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lunedì 22 giugno 2009

Referendum 2009: PD e PDL affrontano un nuovo 8 settembre

I tre referendum sulla legge porcata, così cara al ministro leghista Calderoli, non sono passati: infatti, ad urne chiuse, si può dire che il quorum è rimasto distante anni luce. Solo il 20% dei votanti!
E’ questo l’unico risultato veramente interessante di questa tornata elettorale.
I tre referendum richiesti per rendere, se possibile, ancora peggiore la porcata sono stati giustamente azzerati dagli Italiani che non ne possono più di vedersi rifilare delle autentiche mostruosità giuridiche in nome di una governabilità che resta solo nelle finte intenzioni di coloro che propugnano da quindici anni il maggioritario.
Sistema elettorale che ha dimostrato in tutte le salse di non funzionare in Italia: non ha garantito la pretesa governabilità (mai la vita politica italiana è stata tanto tribolata come adesso); non ha prodotto il tanto auspicato ricambio della classe dirigente (ci troviamo come quindici anni fa, Bossi, Berlusconi e D’Alema); ha tolto la rappresentanza parlamentare ad ampi settori della società italiana; infine, ha generato una crescente sfiducia per la politica e per le istituzioni.
Con due dei tre referendum bocciati si voleva addirittura attribuire il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che avesse ottenuto più voti: un tentativo perverso di passare di colpo dall’attuale pessimo bipartitismo ad un ancora più inquietante monopartitismo imperfetto, il colpo di grazia alla nostra indifesa democrazia.
Erano schierati per il Sì, com’era prevedibile in un contesto ormai da basso impero, sia il Pdl che il Pd, due contenitori politici sempre più inguardabili ma sodali nell’obiettivo di demolire la nostra repubblica parlamentare, e i cosiddetti referendari, che escono allo scoperto solo per lanciare iniziative referendarie insulse: veri affossatori, con la loro condotta spregiudicata, dell’unico vero istituto di democrazia diretta che la Costituzione abbia riservato ai cittadini.
E’ mai possibile che gente come Mario Segni debba riporre le proprie fortune politiche semplicemente sullo sfruttamento su scala industriale dello strumento referendario?
La conclusione è che i due grandi partiti dai piedi d’argilla escono di nuovo battuti da questa domenica elettorale.
Al di là dell’esito dei ballottaggi, l’affuenza alle urne, così bassa persino dove è in palio la poltrona di sindaco, la dice lunga sulla sfiducia ormai generalizzata verso la classe politica nel suo insieme.
A chi in questi giorni evoca il 25 luglio del 1943 per assestare la spallata finale alla indicibile leadership di Silvio Berlusconi, suggeriamo di rileggere le successive cronache dell’8 settembre.
Perché la massiccia diserzione delle urne in questa fredda domenica estiva, non certo per andare al mare, è un gigantesco grido di indignazione che percorre l’intera penisola: Tutti a casa!

domenica 14 giugno 2009

Anche Scalfari perde la pazienza: Veltroni e D'Alema, go home!

In queste ultime ore, a dati elettorali ormai archiviati, tutti i commentatori si sono affrettati a scrivere il proprio pezzo, dimostrando una convergenza di opinioni persino sorprendente.
Il verdetto è stato unanime: gli elettori hanno bocciato entrambi i due colossi, Pdl e Pd.
Un’emorragia di voti che, in termini assoluti (le percentuali spesso travisano la realtà), raggiunge quasi i 3 milioni di consensi in meno per il Pdl e i 4 milioni addirittura per il Pd: una Waterloo.
A sinistra saremmo tentati di chiamarla Walterloo, data la pesante ipoteca dell’ex segretario Walter Veltroni sul risultato del Partito democratico, malgrado l’abilità con cui l’attuale leader Dario Franceschini si è mosso in questa campagna elettorale.
Il commento che più colpisce è quello domenicale di Eugenio Scalfari che oggi fa un’analisi impietosa dell’esito elettorale per il Partito democratico, di cui sembra rimasto l’unico vero ideologo, essendo tutti i suoi dirigenti affaccendati in liti da cortile.
Ma questa volta, abbandonati i toni conciliativi, spara a zero contro i maggiorenti del partito; ne citiamo il passo più significativo:
"Se l'opposizione non fosse così fortemente debilitata avremmo almeno un aggancio robusto per riportare ordine e chiarezza. Purtroppo anch'essa ha perso credibilità anche se la campagna elettorale condotta dal segretario Franceschini è riuscita almeno a contenere le perdite salvando il salvabile. Sono molti ora a chiedere in che modo si possa e si debba costruire un partito che ancora non c'è, che è ancora un'ipotesi di lavoro e fatica a decollare per debolezza dei motori e insufficiente portanza.
Ci sono almeno tre esigenze generalmente avvertite: la prima è quella di radicare il partito nel territorio, la seconda è di selezionare una classe dirigente nuova, la terza riguarda la vecchia nomenclatura composta da quelli che guidarono i vari spezzoni confluiti nel Pd. I membri di quella nomenclatura non sono affatto da ostracizzare; rappresentano tuttora un deposito di esperienze, memorie, valori. Ma dovrebbero riporre ambizioni e pretese rassegnandosi ad un ruolo che resta peraltro di notevole importanza: ruolo di padri e di zii, ruolo di saggezza e incoraggiamento, non di comando e di intervento.
Quando Veltroni si dimise, con lui fece un passo indietro l'intero vecchio gruppo dirigente e questo fu l'aspetto positivo di quella drammatica ma ormai necessaria decisione. Sembra tuttavia che ora quel collettivo passo indietro sia rimesso in discussione e si riaccendano tra gli zii sentimenti di rivalsa e nuovi fuochi di battaglia."
E conclude:
"Controvoglia non so, ma certo il tornare a gara di tutta la vecchia nomenclatura sbarra la strada al necessario rinnovamento e riaccende eterne dispute che un corpo sano e robusto potrebbe sopportare ma un corpo debilitato non tollera rischiando la sua stessa sopravvivenza."
Finalmente anche il fondatore di Repubblica lancia strali contro quella che da tempo chiamiamo la nomenklatura democratica, rea di farci vivere in questa tristissima condizione.
Quella in cui, per fare solo un esempio di stringente attualità, il Presidente del Consiglio denuncia pubblicamente l’esistenza un piano eversivo contro di lui e minaccia apertamente gli industriali di non fare pubblicità sui media cosiddetti disfattisti.
Tutto ciò mentre è in corso di approvazione in Parlamento il ddl sulle intercettazioni che non solo rende impraticabili le indagini della magistratura su gravissime fattispecie di reato ma che imbavaglia la stampa e, tanto per convincere i più scettici sull’instaurazione di un regime, cerca di normalizzare persino la rete impedendo la libertà di espressione in blog, social network e portali informativi, imponendo una serie di vincoli burocratici e di sanzioni pecuniarie, come se ne possono trovare solo nei sistemi autoritari.
Insomma, dopo aver depenalizzato il falso in bilancio e deresponsabilizzato sul piano penale le Alte cariche, diffamato con il ministro Brunetta i dipendenti pubblici, ridotta alla canna del gas la scuola, si cerca adesso di attaccare frontalmemente giornalisti e magistrati, mentre tutto attorno l’economia agonizza.
Che i vertici del Partito democratico, corresponsabili non fosse altro che per ignavia di questo stato di cose, debbano fare un passo indietro per dare vita, subito dopo la prossima domenica dei ballottaggi, ad un percorso congressuale rapido dove si discuta non più sulle persone ma finalmente di politica, sembra talmente scontato da sembrare una precisazione superflua.
Eppure, dell’auspicato passo indietro della vecchia nomenklatura non si può essere per niente certi: lo conferma Massimo D’Alema che, nella trasmissione In 1/2 ora ospite oggi dell'Annunziata, pur convenendo sulla necessità di andare al congresso quanto prima, si è mostrato piccato dell’invito del fondatore di Repubblica di limitarsi ad un’opera di saggezza e incoraggiamento.
Anzi, pur ribadendo di tirarsi fuori da una lotta al vertice, ha però voluto precisare: "Una candidatura come la mia avrebbe senso in una sorta di emergenza nazionale. Non credo, però, che siamo alla necessità di richiamare la vecchia guardia per salvare il salvabile".
Ottimista sulla situazione italiana o ai blocchi di partenza per aggiudicarsi di nuovo la leadership dei democratici, magari dopo uno scontro al calor bianco proprio con il mai rassegnato Veltroni?
Gli elettori del Pd hanno compreso da tempo che al peggio non c’è mai fine… si rassegni anche Scalfari!

lunedì 8 giugno 2009

E' la fine del bipartitismo: Pd e Pdl con le ossa rotte

La vera notizia di queste elezioni europee è che Pd e Pdl escono entrambi sconfitti.
Per il premier Berlusconi raccogliere un magro 35,3% quando sognava di varcare la soglia del 45% è una autentica figuraccia; tanto più se a ciò si aggiunge l’avanzata della Lega Nord al 10,2% che si conferma un alleato sempre più scomodo.
Sul fronte opposto, la contentezza di Franceschini per aver realizzato il 26,1% è surreale; certo poteva andare anche peggio, ma il disastro del Partito democratico è sotto gli occhi di tutti.
Sul piano personale, la sfida a distanza con il suo predecessore Walter Veltroni è vinta ma resta come magra consolazione.
Gli Italiani hanno bocciato questi due contenitori politici dove c’è tutto ed il contrario di tutto, tant’è vero che alla prova dei fatti Pd e Pdl si rassomigliano incredibilmente, al di là della diversa storia personale dei loro leader.
Quello che conforta è che, oltre lo scontato successo dell’Italia dei Valori e la meno prevedibile affermazione dell’Udc di Pierferdinando Casini, a sinistra del Partito democratico c’è un’area di consensi che sfiora il 7% e che, senza la miopia dei suoi gruppi dirigenti che fanno capo a Niki Vendola e Paolo Ferrero, avrebbe potuto contendere all’Italia dei Valori il ruolo di quarta forza politica italiana.
Segno che su questo terreno il lavoro da fare è ancora molto ma si può guardare al futuro con meno pessimismo.
Lo dimostrano, alle Amministrative, quelle che un tempo erano le regioni rosse, dove il Pd è costretto dal meccanismo elettorale a rinnegare il credo veltroniano di correre da solo: qui il Pd resiste meglio proprio perché propone candidature insieme alle altre forze di sinistra che a loro volta confermano i loro consensi.
Ma alle Europee, dove ognuno corre per sé, il partito di Franceschini è costretto a subire lo smacco del sorpasso da parte del Pdl sia in Umbria che nelle Marche.
E’ la dimostrazione che il Partito democratico nega se stesso quando si incaponisce col tagliare fuori i partiti di sinistra e puntare al bipartitismo: la sua politica nazionale è quindi interamente da riscrivere.
Basterà a convincere la sua nomenklatura radical chic a fare le valigie e tornarsene a casa lasciando il partito alla sua autentica anima popolare che, nelle sue differenti inclinazioni, scommette comunque in un percorso condiviso con la sinistra anche per salire a Palazzo Chigi?
PS: Grande soddisfazione per il notevole successo ottenuto da Luigi De Magistris nelle liste dell'Idv!

sabato 6 giugno 2009

Le anime belle al voto

Eugenio Scalfari nell’editoriale di oggi su Repubblica, in anticipo sull’abituale appuntamento domenicale data l’apertura dei seggi elettorali già dal pomeriggio, ripercorre per grandi linee quasi un secolo di storia elettorale italiana, e dopo aver teorizzato che "Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo", trae questa affrettata conclusione: "La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell’azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell’anima bella, pura e dura."
In parole povere, Scalfari rivolgendosi agli elettori di sinistra fa propria, pur dichiarando di negarla, l’idea del voto utile ultimamente richiamata affannosamente da Dario Franceschini, quest’ultimo preoccupatissimo per i sondaggi attuali che danno il Pd in seria difficoltà.
E’ nient’altro che la riedizione dell’invito a suo tempo espresso da Indro Montanelli di andare a votare turandosi il naso.
Quello che il fondatore di Repubblica non ci spiega, però, è perché gli elettori di sinistra dovrebbero ancora votare per un simbolo senza storia che al massimo rappresenta politici bolliti come D’Alema, Fassino, Rutelli, Veltroni, Bettini, ecc., gente che ci ha portato con la propria mediocrità e tanto opportunismo personale a questo disastro politico. Per giunta, dopo che proprio quel popolo di sinistra in ormai numerose tornate elettorali ha fatto loro recapitare un messaggio inequivocabile: la vostra ambigua politica non ha sbocchi, tornatevene a casa!
Franceschini in questi ultimi tre mesi ha fatto di tutto per farci dimenticare chi siede nel direttivo del suo partito a cui, in mancanza di un mandato congressuale, è tenuto comunque a rispondere.
Ma l’altro ieri, Veltroni ha ricordato a tutti con il suo appello al voto che dentro il Pd la nomenklatura ha ancora i pieni poteri e che l’attuale segretario democratico, pur con le migliori intenzioni, è soltanto una comparsa.
E poi non è stato lo stesso Franceschini a ribadire che il suo mandato terminerà improrogabilmente ad ottobre?
Quindi, c’è poco da stare allegri: l’elettore democratico, se anima bella, pura e dura (e in maggioranza pensiamo che lo sia!) ha diverse possibilità nella cabina elettorale per far cambiare direzione alla politica italiana, tranne quella che Scalfari gli suggerisce.
Noi di Pausilypon riteniamo che insieme all’Italia dei Valori, soltanto se a sinistra del Pd si creerà uno spazio politico nuovo con il contributo di Sinistra e Libertà a Rifondazione Comunista potrà finalmente scattare la sospirata controffensiva alla pericolosa deriva berlusconiana.
Non possiamo immaginare se le due aggregazioni politiche riusciranno a superare la fatidica soglia del 4% prevista per le Europee: è un fatto che se definiranno insieme un’area attorno al 5-6% il test elettorale potrà comunque considerarsi superato.
Mentre decisivo, a livello amministrativo, sarà il peso conquistato dalle liste Cinque Stelle di Beppe Grillo: è da qui che potrebbe scatenarsi un’onda sismica senza precedenti per i futuri assetti della sinistra italiana.
Staremo a vedere. Intanto anime belle, pure e dure, andiamo a votare…

giovedì 4 giugno 2009

Veltroni in soccorso di Franceschini? Povero PD!

Che le prossime elezioni europee, ma soprattutto amministrative, segnino per il Partito democratico un punto di non ritorno è noto da tempo.
Che Dario Franceschini sia salito stoicamente sul ponte di comando in un momento drammatico, mentre la nave democratica si dibatteva in acque pericolosissime, condotta allo sfracello dall’impareggiabile capitano Walter Veltroni, è anche ciò cosa arcinota.
Che il bravo Dario si sia dato da fare in tutti i modi, brillando finalmente di luce propria, è anche questo un dato di fatto: queste settimane di campagna elettorale ci consegnano un nuovo leader di cui, fino a qualche mese fa, assolutamente non sospettavamo l’esistenza.
Essere per tanti mesi l’ombra dello spento Veltroni certamente non poteva giovare a Franceschini, costretto ad affondare suo malgrado nelle sabbie mobili di una politica senza né capo né coda come quella pervicacemente portata avanti dall’ex sindaco di Roma.
Infatti, alzi la mano chi, tra i Democratici, abbia sentito in tutto questo tempo un po’ di nostalgia per Veltroni o che ne rimpianga anche una sola iniziativa politica.
Sconsolatamente, potremmo constatare che non c’è nessuno, ma proprio nessuno!
La qualcosa non ci meraviglia dal momento che sarebbe paradossale il contrario: si può sentire la mancanza del vuoto?
Veltroni ce lo ricordiamo per il sottovuoto delle sue intuizioni politiche: dal correre da solo sancendo urbi et orbi la fine immediata del governo Prodi, al proposito strombazzato di voler fare le riforme istituzionali soltanto con Silvio Berlusconi, all’epoca ormai al tappeto; all’idea geniale di fare una petizione contro il governo di centrodestra disertando la giornata di protesta dell’8 luglio, per convocare tardivamente la piazza per il 25 ottobre!
L’elenco delle perle veltroniane è veramente infinito e non siamo così sadici da volervelo riproporre, a partire dalla batosta delle Politiche del 13 aprile 2008.
Basti, come ciliegina sulla torta, la legittimazione costituzionale che egli diede del lodo Alfano, la legge sull’immunità delle alte cariche.
Sentire in queste settimane parlare Franceschini, nel silenzio di Veltroni, non ci è parso vero: ed avevamo iniziato a sperare che l’incubo veltroniano della sconfitta permanente potesse essere finalmente scacciato via.
Dario Franceschini, anche nella Tribuna televisiva di lunedì scorso, ha confermato ancora una volta, una sorprendente capacità comunicativa e la dignità di un uomo politico che crede veramente in quello che dice, senza peraltro ostentare quella stucchevole ed ingiustificata supponenza del suo predecessore: un bravo capo boy scout, oseremmo concludere senza alcuna ironia.
Quando si poteva iniziare a sperare che dentro il Pd la gestione Franceschini potesse sortire i suoi primi graditi effetti ecco che stamattina, come un fulmine a ciel sereno, è intervenuto l’impareggiabile Walter con il suo ferale appello al voto:
"Votiamo PD, la principale speranza del nostro Paese. Non è solo il mondo a guardarci con preoccupazione e disagio. E' la sensazione che vive ciascun italiano, chiunque ami davvero. La destra sta edificando un paese violento."
"Non so quanto tempo ci vorrà, ogni giorno che passa così è un giorno perduto, ma il paese girerà pagina. E quando lo farà dovrà trovare il riformismo. Per questo il voto al Partito Democratico è essenziale. Nessuna demagogia porterà il paese fuori da questo tunnel. Solo il riformismo la salverà".
Un aiuto al cosiddetto voto utile rilanciato da Franceschini?
No, esattamente il contrario: un intervento a gamba tesa che demolisce completamente la faticosa opera di quest’ultimo.
Vi rendete conto? Dopo averci portato a questo stato di cose, bulldozer Veltroni ha ancora il coraggio di riproporci l’inciucio con Berlusconi, blaterando di riformismo, termine dietro il quale si è trincerato durante tutta la sua segreteria per giustificare un'inesistente opposizione.
Con questo suo ultimo surreale intervento, quanti altri voti farà perdere al Pd?
Quale calcio negli stinchi ha inflitto all’incolpevole Dario Franceschini?
L’attuale leader democratico farebbe bene subito a prenderne le distanze perché, più che un aiuto, l’uscita veltroniana sembra proprio la classica polpetta avvelenata.
Ma forse è ormai troppo tardi per rimediare a questo sgambetto.

lunedì 25 maggio 2009

Nulla di scandaloso nel "respingimento" di questo Pd

La politica italiana è arrivata ad un livello di degrado intellettuale (quello morale è superato da tempo!), come probabilmente non si era mai verificato nella storia repubblicana.
Non si era mai vista tanta povertà di idee e una così forte omologazione nella proposta politica da parte dei due grandi contenitori politici, PD e PDL, che, riflessi l’uno nell’altro, per attirare le simpatie di coloro che ancora resistono a guardarli, hanno imboccato decisamente la strada del reality show, sicuri di replicarne le fortune.
Repubblica, lancia in resta, si spinge a rinnovare i fasti di Cronaca Vera, con le famose dieci domande al premier su Noemi e famiglia.
Per capire quale sia la potenza di fuoco messa in campo da questa corazzata editoriale, basta rendersi conto che ormai nei media nazionali da quattro giorni a questa parte non si parla di altro ed il centrosinistra si uniforma alla politica scandalistica del gruppo De Benedetti, rilanciando per bocca dei suoi dirigenti, il questionario di D’Avanzo & c.
Tutti gli altri grandi temi, dalla crisi economica sempre più grave alla questione ammortizzatori sociali, dalla giustizia in stato catatonico al nuovo sviluppo economico verde, dai tagli indecenti a scuola e università alla ricostruzione in Abruzzo ancora da progettare, tutto, ma proprio tutto, è sparito sotto i colpi dell’ultima intervista del quotidiano di piazza Indipendenza, udite udite, al personaggio del momento: l’ex ragazzo di Noemi...
Che Repubblica ieri gli abbia dedicato oltre la prima pagina ben due pagine interne con tanto di foto a colori e riproduzione della lettera che la ragazza gli scrisse prima di Natale, ci fa rabbrividire: alla faccia del giornalismo d’inchiesta, siamo caduti nella morbosità stile Cogne!
Certamente, nessuno può accusarci di essere stati mai morbidi con Silvio Berlusconi che, lo ribadiamo, non avrebbe mai dovuto salire a Palazzo Chigi se la nostra fosse stata una vera democrazia; perché le leggi, prima ancora di un’opposizione presentabile, glielo avrebbero dovuto impedire.
Ma questo è il paese in cui l’ex segretario del Partito democratico, Walter Veltroni appena acclamato vincitore delle primarie del 2007, tese la ciambella di salvataggio al Cavaliere, in caduta libera nei sondaggi e nel credito politico, dichiarando di volere concordare le riforme istituzionali proprio con lui, scaricando a stretto giro di stampa Prodi e i partiti della sua maggioranza e portando il Paese, inopinatamente, alle elezioni anticipate dopo appena 1 anno e mezzo di governo!
Questo è il paese in cui è tuttora in corso una durissima lotta di potere all’interno della casta dei politici, ma non in nome di principi costituzionali da salvaguardare o di interessi dei cittadini da difendere; unicamente allo scopo di una più ricca spartizione delle poltrone, un redde rationem tra potentati di varia matrice.
Il povero Dario Franceschini, che in questi mesi ha dimostrato di essere enormemente più abile di Veltroni, è suo malgrado espressione di quel gruppo dirigente che oggi si nasconde alle sue spalle: anzi trama nel dimenticatoio, nella prospettiva di un rilancio in grande stile.
Diverso sarebbe potuto essere il suo destino se sul suo nome si fosse coagulato un nuovo consenso nell’ambito di un congresso vero, che la nomenklatura non ha invece voluto celebrare, negandogli un mandato diverso.
Votare per il Partito democratico alla prossima tornata elettorale è, per l’elettore di centrosinistra, un po’ come gettarsi la zappa sui piedi: sai che soddisfazione a rivedere in primo piano i Fassino, D’Alema, Veltroni, Violante, Finocchiaro, i Bettini, cioè coloro che hanno permesso dopo pochi mesi a Silvio Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi con le chiavi del portone!
Coloro che hanno tifato per la doppia scalata Bnl-Antonveneta e hanno favorito l’ostracismo contro Clementina Forleo e, contemporaneamente, contro Luigi de Magistris, titolare dell’inchiesta Why Not, colpevoli solo di aver fatto rispettare la legge.
Per fortuna i successivi pronunciamenti della magistratura ci hanno restituito adesso l’immagine specchiata e fulgida di questi due valorosi magistrati e la vergogna di una classe politica che ha scomodato il Csm pur di bloccarli.
Al procuratore di Salerno Luigi Apicella sono giunti persino a togliergli lo stipendio: un provvedimento del genere non sembra sia stato mai preso, neppure contro magistrati collusi con la mafia!
Eugenio Scalfari, maître à penser del Partito democratico, nel suo ultimo editoriale di ieri si dimentica di tutte queste vicende e, proprio come se non fosse successo niente, si ostina a pensare che il significato delle Europee andrà valutato attraverso la misura del distacco che ci sarà tra Partito democratico e Pdl.
Ci racconta la solita favoletta: elettori delusi del centrosinistra, se non volete rafforzare Silvio Berlusconi, votate Partito democratico!
Purtroppo per lui, è vero esattamente il contrario: è stato proprio il Partito democratico di Veltroni, quello che l’anno scorso perse clamorosamente raggiungendo il 33% dei voti, in questo primo anno di legislatura a lasciare campo libero a Silvio Berlusconi ed al suo enorme conflitto di interessi.
Soltanto indebolendo la stampella del Cavaliere, questo inguardabile Partito democratico, nonostante il recente make-up a cui lo ha sottoposto il bravo Franceschini, si potrà fare piazza pulita di un gruppo di potere che domina il centrosinistra da quasi vent’anni e che ha permesso all’uomo di Arcore di regnare per oltre un decennio e farsi con tutta tranquillità tante leggi ad personam ed, in ultimo, il lodo Alfano, vero buco nero della nostro assetto Costituzionale.
Accusare Di Pietro, delle cui ambiguità ideologiche certo noi non gli facciamo sconto, di spalleggiare il Cavaliere semplicemente perché critica le perplessità, cioè le vischiosità del PD, nell’opporvisi fieramente, è un’autentica castroneria!
Purtroppo Scalfari fa finta di non comprendere che il successo berlusconiano del 2008 è dipeso in misura soverchiante proprio dal fatto che la classe dirigente del Pd, rinnegate le proprie origini e la sua presunta diversità morale, abbia indossato gli stessi abiti dei lacchè di Berlusconi, diventandone troppo spesso una pessima controfigura, cioè mal destra.
Per sentire ancora una volta Piero Fassino ragionare come fanno Maroni e La Russa, beh è decisamente meglio cercarsi i propri rappresentanti altrove: magari nel variopinto arcipelago di sinistra o nelle liste civiche di Beppe Grillo; o proprio nell’Idv di Antonio Di Pietro, della cui fiera opposizione al Cavaliere gli va oggettivamente reso merito.
Un’opposizione che trova più congeniale rinfacciare a Silvio Berlusconi le sue burrascose vicende extraconiugali, piuttosto che affondare il coltello sulla scandalosa vicenda Mills o sulla gravità della situazione economica o, ancora, sui dissennati tagli alla spesa pubblica decisi da Tremonti, è destinata all’ennesimo naufragio.
Prendendo in prestito le parole di Fassino, per gli elettori di centrosinistra, non c’è niente di scandaloso nel respingimento di questo Pd. Anzi.

domenica 29 marzo 2009

Il Partito che non c'è, l'ennesima trovata berlusconiana

Malgrado i fuochi fatui del congresso di fondazione del PDL, tutti debitamente sponsorizzati dal padre padrone Silvio Berlusconi, il panorama politico italiano resta plumbeo.
Alleanza Nazionale si è sciolta nel partito di plastica Forza Italia, dimostrando che è priva di un vero collante ideologico che non sia la mera aspirazione piccolo borghese a stare sempre e comunque dalla parte del potere, soprattutto se esercitato in forme sbrigative e minacciose.
E’ nato il Partito che non c’è, che continua a non esistere, di cui si parla però ossessivamente a causa del persistere, come ha detto ai microfoni di Report il prof. EdoardoFleischner, di un monopolio privato di un’istituzione: il sistema dei media.
In campo avverso, il Partito democratico continua ad annaspare, difettando anch’esso dalla nascita di una qualche prospettiva ideale: senza un congresso ricostituente, il reggente Dario Franceschini si affida ad alcune mosse tattiche per mettere in difficoltà il premier ma, evidentemente, non può fare più di tanto.
Sempre meglio di Veltroni, tant’è che è risalito leggermente nei sondaggi, a dimostrazione che di fronte allo zero assoluto, anche un vecchio boyscout si dimostra un gigante.
A proposito, Walter Veltroni è completamente uscito di scena, dimenticato da tutti nel giro di poche settimane. Adesso ci aspettavamo di trovarlo in Africa a combattere l’AIDS, la malaria o la fame, il suo sogno nel cassetto, di cui in più di un’occasione si è vantato. Errore! Il cassetto resta chiuso: è stato visto di recente tra i vip di uno dei tanti eventi mondani della Capitale… forse ha perso la chiave!
La stampa quotidiana dorme sonni profondissimi: in calo verticale nelle vendite e nella raccolta pubblicitaria, fa di tutto per non disturbare il manovratore; il quale magari, preso per le buone, potrebbe finire pure per sganciare qualche soldo pubblico per non farla affondare.
Ecco perché si è trasformata all’unisono nell’Eco di Arcore. Complimenti!
In televisione, lotta titanica per Riccardo Iacona con Presa Diretta e Milena Gabanelli con Report di fronte alla resa generale dei media alla pax berlusconiana: sono gli unici giornalisti in grado di farci vedere e capire il mondo che ci circonda.
Così, dai tagli alla ricerca al problema degli immigrati, dalla manna pubblica sul comune di Catania alla genesi del monopolio mediatico di Silvio Berlusconi, abbiamo tratto la convinzione che l’informazione quotidiana che ci viene propinata dalle reti del duopolio faccia veramente schifo.
Milena Gabanelli, nella puntata di domenica scorsa, ha dimostrato scientificamente come il potere berlusconiano in campo televisivo sia da tempo al di sopra della legge, indifferente alle sentenze della Corte Costituzionale o della Corte di giustizia europea; e che quelli che oggi indossano la casacca del Partito democratico sono tra i maggiori responsabili di questo stato di cose.
Memorabile fu l’intervento di Luciano Violante alla Camera nel 2003 che dichiarò espressamente l’assoluta connivenza sin dal 1994 degli ex comunisti alle pretese del Cavaliere, alludendo ad una sorta di accordo, tanto segreto quanto inconfessabile, che garantì l’intangibilità delle televisioni berlusconiane.
Di fronte al naufragio morale prima che politico del centrosinistra, che dura ormai da almeno quindici anni, è chiaro che chiunque si fosse trovato al posto di Berlusconi avrebbe finito per diventare suo malgrado il mattatore della politica italiana.
Un’ultima osservazione: la politica economica del governo del PDL si sta rivelando di giorno in giorno sempre più disastrosa.
La crisi economica affonda nelle tasche degli Italiani e questi dilettanti al governo se ne vengono fuori tagliando la spesa in settori strategici come scuola, ricerca e università, dopo aver lasciato a secco le pantere della polizia: tagli impressionanti, per decine di migliaia di posti di lavoro in un contesto occupazionale già gravissimo.
Non solo, propongono il cosiddetto Piano casa, quanto di più improbabile e devastante si possa concepire in campo edilizio, un provvedimento che rappresenta un condono a 360 gradi a cui pure le regioni guidate dal centrodestra sembra si siano ribellate. Una sorta di laissez faire del mattone, i cui preoccupanti contorni restano fortunatamente per ora circoscritti alla fervida mente del Cavaliere.
Sta di fatto che tale misura viene sbandierata da Tremonti & c. come il principale stimolo per far ripartire l’economia: nulla di più lontano della realtà.
Non bisogna essere dei Nobel per capire che il rilancio italiano passa per i mercati internazionali, attraverso l’innovazione di prodotto e di processo che rivitalizzi la domanda estera; non dal mercato interno, per giunta attraverso lavoretti di edilizia privata affidati spesso a manovalanza irregolare, giusto per tacitare i palazzinari e qualcun altro che vuole chiudere il balcone o farsi il box auto con poca spesa.
Solo un’informazione deviata potrebbe accreditare come efficace un’idea così stravagante e velleitaria: ma leggendo i quotidiani, quasi tutti si sbilanciano in elogi sperticati alla grande trovata berlusconiana, l'ennesimo coniglio dal cilindro.
Purtroppo di trovata in trovata, di battuta in battuta, l'economia italiana si trascina sull’orlo di un baratro.
Non contenti, i due vuoti politici a perdere, PDL e PD, continuano a scherzare pure sul federalismo!
Durante la votazione alla Camera, il Partito democratico si è astenuto ancora una volta: in un sistema bipolare, per l’opposizione lasciar passare senza fare una piega un provvedimento del genere, che si preannuncia come l’ennesimo buco nero in campo costituzionale, è mostruosamente kafkiano
Ma quando ci libereremo finalmente di questo incubo?

lunedì 16 marzo 2009

La congiura di Walter e... il nuovo che avanza!

E’ storia nota e arcinota. Pausilypon da sempre sostiene che la caduta del governo Prodi del 2008 fu dovuta ad una congiura di Palazzo che aveva in Walter Veltroni l'ispiratore ed in Clemente Mastella soltanto l’esecutore materiale.
Bastava leggere le cronache di quei giorni.
Ieri sera Romano Prodi, ospite di Fabio Fabio nel suo programma Che tempo che fa, ha ribadito il concetto in modo definitivo ed inoppugnabile. Leggiamo dal Corriere.it:

«Il mio esecutivo — ha detto l'ex premier — poteva andare avanti, perché dopo una Finanziaria durissima il Paese avrebbe finalmente potuto raccogliere i frutti di quei sacrifici. E invece, come successe anche con il mio primo esecutivo, dopo l'ingresso nell'euro, il governo è stato fatto cadere». Prodi ha quindi rievocato l'esatto momento in cui le sorti dell'Unione sono precipitate nell'abisso. La scintilla fu l'annuncio di Veltroni, da poco eletto al vertice del Pd, di andare soli alle elezioni, senza Rifondazione, senza ali. Domanda di Fazio: «Cosa ha pensato in quel momento, Professore?». Risposta: «Non ebbi bisogno di pensare. Ricordo che si affacciò Mastella alla porta del mio ufficio a Palazzo Chigi. Teneva la testa piegata da un lato e urlò: se voi volete fare fuori me, sono io che faccio fuori prima voi. Per la verità la frase di Clemente era un po' più colorita, ma la sostanza non cambia...».

Se non fosse stata l’incredibile uscita di Veltroni sulla millantata vocazione maggioritaria del PD e sul desiderio di correre da soli (mentre il governo Prodi era pienamente in carica, proprio con l'appoggio del partito leader della coalizione, il PD), oggi Romano Prodi siederebbe ancora a Palazzo Chigi con una guida sicuramente più sicura e competente di quella mostrata da Silvio Berlusconi in questi mesi, che riceve ormai l’aperta disapprovazione pure della stessa Confindustria, uno degli sciagurati protagonisti l’anno scorso assieme a Veltroni della resistibile rinascita del Cavaliere.
Il fatto che Veltroni abbia ripetutamente dichiarato di aver affrontato le elezioni politiche del 2008 in condizioni impossibili, quasi che a lui non si potesse addebitare la responsabilità della sconfitta, è sempre stato un suo curioso modo per allontanare da sé i sospetti sulla prematura caduta del governo di centrosinistra.
Ma le parole di Romano Prodi sono come pietre: nessun politico con un minimo di buon senso, poteva pensare che le parole esplosive di Veltroni sarebbero state lasciate cadere senza prima provocare un vero terremoto nell'Unione. Come è infatti stato.
Rispetto a quel cataclisma, le successive, infinite sconfitte di Walter Veltroni, hanno, tutto sommato, un rilievo minore: la sua gravissima, incancellabile, responsabilità è stata quella di aver fatto cadere il governo Prodi proprio nel momento in cui stava finalmente per raccogliere, insieme agli Italiani, i frutti di un duro lavoro di risparmi e sacrifici compiuti per risistemare le finanze pubbliche.
Proprio quando si trattava di ripartire il tesoretto, ve lo ricordate?, dispensando agli Italiani qualche beneficio, l’impareggiabile Walter se ne uscì in quel modo incredibile, roba da far venire la pelle d’oca.
E’ chiaro che finché il PD non avrà fatto chiarezza su questo punto, celebrando un vero congresso che mandi a casa non solo l’ex sindaco di Roma ma l’intera sua classe dirigente, rea di aver abbandonato l'Italia su un piatto d'argento a Berlusconi (altro che l'insulsa petizione Salva l'Italia!), le speranze per il Paese sono ridotte al lumicino.
Peggio, c’è il rischio che dentro il Partito democratico emergano leader improbabili, che hanno il solo dichiarato merito di candidarsi contro l’incapace nomenklatura di quel partito: come tal Matteo Renzi da Firenze che, ammiccando ai telespettatori con il golfino color Fiorentina, si è presentato giovedì scorso nello studio televisivo di Michele Santoro ciacolando di Costituzione, in modo veramente imbarazzante.
Se questo è il nuovo…

domenica 22 febbraio 2009

Il Pd e.. il congresso che non c'è!

Prima di commentare la resa dei conti in corso nel Partito Democratico, il cui destino nonostante l’avvicendamento tra Walter Veltroni e Dario Franceschini appare segnato, aspettavamo il giudizio che ne avrebbe dato dalle colonne di Repubblica quello che, per certi versi, è stato il suo ideologo oltre ad esserne uno dei più potenti ed accaniti supporter, Eugenio Scalfari.
Dietro questi sedici mesi di navigazione tempestosa di Walter Veltroni, c’è sempre stato lui a suggerirgli strategie, tattiche, e perché no, a rivolgergli anche qualche amorevole rimbrotto.
Ci aspettavamo quindi che, un tempo nella buona sorte adesso nella cattiva, il grande vecchio di piazza Indipendenza volesse anche lui, al pari di Veltroni, chiedere scusa per i tanti errori compiuti in tutto questo tempo diventando la cassa di risonanza del pensiero debole veltroniano, facendo assumere al suo giornale una fisionomia tutta diversa da quella delle origini, tanto da allontanarlo sempre più da molti affezionati lettori.
Ma non è stato così.
Nel suo odierno domenicale, precisa che l’impressione che Veltroni non ce l’abbia fatta a portare a termine la sua impresa, sia in qualche modo fuorviata dalle titolazioni che i giornali hanno dato al suo discorso d’addio. Che, sì, riflettono i contenuti del suo commiato ma non le sue effettive colpe che, secondo il famoso giornalista, si ridurrebbero ad un unico errore; l’aver cercato ad oltranza di mediare tra le diverse anime del partito senza far pesare fino in fondo il valore della sua leadership, costruita su tre milioni e mezzo di consensi: "Veltroni ha impiegato gran parte del suo tempo a cercare punti di sintesi che erano piuttosto cuciture fatte col filo grosso, con la conseguenza che quei vari pezzi e quelle varie ispirazioni e provenienze sono rimaste in piedi senza dar vita ad una cultura nuova e unitaria."
Ci aspettavamo da Eugenio Scalfari un’analisi più acuta e attenta delle immani pecche che la guida democratica ha mostrato da subito. Attribuire a Veltroni quale unico errore quello di aver indugiato troppo nella mediazione tra "laici e cattolici, socialisti e moderati, tolleranti e intransigenti, puri e duri e pragmatici" è davvero poca cosa e dimostra come anche dalle parti di piazza Indipendenza la confusione regni sovrana.
D’altra parte, in tutti questi mesi non una volta Scalfari ha rimproverato Veltroni per i suoi tentennamenti, né per il suo incessante mediare tra i vari capibastone; al contrario, ha sposato in pieno questa linea politica ondivaga e priva di respiro.
Perché il vero nodo della questione è che, sin dal giorno del suo insediamento, Walter Veltroni ha rinunciato a sostenere il governo Prodi e, dopo la clamorosa disfatta elettorale dell’anno scorso, a fare opposizione al governo autoritario dell’uomo di Arcore.
Se l’è presa da subito con i verdi, con la sinistra, con Di Pietro (pur avendo stretto un’alleanza di ferro con lui), ma mai contro Berlusconi, salvo punzecchiarlo sterilmente ma di continuo per le sue riprovevoli gaffe.
Inopinatamente, quando il Cavaliere era ormai alle corde, nel novembre 2007, incapace com’era di recuperare credito tra i suoi (siamo al tempo del teatrino evocato da Gianfranco Fini), Veltroni ebbe la folle idea di rimetterlo in piedi annunciando, urbi et orbi, di voler costruire con lui le nuove regole del gioco, sbarazzandosi di punto in bianco dei propri alleati mentre Romano Prodi stava ancora saldo in sella a Palazzo Chigi.
Fu quella una vera e propria congiura di Palazzo, che sotto le mentite spoglie del ministro Clemente Mastella, silurò improvvisamente l’esperienza dell’Unione per proclamare unilateralmente la presunta vocazione maggioritaria del Pd.
Fu l’inizio della fine. Seguirono mesi difficilissimi che consegnarono incredibilmente il Paese ad un governo delle destre reazionario, incapace di dare sia pure elementari risposte alla grave crisi economica che si stava affacciando da oltre Atlantico.
Se ci fosse stata una chiara opposizione, molto presto l’armata berlusconiana avrebbe dovuto prenderne atto, forse capitolando o scendendo a più miti consigli su tante questioni scottanti.
Ma guardiamo all’oggi.
E’ chiaro che, con la caduta di Veltroni, viene bocciata tutta la nomenklatura del suo partito (i Fassino, la Finocchiaro, ecc. ieri all’assemblea nazionale sembravano di colpo invecchiati, ridotti a pezzi di modernariato) "delegittimata e spazzata via tutta insieme".
Così come è di tutta evidenza che il compito di Dario Franceschini sia divenuto quasi impossibile, senza un congresso che possa decretare a caratteri cubitali la fine del veltronismo, o meglio del veltrusconismo.
Conforta che il nuovo giovane leader, sin dal suo primo discorso, abbia voluto mostrare una qualche discontinuità con il suo predecessore; certamente, non avendo nulla da perdere, egli può permettersi una libertà intellettuale e di azione decisamente superiori.
D’altra parte, fare peggio di Veltroni è praticamente impossibile.
Già sarebbe molto se riuscisse a traghettare il Pd da una vergognosa non opposizione di questi mesi ad una più modesta quasi opposizione.
Ma non illudiamoci: finché non sarà spazzata via la vecchia nomenklatura, le speranze di avere un partito diverso si avvicinano a zero, nonostante tutta la buona volontà del nuovo segretario.

martedì 17 febbraio 2009

Si inabissa in Sardegna il relitto del Pd

Il crollo del Pd in Sardegna? L’ennesima sconfitta annunciata!
Alzi la mano chi aveva soltanto un dubbio sull’esito disastroso per il centrosinistra delle Regionali sarde!
Onore a Renato Soru, a cui va dato comunque il merito di aver espresso una politica di passione, valori etici, coerenza con la propria identità culturale, fatta di parole essenziali di chi crede veramente in quello che dice, senza tanti giochi verbali, senza gli eterni intrighi di palazzo.
Ne esce sconfitto come governatore della Sardegna, paradossalmente ne esce rafforzata la sua leadership a livello nazionale: che poi diventi la punta di diamante di un nuovo partito di massa o dell’esausto Partito democratico, questo è un altro discorso.
Ne esce a pezzi, ancora più minuti, la figura del segretario del Partito democratico, Walter Veltroni: non riusciamo ad immaginare un uomo politico che, al pari dell’ex sindaco di Roma, sia riuscito a disseminare di tante rovine il proprio percorso al vertice del partito. Letteralmente, in questo anno e mezzo dalla sua acclamazione a leader non ne ha azzeccata una; e non è contro la cattiva sorte che se la deve prendere.
Nel pieno di una tempesta in cui egli ha condotto il Partito democratico dalle acque, increspate ma certamente non torbide, dell’Ulivo di Romano Prodi, ha mostrato una grave confusione di idee, una assoluta incoerenza nell’azione politica, una personale impassibilità al naufragio in corso, il tutto infarcito di tanta vanagloria nel giudicare addirittura buoni i miserevoli risultati raggiunti.
Una contraddizione sistematica che lo ha condotto a legittimare Silvio Berlusconi come suo interlocutore privilegiato, anche per farci insieme le riforme costituzionali, per poi rampognarlo di continuo ma in modo petulante per le sue battute da avanspettacolo.
E’ riuscito, con una sequela di scelte avventate, non solo a dare per scontata la costituzionalità della legge sull’immunità penale delle alte cariche (il famigerato lodo Alfano) ma a rilanciare sui media lo spot elettorale del presidente del Consiglio quale difensore della vita nella recente tragica vicenda della ragazza in coma.
Non ne facciamo una questione esclusivamente personale: con lui dovrebbe ricevere il benservito l’intero suo staff.
Come dimenticare, ad esempio, la senatrice Angela Finocchiaro che, non appena approvato il buco nero del federalismo fiscale, si rivolge al Cavaliere dichiarando la buona disponibilità dell'opposizione a dialogare con lui? Vede Cavaliere, come siamo stati bravi?
In Sardegna il Partito democratico ha perso di botto l’11%, nonostante potesse contare sul valore aggiunto offertogli da Renato Soru (la cui lista ha infatti preso 5 punti in più dei partiti della sua coalizione); temiamo che a livello nazionale il risultato sarebbe stato ancora peggiore: il Pd veltroniano è ormai un relitto.
Così mentre il Paese affonda, grazie ad un governo di inetti che fa finta di non rendersi conto della gravità della situazione sociale, Silvio Berlusconi può dormire sonni tranquilli: il maldestro Walter è il suo garante, almeno fino alle Europee di giugno, quando finalmente sarà costretto a passare la mano.
Sono gli Italiani adesso ad avere gli incubi.

venerdì 13 febbraio 2009

Politica schizofrenica

Sono stati giorni difficili.
Giorni in cui la politica si è impadronita di temi delicati come quello dell’etica, del senso ultimo della vita umana, per farne merce di scambio, filo conduttore dell’ennesimo spot elettorale.
Spettacolo avvilente che ancora una volta ha visto in prima fila il presidente del consiglio, tuttavia ben attorniato da un’accolita di personaggi minori che hanno provato pure a rubargli la scena.
Senza riuscirci, però; perché sotto le luci della ribalta il mattatore è restato indiscutibilmente lui.
Ha usato, come grimaldello per scardinare la Costituzione, una questione tanto delicata che le cronache ci hanno sbattuto in faccia ossessivamente in questi giorni senza pudore alcuno: un gran colpo basso; uno scempio atroce per Eugenio Scalfari. Come dargli torto?
Il fatto è che anche coloro che gridano allo scandalo, che invocano il rispetto della carta costituzionale a cui il premier deve necessariamente piegarsi senza minacciare sfracelli, tengono in piedi questo spettacolo indecoroso.
Perché se Berlusconi è quello che è, non si può poi pensare di stringere con lui patti di ferro alla chetichella, come è successo recentemente con la legge elettorale per le prossime Europee, di comune accordo approvata in un ramo del parlamento da Pd e Pdl; per non parlare poi della legge sul federalismo fiscale, vero buco nero della nostra legislazione.
Insomma, se Berlusconi è interlocutore affidabile per il partito democratico tanto da concepire insieme a lui alcune leggi di portata costituzionale (anche se formalmente non costituzionali), non si capisce perché diventi alcuni giorni dopo improvvisamente il golpista che vuole fare a pezzettini la nostra carta fondamentale.
Un po’ di coerenza: ha ragione Beppe Grillo quando afferma che l’uomo di Arcore è sempre coerente a se stesso. Dunque segue una strategia ben precisa sia quando vara il lodo Alfano, sia quando definisce sovietica la nostra Costituzione.
Dice e disdice, finendo sempre per raggiungere i propri obiettivi, non demordendo mai; al contrario, rilanciando con maggiore veemenza quando si imbatte imprevedibilmente in qualche autorevole no.
Ma il partito democratico ed il suo leader Veltroni sembra proprio che questa cosa non l’abbiano ancora capita.
Un giorno ci raccontano la favola dell’imprenditore che ha il pallino della politica con cui si può pacatamente dialogare anche dei massimi sistemi; un altro giorno ce lo rappresentano come il lupo cattivo che banchetta con la Costituzione: pura schizofrenia.

martedì 3 febbraio 2009

Un'altra legge ad personam: la SalvaVeltroni!

Proseguono le leggi ad personam del duo Veltrusconi: dopo la legge Alfano, ecco che di soppiatto dal cilindro del tandem politico meno credibile della Seconda Repubblica, esce fuori la legge SalvaVeltroni.
Sì, quella legge che decreta lo sbarramento al 4% alle prossime Europee; una cosa inopportuna e per giunta fuori luogo.
Inopportuna, perché nel disastro economico in cui siamo precipitati, venire a sapere che maggioranza e opposizione si occupano ancora di legge elettorale, è uno schiaffo a tutti coloro che in questi mesi stanno patendo i rigori di un gelido inverno di recessione.
Nel Palazzo si discute amabilmente di legge elettorale e questi strani poli, inspiegabilmente, vanno pure d’amore e d’accordo!
Decisione fuori luogo, perché non è certo a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, che si può pensare di eliminare la frammentazione elettorale, stante la necessaria presenza di rappresentanze politiche di tantissimi paesi.
L’obiettivo, neppure tanto velato, è tutto interno: ovvero quello di cancellare definitivamente qualsiasi forma di vera opposizione, tanto a destra quanto a sinistra dei due colossi d’argilla.
Soprattutto a sinistra, vista la penosa condizione in cui versa il Pd ad opera del sempre più stralunato Walter Veltroni, il quale di giorno critica goffamente il cavaliere sulle questioni più insulse e la sera, quasi clandestinamente, stringe con lui patti di ferro per far fuori il dissenso in tutte le sue forme.
Sorprende come il leader del Pd resti impassibile alla valanga di critiche che da tutte le parti ne mettono in dubbio le qualità politiche e ne hanno minato irreversibilmente il carisma; e che la politica sia scesa tanto in basso da abbandonare il Paese alle proprie difficoltà per badare esclusivamente a se stessa.
Intendiamoci: il problema non è quello di fissare o meno una soglia di sbarramento per i partiti minori. Questo è sicuramente legittimo farlo (non necessariamente opportuno!), a patto che si sia sviluppato su una questione così delicata (è in gioco il diritto alla rappresentanza politica) un ampio dibattito nella società.
Nessuno contesta, cioè, che, alla fine di un lungo percorso parlamentare, la politica decida di nuovo sulla legge elettorale: ma lo deve fare alla luce del sole, dopo un dibattito chiaro ed aperto con la pubblica opinione e, soprattutto, dopo aver dato le risposte che i cittadini invocano inutilmente in campo economico.
Tanto più che la legge elettorale varata per le politiche scorse era stata considerata unanimemente un pasticcio (la famosa porcata secondo il senatore leghista Calderoli).
Dispiace che anche Eugenio Scalfari si spinga a dire che Veltroni sarebbe riuscito nel compito di portare a casa un buon risultato: cioè la soglia di sbarramento al 4% contro la pretesa berlusconiana del 5%.
E’ semplicemente ridicolo riconoscergliene un merito, vista la pochezza dell'esito e tenuto conto che questa legge è stata concordata tra maggioranza e opposizione quasi di soppiatto, prendendo spunto dal famigerato porcellum.
Nel pieno di una crisi economica senza precedenti, un disegno di legge del genere non doveva neppure arrivare all'ordine del giorno dei lavori parlamentari; tanto più a macchina elettorale per le Europee già avviata.
Ignorare questa lampante evidenza, vuol dire proprio aver smarrito la via maestra e procedere a tentoni tra i propri dogmatismi, badando esclusivamente al tornaconto personale.
Significa soprattutto infischiarsene di quello che dice la gente, irritata all’inverosimile da una classe politica di inetti, che vive allegramente alle sue spalle ed a cui non risponde più concretamente.
A questo punto, l’unica risposta da dare al regime messo in piedi senza tanto clamore dalla strana coppia Veltroni - Berlusconi è disertare le urne: siamo tutti stanchi di firmare inutili cambiali in bianco.

domenica 25 gennaio 2009

Sempre più giù, il Pd scivola pure sul federalismo

"Questa è una decisione giusta di una forza responsabile, ma questo atteggiamento potrà modificarsi nella futura lettura se non saranno chiariti alcuni nodi" (1). Queste le parole del segretario del Pd, Walter Veltroni, dopo l’approvazione da parte del Senato del federalismo fiscale, provvedimento che ora passerà alla Camera.
L’astensione del Pd in aula è stato il fatto politico di maggiore rilevanza in questo passaggio parlamentare che ridisegna il sistema di finanza pubblica degli enti locali; ma in commissione il Pd aveva approvato insieme al centrodestra tutti i principali articoli della riforma.
Insomma, ancora una volta l’opposizione si allinea al centrodestra nel votare una legge che rompe il patto di solidarietà tra le diverse italie per sancire un federalismo al buio le cui conseguenze sia sul piano dei costi che dell’erogazione dei servizi ai cittadini sono tutte da definire.
Cioè, il Partito democratico ha votato un provvedimento di grande portata senza rendersi conto né se esso produrrà dei risparmi fiscali per il contribuente (sembrerebbe esattamente il contrario) né se creerà disparità di trattamento tra abitanti di parti diverse della penisola nelle prestazioni erogate dagli enti locali.
Eugenio Scalfari, nell'odierno domenicale, solleva a riguardo gravissime perplessità: "Voglio sperare che i piemontesi, i lombardi, i veneti del Partito democratico non dimentichino la storia del nostro paese e il contenuto che i loro avi dettero alla sua unità."
Culturalmente parlando, Veltroni firma l’ennesima débâcle della sinistra italiana senza neppure accertarsi di quali potrebbero essere gli effetti perversi di questa riforma, nonostante mezzo partito avrebbe preferito votare contro.
Se l’ opposizione di questo finto bipolarismo non si preoccupa delle possibili conseguenze della rottura del patto di solidarietà tra gli Italiani, vuol dire proprio che ha subito una mutazione genetica, tale da non avere più nulla a che vedere né con la tradizione socialista e comunista né con il cattolicesimo sociale.
Insomma dalle ceneri delle due matrici culturali più importanti della storia d’Italia è uscito fuori un partito che rinnega entrambe senza peraltro proporre alcun modello politico alternativo.
Fa cascare le braccia la risposta che Veltroni dà all’ex Udc Follini, ora dentro il Pd, che aveva bollato come irresponsabile l’astensione decisa nel voto finale al Senato: "Il nostro profilo riformista consiste anche in questo. Noi siamo un’opposizione responsabile" (2).
No, la verità è che l’oligarchia all’interno del Pd sta conducendo una battaglia di resistenza politica che non ha nulla a che vedere con i bisogni dell’elettorato che si arroga di rappresentare.
E' un fatto che in tanti mesi, senza avere impegni particolari, la leadership democratica non sia riuscita a formulare neppure uno straccio di proposta di riforma su un qualsivoglia campo della vita pubblica.
Un’inerzia paurosa, il vertice democratico resta alla finestra confidando nella crisi economica ed in attesa che il centrodestra vari un qualche provvedimento per avere la possibilità o di criticarlo in modo sgangherato (giusto per farsi un po’ di pubblicità) o di accodarcisi dietro in nome di un malinteso senso di responsabilità: "Il Pd ha sbriciolato il cliché berlusconiano dell’opposizione riottosa e incapace di riforme" (3) , conclude non a caso la capogruppo Anna Finocchiaro.
Si capisce a questo punto perché il Partito democratico stia letteralmente precipitando nei sondaggi (23%?) e per quale motivo stia spingendo per una nuova legge elettorale per le Europee con soglia di sbarramento al 4-5% in modo da fare fuori quello che resta di autentica opposizione nel panorama politico italiano.
Il messaggio è chiaro: anche se ci considerate dei buoni a nulla, siete comunque costretti a votarci!
(1) (2) (3): Corriere della Sera del 23/01/09, pagg. 5-6

giovedì 15 gennaio 2009

Un governo senza opposizione: il frutto avvelenato del bipolarismo all'italiana

Nel salotto televisivo di Ballarò, dove sfila la politica prêt à porter, per intenderci quella che dopo due ore di trasmissione regala al telespettatore solo sbadigli grazie ad un paludoso chiacchiericcio in cui affondano tutti, in primis i temi della puntata, martedì sera era di scena il leader del Partito democratico, Walter Veltroni.
Sparita la surreale spocchia di qualche mese fa, quando si inorgogliva elencando le sconfitte patite come fossero sue grandi invenzioni, sembrava un cane bastonato: con la solita litania del 25 ottobre ha rivendicato con scarsa convinzione il grande successo dell’adunata del Circo Massimo ma, è stato subito chiaro che, oltre all’entusiasmo, era a corto di argomenti per giustificare una leadership ormai giunta al capolinea.
Il simpatico Maurizio Crozza, nella sua arguta copertina, è riuscito a rinfacciargli in poche battute quello che nessuno tra gli intervenuti ha saputo fare.
Lo stesso pacatissimo Ferruccio De Bortoli (con tutt’altra nonchalance rispetto alla furia esibita nello stesso salotto nell’autunno 2007 allorché incalzava minaccioso l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti), pur orchestrandogli a lungo una sviolinata quasi imbarazzante, dall’alto del suo atteggiamento protettivo, è stato comunque costretto a rivelargli, udite udite, che in Italia sembra non esserci un’opposizione.
Ma invece di andare a parare su problemi concreti, quelli quotidiani degli Italiani, la trasmissione si è andata inopinatamente ad infilare nel vicolo cieco delle alleanze del Pd, in particolare quella con l’Italia dei Valori di Antonio di Pietro.
Sul punto, tutti a fargli notare che quell’accordo elettorale è stato un grave errore, quasi Di Pietro, che della questione morale ha fatto una bandiera, fosse divenuto all'improvviso una cattiva compagnia.
Forse perché, di fronte ai tanti scandali che hanno visto coinvolti amministratori del Pd, parlare di questione morale a Veltroni è un po' come parlare di corda in casa dell’impiccato.
Sul punto, non a caso si è difeso dai rilievi del direttore di Panorama Belpietro, affermando che il Pd è meno peggio del Pdl: bella prova di orgoglio!
Purtroppo, il quadro politico italiano resta disperante: con un governo veramente modesto che, al massimo, sa gridare all’untore nei confronti degli immigrati ma, normalmente, non sa veramente dove sbattere la testa.
Diciamolo chiaramente: dopo sette messi di legislatura, la svolta economica del grande imprenditore si è rivelata un grande bluff.
La vicenda Cai – Alitalia oltre il danno (6 miliardi di euro??) aggiunge la beffa perché non salva neppure l’italianità della compagnia, ormai nell’orbita di Air France come titolano trionfalisticamente i giornali transalpini; è stata un ottimo affare solo per Colanino & c., finanziato obtorto collo dai contribuenti italiani.
La social card si è rivelata un mezzo boomerang per il grande creativo Giulio Tremonti e per i tanti malcapitati (sembra 200mila!) che si sono ritrovati alla cassa del supermercato dovendo lasciare lì i generi alimentari riposti nel carrello perché la tessera, nonostante tutti i requisiti di legge, non è mai stata caricata: neppure di quella miseria!
La crisi delle imprese si aggrava di giorno in giorno; l’occupazione crolla, gli stipendi non bastano più a coprire spesso neanche metà mese: ce n’è abbastanza per dipingere un quadro economico estremamente grave con un governo del tutto incapace di fronteggiarlo.
Sulla politica estera, poi, è meglio stendere un velo pietoso: il sostegno alla scelta del governo israeliano di bombardare Gaza è stato così cieco ed incondizionato da parte del ministro Frattini e di tutto il centrodestra che abbiamo dilapidato in poche settimane un inestimabile patrimonio di credibilità, frutto di un costante e attento lavoro diplomatico di oltre quarant’anni, che ci rendeva interlocutori privilegiati nel conflitto arabo-israeliano.
In un paese normale, a questo punto, l’opposizione alzerebbe la voce; in Italia, no, con un’oligarchia dentro il Partito democratico che pretende di capeggiare il grande malcontento popolare ma che, concretamente, è silenziosa e complice.
E’ questo il cosiddetto bipolarismo italiano, quello tanto vagheggiato da Walter Veltroni che, pur di realizzarlo a tambur battente, non ha esitato un attimo a sacrificare l’innovativa esperienza di governo di Romano Prodi.
L’unica cosa che ci ha regalato il bipolarismo Pd - Pdl è un frutto avvelenato: Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi che minaccia di fare scempio della Costituzione e del principio di divisione dei poteri ed un’opposizione penosamente in disarmo, che non si dà una mossa perché i suoi oligarchi sono convinti di restare conunque a galla.
Si può stare peggio di così?

mercoledì 31 dicembre 2008

La questione morale e l'inciucio di fatto

Il 2008 si conclude nella maniera più improbabile possibile: è il leader del Pd che adesso ha in mano il bandolo della matassa, ovvero la questione morale.
Deve stabilire lui se il Pd la ripudia ormai pubblicamente oppure se ne fa in qualche modo carico.
La scelta non è facile perché si tratta di dare il benservito ai tanti capibastone che al centro come in periferia propendono per una soluzione morbida: cioè, gattopardescamente, condannare il malaffare ma anche difendersi sul territorio dalle iniziative della magistratura bollate come debordanti.
Il risultato è come al solito un grande pasticcio che finisce per compromettere in modo definitivo l’immagine del partito che si pensava diverso almeno sotto il profilo della moralità pubblica.
Così non è anche perché Walter Veltroni non ha la forza per prendere una decisione né in un senso né in un altro.
E intanto resta in sella al Pd, unico suo punto di forza, proprio in ragione del fatto che garantisce lo status quo, salvo la licenza che gli è stata concessa di sparare genericamente a zero contro i collusi e i corrotti per poi dover prendersela a brutto muso con i magistrati che indagano sugli amministratori del Pd.
Avesse letto con attenzione l’ordinanza di scarcerazione del sindaco di Pescara si sarebbe reso conto che da parte della magistratura abruzzese non c’è stato alcun dietrofront e l’impianto accusatorio resta in piedi, anche se sono venute meno le ragioni degli arresti domiciliari ovvero il pericolo di inquinamento delle prove.
Vedere nel programma di Lucia Annunziata su Rai Tre In mezz'ora , Luciano Violante resistere come un azzeccagarbugli alle rimostranze di Paolo Flores D’Arcais sull’opacità del Pd in tema di giustizia, ripetendo fino allo sbadiglio che il tutto è causato da un problema di organizzazione interna al partito, ha letteralmente fatto cascare le braccia.
Se la stessa esistenza o sopravvivenza del Pd debba comportare tanta mangiata di polvere, francamente sarebbe meglio lasciar stare ed abbandonare subito un progetto così asfittico.
Anche perché tenere così a lungo sulla graticola l’opposizione proprio sulla malapolitica, tema che tradizionalmente ha fatto da spartiacque tra destra e sinistra, significa firmare una cambiale in bianco nei confronti del premier Berlusconi che può tranquillamente continuare a fare ciò che più gli aggrada da Palazzo Chigi senza subire gli attacchi dell’opposizione, in vergognosa ritirata.
E’ l’inciucio di fatto, senza bisogno di scomodare i politologi su una presunta apertura tra Pdl e Pd: in questo modo non c’è bisogno di alcun avvicinamento di posizioni, di nessun vertice tra Veltroni e Berlusconi!
Basta che il Partito democratico continui a languire nelle sue contraddizioni interne con il suo vertice in naftalina che, al più, è lasciato libero di organizzare una jam session tra le diverse anime del partito…
Quale migliore auspicio per il 2009 del governo di centrodestra?

sabato 27 dicembre 2008

Attenti al colpo di coda della casta!

La vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto il comune di Pescara sta diventando una ghiotta occasione per la classe politica al gran completo per sferrare forse il colpo definitivo contro la magistratura, ennesimo sintomo di una democrazia malata.
Sentire parlare Walter Veltroni, leader del Pd, come un qualsiasi esponente del Pdl prendendo a pretesto l’ordine di scarcerazione del sindaco Luciano D’Alfonso firmato dal gip, conferma le peggiori aspettative su questo ceto politico che ha per protagonisti personaggi che sarebbe opportuno tornassero ai loro impegni privati, data l’assoluta incapacità e la scarsa competenza finora dimostrate nella gestione della cosa pubblica.
Il fatto che il giudice delle indagini preliminari abbia rigettato le accuse del pubblico ministero dimostra, al contrario di ciò che va cianciando la casta, che la magistratura conserva buone capacità di autoemendarsi e che il giudice delle indagini preliminari è terzo rispetto al pubblico ministero; nell’ordinanza, poi, si parla pur sempre di possibile finanziamento illecito ai partiti!
Questi partiti, adesso, un qualche esame di coscienza se lo dovrebbero pure fare.
Che la questione morale dovrebbe essere da tempo al centro della riflessione se non del Pdl (impresa piuttosto improbabile) almeno del Partito democratico è cosa assolutamente scontata vista la scarsa qualità dei suoi rappresentanti, soprattutto al Sud, ma non solo.
Eppure così non è.
Adesso vediamo Veltroni, Violante parlare proprio come farebbero gli esponenti del Pdl, in una ritrovata sintonia proprio sull’unico tema, la giustizia, in cui i cittadini chiedono ai politici diversità di posizioni.
Mentre pretendono dai loro amministratori limpidezza di comportamenti ed un’azione di governo al di sopra di ogni sospetto.
Basta aver assistitito ad una sola puntata di Report, il bellissimo programma di Milena Gabanelli, per poter dichiarare ai quattro venti che gli Italiani non si meritano dei politici che, eccellendo di rado per moralità e abnegazione, sono comunque quasi indistintamente dei pessimi manager.
Se la nostra spesa pubblica è fuori controllo a fronte di servizi scadenti, la ragione va ricercata proprio in quel legame perverso e finora indissolubile tra politica ed economia che fa lievitare a dismisura i costi della macchina pubblica.
Basta osservare, trascurando gli incredibili tempi di realizzazione, quanto costa al contribuente italiano un chilometro di linea ferroviaria ad alta velocità rispetto all’onere sostenuto dal proprio vicino francese, spagnolo o tedesco: siamo al 200-300-500 % in più!
In un momento difficile come questo, una classe politica responsabile si interrogherebbe seriamente sul senso della sua missione, sugli errori compiuti, sulla pessima reputazione che ha ormai tra la gente.
Il Partito democratico si dovrebbe chiedere, ad esempio, come sia stato possibile fare naufragare così ingloriosamente la bella esperienza di Renato Soru a governatore della Sardegna invece di rumoreggiare seguendo inopinatamente il Pdl su una china pericolosissima di delegittimazione della magistratura e di completo isolamento dalla società civile.
Perché per un possibile errore (ancora tutto da verificare) compiuto dal pm di Pescara quanti giganteschi errori sono stati compiuti da una politica che ci ha ridotto nello stato miserevole in cui ci troviamo?
Possibile che la vicenda De Magistris non abbia insegnato proprio niente in casa democratica? Quale crollo di consensi ne è derivato?
E non è stato forse più riprovevole il pizzino fatto passare da La Torre a Bocchino in diretta televisiva?
E’ in quella circostanza, piuttosto che in occasione della vicenda pescarese, che Veltroni avrebbe dovuto dichiarare:
“Quello che è avvenuto è gravissimo. La vicenda ha dentro di sé gravi implicazioni che meritano una riflessione più compiuta che ci riserviamo di fare fin dalle prossime ore.”
Siamo alla fine dell’anno, ma la casta continua imperterrita a preoccuparsi solo di se stessa.

domenica 21 dicembre 2008

Se le sorti dell'opposizione passano per il conclave del Pd

E finalmente il giorno della resa dei conti arrivò.
Il tanto strombazzato chiarimento tra Walter Veltroni e Massimo D'Alema partorì il topolino.
E’ sempre stato così dalla fondazione: la grande montagna del Partito democratico, franando adesso rovinosamente, riesce a malapena ad articolare una minuscola dichiarazione d’intenti: “Sì al rinnovamento, no ai capibastone ”.
Conclusione scontata, quasi liturgica, quella pronunciata da Walter Veltroni nella sua due giorni, prima alla direzione del partito poi alla prima assemblea dei giovani democratici.
Parole giuste, non c’è che dire, ma che non riescono ad infondere quella speranza di cambiamento che da più parti si invoca.
Non si tratta di stabilire se l’amalgama sia più o meno riuscito, lasciamo risolvere questo bizantinismo ai politici di professione.
Il fatto è che la casta dei democratici legge l’emergenza politica in cui ci troviamo (un pessimo governo lasciato libero di fare quello che vuole, persino di annunciare di voler ridisegnare la Costituzione ad immagine e somiglianza del suo premier, senza che l’opposizione dia la sensazione neppure di reagire, semplicemente di esistere) con la lente deformata della sua inattaccabile condizione di privilegio.
E’ un linguaggio paludato quello di Veltroni e D’alema che dista anni luce dalle parole che i cittadini vorrebbero sentire: diranno pure cose sensate ed in gran parte condivisibili ma lontane e fredde.
Solo per fare un paragone, il linguaggio di Renato Soru, presidente Pd della Sardegna, sarà meno elegante, meno costruito secondo i dettami del politichese ma non per questo meno efficace; al contrario, è dotato di una forza ideale e di innovazione sociale decisamente maggiore.
Anche se la parola innovazione non viene abusata dal suo vocabolario: la sua è la politica del fare, rispetto alla politica del parlare.
Si può essere più o meno d’accordo con quello che dice e che propone: fatto sta che parla di cose concrete, non di correnti, non di capibastone, non di innovazione prêt à porter.
E a molti la politica fatta solo di parole, fossero anche le più eleganti e forbite, ha ormai stancato.
Siamo alla pausa di Natale ma la casta anche quest’anno ribadisce il suo peccato originale: quello della sua scarsa credibilità, anche quando mostra le migliori intenzioni.
Neppure l’animosa, vibrante replica di Veltroni ha solo scalfito questa triste realtà.


martedì 9 dicembre 2008

Il Partito democratico va sempre più giù

Ennesima settimana di crisi della politica.
La casta sta affondando ma ha perso anche quel residuo amor proprio, servisse soltanto per risalire la crisi di consensi che la investe aggrappandosi, come un naufrago in un mare in tempesta, alle cime della crisi economica e così dimostrare agli Italiani che ancora serve a qualcosa.
Il governo del centrodestra naviga a vista, tagliando a destra ed a manca la spesa pubblica fino a quando qualcuno da Oltretevere non alza la voce e gli fa rimangiare di colpo il taglio alle scuole cattoliche con tante scuse.
La sua politica deflazionista accelera la crisi e non restituisce in termini di provvidenze sociali neppure una parte di quello che toglie dal bilancio dello Stato: la social card è uno strumento del tutto inadeguato per lenire le sofferenze delle tante famiglie in rosso già alla terza settimana.
Sono bastati pochi giorni dal suo strombazzato varo per capire che, anche sul piano economico, il governo è nudo.
D’altra parte, premere ancora sull’acceleratore dell'ordine pubblico, della sicurezza e della paura dell'immigrazione a due settimane da Natale, con lo shopping che langue, più che una buona idea apparirebbe agli occhi dei più una provocazione.
La riforma della giustizia? Da sempre l’obiettivo dichiarato del Cavaliere, dopo la legge incostituzionale sulle alte cariche, non è poi così impellente almeno fino a quando la Suprema Corte non si sarà pronunciata contro. Diciamo così, il governo sta aspettando Natale…
E l’opposizione? Quale opposizione?
L’intervista di Veltroni a Repubblica della settimana scorsa dimostra che il vertice del Partito democratico ha perso il polso della situazione, non riuscendo neppure a capire cosa stia succedendo in casa propria, figuriamoci ad immedesimarsi nei guai che affliggono gli Italiani: l'odierno sondaggio Ipr per Repubblica.it lo dà in caduta libera di oltre 5 punti percentuali.
Più precisamente, l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro svetta al 7,8% mentre il Partito democratico accusa un crollo sulle Politiche di primavera del 5,7%!
Morale: quando l’opposizione la si pratica quotidianamente, la gente se ne accorge e premia i politici volenterosi; al contrario, quando ci si tira i piatti da pranzo, come fanno Walter Veltroni e Massimo D’Alema, semplicemente per decidere quale sia il modo migliore di non fare opposizione, ecco che anche lì il verdetto popolare cade giù duro come una tegola.
L’impareggiabile coppia Veltroni - D’Alema è riuscita a superarsi facendo addirittura guadagnare al Pdl altri due punti percentuali rispetto alla primavera scorsa, nonostante l’azione di governo sia stata in questi mesi decisamente mediocre: complimenti!
L’altra sera, nel salotto di Fabio Fazio, c’era il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che rivendicava la sua coerenza nelle scelte fatte come governatore Pd della Sardegna; scelte che lo hanno costretto alle dimissioni quando si è visto mancare l’appoggio proprio degli esponenti regionali del suo partito.
Il suo parlare schietto, senza fronzoli, che richiama valori antichi ma di grande modernità, come l’impegno personale per la sua terra, l’ottimismo della volontà e del sacrificio contro i compromessi al ribasso, una idea alta della politica, hanno finito per sfiorare corde nell’animo di molti simpatizzanti del Pd che la politica di questi anni dei vari Fassino, Veltroni, D’Alema, Bettini, Rutelli aveva fatto completamente dimenticare.
Il richiamo all’ambiente, al rispetto che dobbiamo alle future generazioni per non lasciare loro un mondo invivibile, alla cultura del lavoro e del risparmio contro gli irresponsabili inviti all’ottimismo dei consumi, ha messo in luce un uomo politico che dimostra una sincera avversione per i riti della casta e che è in sorprendente, quasi inconsapevole, sintonia con ampi settori della società civile.
Ci domandiamo: nella crisi abissale in cui versa il Pd, crisi di identità, di strategia ma soprattutto di etica (come confermano le numerose inchieste in corso sulla sinistra d'affari), cosa impedisce alla leadership democratica di lasciare subito il testimone a uomini nuovi come Renato Soru?

mercoledì 3 dicembre 2008

Aspettando il prossimo chiarimento dentro il Pd

Ennesima figuraccia della politica nostrana.
Un’altra settimana è trascorsa all’insegna di una crisi economica senza precedenti ma la casta si azzuffa ancora una volta sulla televisione.
Questa volta è il turno di Sky, la pay tv del miliardario australiano Rupert Murdoch. Sembra impossibile che l’opposizione capeggiata da Veltroni non trovi nulla di meglio che gridare allo scandalo per l’ennesimo conflitto di interessi in cui è incappato il Cavaliere; a questo punto, verrebbe da dire, suo malgrado.
I fatti sono noti: l’innalzamento dell’Iva sul canone della pay tv dal 10% (aliquota agevolata) all’aliquota ordinaria del 20% è per certi versi un atto dovuto.
Il senso di un’agevolazione del genere è riconducibile ai tempi dell’avvio di una nuova tecnologia digitale su satellite che, a metà degli anni novanta, poteva considerarsi talmente innovativa e pionieristica che meritava sicuramente un occhio di riguardo da parte del fisco per far decollare il settore.
Oggi non è più così: Sky non può più essere considerata un’azienda start up, vantando quasi 5 milioni di abbonati!
Non si capisce perché bisogna pagare l’iva al 20% su un’infinità di prodotti anche di prima necessità e si debba continuare a pagare i canoni della pay tv con l’imposta al 10%.
In un paese normale, un’opposizione con un minimo di sale nella zucca, non si straccerebbe le vesti al limite dell'isteria di fronte ad un provvedimento che, potrà pure essere giudicato inopportuno (tanto più perché varato da un governo diretto da un magnate della televisione), ma non appare particolarmente disdicevole né iniquo; al contrario, oggi veniamo a sapere da un portavoce che era negli auspici della Commissione europea.
Che poi si rinvanghi la solfa del conflitto di interessi, la questione è diventata puro esercizio retorico: c’è la sensazione che venga periodicamente sollevata da Veltroni & c. soltanto per dire qualcosa di sinistra, senza però nessuna convinzione.
Diciamolo chiaramente: qualsiasi provvedimento economico che il governo di centrodestra ha già preso o prenderà in futuro è sempre sotto conflitto di interessi.
In quale settore di attività economica l’impero berlusconiano non è arrivato in forze? Stentiamo a trovarne uno.
Per cui sollevare sterilmente la questione, senza aver mai compiuto in passato alcun passo per una legge che lo risolva in qualche modo, diventa uno spettacolo miserevole e meschino.
Com’è possibile che il sacro furore del conflitto d’interessi non sia stato rivolto quest’estate contro la legge sulle alte cariche? Lì, oltre la palese violazione costituzionale, proprio il conflitto di interessi si stagliava enorme come un grattacielo... Ma Veltroni ebbe a dire che il lodo Alfano non era incostituzionale!
Questa opposizione ha dovuto aspettare la questione Sky per dissotterrare l’ascia del conflitto di interessi. Su altri argomenti, molto più scottanti per le tasche degli Italiani, resta afasica come sempre.
Ad esempio, come mai nessuno ha eccepito nulla sul fatto che il governo ha deciso di congelare al 4% le rate dei mutui prima casa a tasso variabile lasciando quelli a tasso fisso al 6-7 anche 8%? Forse che in tempi di recessione le ragioni di chi ha deciso tempo addietro di cautelarsi con il tasso fisso per evitare successivi rialzi dei tassi di mercato valgono di meno di quelle di chi, optando per il tasso variabile, ha scelto il minor costo immediato (i mutui a tasso variabile scontavano alla stipula un tasso di interesse anche di due punti più basso del corrispondente mutuo a tasso fisso) accollandosi esplicitamente il rischio di futuri aumenti delle rate?
Ma dalla cosiddetta opposizione su questo problema che coinvolge milioni di famiglie non è venuta una sola parola.
Così come sulla cosiddetta social card, che è uno strumento di sostegno ai consumi estremamente modesto sia per importo che per platea di destinatari, dall’opposizione le riserve sono state poche e avanzate senza animosità.
Su un altro versante dell’economia, la Telecom taglia migliaia di posti di lavoro e nessuno eccepisce nulla.
Insomma, stiamo assistendo da troppo tempo al brutto spettacolo di un’opposizione che gioca di rimessa attendendo il governo in difesa per fargli gol in contropiede.
Ma una tattica del genere ha un senso se la squadra che la pratica ha un vantaggio anche solo psicologico sull’avversario, non se sta perdendo alla grande!
Da un’opposizione minimamente decente ci si aspetterebbe un piano dei cento giorni per la crisi economica inquadrato in un progetto politico di più ampio respiro che getti le fondamenta di un ciclo economico virtuoso, basato su incentivi all’innovazione tecnologica a zero impatto ambientale.
Invece ci ritroviamo un Partito democratico che non sa neppure decidere se, a sei mesi dalle Europee, si schiererà al Parlamento europeo con il gruppo socialista o con quello democristiano!!
Capiamo adesso perché l’uomo di Arcore può fare e disfare tutto quello che gli passa per la testa.
Se il futuro dei Democratici passa per l’avvicendamento nel giugno 2009 tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema mentre il partito resta fino a quella data ingessato, in attesa dell'ennesimo chiarimento definitivo che non arriva mai, è chiaro che il governo Berlusconi, nonostante tutto, può continuare a dormire sonni tranquilli.

martedì 18 novembre 2008

E non se ne vogliono andare...

Sono mesi che lo ripetiamo. Ma dopo l’ennesima settimana di bufera, il destino del Partito democratico sembra segnato insieme alla sua leadership, in perenne difficoltà anche su questioni apparentemente di ordinaria amministrazione, quale può essere la nomina del presidente di una commissione parlamentare.
Stretto tra l’incudine del governo di centrodestra ed il martello dell’Italia dei Valori, Walter Veltroni sembra l’unico vero vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Purtroppo i vasi di ferro stanno anche dentro il suo partito, per cui quella da lui ingaggiata è una lotta impari: l’assalto alla sua leadership è frutto di una strategia convergente della maggioranza berlusconiana, disposta persino a contendere all’avversario scampoli di potere che per prassi costituzionale andrebbero lasciati all’opposizione giusto per ribadire la propria soverchiante superiorità, e di settori influenti del suo stesso partito, che agendo dietro le quinte ed in tutta calma, stanno preparandogli da settimane il benservito.
E’ in atto una specie di tiro al piccione in cui si cimentano indistintamente un po’ tutti. E’ in questo clima torbido che si possono concepire le teppistiche parole rivolte a Walter Veltroni dal capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, e che confermano una volta di più lo scadimento della nostra vita politica.
Non si capisce a cosa ancora si debba assistere prima che la casta si renda finalmente conto di quale abisso la separi ormai dalla società civile e quanto discredito si porti dietro.
La querelle sulla nomina del presidente della commissione di vigilanza Rai, Riccardo Villari, non solo è emblematica di tale involuzione ma ne rappresenta in modo paradossale un limite quasi invalicabile.
Un senatore del Pd viene eletto con i voti della maggioranza di governo, tanto per fare un dispetto a Veltroni e per sottolineare l’assoluta indisponibilità alla candidatura dell’esponente dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Nome sul quale Veltroni, suo malgrado, non è disposto a cedere, pena l’essere travolto dal martello pneumatico Antonio di Pietro.
L’epilogo è noto: in questo braccio di ferro il leader del Pd ha finito nuovamente per soccombere, maramaldeggiato finanche dal suo senatore che, da bravo ex democristiano, non solo non è intenzionato a dimettersi, come gli è stato poco pacatamente intimato, ma adesso vuole pure ritagliarsi il ruolo di uomo-cerniera, lasciando intendere che, sospinto sulla ribalta chissà come, non rinuncerà tanto facilmente al suo momento di celebrità.
L’ennesima Caporetto per Walter Veltroni che si trova così nella scomodissima posizione di dover spiegare ai propri sostenitori, al di là di tutte le liturgie e i giochi della politica, come sia possibile che Villari abbia le carte in regola per diventare addirittura senatore del partito democratico (visto che il suo nome è passato certamente al vaglio di Veltroni prima di essere inserito nella lista bloccata per le politiche della primavera scorsa) ma non abbastanza da insediarsi alla presidenza di una commissione parlamentare.
In ogni caso, il gran rifiuto di Villari, dimostra inequivocabilmente che dentro il Pd ognuno va ormai per conto suo e che il segretario ha completamente perso il controllo della situazione.
Insomma, il centrodestra, trovando una insperata sponda proprio all’interno dei democratici, è riuscito a piazzare l’ennesima botta vincente mettendo un’altra volta fuori gioco il suo avversario che, a questo punto, non sa veramente contro chi combattere, sempre più in minoranza anche tra i suoi.
Ma se Sparta piange, Atene non ride: se qualcuno tira in ballo i dalemiani come ideatori dell'ennesimo sgambetto a Veltroni, gli va ricordato che in questo gioco al massacro nessuno ci guadagna all’interno del Pd, neppure l’odiato amico Massimo D’Alema.
Certo non è bello vedere il suo braccio destro, Nicola Latorre, fare l'occulto suggeritore, in un dibattito televisivo sull’argomento, di Italo Bocchino del Pdl mentre questo interloquisce con un esponente dell’Italia dei Valori, come ha svelato incredibilmente la trasmissione di Antonio Ricci Striscia la Notizia.
Sembrano proprio tornati i tempi della doppia scalata illecita Bnl-Unipol e Antonveneta-Bpi, quando i due poli a chiacchiere se ne davano di santa ragione ma nei fatti erano sorprendentemente concilianti.
Una insopportabile cappa di inciucio che ancor oggi non si riesce a diradare e che continua a celare la prima vera emergenza nazionale: l'irrisolta questione morale.
E’ evidente che la soluzione alla crisi dei Democratici non passa per l’avvicendamento al vertice tra Veltroni e D’Alema: entrambi appartengono ad una stagione politica ormai irrimediabilmente chiusa e rivelatasi fallimentare per la sinistra italiana.
Fanno finta di non capirlo ma è chiaro che il loro vuoto antagonismo sta diventando un problema per il Paese.
E’ l’Italia che ci rimette: con una sinistra fuori dal Parlamento, un’opposizione tenuta in piedi dal solo volenteroso Di Pietro, un pessimo governo messo nelle condizioni di fare tutto quello che vuole (tranne quello che di questi tempi sarebbe necessario per ridare fiato all’economia), gli Italiani rischiano di passarsela sempre peggio.
Finiranno per rimpiangere Prodi… se già non hanno cominciato!