finalmente le responsabilità e i fatti di quel drammatico biennio stragista.
Per tutti gli Italiani questa dovrebbe essere un'assoluta priorità, l'unico lavacro possibile per bonificare le nostre istituzioni e segnare un discrimine con un passato sconvolgente.
Ma non è così per il primo cittadino che subordina l'accertamento di quella tragica verità alla distruzione dei contenuti di quelle sue incaute telefonate con Mancino.
Ma cosa mai ci sarà in esse di tanto sconveniente da fargli preferire la loro immediata distruzione, con un inevitabile strascico di polemiche?
Fra l'altro rinforzando nei cittadini la generale sensazione che la politica è qualcosa di veramente abietto.
Le parole pronunciate da Antonio Di Pietro per esortare Giorgio Napolitano a desistere da questo scontro, tornando sui propri passi e divulgando spontaneamente quelle telefonate, non hanno nulla di indecente come il segretario del Pd Pierluigi Bersani sostiene, cronicamente a corto di argomenti, e volendo quasi assumere improvvidamente le vesti di garante di Napolitano: "Di Pietro sa benissimo, come sanno tutti, che a giudizio di tutti, compresi i magistrati il presidente Napolitano non ha nessuna ragione di difendere la sua persona". 
Ma come fa a dire questo, se non conosce il contenuto delle telefonate?
Indecente è che il segretario di quello che potrebbe diventare la prima forza politica italiana si acconci a una goffa difesa d'ufficio del presidente Napolitano, senza neanche rendersi conto (questo sì è molto grave!) che ponendo questa sgangherata tutela sul Presidente della Repubblica, contribuisce pure lui a metterlo in straordinaria difficoltà.
Bersani si mette a fare il Niccolò Ghedini della situazione, senza però averne né i titoli né le capacità, scimmiottando l'avvocato di Berlusconi con esiti disastrosi.
Insomma anche in questo campo, Pd e Pdl si comportano esattamente allo stesso modo: quando si tratta di difendere i compagni di cordata, usano gli stessi slogan, la stessa arroganza, lo stesso disprezzo per i cittadini.
Insomma, il richiamo della foresta, o meglio il richiamo di Casta, è più forte di tutto. Persino del buon senso.  Per loro il potere viene prima di tutto, è sopra la legge, e non si fa giudicare. Mai.
Neppure quando la loro credibilità è scesa sotto zero, neppure quando i loro comportamenti scavano un fosso incolmabile con gli elettori: basta fare un giro per la rete in queste ore per rendersene conto.
Neppure quando ricorre il ventesimo anniversario della strage di Via D'Amelio e si apprestano a commemorare, come niente fosse, il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: con la faccia contrita, continueranno a recitare il copione di sempre.
Incuranti di una liturgia ormai logora e vuota, invocheranno per l'ennesima volta giustizia, ma, dietro le quinte, fanno di tutto perché a ciò non si arrivi mai.

sabato 14 luglio 2012

Casa Letta

L'uomo del pizzino a Mario Monti, al secolo Enrico Letta, già nipote del luogotenente del Pdl, Gianni Letta, balzato agli onori della cronaca per le sue stravaganti analisi senza né capo né coda con cui, per conto del Pd, ha per settimane maltrattato l'intelligenza degli Italiani che il martedì sera, nel vuoto assoluto della programmazione Rai-Mediaset, si avventuravano disperati nel salotto televisivo di Ballarò, se ne è uscito con un'altra delle sue fulminanti battute.
In un'intervista al Corriere della Sera di oggi  testualmente dichiara: "preferisco che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo"
Parola del vicesegretario del Pd!
Delle due l'una: o Bersani lo manda casa per le vie brevi, invitandolo a cambiare immediatamente casacca, oppure (come succederà al 99,9%, da metterci la mano sul fuoco!) continuerà a fare finta di niente, pacatamente confermando ciò che va dicendo l'impertinente nipotino del fedele consigliere di Silvio Berlusconi.
Ma così facendo finisce, suo malgrado, per dare ragione a Beppe Grillo che da tempo immemorabile ripete che Pdl e Pd-l sono praticamente la stessa cosa.

PS: Nell'anniversario della presa della Bastiglia, leggere che un leader del centrosinistra inviti gli elettori, piuttosto che esortarli ad impegnarsi personalmente in politica (come molti di loro hanno iniziato a  fare, anche grazie al Movimento 5 Stelle), addirittura a votare per la destra berlusconiana, ci fa tornare in mente la regina Maria Antonietta che, di fronte alle proteste popolari dilaganti in mezza Francia per la mancanza di pane, non trovò di meglio che esclamare con spontaneità: "Che mangino brioches!".

venerdì 13 luglio 2012

Mario Monti è al capolinea ma Alfano-Bersani-Casini fanno finta di niente

Con lo spread ormai da giorni stabile sopra i 460 punti, una recessione durissima (si stima un -3% per il Pil  2012) e l'ennesimo declassamento comunicato dalle agenzie di rating (oggi è stata la volta di Moody's che valuta i titoli italiani due gradini sopra la spazzatura), il governo di Mario Monti è tecnicamente in default.
Le sue ricette ultraliberiste, la sua politica fiscale miope e ideologicamente antipopolare, l'aggressione portata avanti allo stato sociale senza salvare neppure i settori di spesa più qualificanti per garantire una prospettiva di crescita (come beni culturali, scuola, ricerca, sanità, giustizia), la mancanza di una illuminata politica industriale a favore della green economy, dell'innovazione tecnologica e per sanare il digital divide con gli altri paesi europei e, al contrario l'insistenza ossessiva su antiquati modelli di sviluppo economico basati sul binomio cemento-ferro delle inutili grandi opere pubbliche (è dovuto intervenire l'altro giorno il neo governatore di Bankitalia Ignazio Visco per ricordare a Monti che piuttosto sarebbe quanto mai necessario una politica di manutenzione e cura del territorio, fatta di piccoli preziosi interventi disseminati per tutta la penisola), hanno portato in soli nove mesi a questo esito drammatico.
Paradossalmente, questa politica economica suicida si poteva pure tollerare se, almeno, grazie alle sue entrature in Europa e nel mondo della finanza internazionale, la figura di Mario Monti avesse potuto almeno calmierare in qualche modo i mercati, riportando a più miti consigli non solo Angela Merkel ma le agenzie di rating.
Nemesi storica: proprio colui che era stato proiettato come salvatore della patria e dell'euro a Palazzo Chigi nel novembre scorso, più che per meriti propri  per disgrazie e colpe altrui (governo Berlusconi) sotto l'incalzare dei mercati in piena bufera, oggi che vola in America a rassicurarli, viene accolto ruvidamente da quegli stessi ambienti che solo pochi mesi fa lo incensavano.
Peggio, punito con un doppio gelido downgrade.
In fondo, a pensarci bene, per una volta il preside della Bocconi aveva colto nel segno quando qualche settimana fa si era lasciato sfuggire che i cosiddetti poteri forti avevano voltato le spalle al suo esecutivo.
Intanto, quello che resta dei cavalieri dell'Apocalisse, il trio Alfano-Bersani-Casini (con Bossi ormai messosi fuori gioco da solo), veri responsabili di questo tracollo finanziario-economico-politico-morale dell'Italia, che si erano affidati alle cure di Mario Monti per la loro stessa sopravvivenza politica, assistono impietriti a questa lenta e dolorosa agonia senza essere neppure in grado di abbozzare una qualche risposta alternativa, senza sapere veramente dove sbattere la testa: l'ennesima plateale conferma di incompetenza, cinismo, che segue al poco invidiabile primato di campioni di parassitismo.
Purtroppo viviamo un'estate difficilissima (peggio di quella del 2011) a cui, verosimilmente, seguirà un prolungato autunno-inverno,  con gli effetti devastanti della crisi economica che si riverberanno anche sul fronte politico istituzionale.
E che si protrarranno almeno fino alle prossime elezioni politiche, fissate per la primavera 2013.
Ma il Paese è in grado di resistere così a lungo?
E' da settimane che ce lo domandiamo mentre l'ineffabile Bersani alias Schettino, assieme ai suoi due bravi compagni di sventura, fissando la nave che incamera acqua, ripete inebetito: "Con Monti fino al 2013".

domenica 8 luglio 2012

Ancora e solo macelleria sociale dietro la spending review

La "spending review" di Mario Monti mostra tutta l'inadeguatezza del governo dei tecnocrati a gestire un passaggio così delicato per l'economia italiana.
Il decreto legge emanato a notte fonda dal consiglio dei ministri è molto al di sotto delle attese quanto a qualità dell'intervento: tra bisturi e mannaia, decisamente i tecnici hanno rinunciato al camice del chirurgo per quello più insanguinato del macellaio.
E' chiaro che ci si attendeva una sforbiciata dal lato della spesa ma, da una compagine tecnica con il rincalzo di gente come Giuliano Amato, l'economista Francesco Giavazzi e il commissario liquidatore Enrico Bondi, ci si sarebbe aspettati un lavoro se non altro fatto a regola d'arte.
E invece il quadro che ne emerge è quanto mai confuso e incoerente, con un affastellamento di provvedimenti che mirano, senza tanti giri di parole, a tagliare ancora una volta la spesa sociale in tre settori cruciali (sanità, giustizia e pubblica amministrazione), rinunciando in partenza a qualsiasi tentativo di riorganizzazione degli stessi, vero banco di prova per misurare le qualità manageriali dei professori.
Clamoroso è lo svarione nella sanità dove invece di procedere ad un recupero di efficienza nella gestione delle aziende sanitarie si opta per tagli lineari indiscriminati che penalizzano nella stessa misura sia le regioni più virtuose che quelle colpevolmente in grossa difficoltà finanziaria, con l'unico risultato di ridurre complessivamente 18'000 posti letto, ennesimo taglio ai livelli di prestazione ed assistenza ai cittadini.
Surreale il commento che ne ha fatto l'ex ministro Mario Baldassarri del Fli, ora presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, dai microfoni di RaiNews 24: per lui i piccoli ospedali vanno tutti chiusi, salvando solo i pronto soccorso; tutto il resto trasformato in posti letto residenziali per anziani.
Se questo è il modo di approcciare il problema della sanità, vero ineludibile nodo del contratto sociale, siamo a cavallo...
Ma quello che denota la matrice rigorosamente di destra di questo taglio della spesa è:
- non aver rinunciato, contro ogni buon senso, all'acquisto degli aerei militari da attacco F35 da 12 miliardi di euro che, particolare non trascurabile di questi tempi, comportano per giunta il drenaggio di immani risorse verso l'estero, inguaiando ancora di più la nostra già asfittica economia nazionale: una decisione contro gli Italiani ma anche contro l'Italia;
- non aver voluto neppure prendere in considerazione  il taglio delle pensioni d'oro (per intenderci quelle sopra i 5'000-6'000 euro netti mensili) che produrrebbe, secondo alcune stime, risparmi immediati per 2,5 miliardi per quelle pubbliche e circa 15 miliardi per quelle private.
E' una manovra, l'ennesima firmata da Mario Monti, così odiosamente di classe che pure il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, non l'ultimo dei bolscevichi, l'ha definita crudamente "macelleria sociale" .
Ed ha costretto il premier Monti ad una brusca reazione, perdendo di colpo tutta la sua decantata sobrietà, accusandolo oggi con queste parole di tenere lo spread alto (venerdì ha chiuso a 460 punti): "Dichiarazioni di questo tipo, come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito ma anche delle imprese, e quindi invito a non fare danno alle imprese".
Eh no, caro Monti, non  puoi addossare agli altri la responsabilità di una politica fallimentare perché gravemente recessiva (le previsioni danno al termine del 2012  per l'Italia un gravissimo ed isolato  -2% del Pil) e smaccatamente antipopolare.
Né puoi farti scudo dello spread che non scende per non pagare dazio di otto interminabili mesi durante i quali hai contribuito sistematicamente all'odierno disastro: se lo spread resta così alto è proprio a causa delle tue politiche di grande banchiere ma pessimo economista.
Eccone le tre principali ragioni:
1. i risultati estremamente deludenti raccolti in Europa nell'ultimo week end di giugno (al di là delle sparate dei due principali quotidiani nazionali che osannavano SuperMario, sfruttando in modo meschino il successo mediatico del bravo azzurro Mario Balotelli): il tuo scudo anti spread resta solo sulla carta e di buone intenzioni è lastricata la strada verso l'inferno;
2. una politica economica antiquata, prekeynesiana, che sta facendo letteralmente collassare l'economia nazionale;
3. una grave instabilità nella maggioranza politica che ormai sta facendo cuocere l'esecutivo a fuoco lento, con il Partito Democratico e il suo segretario Pierluigi Bersani che restano a sostenere inopinatamente il governo tecnico senza rendersi conto di stare così segando il ramo in cui sono appollaiati, con un elettorato ormai in libera uscita.
Anche il modo in cui il Pd ha bocciato la mozione di sfiducia al ministro Elsa Fornero è demenziale: basta sentire le parole disarmanti usate da Bersani in due dichiarazioni distinte a Sky TG24 per capire che l'unico servizio che politici simili possono ancora rendere al Paese è andarsene a casa il prima possibile.
Del resto Monti lo ha fatto intendere proprio nella dichiarazione di oggi che una delle ragioni dello spread alle stelle è di essere alla vigilia di una campagna elettorale che durerà un intero anno: "per quanto riguarda l'Italia c'è anche l'incertezza su quello che succederà nella politica italiana dopo le elezioni del 2013".
A questo punto, rinnoviamo la domanda già fatta inutilmente nelle scorse settimane:



lunedì 21 maggio 2012

Davide contro Golia: il Movimento 5 Stelle affonda la corazzata Pd

Tira un'aria nuova in Italia.
Malgrado le maledette bombe dei criminali eversori e i terremoti di madre natura, non c'è niente da fare per resistere a questo vento liberatore!
Il Paese vuole voltare pagina: quello fatto da gente in carne e ossa che lavora, che studia, che si danna l'anima per arrivare a fine mese. 
Non ne può più della vecchia politica fatta da tanti sepolcri imbiancati che si ergono a difensori della patria per poi continuare a fare i loro privatissimi comodi.
Che issano la bandiera del lavoro, della difesa dei diritti dei lavoratori, dei pensionati, della crescita economica (ultimo tormentone mediatico in ordine di tempo), della battaglia per i beni comuni, per poi non battere ciglio contro il malaffare, le discriminazioni sindacali, le pensioni al di sotto della sussistenza, le cartelle pazze, l'inquinamento assassino degli inceneritori, la gestione privata dell'acqua pubblica, le tante morti sul lavoro e per un lavoro che più non c'è; contro il dissesto idrogeologico, morale,  economico  e ambientale causato dagli appetiti formidali dei grandi potentati, delle mille cricche, delle infinite mafie del nostro Paese.
Che, sotto sotto, spingono per opere gigantesche e inutili come la Tav, che si raccomandano per ottenere l'ennesima rata dell'abrogato finanziamento pubblico ai partiti (solo 1.000 miliardi delle vecchie lire dal 2008 ad oggi!), che esaltano il modello Marchionne che ha portato in cassa integrazione persino gli impiegati di Mirafiori, che accettano che si stia in Afganistan ufficialmente a portare la democrazia mentre la stessa viene continuamente umiliata e offesa in Italia, che hanno accettato che il primo atto del governo Monti fosse la riforma previdenziale più severa d'Europa ma anche la più inutile per uscire dalla crisi in cui questi stessi personaggi ci hanno portato. 
E se tu gli fai notare che hanno cambiato le carte in tavola, rinnegando le battaglie civili che  pure avevano cavalcato per conquistare consenso politico, questi stessi personaggi ti danno del populista, dell'estremista, e anche di molto ma molto peggio.
L'ABC della vecchia politica, il trio Alfano-Casini-Bersani, non incanta più nessuno!
Lo sberleffo più sonoro i cittadini lo hanno rivolto proprio a Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico, un colosso politico senza testa, senza gambe, senza piedi, ma soprattutto senza anima: è bastato un soffio di libertà e l'entusiasmo di tanti ragazzi per farlo crollare miseramente.
Se al ballottaggio di Parma, il ragazzo del movimento di Beppe Grillo Pizzarotti riesce a surclassare il grigio uomo della nomenklatura bersaniana Bernazzoli, vuol dire proprio che un'altra politica è finalmente possibile. 
Ma anche a Genova e a Palermo, con Marco Doria e Leoluca Orlando, trionfano i candidati che il Pd non voleva.
Sì, forse è proprio l'alba di una nuovo inizio!

mercoledì 9 maggio 2012

Beppe Grillo fa boom ma Napolitano non se ne accorge...

Lo strabiliante risultato del Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo è tale che dal 7 maggio scorso si può senz'altro affermare che l'Italia è entrata nella III repubblica, con il terremoto elettorale che ha squassato la vecchia politica di Lega, Pdl, Pd e Udc.
Sì proprio loro, i quattro partiti dell'apocalisse, quelli che hanno fatto precipitare l'Italia, fino a pochi anni fa la quinta potenza economica mondiale, a terra di conquista per la finanza internazionale e le multinazionali in cerca di manodopera a basso costo: insomma quelli che ci hanno portato dalle stelle alle stalle.
Certo il Pd ha resistito in queste amministrative oltre le più rosee aspettative ma, ormai, è solo questione di settimane, impiccato com'è alle sue contraddizioni, ai suoi scandali e ad una politica scriteriata di sostegno al governo Monti, esecutivo formato da sbiaditi tecnocrati di centrodestra.
Bastava vedere in tv la faccia da cane bastonato del suo segretario, Pierluigi Bersani, che lunedì sera si sforzava di mostrare la propria soddisfazione per il risultato ottenuto, per rendersi conto che anche per il Partito Democratico il conto alla rovescia è iniziato.
Il risultato del Movimento 5 Stelle è veramente stratosferico perché oltre alla dimensione del successo diffuso in tutt'Italia, con punte eccezionali nel centro-nord (basti pensare che in una città come Parma, da anni feudo del centrodestra, il suo candidato ha sfiorato il 20%, andando per giunta al ballottaggio!), quello che più pesa è che esso sia stato conseguito in condizioni assolutamente impari rispetto alla corazzata elettorale messa in campo dalla Casta.
Infatti il movimento di Grillo:
  1. non ha avuto alcuna copertura mediatica: gran parte dei giornali e tutta la televisione dell'oligopolio Rai-Mediaset-Telecom lo hanno, nella migliore delle ipotesi, ignorato;
  2. è un movimento nato nella Rete e diffusosi solamente grazie alla Rete ed alla partecipazione attiva e disinteressata di comuni cittadini, stanchi di dover sottostare ad una partitocrazia, avida, corrotta e incompetente. Ma solo metà degli Italiani ha libero accesso ad Internet e solo una famiglia su tre ha la banda larga: il digital divide è impietoso, ma non è un caso che lo sia;
  3. è stato oggetto di una campagna mediatica di aggressione, di delegittimazione e di intimidazione orchestrata dalla Casta di inaudita portata;
  4. ha potuto raggiungere con il suo messaggio soltanto una piccola parte della popolazione italiana, perché il Palazzo ha fatto in modo che le fasce sociali più deboli ne venissero rigorosamente tenute lontano;
  5. ha una base di consenso costituita prevalentemente da giovani, con una notevole rappresentanza di venticinque-quarantenni, di livello d'istruzione molto elevato: si sprecano ingegneri, informatici, matematici, ricercatori, economisti, docenti, ecc; ma anche artigiani, impiegati, piccoli imprenditori, commercianti si riconoscono trasversalmente in tante delle sue iniziative;
  6. non ha ricevuto un solo euro di finanziamento pubblico, al contrario della Casta che resta in famelica attesa di una tranche di altri 100 milioni di euro per il luglio prossimo, sui quali ha già ricevuto cospicui anticipi da parte delle banche;
  7. il voto che riceve è assolutamente un voto d'opinione, libero e senza condizionamenti di sorta;
  8. garantisce per i propri sconosciuti candidati impegno civico, competenza, determinazione, difesa dei beni comuni, restando agli antipodi di cordate, convergenze parallele, conflitti di interesse, lobby e simili;
  9. si pone in contrapposizione frontale con la vecchia politica, i poteri occulti, i grandi potentati economici;
  10.  il suo fondatore Beppe Grillo non è il padre padrone del movimento che scende in campo per difendere le sue aziende (come qualcun altro di nostra vecchia conoscenza...): al contrario, fa il portatore d'acqua per dare visibilità  a quei cittadini che ne condividono le iniziative e che vogliano diventare protagonisti di questa rivoluzione popolare, democratica e soprattutto legalitaria, nel pieno rispetto della costituzione ma senza la mediazione dei partiti. 
In condizioni diverse, di democrazia materiale e non di repubblica delle banane, il risultato raggiunto sarebbe potuto essere assolutamente superiore, forse addirittura sfiorare il 30-35%.
E' per questo che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte allo sfascio partitocratico, commette una grave scorrettezza costituzionale quando ripetutamente si scaglia contro questo pacifico movimento di cittadini con tanta voglia di partecipazione civile e di autodeterminazione, prima accusandone arbitrariamente il leader di demagogia, poi ignorandone platealmente l'affermazione elettorale.
Ma il Capo dello Stato non dovrebbe rappresentare ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione l'unità nazionale e simboleggiare con la sua figura tutti gli Italiani??

domenica 6 maggio 2012

Il governo dei tecnici è alla frutta, i politici al dessert!

Che fine ingloriosa sta facendo il governo dei bocconiani, dei professori, dei tecnici!
Dopo la manovra classista del 5 dicembre scorso con cui ha fatto capire già al suo battesimo da che parte stava, togliendo di nuovo ai poveri per non far versare un centesimo in più ai ricchi, ha iniziato un 2012 a dir poco disastroso, varando provvedimenti di fasulle liberalizzazioni e semplificazioni,  strombazzate come in grado (chissà come!) di far crescere il Pil del 10%, manco fossimo la Cina!
Ma la realtà, anche se i media complici continuano a volerla dipingere diversamente, è veramente impietosa: la politica del banchiere Mr. Mario Monti è quanto di peggio si potesse immaginare nel novembre scorso per risollevarci.
Il perché è sotto gli occhi di tutti: ha un insopportabile impatto recessivo.
Dall'emergenza finanziaria ereditata dall'esecutivo di Silvio Berlusconi, i professoroni hanno così trascinato il Paese in una gravissima situazione economica, non riuscendo comunque ad abbassare in modo decisivo le tensioni sul mercato dei titoli di stato e del credito alle imprese.
Lo spread non crolla (venerdì ha chiuso a 385) ma il tessuto delle imprese italiane sì: complimenti!
Le obsolete ricette monetariste del trio Monti-Passera-Fornero falliscono ad una velocità impressionante mentre il disagio sociale  tocca vertici mai visti prima.
Di politica industriale e di politica a sostegno della domanda, neanche a parlarne.
Anzi, ci vogliono far credere che la crisi economica in corso sia una crisi dell'offerta mentre anche uno studente al primo anno di economia è in grado di riconoscerla come crisi di domanda: per cui gli stessi interventi ipotizzati sul mercato del lavoro non servono ad un emerito nulla, meno che mai nel breve periodo.
Nel lungo periodo (quando per Keynes siamo tutti morti...) i professoroni, che fanno evidentemente a pugni con la macroeconomia, avranno finito di smantellare il tessuto di piccole e medie aziende che da sempre rappresenta la spina dorsale del Pil italiano per fare del nostro paese un far west per le multinazionali.
In altre parole la seconda economia manifatturiera d'Europa sotto la loro guida rischia di scivolare a livello di quelle dei paesi in via di sviluppo.
Una autentica e colossale bestemmia!
Anche il famoso sondaggio on line con cui la Presidenza del Consiglio chiede agli Italiani di avanzare suggerimenti per la lotta agli sprechi nella spesa pubblica, per non parlare dell'incredibile nomina di una nuova terna di maxiesperti, Enrico Bondi, Giuliano Amato (proprio un outsider...!) e Francesco Giavazzi, dimostra ogni giorno di più il vuoto di idee, di cultura amministrativa, politica e industriale, proprio dei tanto osannati tecnici.
Qualche giorno fa è passato su Rai 5, il film documentario "In me non c'è che futuro" sulla vita di un grande intellettuale e manager italiano: Adriano Olivetti.
Al cospetto delle sue intuizioni, delle sue mille realizzazioni sul piano economico, sociale, industriale, urbanistico, architettonico, editoriale, delle profonde innovazioni che egli seppe apportare nel campo delle relazioni industriali, gente come Monti, Passera, Fornero, Marchionne spariscono, più piccoli dei lillipuziani.
Quindi  nessun salto di qualità rispetto al governo di nani e ballerine capitanato da Silvio Berlusconi.
Ma intanto, di fronte alla catastrofe incombente, cosa fa la politica?
Il tripartito PD-PDL-UDC sta a guardare indifferente, tanto che gli elettori hanno perso la speranza che la soluzione ai problemi italiani passi per questa classe di politici che, quando non dediti al vizio, sono specialisti nell'ignavia.
Ormai in qualunque occasione pubblica si presentano, vengono sistematicamente accolti da bordate di fischi: epica la figuraccia di Pierluigi Bersani il 1° maggio nella commemorazione della strage di Portella della Ginestra.
Ormai sono politici indoor, animali da talk show televisivo.
Ma sorte migliore non viene riservata ai suoi compagni di ventura Angiolino Alfano e Pierferdinando Casini; quest'ultimo ci tiene a precisare pubblicamente di andare a trovare regolarmente Totò Cuffaro in carcere, costringendo un esponente del PDL in commissione antimafia, Raffaele Lauro, a rivolgergli contro una dura reprimenda: «Casini, come persona e come cristiano, ha il diritto di rivendicare il suo dovere morale di visitare Cuffaro in carcere. Come leader politico, farebbe bene ad essere più attento e riservato, affinchè un dovere morale non diventi, di fatto, al di là delle buone intenzioni, e di fronte all'opinione pubblica, una sconfessione della strategia di guerra alla mafia ed un avallo ad acquiescenze, a collusioni e a connivenze di qualsiasi genere con la criminalità organizzata».
E Bersani che ad ogni piè sospinto attacca Beppe Grillo accusandolo di qualsiasi nefandezza non ha nulla da eccepire al degno alleato Casini.
La cosa che veramente lascia senza fiato è l'assoluta insipienza e la totale mancanza di una sia pur minima deontologia professionale di questi personaggi che pure paghiamo profumatamente a botte di 15.000 euro netti al mese, fringe benefits esclusi, non si sa per fare cosa.
Sentite che cosa riesce a dire l'onorevole Pierluigi Bersani di Beppe Grillo: "Basta con questi populismi che fan finta di partire da sinistra e poi come sempre nella Storia d'Italia ti spuntano a destra!"
E l'altrettanto onorevole suo compagno di partito, già segretario del PD, Dario Franceschini: ''Quando si vota si sceglie sempre la persona a cui affidare il destino della propria comunita' del proprio Paese. Io vorrei che qualcuno, tentato dal movimento 'Cinque stelle', provasse a immaginare Grillo al posto di Monti a guidare il Paese, ad andare al G20 a discutere con Hollande, con Obama o con la Merkel''.
Ma ci rendiamo conto, di fronte alla situazione d'emergenza in cui l'Italia versa per opera di una Casta di parassiti incompetenti (quella che ad esempio ci ha fatto entrare dieci anni fa nell'Euro ad occhi chiusi senza alcuna precauzione come quella di negoziare con i paesi economicamente più forti le regole equilibrate e condivise di una politica monetaria comune), quale pochezza intellettuale essi ostentano, che razza di argomentazioni d'accatto riescono a formulare contro le circostanziate denunce di Beppe Grillo e dei suoi ragazzi?
Di una cosa siamo certi: che la sempre troppo importunata massaia di Voghera  sarebbe in grado al loro posto di dire qualcosa di più sensato e di elevarsi almeno di una spanna dai discorsi terra terra, infarciti di luoghi comuni, di Franceschini e Bersani. Il quale non vede l'ora di appropriarsi questa sera della vittoria di François Hollande alle presidenziali francesi.
Ma ci vuole proprio una bella faccia tosta!  

lunedì 16 aprile 2012

Si profila un diluvio elettorale per spazzare via l'ABC della vecchia politica

Ormai la Casta ha perso completamente la testa.
Immobile da mesi a sostenere il governo dei banchieri guidato da Mr. Monti, in preda a scandali che ne hanno azzerato qualsiasi credibilità (ormai una maggioranza che defineremmo iperbulgara, oltre il 90 % degli Italiani, non si fida più degli attuali partiti!), incapace di una qualsiasi iniziativa di autoriforma (i famosi tagli della politica restano ancora nel libro dei sogni), sa che il suo destino è segnato, è solo questione di mesi, forse di settimane.
L'inguardabile ammucchiata Alfano-Bersani-Casini, ovvero l'ABC della mediocrità, dell'arroganza e dell'incompetenza all'ennesima potenza, è pure alla spasmodica ricerca di soldi pubblici, essendo oberata di debiti malgrado abbia ricevuto  dai contribuenti italiani, per giunta contro l'esito referendario del 1993, una montagna di soldi: 503 milioni di euro solo per le politiche del 2008. Tradotto in vecchie lire: 1.000 miliardi!
Il Partito Democratico che ha incassato 200 milioni di euro dal 2008 presenta un buco di 43 milioni, come ha rivelato a Il Fatto Quotidiano il suo tesoriere, Antonio Misiani e aspetta con la bava alla bocca la rata di luglio per poter respirare. Stesso dramma per il Pdl, a dimostrazione che la partitocrazia è soltanto una spaventosa macchina mangiasoldi.
E di qualsiasi questione si accinga ad occuparsi, c'è più di un sospetto che lo faccia eslusivamente per bassissimi interessi di bottega.
A questo punto, quale fiducia si possa avere nei confronti di questi figuri quando intasano le serate televisive per difendere a spada tratta le scelte più imbarazzanti del famigerato governo dei tecnici, dalla costruzione della inutile TAV al sistematico smantellamento dello stato sociale, è presto detto: zero spaccato.
Se la politica è quella portata avanti da personaggi come Alfano (alias Berlusconi), Bersani e Casini, che hanno chiuso gli occhi di fronte alle mille ruberie perpretate negli ultimi vent'anni dalle loro consorterie e che ci consegnano un paese alla bancarotta, senza farsi neppure un esame di coscienza e chiedere scusa pubblicamente prima di ritirarsi definitivamente a vita privata,  allora ben venga mille volte, un milione di volte, la tanto esorcizzata antipolitica.
Poiché il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è dato in queste settimane in forte ascesa da tutti i sondaggi, con un dato nazionale ben sopra il 7%, il panico si è impossessato della nomenklatura, fino al punto da renderla protagonista di esternazioni come queste:
"Abbiamo in giro molti apprendisti stregoni che sollevano un vento cattivo" oppure "Beppe Grillo è un fenomeno di populismo che non ha le caratteristiche per offrire una prospettiva al nostro paese. Considero il populismo un nemico. Quando sono crollati la democrazia e i partiti negli anni '30, il populismo ha fatto nascere un'avventura drammatica. I regimi reazionari sono stati alimentati dalle culture populistiche. Il nostro problema è ricostruire la democrazia, la credibilità delle forme organizzate per fare politica".
Chi delira così? Facile, è Pierluigi Bersani, segretario Pd,che non si sogna neppure un momento di pensare che forse la democrazia in Italia è già crollata, altrimenti l'ammucchiata ABC non potrebbe stare lì da 5 mesi a girarsi a guardare da un'altra parte mentre il suo governo tecnico fa macelleria sociale su larga scala e sparge sale sull'economia italiana, condannandola a diventare nel breve volgere di qualche anno il far west  delle multinazionali.
Ma ha bene in mente che il ciclone Grillo spazzerà via le termiti che hanno divorato, insieme alle Istituzioni, il futuro di milioni di Italiani:  "Se c'è qualcuno che pensa di stare al riparo dall'antipolitica si sbaglia alla grande. Se non la contrastiamo, spazza via tutti".
Una volta tanto anche lui ha ragione: sono in tanti a sperare in un diluvio elettorale che spazzi via la vecchia politica e i suoi ormai non più tollerabili privilegi, fatti pagare pure dal governo dei professori sempre alle solite categorie sociali.

domenica 11 marzo 2012

I 100 giorni del governo Monti: un grande avvenire dietro le spalle

Il governo degli pseudotecnici, quello che toglie ai poveri pur di non disturbare i ricchi, è arrivato al traguardo dei primi 100 giorni e già molti si interrogano su che cosa ne sarà in futuro, magari dopo le elezioni del 2013. 
Prima di guardare in avanti varrà forse la pena di girarsi indietro per capire che cosa ha combinato finora.
Sicuramente è riuscito a togliere parecchie castagne dal fuoco a Silvio Berlusconi che, tra una manovra di mezza estate, la lettera della BCE, gli scandali privati, le varie inchieste giudiziarie sulle mille e una cricca, gli attacchi finanziari ai suoi gioielli di famiglia, era giunto alla fine di ottobre in completo stallo e in grosso debito di credibilità internazionale, nel pieno di una tempesta finanziaria che aveva portato il rendimento dei titoli di stato italiani oltre la soglia psicologica del 7%, ad un passo del default con il famigerato spread sui bund tedeschi decennali stabilmente sopra i 500 punti.
Soprattutto è stato capace di varare una manovra lacrime e sangue che rappresenta il fiore all'occhiello per una destra tecnocratica e filoeuropea: in Europa nessun altro governo è riuscito a fare di più, tanto che l'Italia può oggi vantare (si fa per dire!) le regole previdenziali più severe del vecchio continente e gli stipendi tra i più bassi (al 23°posto tra 30 paesi OCSE).
Dopo questa partenza bruciante, trascorse le vacanze di fine anno, la guida del governo è stata assai più incerta e contraddittoria: sia la manovra delle liberalizzazioni che il decreto sulle semplificazioni, strombazzati come passaggi epocali, si sono rivelati ben poca cosa, confermando l'assoluta inadeguatezza dell'esecutivo guidato da Mario Monti non solo di proporre una necessaria redistribuzione del reddito, condizione necessaria per riavviare il motore dello sviluppo, ma semplicemente di modulare gli ulteriori sacrifici imposti ai cittadini in proporzione alla loro condizione economica.
Niente da fare, pagano sempre i soliti noti, lavoratori e pensionati, mentre pure le categorie che a chiacchiere erano state prese di mira come tassisti, notai, liberi professionisti, farmacisti, hanno potuto tirare il proverbiale respiro di sollievo.
Di imposta patrimoniale non è rimasta quasi traccia: la nuova Ici, cioè l'Imu, colpisce tutti, con un vero e proprio shock per i piccoli proprietari e le imprese agricole.
La cosiddetta minipatrimoniale sulle attività finanziarie è poi una autentica beffa: non il quotidiano dei bolscevichi, ma Il Sole 24 ore qualche giorno fa ha titolato che la stangata non è per tutti ma nel 2012 risparmia proprio i grandi patrimoni, dato che il bollo dell'1 per mille prevede un tetto di 1.200 euro. Con una imbarazzante curiosità:  a beneficiarne saranno pure i coniugi Monti...
Delle tre parole d'ordine rigore-equità-crescita, resta solo soletto il rigore, ma a questo punto trattasi di pura vessazione sociale.
E se lo spread è sceso fino a quota 300 lo si deve in massima parte alla gigantesca immissione di liquidità effettuata dalla BCE di Mario Draghi che in due tranches, il 22 dicembre e il 28 febbraio scorsi, ha immesso qualcosa come 1000 miliardi di euro nel sistema bancario europeo: per intenderci metà del debito pubblico italiano.
Con questi soldi presi in prestito al tasso simbolico dell'1% per tre anni, le banche hanno potuto acquistare i titoli di stato che ancora garantiscono un rendimento medio attorno al 4%: ecco spiegato il miracolo della discesa dello spread!
Nel frattempo, contrariamente ad ogni previsione  azzardata al momento delle sue dimissioni, adesso Berlusconi non solo non è fuori gioco ma è politicamente più forte, avendo recuperato in questi mesi  molte frecce al suo arco.
Come avrebbe potuto sperare di meglio quel freddo sabato di novembre quando salì al Quirinale per dimettersi tra i fischi e le scene di giubilo della folla, di ritrovarsi tre mesi dopo senza aver dovuto caricarsi personalmente della responsabilità di misure impopolari, lasciando che a farlo fossero i tecnici?
E adesso  pure con l'inopinata prescrizione sul processo Mills e, ciliegina sulla torta, con l'annullamento della condanna di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa al suo fido scudiero Marcello Dell'Utri!
E' proprio tutto un altro clima ora, tant'è che lui e il suo delfino, quello con o senza quid (a voi la scelta!), possono sparare ancora una volta ad alzo zero contro i magistrati: eppur non chiamandoli pecorelle, nessuno si scompone più di tanto, meno ancora dentro il partito di Bersani.
Infatti, senza il Partito Democratico e il suo emerito segretario, tutto questo sarebbe stato materialmente impossibile.
Se non è restato un sogno del Cavaliere, è anche grazie al partito in cui militava il tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, quello che ha fatto fuori 13 ma forse 25 milioni di euro: sì quello che al ristorante dietro il Pantheon spendeva 100 euro a testa per l'antipasto e 180 euro per un piatto di spaghettini al caviale, tutto in conto al partito, senza che nessuno si sia mai accorto di nulla. E che intervistato da Servizio Pubblico di Michele Santoro si domanda incredulo: "Dove sono finiti i 181 dei 214 milioni di euro che ho amministrato. 181 li abbiamo usati tutti per pagare il personale e per pagare i telefonini??".
Ma è anche grazie al segretario Pierluigi Bersani che, intervistato da Repubblica venerdì scorso, rivendica la riforma delle pensioni con queste parole"Quando mi fermano al supermercato- perché io vado al supermercato - le persone si lamentano per la riforma della previdenza. Dicono 'Segretario, noi andremo in pensione quattro anni dopo'. Io, nel rispondere ci metto la mia di faccia, e credo di dare così un contributo alla discesa dello spread".
E sulla TAV  è ancora una volta ultimativo: "Il se non è più in discussione. Non c'è più spazio per posizioni ambigue che con la scusa del dialogo possano mettere in forse l'opera. Si può invece discutere il come".
Per il democratico Bersani l'opera va fatta, il dialogo su questo punto è inutile.
Che poi la sollecitazione non solo provenga dalle popolazioni della Val di Susa (e oltre!) ma da più di trecento docenti universitari, ricercatori e professionisti è cosa che proprio non lo riguarda.
In fondo un'opera pubblica da oltre 20 miliardi di euro, pronta forse nel 2030, mentre il Paese è alla canna del gas, che vuoi che sia?
Fra l'altro come non essere ottimisti vista e considerata l'attenzione certosina che i suoi colleghi di partito, vedi i casi Lusi, Penati e compagnia gaudente, hanno per il denaro pubblico?
Lasciateci però ancora credere che di fronte ai cittadini non ci si possa intestardire su un megaprogetto senza prima essersi rimboccati le maniche (vi ricordate la mitica camicia di Bersani nel manifesto elettorale?) e essersi confrontati a viso aperto con loro.
Il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel suo odierno editoriale freme alla sola idea che si possa aprire un confronto pubblico sul tema e si domanda ironicamente se ci sia forse una "Repubblica referendaria" da creare o un "Palazzo d'Inverno da invadere".
Ma la risposta è molto più semplice: c'è una intera classe dirigente, di destra e di sinistra, incompetente, corrotta e infingarda, da mandare a casa.
A stretto giro di urne. 

sabato 3 marzo 2012

Storica serataccia per Pierluigi Bersani

Nella trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro, giovedì sera si parlava delle proteste in corso contro l'allargamento dei cantieri per la TAV Torino - Lione, insieme all'economista Irene Tinagli, al costituzionalista Michele Ainis, al segretario Fiom Maurizio Landini e a Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico.
Pierluigi Bersani era chiamato ad un compito tutto sommato semplice: spiegare perché il suo partito si sia incaponito a difendere la realizzazione di questa opera gigantesca, concepita negli anni Settanta sulla base di previsioni di traffico che si sono rivelate del tutto campate in aria.
Infatti gli studi iniziali prevedevano  che ci sarebbe stato in 10 anni un flusso annuo di viaggiatori superiore ai 7,7 milioni di utenti a fronte di un traffico dell'epoca di circa 2 milioni di passeggeri.
Attualmente sulla linea ferroviaria internazionale viaggiano solo 700mila persone, cioè un decimo del traffico previsto per giustificare l'opera. Tant'è che si è deciso a suo tempo di cambiare, destinando così  la nuova ferrovia al traffico merci.
E' chiaro che proprio a causa dei ritardi nella progettazione,  oggigiorno, in piena crisi finanziaria ed economica ed alla luce dei nuovi dati di traffico emersi, andrebbe riconsiderata l'opportunità dell'intero progetto.
E' semplicemente una questione di buon senso, se non altro per evitare un incredibile ulteriore  sperpero di denaro pubblico, tenuto conto che la linea ferroviaria attuale  è stata rimodernata da poco con un investimento che supera i 500 milioni di euro e viene utilizzata al 30%.
Basterebbe seguire lo splendido intervento "Alta Voracità" di Marco Travaglio, che da par suo non lesina cifre e informazioni di dettaglio, per rendersi conto dell'assoluta follia di procedere senza se e senza ma alla realizzazione di un'opera ideata quarant'anni fa, in un'altra era geologica.
Nel corso della serata il leader di quella che dovrebbe in teoria essere una forza di centrosinistra, illividito e tiratissimo, con lo sguardo che evitava le telecamere, è riuscito ad abbozzare solo queste considerazioni:
1. dietro il movimento NO TAV,  si sta coagulando un malessere sociale in cui si potrebbe infilare il terrorismo, come è accaduto negli anni Settanta con le Brigate Rosse: le scritte sui muri di Torino contro il magistrato Caselli lo stanno a dimostrare;
2. se 'sto movimento qua prendesse le distanze da coloro che rimestano nel torbido e che cercano l'occasione storica per i loro disegni eversivi, lui sarebbe disponibile ad aprire un tavolo di trattativa. Ma non sulla fattibilità dell'opera, che va assolutamente cantierata e ultimata; semplicemente sulle compensazioni economiche da corrispondere ai comuni ed alle altre istituzioni della valle a risarcimento dei danni causati dai lavori;
3. la TAV va fatta perché ce lo chiede l'Europa e perché il processo decisionale è stato democratico.

Un leader politico progressista così a corto di argomenti non si era mai visto.
Invece di parlare di politica, di tentare dare una risposta ed una soluzione al disagio sociale magari chiedendosi il perché del distacco abissale tra i cittadini e le istituzioni, che decidono interventi giganteschi di dubbia utilità sociale senza porsi il problema di consultare le popolazioni locali, evoca lo spettro del terrorismo.
Insomma, per Bersani, la gente non deve protestare perché in tal modo alimenta il brodo di coltura della violenza estremista e eversiva.
E' incredibile che un leader politico che dovrebbe essere cresciuto con il mito della piazza cerchi di criminalizzare un movimento di protesta agitando i fantasmi del passato senza portare elementi concreti a sostegno del suo teorema.
Perché se ha motivo di ritenere che ci siano state o ci saranno infiltrazioni terroristiche, ebbene faccia nomi e cognomi e denunci il tutto alle autorità di pubblica sicurezza.
Altrimenti taccia e non generi allarmismo, soffiando sul fuoco della protesta sociale con un accostamento così arbitrario e infondato agli anni di piombo da spingere magari  menti deboli e facilmente suggestionabili a gesti emulativi dalle conseguenze imprevedibili.
Atti che potrebbero innescare la risposta autoritaria degli apparati di sicurezza dello Stato, in una fase istituzionale estremamente delicata, caratterizzata de  facto da una sospensione di responsabilità nella guida politica del nostro Paese.
Un pericoloso gioco al massacro a cui i leader politici hanno il dovere civico, prima ancora che morale, di non partecipare.
Perché la strategia della tensione deve  restare confinata alla storia per molti versi ancora oscura di settori deviati del nostro Stato a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, originatasi in ambienti neofascisti.
E non può essere strumentalizzata oggi per bassi fini di bottega dai politici, meno che meno se di provenienza dalla sinistra italiana.
Da un politico ci si aspetta impegno e responsabilità nelle scelte adottate e che spieghi una buona volta  le motivazioni delle sue decisioni.
Purtroppo Bersani per tutta la serata ha evitato sistematicamente qualsiasi confronto sull'opportunità economica dell'opera, letteralmente sbiancando quando Michele Ainis ha ventilato la possibilità di proporre una consultazione popolare sul tema.
Ma l'ineffabile Miguel Gotor sulla prima pagina di Repubblica così commenta la performance del segretario Pd:
"Sulla questione No Tav, ad esempio, nell´arena di Santoro, è stato assai efficace: solo contro tutti, le gambe larghe e la cravatta slacciata a rispondere colpo su colpo al moralismo di alcuni e alla demagogia di altri. La questione della Tav è stata tenuta al livello che merita, ossia una sfida democratica: ogni violenza deve essere bandita, non è vero che non si è dialogato con associazioni e comuni che hanno deliberato a maggioranza la loro decisione favorevole; discutere non può significare bloccare i lavori, ma piuttosto affrontare temi assai concreti come evitare le infiltrazioni mafiose nella gestione degli appalti, mantenere la massima sicurezza nei cantieri, dislocare risorse a vantaggio delle popolazioni danneggiate dai disagi. Ma la Tav va fatta perché risponde a un interesse italiano ed europeo e così è stato deliberato a ogni istanza rappresentativa: una democrazia che non realizza le sue decisioni non fa altro che aumentare il proprio discredito."
Una ricostruzione talmente di parte da perdere la benché minima obiettività. Provare per credere: questo è il link per rivedere la trasmissione.
Infine, anche semplicemente sul piano dell'immagine televisiva, Bersani è apparso in grave imbarazzo: pallido, la fronte imperlata di sudore e costantemente corrugata,  il volto scosso da tic, continui movimenti verso l'alto delle spalle,  irrequieto sulla sedia fino a restare sulla punta a gambe divaricate, frastornato, a volte con lo sguardo fisso e perso nel vuoto.
Davvero una serataccia per lui.